SLA, nasce in Italia la “libreria della voce”

Consentirà alle persone che hanno perso l’eloquio di scegliere una voce espressiva fra quelle donate da persone di tutto il mondo e anche di “salvare” la propria voce.

Nasce in Italia il primo “ecosistema digitale della voce” che ha l’obiettivo di restituire alle persone colpite da SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica) la possibilità di comunicare con una voce artificiale dall’espressività umana. Si chiama “Voice for Purpose” ed è una piattaforma di tecnologia digitale che vede il coinvolgimento di Università Campus Bio-Medico di Roma, Centri Clinici NeMO (NEuroMuscular Omnicentre), Nemo Lab, Translated, Dream On e Aisla (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica).

Il progetto, indubbiamente innovativo, è stato presentato a inizio febbraio nella sede romana del Parlamento Europeo ed è nato da una intuizione di Pino Insegno, attore e doppiatore che ha messo la voce al centro della sua vita.

Ma che cosa sarà esattamente “Voice for purpose”? Una vera e propria “libreria di voci” dal duplice valore. Se da una parte consentirà, infatti, alle persone che hanno perso il proprio eloquio di sceglierne una espressiva fra tutte quelle che verranno donate da persone di tutto il mondo; dall’altra permetterà di “salvare” la propria voce, registrandola. Una possibilità, quest’ultima, che sarà accessibile a tutti coloro che hanno conservato la capacità di parlare, così che in futuro nessuno sarà più costretto a esprimersi con una voce metallica quando la malattia arriverà a intaccarla.

In quest’ottica “Voice for purpose” va interpretata come la prima tappa di un percorso innovativo che si svilupperà nei prossimi anni e che, già oggi, permette di applicare le più avanzate tecnologie di sintesi vocale per tornare a comunicare più facilmente.

Per questo, si presenta come un importante tassello di una più ampia iniziativa che nei prossimi anni andrà a costruire un vero “Ecosistema digitale della voce”, il primo che metterà insieme le neuroscienze con le tecnologie digitali, l’intelligenza artificiale, la sensoristica avanzata e la robotica, restituendo la voce con tutte le sue capacità espressive.

La perdita della capacità di parlare con la propria voce costituisce uno dei motivi di maggiore sofferenza per le persone con Sla e per i loro familiari. – ha sottolineato a tal proposito Fulvia Massimelli, Presidente AISLA Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica – Crediamo fortemente in questo progetto perché ci dà la possibilità non solo di riavere una voce umana ma, soprattutto, di restituire anima e identità nelle nostre relazioni”.

Ministro Schillaci e Pino Insegno alla presentazione di "voce alla SLA"

il Ministro Schillaci e Pino Insegno durante la presentazione di “Voice for Purpose”

“Prevenzione chiave contro il cancro e per la sostenibilità della sanità pubblica”

Intervista al Ministro della Salute, Orazio Schillaci: “Con il Covid calo degli screening”

Ministro Orazio Schillaci, il 4 febbraio si è celebrata la giornata mondiale contro il cancro. Quali sono i principali strumenti a nostra disposizione per lottare contro questa malattia, diminuendone l’incidenza?

Prevenzione è la parola chiave intorno alla quale ruota l’attività del Ministero della Salute nella lotta al cancro. Accanto alla medicina e alla ricerca scientifica, che negli ultimi anni ha fatto passi da gigante, la prevenzione dei tumori rimane imprescindibile ed è centrale nel Piano nazionale Oncologico, che abbiamo approvato di recente, finanziato con 50 milioni di euro.

Come evidenziato dai dati 2022 dell’Aiom, il biennio del Covid ha determinato una battuta d’arresto nella lotta contro il cancro, perché? E in che modo si può invertire questo trend?

La gestione dell’emergenza sanitaria ha determinato purtroppo un rallentamento dell’offerta dei programmi di screening organizzati e ciò ha significato mancate diagnosi che rischiano di aumentare l’incidenza e la gravità delle malattie neoplastiche. Si sono accumulati ritardi e liste d’attesa da smaltire.

È stato un biennio difficile ma i dati dell’ultimo rapporto Aiom dicono che siamo tornati ai livelli prepandemia per gli screening oncologici ed è ripreso l’aumento degli interventi chirurgici. Però non dobbiamo abbassare la guardia, perché oltre la metà degli inviti di adesione agli screening resta ancora senza risposta ed è importante invece che le persone aderiscano e facciano prevenzione. Per questo siamo impegnati con una forte campagna di comunicazione sugli screening oncologici e sui corretti stili di vita, che abbiamo lanciato da Sanremo, e allo stesso tempo a investire per abbattere le liste d’attesa.

In quest’ottica: qual è l’importanza della cosiddetta “prevenzione primaria”, agendo in particolare sugli stili di vita, e quale quella dei programmi di screening?

La maggior parte dei tumori è prevenibile attraverso stili di vita sani e corretti. Fumo, alcol, alimentazione scorretta, sedentarietà: bisogna agire su questi fattori di rischio incentivando comportamenti salutari. Per questo è fondamentale continuare a informare e sensibilizzare le persone, a cominciare dai più giovani, sin dalle scuole elementari.

Vogliamo portare la cultura della prevenzione e degli stili di vita sani nei programmi didattici delle scuole primarie e secondarie. Per quanto riguarda i programmi di screening, come ho già sottolineato, sono essenziali per intercettare tempestivamente la malattia; una diagnosi precoce può evitare l’aggravarsi della patologia e consente di intervenire con trattamenti adeguati. Aderire agli screening è davvero importante.

Prevenzione primaria Screening Cancro

In che modo la prevenzione può contribuire alla sostenibilità del Ssn?

Più prevenzione significa meno malati in futuro e, quindi, meno costi sanitari, dunque maggiore sostenibilità per il Servizio Sanitario Nazionale.

Il Ssn deve fronteggiare importanti sfide di lungo periodo, tra cui l’invecchiamento della popolazione, tema che interessa anche i principali partner europei, che tuttavia mostrano una maggiore presenza di sanità integrativa, fondamentale per diminuire il più possibile la componente di spesa out of pocket tra la popolazione. Quale ritiene debba essere la strada da intraprendere su questo fronte?

Il Servizio Sanitario Nazionale, istituito dalla Legge 833/1978 proprio per superare le disuguaglianze generate dal precedente sistema mutualistico, si basa sull’universalità e sull’unitarietà dei livelli di assistenza su tutto il territorio nazionale, sull’equità d’accesso ai servizi per tutti i cittadini e sulla solidarietà, con fiscalità generale attuata secondo i criteri di equità e proporzionalità.

Parallelamente a questo sistema, negli ultimi anni si è rilevata una costante crescita della spesa out of pocket da parte dei cittadini, anche in riferimento all’aumentata aspettativa di vita che ha determinato una ridistribuzione demografica della popolazione, con conseguente maggior onere sociale, sanitario e assistenziale per gli anziani. Per far fronte agli effetti dell’invecchiamento della popolazione e continuare a garantire la qualità e l’universalità dei servizi da parte del Ssn, si stanno implementando azioni volte al miglioramento e alla razionalizzazione della spesa: si sta consolidando e rafforzando il monitoraggio delle prestazioni erogate dalle Regioni, si stanno supportando le Regioni in piano di rientro e si sta realizzando il Sistema Tessera Sanitaria che permette di monitorare la spesa sanitaria e di verificare l’appropriatezza prescrittiva.

In questo contesto qual è il ruolo degli investimenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e quali percorsi state prevedendo per la sanità integrativa?

Sono finalizzati all’ammodernamento del Ssn e al potenziamento della rete di assistenza sanitaria territoriale prevedendo una maggiore capillarità dei servizi sanitari disponibili sul territorio, un aggiornamento delle strutture tecnologiche disponibili e un potenziamento della digitalizzazione del Ssn per migliorare la capacità di erogazione dei servizi sanitari e del relativo monitoraggio.

Al contempo, si sta indirizzando la sanità integrativa a divenire sempre più complementare, aggiuntiva rispetto a quanto garantito dal Ssn, soprattutto sulla long term care, sia nell’ambito della prevenzione, sia in quello dell’assistenza e della presa in carico delle persone fragili e non autosufficienti, dei caregiver e delle famiglie, come previsto dalla legge 118/2022 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021) che modifica l’ambito di applicazione dei  fondi sanitari integrativi, precisando che possono erogare  anche “prestazioni di prevenzione primaria e secondaria”, “prestazioni di long term care”, “prestazioni sociali finalizzate al soddisfacimento dei bisogni del paziente cronico”, purché siano attività integrative, quindi non a carico del Servizio Sanitario Nazionale.

Qual è l’obiettivo dell’istituzione, presso il Ministero della Salute, di un Osservatorio dei fondi sanitari integrativi?

Ha finalità di studio e ricerca sul complesso delle attività delle forme di assistenza complementare e sulle relative modalità di funzionamento, ai fini dell’implementazione della governance istituzionale del settore, nonché dell’aggiornamento periodico della normativa, nel rispetto dei principi di universalità, uguaglianza, equità nell’accesso alle prestazioni e ai servizi sanitari, come pure della centralità della persona e della globalità della copertura assistenziale.

 

Ministro Orazio Schillaci

Orazio Schillaci

Il professor Orazio Schillaci, 56 anni medico, Rettore dell’Ateneo di Tor Vergata dal 2019, è il Ministro della Salute del Governo presieduto dall’on. Giorgia Meloni. È docente ordinario di Medicina nucleare ed è stato Preside della facoltà di Medicina e Chirurgia della stessa Università. Nel 2020 è stato nominato componente del Comitato scientifico dell’Istituto superiore della Sanità. Ha ricoperto ruoli in numerosi organismi scientifici. È autore di oltre 350 pubblicazioni scientifiche su riviste peer reviewed e membro di numerosi Comitati editoriali di numerose riviste scientifiche internazionali. Ha giurato nelle mani del Presidente della Repubblica il 22 ottobre 2022.

Scoperta la cellula che regola le decisioni

Una ricerca del San Raffaele apre la strada al trattamento delle malattie neurodegenerative

In prospettiva si tratta di una scoperta cruciale, che potrebbe aprire la strada allo sviluppo di interventi mirati per migliorare le performance cognitive deficitarie nelle persone con malattie neurodegenerative. Un team di ricercatori dell’Unità di Neuroimmunologia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, guidati dal professor Gianvito Martino, ha firmato un nuovo studio sulla rivista scientifica “Nature Communication” che aggiunge un importante tassello alla definizione dei meccanismi cellulari e molecolari che regolano i circuiti cerebrali responsabili della nostra capacità di pensare e, in particolare, di decidere.

In parole povere, hanno individuato la cellula del cervello che regola e orienta le nostre scelte. Oggi, infatti, si conoscono le aree cerebrali coinvolte nel processo mentale della decisione ma poco si sa delle cellule e delle molecole coinvolte nel processo decisionale stesso.

Lo studio: novità e implicazioni

Questo studio, condotto su un modello sperimentale, identifica una popolazione di cellule del cervello – le cellule staminali periventricolari e una proteina da esse secreta – la cui mancanza rende meno capaci di decidere. Inoltre, mostra correlazione tra persone con sclerosi multipla, che manifestano disturbi cognitivi quali la difficoltà a processare le informazioni, e la presenza di lesioni cerebrali dovute alla malattia proprio nell’area periventricolare dove sono presenti appunto le staminali produttrici della proteina in questione.

“Questa scoperta aggiunge un tassello alla nostra comprensione di come funziona a livello biologico il nostro pensare in generale e la nostra capacità di decidere in particolare, e ci suggerisce, una volta ancora, come alcuni processi che a noi possono sembrare stranamente complessi siano regolati da meccanismi molecolari comunque individuabili. Speriamo di poter utilizzare in un futuro prossimo tali conoscenze per sviluppare interventi terapeutici specifici per le persone con malattie neurodegenerative e disturbi cognitivi”, ha sottolineato il Professor Gianvito Martino, neurologo, neuroscienziato e direttore scientifico dell’IRCCS Ospedale San Raffaele.

Professor. Gianvito Martino

Professor. Gianvito Martino

La mappa delle conoscenze “cerebrali”

Vale la pena sottolineare che la definizione anatomica delle varie aree cerebrali in cui avvengono i nostri processi cognitivi aveva portato, nel secolo scorso, allo sviluppo delle micro e macro (neuro) immagini e della neurofisiologia cosiddetta real time. Questa ha permesso di definire, con dovizia di particolari, alcuni circuiti composti da cellule nervose cerebrali, detti circuiti o reti neurali, che ad esempio sottendono l’attenzione o i processi mnemonici, guidano la pianificazione delle azioni e permettono di provare sensazioni o emozioni. Tuttavia, tra i vari processi del pensare, quello della decisione rimane tra i più interessanti e tra i meno conosciuti.

L’interesse nasce soprattutto dal fatto che sono circuiti coinvolti in tantissimi processi che hanno ricadute anche in ambiti diversi da quelli preminenti delle scienze della vita, non ultimo l’interesse dell’economia “comportamentale” così come della psicologia e della pedagogia.

Negli ultimi anni si è definito quali sono le aree cerebrali più coinvolte e importanti capaci di garantirci questo processo mentale. È invece al momento poco conosciuto il contesto bio-molecolare, poiché non sappiamo ancora quali siano le cellule e le molecole che ci permettono di prendere una decisione: la ricerca del San Raffaele ha tracciato la strada per approfondire la conoscenza proprio in questo campo.

Non rimarremo a guardare

Il punto di vista di Stefano Cuzzilla, Presidente Federmanager

La legge di Bilancio approvata dal Parlamento ha dovuto rispondere, in prima istanza, alla crisi energetica. Dopo cento giorni di governo, in cui l’Esecutivo è stato chiamato a interventi di carattere emergenziale, può aprirsi adesso una fase di programmazione delle riforme strutturali di cui l’Italia ha bisogno. Una fase in cui è necessario che siano coinvolte le migliori competenze del management, pubblico e privato.

Bisogna ripensare le politiche di welfare, partendo da due principi cardine: equità nella ripartizione dei sacrifici e dei diritti tra le diverse generazioni e certezza delle norme, presupposti imprescindibili per il rapporto di fiducia tra Stato e cittadini.

Serve una riforma del sistema pensionistico italiano che garantisca sostenibilità ai conti, separando previdenza e assistenza, e offra ai lavoratori certezze per l’avvenire.

Ma è altresì decisivo garantire più risorse alla sanità e risolvere le criticità legate al Ssn, supportando la diffusione dell’assistenza sanitaria integrativa in un’ottica di complementarità proprio con il Ssn.

Ho voluto mandare un segnale di apertura a un proficuo dialogo istituzionale e, nelle vesti di Presidente di Cida, ho inviato una richiesta di audizione alla Commissione Affari sociali del Senato, impegnata in un’indagine conoscitiva su previdenza e sanità integrativa.

Siamo consapevoli delle difficoltà che inflazione e carovita comportano anche per la platea manageriale e lavoriamo per garantire la solidità dei Fondi che rappresentano i cardini della nostra azione, come Assidai.

Voglio dirlo con chiarezza: non rimarremo a guardare e ci impegneremo a difenderli, vigilando affinché non vi siano interventi legislativi penalizzanti.

Per noi il benessere dei manager è al primo posto.

Legge di Bilancio, restano incentivi per il welfare

Dimezzata, dal 10% al 5%, l’aliquota dell’imposta sostitutiva sui premi di produttività erogati nel 2023 fino a 3mila euro. La soglia esentasse dei fringe benefit torna a 258,23 euro.

La riduzione, dal 10% al 5%, dell’aliquota dell’imposta sostitutiva sui premi di produttività erogati nell’anno 2023 fino all’importo di 3mila euro. È questa, in buona sostanza, l’unica novità, in termini di welfare, prevista dalla Legge di Bilancio 2023, approvata dalle Camere a cavallo delle vacanze natalizie. Al contempo, la soglia esentasse dei cosiddetti fringe benefit (una voce addizionale alla retribuzione corrisposta da un’impresa ai propri dipendenti, che figura comunque in busta paga, come l’auto aziendale, i buoni pasto, lo smartphone e il pc portatile) è “tornata” agli originali 258,23 euro dopo che, negli ultimi due anni, era stata prima raddoppiata temporaneamente a 516,43 euro e infine portata, anche in questo caso pro tempore, a 600 euro.

Non cambia nulla, invece, sul fronte del welfare aziendale vero e proprio, come peraltro accaduto anche nei quattro anni precedenti. Va ricordato, invece, in passato si era intervenuti più volte per favorire lo sviluppo di un fenomeno sempre più diffuso tra le imprese e che ha permesso di inquadrare le relazioni tra datore di lavoro e dipendente in un’ottica sempre più proficua, favorendo il cosiddetto “work life balance”, cioè l’equilibrio tra lavoro e vita privata. In particolare la Legge di Bilancio 2017, come quella del 2016, aveva lavorato su due punti, che oggi restano i capisaldi della legislazione sul welfare aziendale in Italia.

Innanzitutto, aveva allargato il perimetro che non concorre al calcolo dell’Irpef, includendo servizi come l’educazione, l’istruzione e ulteriori benefit, sempre erogati dal datore di lavoro, per poter fruire di assistenza destinata a familiari anziani o non autosufficienti.

In secondo luogo, aveva espanso, fino a 80mila euro, l’area della tassazione zero per i dipendenti che scelgono di convertire i premi di risultato del settore privato di ammontare variabile in benefit compresi nell’universo del welfare aziendale. In alternativa, per i benefit era stata fissata un’imposta sostitutiva dell’Irpef e delle addizionali regionali e comunali pari al 10 per cento.

Proprio su quest’ultima aliquota è intervenuta l’ultima Legge di Bilancio, dimezzandola al 5%. Gli importi dei premi erogabili, va precisato, sono di 3mila euro nella generalità dei casi e di 4mila euro per le aziende che coinvolgono pariteticamente i lavoratori nell’organizzazione del lavoro. Infine, la sanità integrativa può andare oltre il limite di deducibilità previsto dalle norme fiscali utilizzando il premio di produttività.

Assidai, due grandi novità per il 2023: potenziati LTC e Piano Sanitario Familiari

Migliorano ancora le prestazioni per la non autosufficienza – Long Term Care dedicate agli iscritti

A cura di Armando Indennimeo, Presidente Assidai

Il nuovo anno di Assidai si apre con due grandi e importanti novità, che presentano risvolti positivi per gli iscritti: le prestazioni per la non autosufficienza dedicate agli iscritti fino a 70 anni (e non più fino a 65 anni), e il Piano Sanitario Familiari, in cui il manager può estendere l’assistenza sanitaria ai figli addirittura fino a 65 anni (rispetto ai precedenti 55 anni). Si tratta di modifiche normative chiave, approvate dall’assemblea ordinaria di Assidai tenutasi lo scorso primo dicembre, e recepite nel regolamento.

Ma andiamo con ordine e iniziamo ricordando che il nostro Fondo è sempre stato pioniere sul delicato tema delle coperture per la non autosufficienza, cioè l’insieme dei servizi socio-sanitari forniti con continuità a persone che necessitano di assistenza permanente a causa di disabilità fisica o psichica. Per questo, fin dal 2010, ha spesso introdotto migliorie a vantaggio degli iscritti. Del resto, questo tema – purtroppo per l’Italia e per i principali Paesi occidentali – è sempre più di attualità a causa del graduale invecchiamento della popolazione che determina anche un aumento delle cronicità.

Ecco, dunque, anche per il 2023, due migliorie che desidero dettagliarvi, che tutelano gli iscritti in modo considerevole in termini di rendite vitalizie garantite: per le prestazioni relative alla non autosufficienza che, fino al 31 dicembre 2022, erano indirizzate agli iscritti fino a 65 anni, è stato previsto l’innalzamento dell’età fino ai 70 anni. Per gli iscritti over 66 anni restano garantite le prestazioni per la non autosufficienza “vita natural durante”.

Inoltre, c’è un altro aspetto cruciale che è stato migliorato: è stata infatti allineata la definizione di non autosufficienza a quella in vigore nel Fasi, cioè non essere in grado di compiere tre su sei delle principali attività della vita quotidiana (prima invece ne erano richieste quattro su sei). Tutto ciò, va anche precisato, riguarda chi alla data del 31 dicembre 2022 non fosse già in uno stato di non autosufficienza e/o invalidità o avesse accertamenti in corso per tale scopo. In definitiva, ritengo che su questo fronte, anche alla luce del contesto generale, Assidai abbia compiuto uno sforzo importante e sono certo che gli iscritti apprezzeranno molto questa novità.

Abbiamo lavorato poi sul Piano Sanitario Familiari, un’importante copertura sanitaria che consente ai manager iscritti di estendere l’assistenza sanitaria anche ai propri figli sia nel caso non siano più rientranti nel nucleo familiare perché hanno compiuto il 26esimo anno di età, sia nel caso abbiano perso l’assistenza sanitaria del fondo primario. Fino a quest’anno l’assistenza sanitaria era garantita fino ai 55 anni dei figli, l’importante progresso per il 2023 è rappresentato dal fatto che l’età è stata innalzata a 65 anni per rispondere alle esigenze di molti manager che in più occasioni ci hanno segnalato questa criticità. Inoltre va rimarcato che il Piano Sanitario Familiari è destinato anche all’ex coniuge e/o convivente.

Vorrei concludere ricordando che Assidai è davvero una realtà unica perché è un Fondo di assistenza sanitaria di natura non profit i cui valori cardini principali sono la solidarietà e la mutualità. Valori che ritengo si ritrovino perfettamente nelle migliorie dedicate agli iscritti per il 2023.

 

Novità Assidai, piano sanitario familliare, prestazioni non autosufficienza, infografica

assidai infografica autosufficienza

 

Ogni grado in più sulla Terra peggiora le cronicità

Forte legame tra salute, clima e ambiente

Dottoressa Bianco, un capitolo importante del vostro studio si è concentrato sull’interdipendenza tra salute, clima e ambiente. Quali sono state le principali risultanze?

Questa XVII Edizione di Meridiano Sanità si è aperta con una riflessione importante sugli impatti che i cambiamenti climatici e il contesto ambientale hanno sulla nostra salute. Ci stiamo pericolosamente avvicinando a un punto critico che potrebbe rendere irreversibili molti degli effetti della crisi climatica.

Lo shock della pandemia ci ha ricordato che i danni che facciamo al pianeta ledono anche la salute umana, dando vita a nuove minacce e amplificando problematiche esistenti. Basti pensare che a ogni grado centigrado in più aumenta la mortalità di malattie cardiovascolari e respiratorie.

E anche se il cambiamento climatico non conosce confini, ci sono alcune zone più a rischio di altre, come la regione del Mediterraneo, inclusa l’Italia. Nel nostro Paese, solo a luglio il caldo estremo ha causato oltre 2.000 decessi.

Nel vostro studio si parla anche di un concetto nuovo, la Planetary Health, ce lo può illustrare?

La Planetary Health considera proprio l’interdipendenza tra sistemi naturali, animali e umani. Attraverso un approccio olistico e intersettoriale, promuove la collaborazione delle diverse discipline.

Quando parliamo di ambiente, è necessario specificare che non parliamo solo degli effetti del cambiamento climatico, ma anche di tutte quelle condizioni che caratterizzano il contesto in cui ciascuno di noi nasce, cresce, lavora e vive la propria socialità. Fattori come le condizioni abitative, l’ambiente di lavoro e l’inquinamento atmosferico impattano direttamente sulla nostra salute, non solo fisica ma anche mentale. A questo riguardo il nostro Meridiano Sanità Index, sviluppato nel Rapporto, cattura anche queste dimensioni.

In Italia, l’esposizione alle catastrofi naturali è cinque volte superiore rispetto alla media europea, mentre si registrano progressi incoraggianti sul fronte delle malattie croniche. Come interpretare questo quadro?

Molte delle caratteristiche che fanno del nostro Paese un unicum nel panorama europeo contribuiscono purtroppo anche a renderlo particolarmente vulnerabile di fronte a rischi come frane, incendi, eruzioni vulcaniche e terremoti, tanto che nel 2021 si è verificato un evento estremo ogni due giorni.

Esattamente come per le altre sfide di salute, senza azioni di prevenzione, senza il potenziamento di politiche specifiche e il monitoraggio dei risultati, prevedere un miglioramento è difficile. L’esempio delle malattie croniche, la cui mortalità è in diminuzione negli anni ma la cui prevalenza è in costante aumento, ci ricorda ancora una volta la necessità di agire sui determinanti, lavorando per ridurre l’esposizione ai fattori di rischio oltre alla diagnosi precoce.

Quanto è importante la collaborazione tra pubblico e privato per migliorare il “punteggio” sanitario italiano, anche in relazione alle evoluzioni climatiche?

L’interazione pubblico-privato si riflette già in molte dimensioni della nostra sanità: penso alle collaborazioni di Open Innovation nell’ambito delle Life Sciences, alla contaminazione con il mondo delle start-up per quanto riguarda la digitalizzazione, ma anche a modelli di finanziamento sperimentali.

La nostra filiera industriale, riconosciuta come una delle migliori nel mondo, rappresenta un asset strategico non solo per la salute dei cittadini ma anche per la competitività del Paese. Tornando ai fattori ambientali, penso alla grande sfida contro l’antimicrobico-resistenza, un fenomeno per cui l’Italia riporta un triste primato in termini di decessi in Europa. In questo caso le sinergie tra pubblico e privato devono favorire l’avanzamento dell’attività di ricerca per lo sviluppo di nuovi antibiotici e di vaccini per affrontare le sfide attuali e future della sanità.

Mettiamo in agenda il benessere

Il punto di vista di Stefano Cuzzilla, Presidente Federmanager

Una delle tendenze del mercato del lavoro messe in luce dal post pandemia è la difficoltà a reperire e, molto spesso anche a trattenere, competenze e figure professionali qualificate. L’abilità dell’impresa nel risolvere questo mismatch tra domanda e offerta di lavoro ha effetti diretti sulla crescita del business e si misura su una serie di fattori che sono sempre più tenuti in considerazione nelle politiche aziendali.

In cima, o quasi, troviamo la crescente attenzione al welfare aziendale.

Numerosi studi mostrano che esiste un legame diretto tra il livello di produttività e il benessere lavorativo dei collaboratori. Un benessere che è legato alle condizioni di salute psicofisica del singolo, al clima aziendale, a modelli organizzativi che riconoscono centralità al capitale umano e che sanno conciliare tempo di vita e tempo di lavoro.

È partito da tale consapevolezza il Premio Giovane Manager che, per l’edizione 2022, ha scelto questo tema per esortare i manager a essere i primi a “mettere in agenda” il benessere proprio e dei collaboratori. Fasi, che è main sponsor del Premio, e Assidai partecipano a questa azione di sensibilizzazione rivolta ai manager più giovani.

L’obiettivo è quello di costruire una cultura aziendale dove le risorse umane possano esprimere i loro talenti e in cui sia riconosciuto il fatto che per ottenere il meglio è necessario saper dare il meglio.

 

Sanità pubblica al bivio tra spesa e demografia

Il Rapporto Oasi curato dal Cergas (Bocconi) avverte: dopo lo slancio legato alla pandemia e al Pnrr si rischia la frenata. E sugli equilibri fiscali futuri potrebbe pesare l’invecchiamento della popolazione.

Il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è a un bivio cruciale. Se l’esperienza della pandemia e i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) sembravano aver segnato una svolta per la sanità pubblica, con ingenti risorse destinate alla sanità pubblica e alla ridefinizione di alcune policy fondamentali (medicina di territorio, telemedicina, rafforzamento delle università e del Fascicolo Sanitario Elettronico), alcuni trend positivi hanno rallentato. A partire, per esempio, dall’aumento della spesa pubblica in sanità o dall’assunzione di nuovo personale. È questo, in estrema sintesi, il quadro offerto dal Rapporto OASI 2022 (Osservatorio sulle Aziende e sul Sistema Sanitario Italiano) del Cergas Bocconi.

Il calo della spesa e il nodo Pnrr

Detto in numeri, come sottolineato dal responsabile scientifico del Rapporto, Francesco Longo, “l’incidenza della spesa per il Servizio Sanitario Nazionale sul Prodotto Interno Lordo, al 7,2%-7,3% nel 2021, è prevista in discesa al 7% nel 2022 e al 6% nel 2025, mentre gli ingressi stabili di personale del 2020 sono stati in buona parte compensati dalle uscite per pensionamenti, dovuti all’elevata età media dei dipendenti della sanità pubblica”.

Dopo il boom della spesa legato al picco della pandemia, un rintracciamento era quasi fisiologico. Tuttavia, anche i numeri del Pnrr – sottolineano gli esperti della Bocconi – vanno letti con attenzione. Esso infatti, in sanità, non potrà che concretizzarsi in un piano di riorganizzazione e riallocazione delle risorse, anziché essere un intervento di espansione e ammodernamento. Il piano prevede 20 miliardi di investimenti in sanità in 6 anni, dunque 3,3 miliardi all’anno, ovvero meno del 3% dei 130 miliardi di spesa sanitaria corrente annua.

Demografia ed equilibri fiscali

Altro elemento sfidante per la sanità pubblica è rappresentato dall’evoluzione demografica, fa notare il coordinatore del Rapporto, Alberto Ricci, che “fa presagire un gap crescente tra risorse e bisogni e presenta problemi politicamente scomodi, perché qualsiasi risposta si voglia individuare, risulta poco consolatoria e quindi fisiologicamente impopolare”. Per dare un’idea, nel 2021 si sono registrati 7 nascite e 12 decessi per mille abitanti. Non solo: nel corso dell’anno il calo della popolazione italiana è stato di 253.000 unità, spiegato solo in parte minore dai 59.000 decessi causati dal Covid. La bassissima natalità (1,25 figli per donna: ne servirebbero 2,2 per tenere la popolazione stabile) e l’alta speranza di vita (82 anni) comportano un’incidenza degli anziani già al 24% (14 milioni, di cui i non autosufficienti sono 3,9 milioni, il 6,6% della popolazione).

“Il rapporto tra lavoratori attivi (occupati) e pensionati, oggi 10 contro 6, nel 2050 potrebbe raggiungere la parità”, sintetizza Ricci. Con tutte le conseguenze del caso sugli equilibri tra risorse fiscali e spesa pensionistica. Di qui, secondo il Cergas, la necessità che il management sanitario interpreti la realtà a partire dalle evidenze, definisca scelte strategiche e provi ad attuarle. “In tal senso la probabilità di successo delle innovazioni di servizio è spesso dipendente dalle capacità di motivare e spiegare il cambiamento a cittadini, pazienti, enti locali e realtà sociali dei singoli territori”, concludono gli esperti.

È questa, insomma, la via da seguire per rafforzare e preservare il Servizio Sanitario Nazionale italiano, praticamente unico al mondo per le proprio caratteristiche di equità e universalità.

Il benessere mentale prima di tutto

È il risultato di una ricerca condotta da Ipsos a livello globale. Le preoccupazioni per la salute psichica superano per la prima volta quelle per il cancro e sono seconde solo al Covid.

Il 36% della popolazione mondiale (dal 31% del 2021) percepisce la salute mentale come uno dei principali problemi, secondo solo al Covid (47%) e, per la prima volta, davanti al cancro (34%). è questo il verdetto di uno studio condotto da Ipsos in 34 Paesi e diffuso di recente in occasione del World Mental Health Day 2022. Un dato chiaro e inequivocabile che evidenzia come i quasi tre anni di pandemia abbiano rimescolato le carte a livello sanitario e sociale, cambiando la gerarchia della priorità in diversi ambiti della nostra vita.

Basta pensare che – sempre secondo la ricerca di Ipsos – a livello internazionale, quasi otto persone su 10 (per la precisione il 76%) considerano salute mentale e fisica ugualmente importanti quando si tratta del proprio benessere personale. In Italia, lo pensa l’80% degli intervistati; solo il 13% ritiene che la salute mentale abbia un’importanza maggiore rispetto a quella fisica e solo il 6% l’opposto. 

Fermo il fatto che l’opinione pubblica italiana ritiene che il benessere mentale e fisico siano ugualmente importanti, c’è un altro tema indagato dallo studio di Ipsos. Ovvero: il sistema sanitario riflette questa visione e fornisce un trattamento adeguato? La risposta in questo caso è meno netta: il 40% ritiene che salute mentale e fisica siano trattate allo stesso modo. Il 9% sostiene che alla salute mentale sia data priorità, mentre il 41% pensa che il sistema sanitario si concentri maggiormente sulla salute fisica. 

Ma qual è il quadro italiano più nel dettaglio? Il 55% degli intervistati dichiara di pensare spesso al proprio benessere mentale, in aumento di 4 punti rispetto al 2021 e leggermente sotto la media internazionale pari al 58%. Guardando, invece, al benessere fisico si registrano percentuali più elevate: il 77% degli italiani afferma di pensarci spesso, in aumento di 5 punti rispetto allo scorso anno e sopra la media internazionale pari al 70%. In generale, i dati Ipsos mostrano come si tenda a preoccuparsi al proprio benessere fisico più frequentemente rispetto al benessere mentale, seppur con alcune differenze di genere e generazionali. In particolare, le donne tendono a pensare alla propria salute mentale più degli uomini (62% contro 53%), lo stesso vale più che gli under 35 (65%) rispetto agli over 50 (48%). Segno che le nuove generazioni sono maggiormente sensibili al benessere psicologico: un’indicazione che non può passare inosservata ai policy maker.