Paniere welfare

Il punto di vista di Stefano Cuzzilla, Presidente Federmanager

Ci sono valori nelle nostre vite dai quali non si può prescindere e, indubbiamente, uno di questi è l’accesso universale alle cure mediche che, insieme ad altri pilastri essenziali come sanità in generale, politiche sociali, previdenza e istruzione, rientrano nel “paniere del welfare”: tutti i servizi che lo Stato e i privati garantiscono al fine di favorire il benessere individuale e collettivo, con una spesa che in Italia, nel 2023, ammonta a oltre 600 miliardi di euro.

È bene tener conto di questa ricchezza quando si intende riformare l’organizzazione di servizi essenziali.
Per questo insistiamo sull’opportunità di un patto strategico tra il welfare pubblico e quello privato, che sia efficace e a vantaggio della collettività. I nostri Fondi di sanità integrativa e quelli di previdenza complementare rappresentano una grande risorsa per i manager e le loro famiglie. In particolare, la sanità integrativa compensa le carenze manifestate da alcune realtà territoriali e garantisce meccanismi di tariffazione e pagamento trasparenti.

E in tema di risparmi ed efficientamento della spesa sanitaria anche la tecnologia ci viene in aiuto e può fare la differenza su molti fronti: intelligenza artificiale, telemedicina, robotica, big data, reti del futuro stanno cambiando, in meglio, il mondo della salute e quindi la nostra vita. Un futuro di grandi trasformazioni che può e deve essere orientato a favore dell’intero sistema.

Chemioterapia, benefici dall’attività fisica

Lo rivela una ricerca dell’Università di Basilea, secondo cui esercizi incentrati principalmente sull’equilibrio, svolti due volte a settimana, possono dimezzare il rischio di complicanze derivanti dalla cura. 

Non si tratta del primo report che sottolinea come chemioterapia e attività fisica possano convivere e, anzi, come quest’ultima possa portare benefici, in particolare al mantenimento di una buona condizione fisica generale e della funzionalità degli organi  

Formicolii, sensazione di punture di aghi, alterazioni della sensibilità. Sono questi, tra gli altri, alcuni dei stintomi tipici della neuropatia periferica, una possibile complicanza della chemioterapia, contro cui oggi non ci sono cure particolarmente efficaci. Tuttavia, una recente ricerca coordinata dall’Università di Basilea e pubblicata su Jama Internal Medicine ha suggerito che un semplice programma di esercizio fisico durante la terapia può ridurre, fino a più che dimezzare, il rischio di questa complicanza. 

La ricerca ha coinvolto 158 pazienti in cura in quattro ospedali nei pressi di Colonia, in Germania. I ricercatori li hanno divisi in tre gruppi: due di essi hanno effettuato per tutta la durata del trattamento due sedute a settimana di esercizi incentrati principalmente sull’equilibrio, eseguiti su una superficie instabile o su una pedana vibrante. Il terzo è servito invece come gruppo di controllo. I pazienti sono stati seguiti per i successivi cinque anni e, sia nel breve sia nel lungo periodo, è stata osservata una minore quota di effetti collaterali a carico dei nervi periferici. In particolare, nel gruppo di controllo, ha sofferto di neuropatia il 70,6% dei pazienti, mentre nei due gruppi che hanno effettuato i programmi di esercizi le percentuali sono state rispettivamente del 30% e del 41,2%. Numeri significativi, che danno l’idea delle possibilità offerte da questo tipo di percorso per alleviare le eventuali complicanze della chemioterapia.  

I benefici in questione, secondo i ricercatori, potrebbero addirittura andare oltre i semplici effetti sul sistema nervoso. “La prevenzione dei deficit neurologici aumenta la qualità della vita dei pazienti e, migliorando la tollerabilità e l’aderenza al trattamento oncologico, può anche avere un impatto sugli esiti clinici e sulla sopravvivenza globale”, sottolineano gli esperti dell’Università di Basilea. Insomma, potrebbero aprirsi orizzonti ancora più ampi: del resto, non si tratta del primo studio che sottolinea come chemioterapia e attività fisica possano convivere e, anzi, come quest’ultima possa portare benefici, in particolare al mantenimento di una buona condizione fisica generale e della funzionalità degli organi.  

Tumore al seno e mare, sì ma con qualche attenzione

Le donne operate di tumore al seno possono andare in vacanza al mare? Il dubbio è lecito per tutte coloro che sono state colpite da questa malattia. La risposta è sì, con qualche accorgimento, almeno sentendo il parere dei principali oncologi. Innanzitutto, meglio aspettare almeno 3-6 mesi dall’operazione prima di esporsi al sole, per evitare che la cicatrice diventi ipertrofica e si irriti. Chi ha già trascorso i 6 mesi dall’operazione non ha bisogno di indossare particolari indumenti al di là del costume: basta una protezione solare molto alta, con un fattore di protezione Spf superiore a 50, tranne in casi particolari in cui la cicatrice non si possa coprire neanche indossando un costume intero. In quel caso conviene indossare indumenti protettivi. 

Fare il bagno al mare, sempre con la cicatrice coperta e non esposta al sole, non solo è possibile ma è addirittura consigliato: nuotare fa benissimo, soprattutto alle donne che hanno subìto lo svuotamento ascellare perché questo tipo di attività fisica evita l’accumulo di liquidi. La regola fondamentale, indipendentemente dalla cicatrice, è sempre quella di esporsi al sole solo nelle prime ore del mattino o dopo le 17. 

Discorso diverso per le donne che stanno facendo chemioterapia perché ci sono dei farmaci che possono provocare danni notevoli sulla cute e l’esposizione al sole può peggiorare questi danni. Per chi ha affrontato la radioterapia, invece, niente sole per un anno per il problema delle radiodermiti, delle teleangectasie e di tutta una serie di complicanze che possono provocare seri problemi. 

Bere e alimentarsi nel modo giusto: ecco i segreti per difenderci dal caldo

Intervista all’esperta Sara Farnetti: “Il nostro corpo ci parla, ascoltiamo i suoi messaggi” 

Il nostro corpo va dissetato: non solo con l’acqua, ma con un’alimentazione adeguata al caldo record dell’estate. Il consiglio, più che autorevole, arriva da Sara Farnetti, specialista in Medicina interna con Ph.D. in Fisiopatologia della Nutrizione e del Metabolismo.  

Dottoressa Farnetti, quali sono i principali accorgimenti per il nostro regime alimentare con il caldo estivo? 

Parola d’ordine: dissetare il corpo! L’errore più comune? Andare in vacanza da pentole e fornelli. Il rischio è quello di seguire una alimentazione ricca di zuccheri, che non è salutare anche se facile da gestire, specie sotto l’ombrellone o come turisti itineranti. L’eccesso di carboidrati ci fa aumentare di peso e infiamma. Un gelato o una barretta sono sì soluzioni veloci, ma possiamo fare di meglio per non trovarci a settembre con qualche kg di troppo, la digestione rallentata e la sensazione di gonfiore. Il fegato lavora bene se lo attiviamo: cucinare gli alimenti aiuta, non certo un pezzo di pizza e neppure un estratto di frutta e verdura. Meglio una frittata con zucchine, i fagiolini in padella con il pomodoro, la pasta con le zucchine fritte e i pinoli.  

 Quali sono i segnali che il corpo ci invia e a cui dobbiamo prestare attenzione in caso di forte caldo? 

Il corpo ci parla, ma spesso noi ci accorgiamo solo della malattia conclamata e non dei sintomi o dei segni che ci vengono inviati in anticipo. I crampi ci avvisano di uno squilibrio in atto, la stanchezza, la sensazione di cuore che batte o cardiopalmo, la cefalea, la pressione bassa, intensa sudorazione o intolleranza alle alte temperature sono altri segnali importanti. Gli anziani e i bimbi non si idratano con attenzione, dobbiamo avere cautele nei loro confronti ed è importante frazionare l’assunzione di acqua durante il giorno. In chi assume anti-ipertensivi spesso i sintomi sono di profonda spossatezza per la riduzione eccessiva della pressione. In questi casi è opportuno adeguare la terapia farmacologica alla stagione estiva. 

Infine, no alle ore calde per fare attività fisica, indossare sempre un cappello e non rimanere a lungo senza potersi idratare. 

 A questo proposito, come regolarsi con il bere? Quanta acqua assumere al giorno e che tipo di integratori, nel caso, prediligere? Bibite gassate e alcolici vanno banditi del tutto? 

Ci sono molte strategie per rimanere idratati. Anche l’acqua di vegetazione degli alimenti è essenziale: quindi, non solo acqua da bere, ma anche da mangiare. Un’ora prima dell’esposizione al sole, bere un paio di bicchieri di acqua a piccoli sorsi; durante l’esposizione, ogni 15-20 minuti bere un sorso di acqua e limone, più dissetante e depurativa, oppure tè o tisana di zenzero non dolcificati;  consumare un pinzimonio misto, multicolore, anche in spiaggia, 2-3 volte al giorno; prevedere nel pasto serale un’abbondante porzione di verdura cruda e un frutto per dissetare la pelle, bevendo un po’ di più se la sudorazione è stata profusa; infine, no a bibite analcoliche e succhi di frutta: sono troppo ricchi di zuccheri veloci, responsabili dell’aumento del grasso addominale. Bibite gassate e alcolici sono freschi, ma non dissetano e non sono utili per la calura estiva. Il nostro sistema ha sete di minerali, non solo di acqua e bevendo troppo rischiamo addirittura di perdere sodio, potassio, magnesio e calcio con le urine o con il sudore. I crampi sono un sintomo importante: avvisano che il corpo non riesce a gestire una carenza di minerali. Possiamo quindi assumere integratori a base di magnesio, potassio e calcio per evitarli. Una carenza di minerali può essere concausa di astenia, confusione mentale, deficit di forza, insonnia, dolori diffusi, nervosismo e, nel tempo, anche di osteoporosi e aritmie. La disidratazione può provocare stipsi e l’intestino pigro favorisce le infezioni urinarie, la concentrazione delle urine, e le coliche biliari per l’aumento della viscosità della bile. Bere è davvero funzionale per tutto l’organismo e queste combinazioni di cibi aiutano a ripristinare velocemente l’equilibrio dei minerali: capperi con l’aperitivo o fiori di cappero nelle insalate, un crostino con le alici, pane con pomodoro, olio e sale, una insalata di rucola e Parmigiano, patate fritte in olio evo e insalata di pomodori, un pinzimonio con aceto olio e sale.  

 Quali sono, invece, i cibi assolutamente da evitare? 

Alcuni alimenti sono troppo ricchi di sodio. Non incorriamo nel luogo comune che basta mettere più sale!  Per chi non lo usa, un pizzico di sale a crudo può giovare, ma attenzione agli alimenti ricchi di sodio. La bresaola, il prosciutto crudo e cotto, il pesce affumicato come il salmone, gli affettati di pollo e tacchino, i formaggi stagionati, sono ricchi di sodio e un consumo eccessivo, anche d’estate, è sconsigliato. Peggiorano sintomi come arti pesanti, gambe gonfie, ritenzione e non sono troppo salutari per i reni. Per gli ipertesi, se la pressione tende a scendere, meglio ridurre la terapia farmacologica che fare incetta di sodio con gli alimenti. 

 Ci può dare un modello di alimentazione per la classica giornata “da ombrellone”? 

Sotto l’ombrellone non mangiamo a caso: meglio scegliere bene a pranzo per concedersi qualcosa di sfizioso a cena, dove in compagnia è più difficile dire di no. Cerchiamo di evitare panini, toast, tramezzini, gelato, macedonia, se la sera ci attendono un bel piatto di spaghetti, la pizza o un buon gelato. Meglio un pinzimonio di verdure, un avocado, il cocco fresco, un’insalata con le uova sode oppure di pomodoro, rucola e tonno, una frittata di uova e zucchine, uno yogurt bianco con cetrioli. Così controlliamo l’insulina, il corpo si sfiamma e allo stesso tempo assumiamo i minerali anti-calura. 

Rinnovata la certificazione del Sistema di Gestione

Il riconoscimento è stato ricevuto in base alle norme UNI EN ISO 9001:2015 e rilasciato da DNV-GL, Ente di certificazione di primaria importanza nel panorama internazionale  

Anche quest’anno Assidai ha ottenuto il rinnovo della certificazione del Sistema di Gestione Qualità in base alle norme UNI EN ISO 9001:2015, rilasciato da DNV-GL, Ente di primaria importanza nel panorama internazionale, per quanto concerne l’erogazione del servizio di rimborsi spese mediche e assistenziali per dirigenti, quadri e consulenti. 

Di che cosa si tratta esattamente? Certificare il proprio Sistema di Gestione, in base ai dettami della norma sopra richiamata,  permette al Fondo di raggiungere i più elevati standard di conformità in merito ai servizi offerti a manager, quadri, consulenti e alle loro famiglie, con l’obiettivo finale di costruire, a livello nazionale, un sistema sanitario integrato e complementare pubblico-privato, che operi nell’interesse delle persone assistite e favorisca, nel contesto del welfare sociale e aziendale, un ottimo bilanciamento tra il livello qualitativo dei servizi offerti e la sostenibilità economica. 

In quest’ottica, il rinnovo della certificazione è molto importante: le normative della famiglia ISO 9000, sviluppate dall’Organizzazione internazionale per la normazione (ISO), definiscono requisiti per realizzare un Sistema di Gestione capace di incrementare l’efficacia e l’efficienza nella realizzazione del prodotto e nell’erogazione del servizio, al fine di ottenere e incrementare la soddisfazione del cliente. E proprio per questo richiedono, anno dopo anno, un miglioramento continuo che Assidai persegue anche mediante un piano di formazione e crescita professionale del personale.

Inoltre, con il procedere delle varie edizioni, la ISO 9001 è molto cambiata. Se le prime due norme erano ancora molto focalizzate sul controllo della qualità ed erano studiate per l’impresa manifatturiera, quelle successive hanno eliminato le prescrizioni tipiche di quel settore per favorire l’adattabilità anche alle piccole aziende e agli Enti che non fabbricano o commercializzano prodotti, ma erogano servizi. Proprio come Assidai.

Va ricordato che, la volontà di dotarsi di un Sistema di Gestione certificato (ormai dal 2011) è alla base della strategia di sviluppo sostenibile voluta dal Fondo e iniziata diversi anni fa anche con l’iscrizione all’Anagrafe dei Fondi Sanitari e il rinnovo annuale della stessa, con la certificazione volontaria del Bilancio d’esercizio, con la realizzazione del Codice Etico e di Comportamento e, in ultimo, con la recente certificazione secondo la prassi UNI PdR 125:2022 sulla parità di genere. 

 

Dal Ministero della Salute i principi per un’alimentazione sana

“Numerosi studi epidemiologici hanno dimostrato che gli individui che aderiscono ai principi di una sana e corretta alimentazione durante tutto il corso della vita presentano un minor rischio di sviluppare malnutrizione e patologie croniche non trasmissibili”. E’ partendo da questo presupposto che il Ministero della Salute ha diffuso di recente un opuscolo intitolato Principi per una sana alimentazione, in cui  sottolinea come nel 2019 EAT-Lancet Commission ha proposto un pattern alimentare sano e sostenibile basato sulla drastica riduzione del consumo di cibi non salutari, come ad esempio carne rossa, grassi di origine animale e zuccheri, a favore di un raddoppio degli alimenti di origine vegetale come frutta, verdura, legumi, frutta secca, semi e oli vegetali.  

Le raccomandazioni per un’alimentazione sana e sostenibile possono essere così riassunte in alcuni capisaldi. Tra cui: preferire il consumo di alimenti di origine vegetale come cereali integrali, legumi, frutta, verdura, legumi, noci; consumare due porzioni di frutta e tre di verdura al giorno, escluse patate, patate dolci, manioca e altre radici amidacee; ridurre al massimo il consumo di alimenti ricchi in zuccheri semplici o bevande zuccherate (inclusi i succhi di frutta) così come di alimenti altamente processati o preconfezionati; consumare meno di 5 grammi di sale (equivalenti a circa un cucchiaino) al giorno.  

Dengue, l’Oms lancia l’allerta globale

L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) lancia l’allerta Dengue. Nei primi quattro mesi del 2024 nel mondo sono stati diagnosticati oltre 7,6 milioni di casi di questa malattia: 3,4 milioni di infezioni confermate, oltre 16mila casi gravi e più di 3mila morti. Inoltre, aggiunge l’Organizzazione, negli ultimi cinque anni, è stato segnalato un aumento sostanziale dei casi a livello globale, con un’ulteriore accelerazione nel corso di quest’anno.

Il virus della Dengue si trasmette agli esseri umani attraverso la puntura di zanzare infette. Normalmente – spiega l’Istituto Superiore di Sanità – la malattia, che può anche essere asintomatica, dà luogo a febbre nell’arco di 5-6 giorni dalla puntura stessa, con temperature anche molto elevate. La febbre è accompagnata da mal di testa acuti, dolori attorno e dietro agli occhi, forti dolori muscolari e alle articolazioni, nausea e vomito, irritazioni della pelle che possono apparire sulla maggior parte del corpo dopo 3-4 giorni dall’insorgenza della febbre. I sintomi tipici sono spesso assenti nei bambini.

Per ora, in ogni caso, la situazione non è da allarme rosso. “Finora nel 2024 in Europa non sono stati segnalati casi di Dengue autoctoni o trasmessi localmente, ma – puntualizza l’Oms – questi dati verranno aggiunti quando si verificheranno infezioni di questo tipo”. Nel 2023, invece, casi autoctoni erano stati segnalati nella regione europea in 3 Paesi, fra cui – come è noto – l’Italia (82), e poi la Francia (45) e la Spagna (3).

Come sta il ceto medio

Abbiamo scelto di partire dallo stato di salute del ceto medio per comprendere le opportunità di crescita e benessere del nostro Paese.

Il valore del ceto medio per l’economia e la società” è il titolo dell’ampio rapporto realizzato da Cida e Censis, presentato il 20 maggio alla Camera dei deputati, dal quale emerge una situazione di vulnerabilità, tra rischi di declassamento e aspettative pessimistiche sul futuro.

Medici, insegnanti, manager, imprenditori, professionisti, amministratori pubblici, impiegati e pensionati: il 48,8% vive il timore di una regressione nella scala sociale e il 74,4% avverte il blocco della mobilità verso l’alto.

Abbiamo fotografato anche la situazione del Servizio sanitario, tra aumento della spesa privata, interminabili liste d’attesa, emersione di patologie croniche e fabbisogni sociosanitari di una popolazione più anziana.

Tutto questo, ancora, non ha minato la fiducia espressa negli operatori: il 62,2% è convinto che avere medici come dirigenti nel Ssn è una garanzia per i pazienti. In un tempo segnato dalla perdita di social reputation di tante professioni, il sapere medico resta un pilastro della convivenza civile.

Il finanziamento della sanità richiede certamente un aumento della spesa pubblica, ma anche la valorizzazione di soluzioni alternative. Una risorsa viene dalla sanità integrativa che può contribuire ad ampliare l’offerta in relazione alla domanda reale e appropriata di prestazioni.

Salute, il 42% cerca informazioni sul web

È quanto emerge da un’indagine di Nomisma: gli italiani si rivolgono a Internet per avere risposte rapide su disturbi o sintomi, per informazioni sulla prevenzione e per individuare strutture sanitarie o servizi di interesse

Oltre il 40% degli italiani cerca online informazioni su salute e benessere. E’ quanto emerge da una recente indagine di Nomisma, presentata recentemente a Bologna durante l’evento “About Health”, che aveva, tra gli altri, l’obiettivo di fare il punto sulle evoluzioni del settore salute e di interrogarsi sulle nuove opportunità derivanti dall’applicazione di tecnologie all’avanguardia e canali di comunicazione innovativi.

Il risultato dell’indagine non stupisce: la crisi sanitaria connessa alla diffusione della pandemia Covid-19 ha indubbiamente influenzato i bisogni e l’approccio degli italiani rispetto ai temi salute e benessere. In particolare, per trovare informazioni il 42% degli italiani si rivolge a siti web specializzati e il 38% a Google, da cui ovviamente partono poi ricerche più specifiche sul tema che si vuole approfondire. Il medico di base? Batte il web ma non di molto: a interpellarlo, infatti, è soltanto il 56% degli italiani. Il motore di ricerca è un crocevia utilizzato principalmente nella ricerca di risposte rapide e chiare riguardo disturbi o sintomi (52% degli italiani), di strutture, prestazioni o servizi di interesse (44%) nonché di informazioni e chiarimenti in tema di prevenzione (32%). Tra i contenuti più apprezzati tra gli utenti online figurano le interviste agli specialisti (58%) e gli articoli di approfondimento pubblicati su blog e siti specializzati (53%).

Google ha un ruolo rilevante anche per individuare la struttura sanitaria a cui rivolgersi (47%), anche se in questo caso specifico il passaparola rimane il principale canale di informazione (55%). Tra i driver che influenzano la scelta degli italiani, il più apprezzato è certamente la presenza di agevolazioni economiche (88%), come convenzioni con aziende, enti o associazioni, seguito dalla possibilità di consultare i referti online (76%) e di prenotare visite online sul sito della struttura (73%). Fondamentale anche la presenza di un servizio di assistenza clienti rapido e soddisfacente (73%).

Tra i temi approfonditi con la survey sulla popolazione, rientra anche la sensibilità al tema della sicurezza dei dati sanitari. L’83% degli italiani ritiene importante il rispetto della privacy e della sicurezza dei propri dati sanitari, e ben l’81% considera fondamentale ricevere informazioni chiare sulle modalità di trattamento degli stessi. Trattamenti non corretti e violazioni influiscono sul rapporto di fiducia tra pazienti e strutture sanitarie, con quasi 3 italiani su 10 che non tornerebbero in strutture che hanno subìto una violazione di dati.

“Insulina settimanale, svolta epocale. Entro l’anno arriverà anche in Italia”

Parla Avogaro, Presidente Sid: “Ma dobbiamo aumentare gli investimenti in prevenzione” 

L’insulina settimanale? “Una svolta epocale, migliora di molto la qualità della vita del paziente”. Il via libera dell’Aifa all’utilizzo in Italia del nuovo farmaco? “Credo e auspico che arrivi entro fine anno”. La nuova frontiera per la cura del diabete? “L’insulina per bocca”. A parlare è il Professor Angelo Avogaro, Presidente della Società italiana di diabetologia (Sid), associazione non profit fondata nel 1964 a Roma, che svolge in campo diabetologico e metabolico attività di promozione e conduzione della ricerca scientifica, di formazione, di divulgazione e di politica sanitaria. “Lo Stato – aggiunge Avogaro – dovrebbe spendere di più in prevenzione, considerato che i costi diretti e indiretti del diabete, ogni anno, ammontano a circa 20 miliardi di euro. Senza dimenticare il tema delle disparità regionali nell’assistenza ai pazienti”. 

Professor Avogaro, di recente è stata annunciata l’insulina settimanale (anziché giornaliera). Molti lo hanno definito, per i pazienti di diabete, un cambiamento epocale. 

Precisiamo innanzitutto che stiamo parlando di insulina settimanale ad azione lenta, non quella che si fa prima dei pasti ma quella che si assume prima di andare a dormire e che mantiene la glicemia normale durante la notte e durante i periodi interprandiali. I vantaggi, in ogni caso, sono oggettivi. Innanzitutto si tratta di un’insulina che ha grande stabilità d’azione. In secondo luogo, ed è qui la svolta epocale, il trattamento si fa una volta alla settimana anziché ogni giorno e questo migliora la qualità di vita del paziente, soprattutto se si pensa che il 30% di pazienti diabetici di tipo 2, cioè anziani, fa iniezioni di insulina quotidianamente. È stato calcolato che un diabetico durante la sua vita deve fare circa 500mila azioni legate alla sua patologia, tra dieta, punture, terapie, esami, attività fisica: l’insulina settimanale semplifica alcuni di questi aspetti, è un vantaggio terapeutico ma anche logistico. E poi c’è un tema di impatto delle medicine sull’ambiente: si riduce di molto l’inquinamento da plastiche.  

Alla luce di queste considerazioni, come Sid auspicate che Aifa dia il via libera al più presto a questo farmaco? 

Certo. Ema (European Medicine Agency) ha dato via libera, Aifa (Agenzia italiana del farmaco) deve concordare con l’azienda produttrice, Novo Nordisk, il prezzo: ritengo e spero che entro fine anno si possa trovare la quadra. 

Qual è la portata del diabete in Italia? 

Parliamo di 4 milioni di persone affette e di 1 milione di persone che ce l’ha senza saperlo. Sta inoltre aumentando il diabete di tipo 1 autoimmune che colpisce i bambini. Devo rilevare che esiste e persiste purtroppo una disparità di assistenza del diabetico da regione a regione, speriamo che l’autonomia sanitaria non peggiori le cose.  

Qual è il costo del diabete per la sanità pubblica?  E che tipo di approccio si dovrebbe avere, come Paese, nei confronti di questa malattia? 

Il diabete ha costi annui diretti per 9,5 miliardi di euro e altrettanto di costi indiretti, in tutto 20 miliardi. Per questo ritengo che lo Stato dovrebbe investire un pochino di più nella prevenzione, anche a livello generale visto che ad essa è destinato solo il 5% dei 139 miliardi investiti ogni anno dal Servizio Sanitario Nazionale. Un paziente diabetico ha costi diretti per il Paese pari a 1800 euro l’anno, ma nelle forme più gravi può arrivare a 5-6mila euro. 

Quali sono i principali sintomi e fattori di rischio del diabete e qual è il valore della prevenzione primaria?  

I principali fattori di rischio sono essere sedentari, sovrappeso e avere una familiarità con la malattia; i principali sintomi sono, tra gli altri, avere spesso tanta sete, urinare molto e sviluppare spesso infezioni genitali. Il valore della prevenzione primaria è fondamentale: servirebbe un’educazione alimentare degna di questo nome, riducendo al minimo zuccheri e cibi raffinati, che andrebbe fatta fin dalle scuole. Ovviamente un ruolo cruciale lo gioca l’attività fisica, con i classici 10mila passi al giorno per almeno cinque giorni alla settimana. 

Di che cosa si occupa la Società italiana di diabetologia e quali sono i vostri progetti per il futuro? 

La nostra mission è sul diabete e sul fare formazione. Queste sono le nostre priorità, oltre a cercare di omogeneizzare l’assistenza diabetologica italiana, andando oltre gli ostacoli legati alle leggi regionali, alla burocrazia e quant’altro. Crediamo molto nella medicina di prossimità e nel telemonitoraggio che facilita la vita del paziente. 

Quale potrebbe essere la prossima scoperta epocale per la cura del diabete? 

Il prossimo sbarco sulla Luna potrebbe essere l’insulina per bocca: credo che le grandi industrie ci stiano già lavorando. 

 

Angelo Avogaro 

Si occupa di diabete mellito di tipo 1 e 2, dislipidemie, obesità. Nel 1980 si laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Padova, ove si specializza sia in Diabetologia e Malattie del Ricambio sia in Medicina Interna. Attualmente è Professore Ordinario di Endocrinologia e Metabolismo ed è Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Malattie del Metabolismo e servizio aggregato di Diabetologia Azienda Ospedaliera di Padova. È membro di numerose società scientifiche ed è autore di varie pubblicazioni scientifiche a livello nazionale e internazionale. Ricopre anche il ruolo di Presidente della Società Italiana di Diabetologia (SID).