Melanoma, svolta con l’immunoterapia ma servirà anche tanta prevenzione

Intervista al Professor Ascierto: “Rispetto a dieci anni fa abbiamo fatto passi da gigante”

Grazie all’immunoterapia la battaglia contro il melanoma ha vissuto una svolta, ma non possiamo fermarci qui: la ricerca, anche sul fronte dei vaccini, deve proseguire di pari passo con la prevenzione. Ne è convinto il Professor Paolo Ascierto, Direttore dell’Unità di Melanoma, Immunoterapia oncologica e Terapie innovative dell’Istituto nazionale per lo studio e la cura dei tumori – Fondazione Giovanni Pascale di Napoli, e tra i massimi esperti mondiali in questo campo.

Negli ultimi anni lei è stato protagonista dello sviluppo dell’immunoterapia, in pratica stimolare il sistema immunitario affinché riconosca ed elimini le cellule cancerose, nel trattamento dei melanomi metastatici. I risultati ottenuti sono eccellenti. Ce li può illustrare?

Dal 2010 in poi c’è stata una rivoluzione. Basti pensare che in quell’anno, parlando di malattia metastatica, solo il 25% arrivava a un anno, con una mediana di sopravvivenza di sei-nove mesi, mentre a due anni non arrivava nessuno.

Oggi, grazie soprattutto all’immunoterapia e alla target therapy, dopo sette anni e mezzo la metà dei pazienti è ancora viva e possiamo considerarli guariti. Non solo: dalla malattia metastatica si è andati agli stadi più precoci, utilizzando gli stessi trattamenti per prevenire le metastasi. Tuttavia, resta un 50% di pazienti che muore e quindi dobbiamo sicuramente fare di più.

Quali sono i fattori di rischio del melanoma e come sta evolvendo la sua diffusione in Italia e nel mondo?

Il fattore di rischio è essenzialmente l’esposizione al sole. Non è un caso che il melanoma venga anche chiamato malattia dei colletti bianchi, che si espongono al sole solo due settimane l’anno, si ustionano e creano così danni alla pelle, che ha “memoria”, portando così a un aumento del rischio nel corso degli anni.

È importante ricordare che sono i raggi ultravioletti a far male, non il sole in sé: anni fa uno studio dell’Agenzia internazionale per la ricerca contro il cancro ha evidenziato che l’esposizione a una sola lampada abbronzante prima di 30 anni aumenta il rischio del 75%. Infine, notiamo un aumento dell’incidenza: se in Italia nel 2007-2008 c’erano 7.000 nuovi casi l’anno con 1.200 morti, oggi siamo a 15.000 casi con oltre 2.000 decessi.

Quindi, di sicuro, c’è una problematica anche se l’80% dei casi viene diagnosticato in fase precoce e guarisce con la sola operazione. Inoltre, il melanoma, che era una malattia degli anziani con un picco a 60 anni, ora colpisce fasce sempre più giovani della popolazione (picco a 40 anni) ed è diventato la prima causa di morte tra 20 e 30 anni.

In cosa consiste la prevenzione del melanoma? L’argomento è di particolare attualità d’estate perché le vacanze al mare e in montagna ci espongono ai raggi del sole: quali sono i principali accorgimenti che dobbiamo prendere?

Dobbiamo parlare di prevenzione primaria e secondaria. La prima riguarda lo stile di vita: le scottature vanno evitate, perché l’eritema solare è una scottatura di primo grado che crea un danno ai melanociti, le cellule dei nei e da cui può avere origine il melanoma.

Giovani e bambini sono l’anello debole. D’estate bisogna evitare il sole intenso, tra le ore 12 e le 15. Nel resto del giorno bisogna applicare sempre una crema solare ad alta protezione, superiore a 50, e ricordarsi che dopo un bagno va rimessa (a meno che non sia resistente all’acqua) e che dopo due ore la procedura va ripetuta. Se non è possibile proteggersi con la crema, serve una maglietta anti raggi ultravioletti. Anche in montagna, dove i raggi hanno un’incidenza maggiore, durante la settimana bianca l’effetto riflettente della neve rappresenta un’insidia ancora maggiore.

Come riconoscere un neo sospetto?

Qui parliamo di prevenzione secondaria, ovvero di diagnosi precoce. Partiamo da due informazioni chiave: la prima è quella delle lettere ABCDE dove A sta per asimmetria; ovvero una lesione che non è simmetrica; B sta per bordi irregolari, a cartina geografica; C sta per colore che cambia, D sta per dimensioni superiori a 6 millimetri; E sta per evoluzione nel giro di poco tempo, settimane o mesi.

Ecco, basta che due di queste lettere corrispondano al nostro neo per spingerci a una visita urgente da uno specialista. L’altra informazione chiave è quella del “brutto anatroccolo”: nell’ambito di tanti nei, se ce n’è uno più brutto degli altri va fatto vedere subito.

 

L’Università della North Carolina l’ha nominata massimo esperto mondiale di melanoma dell’ultimo decennio. Cosa si prova a ricevere un riconoscimento di questo tipo e che cosa rappresenta per l’Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori “Fondazione Giovanni Pascale” di Napoli, che si dimostra così un’eccellenza italiana nel mondo?

Fa molto piacere, però questo non deve essere un punto di arrivo, perché dobbiamo mantenere livelli alti. È quello che dico sempre a miei collaboratori giovani: non possiamo abbassare la guardia perché i pazienti continuano a morire e noi dobbiamo proseguire a fare ricerca per quelli che non ce la fanno.

E poi non dimentichiamo che una sana competizione nella ricerca porta anche risultati. Dunque, dobbiamo continuare a lavorare e al tempo stesso dare un servizio sempre migliore ai nostri pazienti.

 

Qual è il prossimo obiettivo nella lotta contro il melanoma? In futuro una svolta potrà arrivare da un vaccino?

L’obiettivo è abbassare il 50% di pazienti in fase metastica, di cui parlavo prima, che non riesce a sopravvivere.

Sui vaccini mRNA c’è molto fermento: uno studio presentato di recente ha evidenziato che un vaccino molto simile tecnicamente a quello usato per il Covid, associato a un classico trattamento adiuvante dopo l’intervento chirurgico in presenza di metastasi, ha dato ulteriori benefici ai pazienti, riducendo la comparsa di metastasi a distanza e aumentando il tempo senza recidiva. Parliamo di vaccini personalizzati, cioè creati in base al tumore del singolo paziente: questa strategia in futuro potrebbe essere applicabile anche ad altri tipi di tumore.

 

Paolo Ascierto

Paolo Ascierto
Direttore dell’Unità di Oncologia Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative del “Pascale” di Napoli, dal 2011 è coordinatore delle linee guida italiane dell’AIOM per il melanoma e dal gennaio 2022 è coordinatore della linea guida ESMO (European Society for Medical Oncology) per il melanoma e i tumori della pelle.

È stato invitato come relatore a oltre 500 meeting nazionali e internazionali e ha realizzato più di 600 pubblicazioni su riviste specializzate. Viene considerato uno dei maggiori esperti a livello mondiale di immunoterapia dei tumori.

Al via il piano nazionale anti caldo

Il Ministero della Salute ha attivato il progetto per prevedere le ondate di calore con 72 ore di anticipo e proteggere chi è vulnerabile. Ecco come difendersi dalle temperature record

Con l’estate 2023 entrata ormai nel vivo e la colonnina di mercurio che a luglio ha toccato livelli record, è stato nuovamente attivato il Sistema nazionale di prevenzione degli effetti sulla salute delle ondate di calore. L’Italia, come ricorda il Ministero della Salute, è stato uno dei primi Paesi in Europa a introdurre, già dal 2005, un progetto di questo tipo, il cui punto di partenza consiste nell’attivazione del sistema nazionale previsione-allarme per ondate di calore, che coinvolge 27 città e consente di conoscere, con un anticipo di almeno 72 ore, l’arrivo di una situazione climatica a rischio per la salute.

In particolare, il sistema consente di individuare, giornalmente, per ogni specifica area urbana, le condizioni meteo-climatiche a rischio per la salute, soprattutto dei soggetti vulnerabili: anziani, malati cronici, bambini, donne in gravidanza. Le città monitorate sono Ancona, Bari, Bologna, Bolzano, Brescia, Cagliari, Campobasso, Catania, Civitavecchia, Firenze, Frosinone, Genova, Latina, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Perugia, Pescara, Reggio Calabria, Rieti, Roma, Torino, Trieste, Venezia, Verona, Viterbo.

Inoltre, dal portale del Ministero della Salute è possibile scaricare numerosi opuscoli e materiali informativi, utili sia per la popolazione generale sia per gli operatori del settore sanitario e socio-sanitario. A tal proposito, risulta molto utile il decalogo “10 semplici regole per un’estate in sicurezza”, ben riassunte dall’infografica in pagina.

Qualche esempio? Evitare di uscire nelle ore più calde, proteggendo soprattutto bambini e anziani ed evitando l’esposizione al sole; difendersi in casa e sui luoghi di lavoro, schermando le finestre con tende che blocchino il passaggio della luce, ma non quello dell’aria ed evitando di usare il condizionatore a temperature troppo basse (al massimo cinque gradi in meno rispetto all’esterno); bere almeno un litro e mezzo di acqua al giorno.

L’alimentazione è un elemento cruciale: bisogna mangiare molta frutta fresca e limitare il più possibile il consumo di bevande con zuccheri aggiunti, caffè e alcolici così come di piatti elaborati ricchi di grassi, riducendo i condimenti e utilizzando poco sale. Al tempo stesso, va fatta attenzione alla corretta conservazione degli alimenti, rispettando la catena del freddo.

Come vestirsi? Con indumenti di fibre naturali o che garantiscano la traspirazione: all’aperto è anche utile indossare cappelli leggeri. Per chi ama l’esercizio fisico, è bene allenarsi nelle ore più fresche della giornata, rammentando di bere molti liquidi e di mangiare in modo corretto. Infine, è nostro dovere offrire assistenza alle persone a maggiore rischio (per esempio gli anziani che vivono da soli) e ricordarci sempre di proteggere anche gli animali domestici: diamogli molta acqua anche quando siamo in viaggio e facciamo soste in zone ombreggiate. Per quanto riguarda i cani evitiamo di farli uscire nelle ore più calde della giornata per non farli camminare sull’asfalto rovente.

Infine, Il Ministero della Salute ha attivato il numero di pubblica utilità 1500 “Proteggiamoci dal caldo”, per offrire ai cittadini, in particolare a quelli di età avanzata o con problemi di autosufficienza, consigli medici e pratici per meglio affrontare il caldo. Il servizio è gratuito ed è disponibile tutti i giorni dalle ore 8.00 alle ore 20.00.

She Leads: noi ci crediamo

Il punto di vista di Stefano Cuzzilla, Presidente Federmanager

Nel nostro Paese una donna su due è occupata, tra i manager le donne sono appena il 28% e la maternità è tutt’ora un ostacolo alle carriere.

Non possiamo ignorare questa situazione, né precluderci la prospettiva che, se più donne fossero attive nel mondo del lavoro, il Pil italiano potrebbe salire anche del 12 per cento. Da sempre quello della parità di genere è un impegno formale e sostanziale di Federmanager, tanto che nel contratto dei dirigenti siglato con Confindustria, abbiamo introdotto un apposito articolo sulle pari opportunità, con particolare attenzione all’equità retributiva.

La parità nel lavoro può essere raggiunta solo se garantiamo alcune tutele specifiche, che abbattono le discriminazioni di fatto. Mi riferisco in particolare alle soluzioni di welfare integrativo e di conciliazione vita lavoro, oltre che alla promozione della salute e della genitorialità.

Anche di questo parlo in “She Leads: la parità di genere nel futuro del lavoro”, il libro che ho scritto con Andrea Catizone, Avvocata sui diritti della persona e delle discriminazioni e a cura della giornalista Silvia Pagliuca. Il volume, promosso da 4.Manager, indaga le ragioni del gender gap denunciando le fragilità attuali ed evidenziando le possibili vie di miglioramento, per diffondere una cultura aziendale più equa e inclusiva.

È possibile raggiungere questo obiettivo? Non sarà facile, ma noi ci crediamo.

She Leads: La parità di genere nel futuro del lavoro

She Leads: La parità di genere nel futuro del lavoro

Cancro al seno, lo screening è cruciale per diagnosticarlo in tempo e batterlo

Intervista alla Professoressa Chiara Pistolese: “Prima si scopre, più facile è guarire”

Professoressa Pistolese, che cosa è successo negli ultimi tre anni, anche a seguito della pandemia che ha modificato i nostri stili di vita e fatto calare i controlli? Un recente studio della Lilt ha evidenziato un calo degli screening e previsto un aumento dello 0,5% dei casi di cancro al seno rispetto al 2020. Ce lo conferma?

La pandemia, purtroppo, ci ha riportato a vedere e fare diagnosi ormai dimenticate. Le donne, infatti, hanno ridotto sensibilmente l’esecuzione dei controlli strumentali periodici indispensabili per poter individuare lesioni di piccole dimensioni, quando ancora non clinicamente apprezzabili: un dato rilevante ai fini della prognosi.

Ci siamo ritrovati a vedere lesioni di grandi dimensioni come anni fa, quando le donne non erano sensibilizzate ai controlli periodici. Saltando i controlli per uno o due anni la situazione cambia anche drasticamente, con un pesante impatto sulle dimensioni della lesione che determina l’evoluzione della malattia.

Ora più che mai possiamo dimostrare l’importanza dei controlli strumentali periodici.

Quali sono gli esami specifici per la prevenzione del cancro al seno, a quale età le donne devono effettuarli e con che frequenza vanno svolti?

Gli esami diagnostici specifici per la diagnosi precoce della patologia mammaria sono per le donne dai 35-40 anni la mammografia, eseguita con tecnica digitale, sia con acquisizioni 2D (bidimensionali) sia 3D (tomosintesi), che consentono di avere una visione volumetrica della mammella e aumentare il valore diagnostico della mammografia, in particolare nelle mammelle con molta rappresentazione della componente ghiandolare.

L’ecografia mammaria è complementare alla mammografia – che va eseguita contestualmente – guidata dalle immagini mammografiche, per completare il percorso diagnostico. Donne di età inferiore ai 35-40 anni effettueranno solo l’esame ecografico, per non essere sottoposte a radiazioni ionizzanti (seppur a bassissima dose), non trovando la mammografia indicazione in questa fascia di età.

È comunque importante sottolineare che gli esami strumentali sono effettuati tenendo conto della storia della paziente e in particolare del suo quadro clinico. In merito all’intervallo di tempo, i controlli strumentali di primo livello ovvero mammografia ed ecografia devono essere effettuati a cadenza annuale.

Qual è il valore dello screening per il cancro al seno? E il tasso di guarigione in caso di diagnosi precoce?

Il valore dello screening, inteso come esecuzione di controlli strumentali periodici, è fondamentale e determinante per sconfiggere questa patologia, che ricordiamo essere sempre più frequente. Numerosi fattori influenzano la sopravvivenza per tumore della mammella: lo stadio della lesione al momento della diagnosi, il grado istologico del tumore, lo stato dei recettori ormonali e altri parametri biologici.

I progressi scientifici, intesi sia in termini di avanzamento delle terapie oncologiche sia di nuove metodiche di imaging che consentono diagnosi tempestive e accurate, hanno significativamente incremento la sopravvivenza nelle donne affette da questa patologia.

Dai dati riportati in letteratura, la sopravvivenza a cinque anni per donne con diagnosi di carcinoma mammario diagnosticato al I stadio – ovvero quando vengono riscontrati agli esami diagnostici lesioni con dimensioni inferiori ai 2 cm, senza interessamento linfonodale né secondario a distanza – arriva quasi al 100%, ma si riduce al 26% per le pazienti che hanno ricevuto la diagnosi al IV stadio, quando il tumore si è già diffuso ad altri organi (ossa, fegato, polmoni).

Specifico che con la mammografia associata all’ecografia possono essere individuate lesioni anche di pochi millimetri, da qui l’importanza della diagnosi precoce.

Cosa si sente di raccomandare alle donne in generale su questo argomento, in particolare a quelle che – per paura o per ansia – tendono a rimandare gli screening?

Questo tipo di controllo fa paura a tutte le donne. È un tumore subdolo, non dà sintomi nella maggior parte dei casi. Tutte sappiamo che da un controllo annuale potremmo avere una risposta inaspettata, ma questo è l’unico modo per diagnosticare le lesioni quando sono ancora molto piccole, quando abbiamo dunque i mezzi terapeutici per aggredirle e guarire perché oggi di questo si parla: di guarigione.

Le donne sono forti, sono capaci di cose incredibili, devono capire che sottoporsi a controlli periodici è la sola “arma” a nostra disposizione per vincere questa patologia. Nascondersi, ignorare il problema, non serve a niente! Il tumore, se c’è, continua a crescere e ci toglie la possibilità di guarire e di continuare la nostra vita.

Secondo lei può essere un valore aggiunto la cosiddetta prevenzione primaria (stili di vita, alimentazione) per limitare l’insorgere di questa patologia?

Un corretto stile di vita è certamente indispensabile, corretta alimentazione, esercizio fisico, astensione dal fumo di sigaretta, nella prevenzione primaria di tutte le patologie oncologiche, anche se nel caso specifico del tumore della mammella, il maggior numero di casi si presenta in modo occasionale.

L’unico tipo di prevenzione è quella secondaria, ovvero la diagnosi precoce, che sta nell’individuare la lesione in una fase iniziale.

Un’ultima domanda sulla sua crescita professionale. È stata nominata Professore associato Radiodiagnostica all’Università di Roma Tor Vergata ed è Direttrice di master universitari fondamentali per formare nuovi professionisti. Ci racconta la sua esperienza?

Sono molto legata al mio lavoro e lo svolgo con passione, sono una donna e sono vicina alle donne. Lavorare in un Policlinico universitario mi offre la possibilità di continuare a crescere nella mia professione, di tenermi aggiornata sulle più innovative possibilità diagnostiche, grazie anche al grande numero di casi che giungono quotidianamente alla mia osservazione, essendo Tor Vergata centro di riferimento per la patologia mammaria sia di primo sia di secondo livello.

Il ruolo universitario che riguarda l’insegnamento continua a darmi grande soddisfazione. Poter trasmettere la passione, la dedizione per una professione oltre alle conoscenze sulla materia alimenta il mio entusiasmo e mi rende ottimista per nuove prospettive future.

 

Professoressa Chiara Pistolese

 
Chiara Pistolese
Medico chirurgo specialista in Diagnostica per immagini, è Responsabile U.O.S Senologia interventistica al Policlinico Tor Vergata e, di recente, è stata nominata Professore associato di Radiodiagnostica all’Università di Roma Tor Vergata. è, inoltre, Direttrice del Master universitario II livello “Tecniche avanzate di interventistica senologica” e del Master universitario I livello “Ruolo del tecnico di radiologia in diagnostica e interventistica senologica” ed esercita attività privata di diagnostica e interventistica senologica presso la Clinica Ars Biomedica a Roma.

La salute per contratto

Il punto di vista di Stefano Cuzzilla, Presidente Federmanager

Nelle imprese si sta facendo strada una nuova e più ampia accezione del benessere, che è un concetto abbinato innanzitutto al tema della tutela della salute per sé e per i propri cari, ma che sta mostrando importanza anche rispetto agli aspetti di flessibilità organizzativa in grado di incidere sul work-life balance e sulla possibilità di far crescere le proprie competenze.

Una qualificata indagine tematica, condotta da Federmanager e Fasi su una platea manageriale di iscritti al Fondo, ci dice che, in un range da 1 a 10, per i manager è addirittura pari a 8,2 il valore da attribuire alla presenza di coperture sanitarie, previdenziali, assicurative quali componenti del benessere lavorativo. Un dato che certamente fa riflettere, ma non sorprende, se pensiamo alla diffusa percezione del tempo nuovo che stiamo vivendo.

Il welfare aziendale è valutato dai manager come uno dei pilastri su cui si costruisce lo stare bene, sia nella dimensione individuale, sia in quella collettiva. Perciò, il contratto nazionale di lavoro, quello dei dirigenti per primo, deve costituire la leva per estendere l’area della protezione che assicuriamo attraverso i Fondi di assistenza sanitaria e per sostenere il cambio di cultura aziendale necessario a forgiare politiche sempre più orientate al benessere di tutti i lavoratori.

Stefano Cuzzilla, Presidente Federmanager
Stefano Cuzzilla, Presidente Federmanager

La sanità del futuro? Anche nel Metaverso

Una ricerca di Boston Consulting prevede un utilizzo sempre maggiore di questa tecnologia in ambito sanitario, anche se il reale sviluppo è ancora agli albori. Il nodo è la privacy per l’enorme mole di dati personali.

Il settore sanitario come possibile protagonista del Metaverso: uno spazio virtuale altamente condiviso e interattivo che presenta un grande potenziale per facilitare l’accesso all’assistenza medica, migliorandone i risultati. Un fresco studio della società di consulenza internazionale Boston Consulting Group, intitolato The Health Care Metaverse Is More Than a Virtual Reality (cioè: l’assistenza sanitaria nel Metaverso è più di una realtà virtuale), ha rivelato che la maggior parte delle imprese del settore sta già conducendo sperimentazioni con queste tecnologie, in particolare nei campi dell’imaging medico e chirurgico, della salute mentale e della formazione medica.

In particolare, secondo gli esperti di Boston Consulting, il Metaverso nell’assistenza sanitaria si sta sviluppando in tre fasi. Attualmente stiamo passando dalla fase 1, il periodo di sperimentazione iniziale, alla fase 2 (cioè i prossimi cinque anni), che sarà definita dall’adozione più ampia dei casi d’uso attuali e dall’emergere di nuove applicazioni man mano che le tecnologie avanzano. La fase 3 (decennio successivo) vedrà lo sviluppo di casi d’uso più avanzati e la creazione di tecnologie del metaverso in molte aree del sistema sanitario. Altri numeri rilevanti che emergono dallo studio: il 77% dei fornitori e il 94% dei pagatori si aspettano che il loro coinvolgimento nel Metaverso aumenti nei prossimi anni. Tuttavia, solo il 17% dei fornitori e il 6% dei clienti ha iniziato o sta sviluppando dei programmi pilota e la maggior parte deve ancora definire una visione e adottare una strategia dedicata all’implementazione di queste tecnologie.

Insomma, i margini di sviluppo appaiono estremamente rilevanti e la prospettiva di estendere l’assistenza sanitaria al Metaverso appare allettante, eppure va esaminata con attenzione la fattibilità di un percorso simile. Per esempio, c’è da valutare il fatto che l’enorme volume di dati sanitari personali coinvolti rappresenta un problema di sicurezza e privacy. Solo un approccio trasparente alla gestione di tali informazioni sensibili – fanno notare gli esperti – può aiutare a creare fiducia affinché i pazienti si dirigano verso il Metaverso per scopi medici. Cosa che, in parte, avviene già a livello accademico se si pensa che la realtà virtuale è già impiegata dai medici per formare studenti e professionisti medici in Italia e nel mondo, dove non mancano i casi – per esempio lo University College di Londra – dove alcuni aspetti della didattica vengono erogati completamente nel Metaverso.

CHE COS’È IL METAVERSO E DOVE CI POTREBBE PORTARE

Metaverso, illustrazione

Il Metaverso è l’infrastruttura che, un giorno, potrebbe prendere il posto di Internet, in cui consumeremo le informazioni in modo tridimensionale, portando con noi la nostra identità digitale e i dati personali, e dove compreremo beni ed eseguiremo operazioni finanziarie e burocratiche, grazie a sistemi decentralizzati che funzionano senza bisogno di organi di controllo, utilizzando valute digitali.

L’idea è semplice: utilizzando uno smartphone, una console o un personal computer, insieme a tecnologie per la realtà virtuale e per la realtà aumentata, ci si ritrova immersi in una gigantesca città virtuale in cui si può fare di tutto. Potremo seguire una riunione con i colleghi dell’ufficio, fare shopping come se fossimo al centro commerciale, provare la nuova collezione dei marchi di abbigliamento preferiti oppure andare a concerti, eventi sportivi, viaggiare e così via. Certo, le incognite non mancano. Dopo una fase di grande entusiasmo iniziale, in tutto il mondo ci si chiede se davvero il Metaverso è destinato al successo.

Metaverso nella formazione

La recente crisi degli Nft (Non Fungible Token), ovvero certificati digitali non duplicabili che attestano l’originalità e la proprietà univoca di un bene fisico o digitale e delle criptovalute – entrambi elementi cardine del “nuovo” mondo – inducono alla cautela.

 

SLA, nasce in Italia la “libreria della voce”

Consentirà alle persone che hanno perso l’eloquio di scegliere una voce espressiva fra quelle donate da persone di tutto il mondo e anche di “salvare” la propria voce.

Nasce in Italia il primo “ecosistema digitale della voce” che ha l’obiettivo di restituire alle persone colpite da SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica) la possibilità di comunicare con una voce artificiale dall’espressività umana. Si chiama “Voice for Purpose” ed è una piattaforma di tecnologia digitale che vede il coinvolgimento di Università Campus Bio-Medico di Roma, Centri Clinici NeMO (NEuroMuscular Omnicentre), Nemo Lab, Translated, Dream On e Aisla (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica).

Il progetto, indubbiamente innovativo, è stato presentato a inizio febbraio nella sede romana del Parlamento Europeo ed è nato da una intuizione di Pino Insegno, attore e doppiatore che ha messo la voce al centro della sua vita.

Ma che cosa sarà esattamente “Voice for purpose”? Una vera e propria “libreria di voci” dal duplice valore. Se da una parte consentirà, infatti, alle persone che hanno perso il proprio eloquio di sceglierne una espressiva fra tutte quelle che verranno donate da persone di tutto il mondo; dall’altra permetterà di “salvare” la propria voce, registrandola. Una possibilità, quest’ultima, che sarà accessibile a tutti coloro che hanno conservato la capacità di parlare, così che in futuro nessuno sarà più costretto a esprimersi con una voce metallica quando la malattia arriverà a intaccarla.

In quest’ottica “Voice for purpose” va interpretata come la prima tappa di un percorso innovativo che si svilupperà nei prossimi anni e che, già oggi, permette di applicare le più avanzate tecnologie di sintesi vocale per tornare a comunicare più facilmente.

Per questo, si presenta come un importante tassello di una più ampia iniziativa che nei prossimi anni andrà a costruire un vero “Ecosistema digitale della voce”, il primo che metterà insieme le neuroscienze con le tecnologie digitali, l’intelligenza artificiale, la sensoristica avanzata e la robotica, restituendo la voce con tutte le sue capacità espressive.

La perdita della capacità di parlare con la propria voce costituisce uno dei motivi di maggiore sofferenza per le persone con Sla e per i loro familiari. – ha sottolineato a tal proposito Fulvia Massimelli, Presidente AISLA Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica – Crediamo fortemente in questo progetto perché ci dà la possibilità non solo di riavere una voce umana ma, soprattutto, di restituire anima e identità nelle nostre relazioni”.

Ministro Schillaci e Pino Insegno alla presentazione di "voce alla SLA"

il Ministro Schillaci e Pino Insegno durante la presentazione di “Voice for Purpose”

“Prevenzione chiave contro il cancro e per la sostenibilità della sanità pubblica”

Intervista al Ministro della Salute, Orazio Schillaci: “Con il Covid calo degli screening”

Ministro Orazio Schillaci, il 4 febbraio si è celebrata la giornata mondiale contro il cancro. Quali sono i principali strumenti a nostra disposizione per lottare contro questa malattia, diminuendone l’incidenza?

Prevenzione è la parola chiave intorno alla quale ruota l’attività del Ministero della Salute nella lotta al cancro. Accanto alla medicina e alla ricerca scientifica, che negli ultimi anni ha fatto passi da gigante, la prevenzione dei tumori rimane imprescindibile ed è centrale nel Piano nazionale Oncologico, che abbiamo approvato di recente, finanziato con 50 milioni di euro.

Come evidenziato dai dati 2022 dell’Aiom, il biennio del Covid ha determinato una battuta d’arresto nella lotta contro il cancro, perché? E in che modo si può invertire questo trend?

La gestione dell’emergenza sanitaria ha determinato purtroppo un rallentamento dell’offerta dei programmi di screening organizzati e ciò ha significato mancate diagnosi che rischiano di aumentare l’incidenza e la gravità delle malattie neoplastiche. Si sono accumulati ritardi e liste d’attesa da smaltire.

È stato un biennio difficile ma i dati dell’ultimo rapporto Aiom dicono che siamo tornati ai livelli prepandemia per gli screening oncologici ed è ripreso l’aumento degli interventi chirurgici. Però non dobbiamo abbassare la guardia, perché oltre la metà degli inviti di adesione agli screening resta ancora senza risposta ed è importante invece che le persone aderiscano e facciano prevenzione. Per questo siamo impegnati con una forte campagna di comunicazione sugli screening oncologici e sui corretti stili di vita, che abbiamo lanciato da Sanremo, e allo stesso tempo a investire per abbattere le liste d’attesa.

In quest’ottica: qual è l’importanza della cosiddetta “prevenzione primaria”, agendo in particolare sugli stili di vita, e quale quella dei programmi di screening?

La maggior parte dei tumori è prevenibile attraverso stili di vita sani e corretti. Fumo, alcol, alimentazione scorretta, sedentarietà: bisogna agire su questi fattori di rischio incentivando comportamenti salutari. Per questo è fondamentale continuare a informare e sensibilizzare le persone, a cominciare dai più giovani, sin dalle scuole elementari.

Vogliamo portare la cultura della prevenzione e degli stili di vita sani nei programmi didattici delle scuole primarie e secondarie. Per quanto riguarda i programmi di screening, come ho già sottolineato, sono essenziali per intercettare tempestivamente la malattia; una diagnosi precoce può evitare l’aggravarsi della patologia e consente di intervenire con trattamenti adeguati. Aderire agli screening è davvero importante.

Prevenzione primaria Screening Cancro

In che modo la prevenzione può contribuire alla sostenibilità del Ssn?

Più prevenzione significa meno malati in futuro e, quindi, meno costi sanitari, dunque maggiore sostenibilità per il Servizio Sanitario Nazionale.

Il Ssn deve fronteggiare importanti sfide di lungo periodo, tra cui l’invecchiamento della popolazione, tema che interessa anche i principali partner europei, che tuttavia mostrano una maggiore presenza di sanità integrativa, fondamentale per diminuire il più possibile la componente di spesa out of pocket tra la popolazione. Quale ritiene debba essere la strada da intraprendere su questo fronte?

Il Servizio Sanitario Nazionale, istituito dalla Legge 833/1978 proprio per superare le disuguaglianze generate dal precedente sistema mutualistico, si basa sull’universalità e sull’unitarietà dei livelli di assistenza su tutto il territorio nazionale, sull’equità d’accesso ai servizi per tutti i cittadini e sulla solidarietà, con fiscalità generale attuata secondo i criteri di equità e proporzionalità.

Parallelamente a questo sistema, negli ultimi anni si è rilevata una costante crescita della spesa out of pocket da parte dei cittadini, anche in riferimento all’aumentata aspettativa di vita che ha determinato una ridistribuzione demografica della popolazione, con conseguente maggior onere sociale, sanitario e assistenziale per gli anziani. Per far fronte agli effetti dell’invecchiamento della popolazione e continuare a garantire la qualità e l’universalità dei servizi da parte del Ssn, si stanno implementando azioni volte al miglioramento e alla razionalizzazione della spesa: si sta consolidando e rafforzando il monitoraggio delle prestazioni erogate dalle Regioni, si stanno supportando le Regioni in piano di rientro e si sta realizzando il Sistema Tessera Sanitaria che permette di monitorare la spesa sanitaria e di verificare l’appropriatezza prescrittiva.

In questo contesto qual è il ruolo degli investimenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e quali percorsi state prevedendo per la sanità integrativa?

Sono finalizzati all’ammodernamento del Ssn e al potenziamento della rete di assistenza sanitaria territoriale prevedendo una maggiore capillarità dei servizi sanitari disponibili sul territorio, un aggiornamento delle strutture tecnologiche disponibili e un potenziamento della digitalizzazione del Ssn per migliorare la capacità di erogazione dei servizi sanitari e del relativo monitoraggio.

Al contempo, si sta indirizzando la sanità integrativa a divenire sempre più complementare, aggiuntiva rispetto a quanto garantito dal Ssn, soprattutto sulla long term care, sia nell’ambito della prevenzione, sia in quello dell’assistenza e della presa in carico delle persone fragili e non autosufficienti, dei caregiver e delle famiglie, come previsto dalla legge 118/2022 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021) che modifica l’ambito di applicazione dei  fondi sanitari integrativi, precisando che possono erogare  anche “prestazioni di prevenzione primaria e secondaria”, “prestazioni di long term care”, “prestazioni sociali finalizzate al soddisfacimento dei bisogni del paziente cronico”, purché siano attività integrative, quindi non a carico del Servizio Sanitario Nazionale.

Qual è l’obiettivo dell’istituzione, presso il Ministero della Salute, di un Osservatorio dei fondi sanitari integrativi?

Ha finalità di studio e ricerca sul complesso delle attività delle forme di assistenza complementare e sulle relative modalità di funzionamento, ai fini dell’implementazione della governance istituzionale del settore, nonché dell’aggiornamento periodico della normativa, nel rispetto dei principi di universalità, uguaglianza, equità nell’accesso alle prestazioni e ai servizi sanitari, come pure della centralità della persona e della globalità della copertura assistenziale.

 

Ministro Orazio Schillaci

Orazio Schillaci

Il professor Orazio Schillaci, 56 anni medico, Rettore dell’Ateneo di Tor Vergata dal 2019, è il Ministro della Salute del Governo presieduto dall’on. Giorgia Meloni. È docente ordinario di Medicina nucleare ed è stato Preside della facoltà di Medicina e Chirurgia della stessa Università. Nel 2020 è stato nominato componente del Comitato scientifico dell’Istituto superiore della Sanità. Ha ricoperto ruoli in numerosi organismi scientifici. È autore di oltre 350 pubblicazioni scientifiche su riviste peer reviewed e membro di numerosi Comitati editoriali di numerose riviste scientifiche internazionali. Ha giurato nelle mani del Presidente della Repubblica il 22 ottobre 2022.

Scoperta la cellula che regola le decisioni

Una ricerca del San Raffaele apre la strada al trattamento delle malattie neurodegenerative

In prospettiva si tratta di una scoperta cruciale, che potrebbe aprire la strada allo sviluppo di interventi mirati per migliorare le performance cognitive deficitarie nelle persone con malattie neurodegenerative. Un team di ricercatori dell’Unità di Neuroimmunologia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, guidati dal professor Gianvito Martino, ha firmato un nuovo studio sulla rivista scientifica “Nature Communication” che aggiunge un importante tassello alla definizione dei meccanismi cellulari e molecolari che regolano i circuiti cerebrali responsabili della nostra capacità di pensare e, in particolare, di decidere.

In parole povere, hanno individuato la cellula del cervello che regola e orienta le nostre scelte. Oggi, infatti, si conoscono le aree cerebrali coinvolte nel processo mentale della decisione ma poco si sa delle cellule e delle molecole coinvolte nel processo decisionale stesso.

Lo studio: novità e implicazioni

Questo studio, condotto su un modello sperimentale, identifica una popolazione di cellule del cervello – le cellule staminali periventricolari e una proteina da esse secreta – la cui mancanza rende meno capaci di decidere. Inoltre, mostra correlazione tra persone con sclerosi multipla, che manifestano disturbi cognitivi quali la difficoltà a processare le informazioni, e la presenza di lesioni cerebrali dovute alla malattia proprio nell’area periventricolare dove sono presenti appunto le staminali produttrici della proteina in questione.

“Questa scoperta aggiunge un tassello alla nostra comprensione di come funziona a livello biologico il nostro pensare in generale e la nostra capacità di decidere in particolare, e ci suggerisce, una volta ancora, come alcuni processi che a noi possono sembrare stranamente complessi siano regolati da meccanismi molecolari comunque individuabili. Speriamo di poter utilizzare in un futuro prossimo tali conoscenze per sviluppare interventi terapeutici specifici per le persone con malattie neurodegenerative e disturbi cognitivi”, ha sottolineato il Professor Gianvito Martino, neurologo, neuroscienziato e direttore scientifico dell’IRCCS Ospedale San Raffaele.

Professor. Gianvito Martino

Professor. Gianvito Martino

La mappa delle conoscenze “cerebrali”

Vale la pena sottolineare che la definizione anatomica delle varie aree cerebrali in cui avvengono i nostri processi cognitivi aveva portato, nel secolo scorso, allo sviluppo delle micro e macro (neuro) immagini e della neurofisiologia cosiddetta real time. Questa ha permesso di definire, con dovizia di particolari, alcuni circuiti composti da cellule nervose cerebrali, detti circuiti o reti neurali, che ad esempio sottendono l’attenzione o i processi mnemonici, guidano la pianificazione delle azioni e permettono di provare sensazioni o emozioni. Tuttavia, tra i vari processi del pensare, quello della decisione rimane tra i più interessanti e tra i meno conosciuti.

L’interesse nasce soprattutto dal fatto che sono circuiti coinvolti in tantissimi processi che hanno ricadute anche in ambiti diversi da quelli preminenti delle scienze della vita, non ultimo l’interesse dell’economia “comportamentale” così come della psicologia e della pedagogia.

Negli ultimi anni si è definito quali sono le aree cerebrali più coinvolte e importanti capaci di garantirci questo processo mentale. È invece al momento poco conosciuto il contesto bio-molecolare, poiché non sappiamo ancora quali siano le cellule e le molecole che ci permettono di prendere una decisione: la ricerca del San Raffaele ha tracciato la strada per approfondire la conoscenza proprio in questo campo.

Non rimarremo a guardare

Il punto di vista di Stefano Cuzzilla, Presidente Federmanager

La legge di Bilancio approvata dal Parlamento ha dovuto rispondere, in prima istanza, alla crisi energetica. Dopo cento giorni di governo, in cui l’Esecutivo è stato chiamato a interventi di carattere emergenziale, può aprirsi adesso una fase di programmazione delle riforme strutturali di cui l’Italia ha bisogno. Una fase in cui è necessario che siano coinvolte le migliori competenze del management, pubblico e privato.

Bisogna ripensare le politiche di welfare, partendo da due principi cardine: equità nella ripartizione dei sacrifici e dei diritti tra le diverse generazioni e certezza delle norme, presupposti imprescindibili per il rapporto di fiducia tra Stato e cittadini.

Serve una riforma del sistema pensionistico italiano che garantisca sostenibilità ai conti, separando previdenza e assistenza, e offra ai lavoratori certezze per l’avvenire.

Ma è altresì decisivo garantire più risorse alla sanità e risolvere le criticità legate al Ssn, supportando la diffusione dell’assistenza sanitaria integrativa in un’ottica di complementarità proprio con il Ssn.

Ho voluto mandare un segnale di apertura a un proficuo dialogo istituzionale e, nelle vesti di Presidente di Cida, ho inviato una richiesta di audizione alla Commissione Affari sociali del Senato, impegnata in un’indagine conoscitiva su previdenza e sanità integrativa.

Siamo consapevoli delle difficoltà che inflazione e carovita comportano anche per la platea manageriale e lavoriamo per garantire la solidità dei Fondi che rappresentano i cardini della nostra azione, come Assidai.

Voglio dirlo con chiarezza: non rimarremo a guardare e ci impegneremo a difenderli, vigilando affinché non vi siano interventi legislativi penalizzanti.

Per noi il benessere dei manager è al primo posto.