Cuore, la prevenzione è fondamentale: metà degli infarti è legata agli stili di vita

“Metà degli infarti è evitabile modificando i nostri stili di vita”. A parlare è il Professor Filippo Crea, uno dei massimi esperti cardiovascolari a livello italiano e internazionale. Senza contare, aggiunge che tra bypass, pacemaker e stent, negli ultimi decenni le innovazioni della medicina hanno cambiato la vita di molte persone, anche se oggi sul fronte della prevenzione, a dirlo sono i numeri, resta ancora molto da fare.

Il 29 settembre di ogni anno si celebra la Giornata mondiale del cuore (World Heart Day), che ha l’obiettivo di sensibilizzare la popolazione mondiale sulle malattie cardiocircolatorie e sulla loro prevenzione. Che valore ha secondo lei questa giornata?

Il valore risiede nel fatto che le malattie cardiovascolari causano il 40% delle morti in Europa, e per le donne si arriva al 50%.

Noi medici diciamo che prevenire è meglio che curare e dunque bisogna agire: si tratta di malattie con un così forte impatto epidemiologico, ma in gran parte prevenibili.

Le malattie cardiocircolatorie sono la prima causa di decesso a livello mondiale e rappresentano la principale cronicità. Ci può illustrare le principali patologie e quali sono quelle più frequenti e rischiose?

Le patologie più frequenti sono la cardiopatia ischemica e le malattie coronariche, caratterizzate da un’alterazione dell’anatomia o della funzione delle arterie che portano il sangue al cuore. Questa resta la principale causa d’infarto.

Poi non vanno dimenticate le aritmie e tra queste la fibrillazione atriale, il cui rischio aumenta col passare degli anni. Tra le malattie valvolari, c’è la stenosi aortica, anche in questo caso legata all’età e molto più frequente dopo i 70 anni. In aggiunta non va dimenticata l’insufficienza cardiaca, determinata da tutte le malattie del cuore quando non vengono intercettate in tempo: il risultato è che il cuore stesso non riesce più a fare bene il suo lavoro.

Come possiamo prevenire l’insorgere delle malattie cardiocircolatorie? Quanto conta l’ereditarietà e quanto i nostri stili di vita? Come possiamo prenderci cura del nostro cuore?

La familiarità per l’infarto vale soprattutto per quello precoce, cioè prima dei 60 anni, e per i congiunti di primo grado.

In generale quando è presente significa che si nasce con le coronarie un pochino più suscettibili andando avanti con gli anni e dunque bisogna essere ancora più attenti nella prevenzione. A tal proposito ci sono delle buone regole che dobbiamo osservare, tenendo presente innanzitutto che ci sono tre fattori di rischio – l’ipertensione, il diabete e l’ipercolesterolemia – da curare con farmaci e ai quali è riconducibile la metà degli infarti.

L’altra metà degli infarti è evitabile modificando i nostri stili di vita: tolleranza zero sul fumo (anche poche sigarette al giorno raddoppiano il rischio), evitare la sedentarietà anche con soli 15-20 minuti di passeggiata al giorno, adottare a tavola una dieta mediterranea con frutta, verdura e pesce, e fare attenzione al peso corporeo.

Quali sono i principali segnali di allarme per scoprire “in anticipo” potenziali patologie?

I sintomi sono tanti. Il più tipico è il dolore al petto, al torace. Se dura pochi minuti poi scompare può essere associato a uno sforzo, se invece dura più di mezz’ora può essere segnale di un infarto e bisogna recarsi subito al pronto soccorso.

Un altro sintomo, ma non sempre, è l’affanno: se di solito faccio quattro rampe di scale senza sforzo, poi inizio ad avere problemi dopo un piano, la causa può essere, tra le altre, il cuore. Infine, ci sono le palpitazioni, un sintomo che invece solo il cuore può dare. Tutte le casistiche che ho elencato, intervenendo in tempo rivolgendosi a un medico, possono essere risolvibili.

Che risultati rilevanti ha raggiunto la medicina nella cura delle patologie cardiocircolatorie negli ultimi 10-20 anni e quali sono i prossimi obiettivi?

Facendo un grande sforzo di sintesi, potrei dire che i passi veramente cruciali che hanno cambiato la storia della cardiologia sono i seguenti.

Sul versante coronarico il bypass ha rappresentato la svolta per molti pazienti e più di recente lo hanno fatto gli stent, con la possibilità di aprire le coronarie. Nel futuro, su questo fronte, non mi aspetto nulla di clamoroso, visto quanto già di straordinario è stato fatto.

Sul versante delle aritmie, per quanto riguarda la fibrillazione atriale, le due cose che hanno cambiato la storia sono stati il pacemaker e successivamente l’ablazione.

Infine, per l’insufficienza cardiaca, in passato l’intro-duzione di pacemaker particolari e la terapia di risincronizzazione hanno dato entrambi ottimi risultati. Più di recente, il passo più importante è stata la combinazione di quattro farmaci messi a punto negli anni che, grazie a un effetto additivo, hanno migliorato in maniera straordinaria la prognosi di insufficienza cardiaca che, se non trattata, è peggiore di quella di cancro al polmone.

Lei è il primo italiano Editor in Chief dello European Heart Journal. Ci può illustrare le ultime ricerche alle quali ha lavorato con il suo team e quali ritiene di particolare rilevanza?

Ne vorrei citare una che ci ha dato molta soddisfazione e riguarda le coronarie, su cui come dicevo con i bypass e gli stent sono stati mossi passi fondamentali.

Quello che abbiamo scoperto è che sia l’angina sia l’infarto possono essere causati da alterazioni funzionali delle coronarie, che si ammalano senza ostruzioni. Per molti anni ciò era stato trascurato: noi abbiamo dato una grossa mano a chiarire che circa metà dei pazienti con angina e il 10% di quelli con infarto non hanno ostruzioni: prima venivano purtroppo persi per strada, ora invece si può intervenire con tecniche diagnostiche e terapie mirate.

 

filippo crea

Filippo Crea
Direttore del Centro d’Eccellenza di Medicina Cardiovascolare del Fatebenefratelli Isola Tiberina – Gemelli Isola è Professore ordinario di Cardiologia, Direttore dell’Istituto di Cardiologia e Direttore della Scuola di Specializzazione in Cardiologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Ha formato più di 200 cardiologi, molti dei quali hanno ruoli preminenti in università italiane e straniere e in importanti ospedali. Ha vinto il Newburgh Prize – consegnatogli dalla Professoressa Levi Montalcini – e l’Arrigo Recordati International Prize. Dal 2020 è il primo italiano Editor in Chief dello European Heart Journal.

Maturità digitale

di Stefano Cuzzilla, Presidente Federmanager

Una delle molte lezioni che dovremmo aver appreso dall’emergenza Covid-19 riguarda l’importanza degli sviluppi tecnologici in ambito sanitario.

Diagnostica, microchirurgia, interventi guidati anche da una parte all’altra del pianeta e numerose applicazioni su ricoveri, prescrizioni, farmaci sono il risultato di un processo di digitalizzazione che possiamo chiamare anche più semplicemente, progresso.

I nostri enti di assistenza sanitaria hanno, da sempre, cercato di essere all’avanguardia ponendo l’accento su concetti innovativi come prevenzione, telemedicina e potenziamento dei servizi offerti sulle piattaforme web.

Il percorso intrapreso per migliorare costantemente la digitalizzazione dei nostri processi è stato un cammino sia culturale sia operativo, che ha avuto il merito di accompagnare verso una nuova maturità digitale le risorse interne e gli iscritti ad Assidai. Insieme a questa sfida un’altra grande complessità ha riguardato la gestione dei rischi, sia sul versante Gdpr (con le numerose implementazioni e attività di compliance normativa e tecnologica), sia su quello della cybersecurity, in assoluto oggi uno dei fronti più sensibili alle criticità connesse al mondo del digitale. Su tutto questo siamo costantemente al lavoro, consapevoli di quanto sia sensibile la sfera del diritto alla salute dei nostri manager.

“Prodotto Unico, apprezzato e snello”

Intervista ad Adriano Mureddu, Responsabile Human Resources Fs: “l’Accordo con Assidai ha un significato rilevante: dal nostro gruppo grande attenzione al welfare aziendale, cruciale per imprese e lavoratori

“L’assistenza sanitaria, con l’attenzione alla prevenzione, diventa uno strumento fondamentale per garantire il benessere dei dirigenti, per migliorare i rapporti tra azienda e dipendenti e per attrarre e trattenere i talenti necessari ad affrontare le sfide del futuro”.

A sottolinearlo è Adriano Mureddu, responsabile della struttura Human resources del Gruppo Fs, che – tra l’altro – ha siglato con Assidai un accordo per tutelare i dirigenti in servizio e in pensione.

Dottor Adriano Mureddu, lei è responsabile della struttura Human Resources del Gruppo Fs, che ha siglato con Assidai un accordo per tutelare i dirigenti in servizio e in pensione. Quale è il significato di questa intesa per una società come la vostra?

L’accordo ha un significato rilevante perché dimostra l’attenzione che il nostro gruppo dedica al tema del welfare aziendale che sta assumendo un’importanza sempre maggiore per i lavoratori e le imprese.

Siamo consapevoli che per far crescere l’azienda e renderla sempre più attrattiva sul mercato sono necessari non sono solo i benefit monetari, ma anche quelli legati al benessere individuale e in questo rientra certamente anche l’attenzione ai colleghi pensionati. Per questo motivo abbiamo ritenuto di siglare questo accordo che ci accompagnerà per il prossimo triennio.

Quali ritenete siano i punti di forza del Prodotto Unico Fasi-Assidai e qual è il sentiment dei dirigenti nei confronti di questa soluzione?

I punti di forza del Prodotto Unico sono senza dubbio l’attenzione alla non autosufficienza e sicuramente la semplificazione delle procedure di rimborso, modalità questa molto apprezzata dai nostri dirigenti.

Risulta molto gradito anche il pacchetto lenti che tutti si augurano possa migliorare ulteriormente in futuro. I nostri dirigenti sono quindi nel complesso soddisfatti del nuovo pacchetto, auspicando che aumentino sempre di più le strutture convenzionate in modo da poter evitare il più possibile il ricorso alla convenzione in forma indiretta.

Che importanza hanno per il vostro gruppo e per i vostri dirigenti le tutele sanitarie?

Siamo convinti che le tutele sanitarie assumono una importanza rilevante specie in un momento storico, come quello in cui ci troviamo, in cui il Servizio Sanitario Nazionale fa fatica a sostenere i carichi di prestazioni.

Assistiamo di fatto ad un mutamento del sistema sanitario, che si evidenzia nell’emergere accanto al Ssn di un secondo sistema popolato da una molteplicità di offerte di coperture assicurative che intervengono a garantire servizi e prestazioni altrimenti non facilmente fruibili.

In questo scenario è evidente che le tutele sanitarie siano considerate un benefit importantissimo per i nostri dirigenti e quindi anche per il nostro gruppo che si prodiga per trovare tutti gli strumenti più utili ed efficaci per andare incontro alle esigenze delle proprie persone e diventare così sempre più attrattivi nel mercato del lavoro.

Più in generale quale è il valore del welfare all’interno del vostro gruppo? Il benefit dell’assistenza sanitaria può essere considerato come uno strumento efficace per premiare i dirigenti, attirare i talenti e migliorare il rapporto tra azienda e dipendente?

Il nostro gruppo pone da sempre grande attenzione al welfare e oggi ancora di più, dopo quello che il Covid ci ha lasciato in eredità, risulta estremamente importante mettere in campo ogni iniziativa possibile volta a migliorare la qualità della vita e il benessere delle nostre persone.

In questo contesto l’assistenza sanitaria, con l’attenzione alla prevenzione come unico strumento in grado di ridurre gli impatti delle cure e assicurare serenità alle persone, diventa uno strumento fondamentale non solo per garantire il benessere dei dirigenti ma anche per migliorare i rapporti tra azienda e dipendenti e per attrarre e trattenere i talenti necessari ad affrontare le sfide del futuro.

Per questo ormai consideriamo il welfare in generale e le tutele sanitarie in particolare come delle vere e proprie leve gestionali che, al pari di quelle retributive, contribuiscono a rendere il nostro gruppo competitivo sul mercato del lavoro.

 

adriano mureddu

Adriano Mureddu
Attuale Responsabile Human resources del Gruppo FS, è un manager con pluriennale esperienza HR maturata all’interno di realtà Italiane e internazionali appartenenti a vari settori (automotive, consumer durables, servizi e construction) e considerate best in class nei modelli HR. In Whirlpool è stato prima responsabile Hr dell’area industriale e successivamente del coordinamento Hr sulla regione EMEA. In Comdata Group ha ricoperto il ruolo di Direttore Risorse umane partecipando alla costituzione dell’azienda stessa in termini di espansione e acquisizione dei mercati internazionali.

Italia, donazioni e trapianti record nel 2022

Il Ministro Schillaci: “Donare gli organi è la più alta espressione di altruismo”. Nei numeri, il nostro Paese torna ai vertici europei dopo Spagna e Francia

“Donare gli organi significa donare vita: la più alta espressione di altruismo. L’Italia dimostra quotidianamente di essere una nazione estremamente generosa: grazie alla solidarietà biologica ogni anno è possibile realizzare quasi 4mila trapianti di organo, ma anche più di 20mila trapianti di tessuto, circa 1.000 trapianti di cellule staminali emopoietiche e midollo osseo da donatore non consanguineo, e quasi 3 milioni di trasfusioni per oltre 650mila pazienti”. è con queste parole che il Ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha iniziato le celebrazioni della 26esima Giornata nazionale per la donazione e il trapianto di organi e tessuti, caduta lo scorso 16 aprile.

Del resto, i numeri rivelati dal recente report sull’attività di donazione e trapianti relativi al 2022, elaborato dal Centro Nazionale Trapianti, sono di tutto rispetto e – come sottolineato dallo stesso Ministro – pongono l’Italia ai vertici in Europa. Nel 2022, infatti, per la prima volta le donazioni di organi hanno superato quota 1.800 in un anno, con un significativo incremento anche dei trapianti: 3.887, il secondo miglior risultato di sempre. Si è tornati, insomma, sopra i livelli pre Covid.

In particolare, il tasso nazionale di donazione per milione di popolazione è risultato il più alto di sempre (24,7), con l’Italia che è seconda soltanto alla Spagna e alla Francia. La regione con il tasso di donazione più elevato si è confermata la Toscana (49,3 donatori per milione) ma va segnalato l’aumento rilevante del tasso in Emilia-Romagna (46, +8,8 sul 2021) e il buon risultato del Veneto (36,3, +6,2). Ancora indietro nel complesso il Centro-Sud, con qualche lieve segnale di crescita in Lazio, Campania e Calabria.

Per quanto riguarda i trapianti, invece, la Lombardia si è confermata la regione nella quale si realizzano più interventi seguita da Veneto (che è la prima in rapporto alla popolazione), Piemonte, Emilia-Romagna e Lazio. Guardando al dettaglio dei singoli organi, stabili i trapianti di rene (2.038, 4 in meno che nel 2021 a causa di una lieve contrazione delle donazioni da vivente) e quelli di cuore (254 pari a +0,8%). Si è registrato un aumento molto significativo di quelli di fegato (1.474 pari a +5,6%), e di quelli di polmone (138, +17,9%), la specialità più penalizzata negli anni della pandemia; in calo i trapianti di pancreas, che sono scesi da 54 a 38.

 

donazioni organi

Lo stress invecchia (ma è reversibile)

Lo rivela una ricerca di studiosi americani, secondo cui viceversa il relax e il benessere possono diminuire l’età biologica anche di cinque anni

Cattiva notizia: vivere un forte stress, come un intervento chirurgico d’emergenza, una separazione o una malattia come il Covid-19, può fare invecchiare prima del tempo.

Buona notizia: questo aumento dell’età biologica, però, è fortunatamente reversibile. è questo, in estrema sintesi, il risultato di uno studio condotto su topi ed esseri umani, che di fatto è stato il primo a evidenziare come l’età biologica sia qualcosa di fluido che non avanza sempre in maniera lineare.

I risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica “Cell Metabolism” da un gruppo internazionale di ricerca coordinato da James White della Duke University School of Medicine e Vadim Gladyshev dell’Harvard Medical School di Boston. Il lavoro si è basato sull’utilizzo di una nuova generazione di orologi biologici “epigenetici” che riescono, in buona sostanza, a valutare l’invecchiamento sulla base delle modificazioni chimiche che nel tempo vanno a rivestire il Dna, cambiandone l’espressione.

Grazie a questi strumenti molecolari, gli studiosi sono così andati a valutare le fluttuazioni dell’età biologica in seguito a stimoli fortemente stressanti. Lo hanno fatto sia nelle persone che avevano vissuto un forte stress, sia nei topi che, tra i vari esperimenti, sono stati sottoposti anche a interventi di parabiosi, una tecnica chirurgica che consiste nell’unione del sistema vascolare di due animali vivi (come avviene per esempio nei gemelli siamesi).

Ebbene, i risultati ottenuti dimostrano che questi eventi fortemente stressanti possono aumentare l’età biologica nel giro di poco tempo (giorni o mesi), ma il processo è transitorio e può essere invertito dopo un periodo di recupero. Altro elemento cruciale: osservando la consunzione del “vestito” del Dna, l’orologio epigenetico misura l’età delle cellule dell’organismo con differenze anche di 5-6 anni rispetto all’età anagrafica.

“La scoperta implica che un forte stress aumenta la mortalità, almeno in parte, aumentando l’età biologica”, ha sottolineato Gladyshev. “Questa idea suggerisce immediatamente che la mortalità può essere diminuita riducendo l’età biologica e che la capacità di riprendersi dallo stress può essere un fattore determinante per un buon invecchiamento e per la longevità”. In parole povere, per concludere: “L’età è fluida, fluttuante, malleabile: ciò contrasta con la convinzione che l’età biologica possa procedere in un’unica direzione”.

 

stress

“Il welfare sostiene e coinvolge i dipendenti. La salute al centro dei bisogni delle persone”

Intervista a Marco Morbidelli (Angelini Industries): “Misure coerenti con i nostri valori”

Le misure di welfare sono uno strumento cruciale per sostenere e coinvolgere i dipendenti e, al tempo stesso, un veicolo dei valori aziendali nei quali le persone beneficiarie si possono riconoscere. A parlare è Marco Morbidelli, Group Chief HR & Organization Officer, che sottolinea anche come il Prodotto Unico Fasi-Assidai sia stato “rapidamente apprezzato dalle nostre persone”.

Per una multinazionale come Angelini Industries, che opera a livello mondiale e in diversi settori, che valore hanno il welfare e il benessere dei dipendenti?

In Angelini Industries siamo fortemente convinti che le misure di welfare debbano rappresentare da un lato uno strumento dinamico, monitorato e aggiornato per sostenere i dipendenti nelle loro esigenze, in continuo cambiamento, e dall’altro un veicolo di valori aziendali nei quali le persone beneficiarie si possano riconoscere.

Il nostro modello di welfare è, quindi, fortemente ancorato ai nostri valori. Quattro sono i principi guida. Il primo è il rafforzamento del legame identitario, il secondo è la flessibilità che ne fa uno strumento adattabile alle diverse controllate presenti in 21 Paesi e in 3 settori produttivi dove lavorano circa 6.000 collaboratori. Il terzo è l’allineamento alla strategia delle risorse umane, tant’è che le misure sono finalizzate a potenziare l’engagement e, quindi, a migliorare le performance delle nostre persone, e ad attrarre e trattenere i talenti.

Infine, l’attenzione ai bisogni: come le nostre industry si prendono cura dei clienti, noi ci prendiamo cura delle nostre persone e lo facciamo analizzando le loro esigenze e come queste si evolvono nel tempo, in base anche alle diverse generazioni presenti in azienda. Questo ascolto attivo delle nostre persone avviene attraverso le survey periodiche dedicate a tale ambito specifico.

Data la sua ampia visuale a livello internazionale, ci può dire come varia il welfare aziendale da paese a paese?

In generale le misure di welfare aziendale sono sempre pensate come complementari al welfare pubblico. Molto dipende, quindi, dai livelli assistenziali e di supporto che i vari Stati riescono a garantire ai loro cittadini.

Noi come Angelini Industries, essendo presenti in quasi tutta Europa, oltre ad avere un presidio in Usa e Cina, cerchiamo di disegnare un modello flessibile che, a partire da una approfondita analisi di contesto, garantisca a tutti i dipendenti le medesime coperture e possibilità.

Quali sono i benefit più richiesti dai vostri dipendenti e dai vostri manager a livello di welfare? Che tipo di interesse vedete da parte dei dirigenti del vostro gruppo per le tutele sanitarie?

Il tema della salute è costantemente al centro dei bisogni delle persone. In questo campo Angelini Industries ha sempre privilegiato l’iscrizione dei dipendenti ai fondi di assistenza sanitaria legati ai Contratti Collettivi Nazionali applicati nelle aziende del Gruppo facendosi carico, laddove possibile, anche dell’iscrizione del nucleo famigliare del dipendente.

Nel 2023, inoltre, è stato avviato un piano di assistenza sanitaria integrativa per i Quadri, coinvolgendo un totale di circa 600 persone. Inoltre, all’interno delle diverse aziende vengono offerti ai dipendenti dei servizi in ambito sanitario, declinati in funzione della popolazione interessata e del territorio in cui insistono. Ad esempio, in “Casa Angelini”, headquarter di Roma, abbiamo un accordo con la Fondazione Policlinico Gemelli che consente di avere un presidio interno al quale i dipendenti possono ricorrere in caso di necessità e nell’ambito del quale vengono effettuate anche attività di informazione e prevenzione, visite specialistiche e vaccinazioni.

Altro tema verso cui è presente grande sensibilità è quello del work-life balance, su cui il post pandemia e l’ingresso nel mondo del lavoro delle generazioni più giovani hanno contribuito a porre l’accento. In questo ambito il Gruppo ha introdotto in via permanente un remote working di due giorni settimanali per tutti dipendenti, con la possibilità di modulare questo strumento di lavoro ibrido in base alle particolari necessità delle persone.

È stato previsto, inoltre, un remote working fino a 5 giorni a settimana per le donne in gravidanza e la possibilità per le mamme di usufruire del remote working rafforzato (3 giorni a settimana) fino a un anno di vita del bambino. L’iniziativa è volta a favorire la conciliazione e l’equilibrio tra lavoro e sfera privata e, in generale, supportare le famiglie dei dipendenti.

Inoltre, l’Azienda provvede anche all’attivazione, su base volontaria, di una polizza vita per tutti i dipendenti del Gruppo, mentre una polizza infortuni opera automaticamente per tutti i Quadri. Lo schema di welfare per i dirigenti, ferme restando le tutele previste dai fondi contrattuali specifici, prevede non solo tutele analoghe a quelle appena descritte per i dipendenti, ma anche iniziative specifiche dedicate alla figura dirigenziale quali – ad esempio – l’effettuazione di un check-up medico annuale. In questo modo il Gruppo ha ritenuto di venire incontro efficacemente alle attese da parte dei dirigenti rispetto alle tematiche di carattere sanitario.

Il Gruppo Angelini Industries ha aderito con grande interesse al Prodotto Unico Fasi-Assidai. Quali sono le valutazioni e l’esperienza dei vostri manager?

Il Prodotto Unico Fasi Assidai è stato adottato nel corso del 2021 e, dopo una fase di rodaggio iniziale, è stato rapidamente apprezzato dalle nostre persone.

Da parte dell’Azienda c’è stata la capacità di ascolto delle prime impressioni e considerazioni da parte dei dirigenti e, grazie alla collaborazione con il management di Assidai, siamo riusciti a lavorare più efficacemente sul processo di comunicazione e a individuare alcune aree di miglioramento delle prestazioni, che si sono poi concretizzate in un upgrade del Prodotto Unico, attivato da gennaio 2023 con grande soddisfazione di tutti.

Con riferimento all’importanza del- la comunicazione, vorrei ricordare quanto si sia rilevato vincente aver progettato ed erogato, insieme ai referenti Fasi e Assidai, due webinar live nel corso dei quali è stata favorita la massima interazione tra i dirigenti e i referenti stessi.

In passato la vostra azienda si era affidata a coperture sanitarie di tipo assicurativo, quali sono le differenze che potete evidenziare rispetto all’iscrizione a un fondo di assistenza sanitaria come Assidai?

Il precedente schema prevedeva il Fasi a cui si aggiungeva una polizza assicurativa integrativa. Nel momento in cui è stato istituito IWS come provider amministrativo unico per i due fondi, si è pensato di avvalersi di Assidai, anch’esso di derivazione contrattuale e naturale complemento al Fasi.

I miglioramenti derivanti dall’adozione del Prodotto Unico Fasi-Assidai rispetto alla precedente impostazione sono sicuramente: la maggiore inclusività di un fondo rispetto ad un’assicurazione, un network sanitario molto esteso e integrato a livello nazionale, dei massimali di copertura più elevati, una notevole semplificazione della gestione dei rimborsi grazie ad IWS come unico interlocutore per gli assistiti e, non ultimo, la prospettiva di portabilità delle tutele anche dopo il pensionamento.

 

Marco MorbidelliMarco Morbidelli
Group Chief HR & Organization Officer di Angelini Industries, ha sviluppato un’esperienza HR completa, dalle tematiche di natura gestionale e di Relazioni Industriali, a quelle di Talent Development, Performance Management e Reward. Ha iniziato il suo percorso nel settore delle telecomunicazioni e ha poi proseguito la sua carriera all’interno di Angelini Industries, dove ha ricoperto ruoli di responsabilità crescente in ambito HR nei diversi business del Gruppo, in particolare quello farmaceutico.

La sua passione è aiutare le persone a sviluppare il proprio potenziale e i leader a trasformare le organizzazioni, con un approccio aperto all’innovazione e alla ricerca. Ha svolto docenze sui temi di Human Resources e People Management presso l’Università Carlo Cattaneo di Castellanza- Varese e presso la LUISS Business School di Roma. Fa parte dei Consigli di Amministrazione di alcune delle società del Gruppo Angelini Industries. È altresì componente del Comitato Sviluppo dell’Università Bocconi e del Consiglio di Amministrazione dell’Università Politecnica delle Marche.

Si celebra la Giornata del Cuore: “Conoscilo e usalo meglio”

“Use heart know heart”. Ovvero: usare il cuore, conoscere il cuore. Questo il tema della Giornata Mondiale per il Cuore che si celebra ogni anno in tutto il mondo il 29 settembre.

È fondamentale, dunque, conoscere il nostro cuore per prendercene cura in modo più efficace: quanto più siamo consapevoli del suo stato, tanto più possiamo adottare comportamenti più salutari. L’appuntamento è soprattutto un’occasione per dare maggior enfasi alla campagna di sensibilizzazione rivolta all’opinione pubblica, alla comunità medico-scientifica e ai rappresentanti delle istituzioni per ribadire l’importanza della prevenzione delle malattie cardio-cerebro-vascolari che, ancora oggi, sono la prima causa di ospedalizzazione e di morte.

Ogni anno, infatti, queste patologie causano oltre 18,6 milioni di decessi nel mondo, e in Italia ben 127.000 donne e 98.000 uomini, per un totale di oltre 220.000 persone, muoiono a causa di infarto del miocardio, scompenso e ictus cerebrale. Un dato che fa riflettere: le malattie cardio-cerebrovascolari rappresentano il 34,8% di tutti i decessi, colpiscono più dei tumori e, purtroppo, le persone che ogni anno si ammalano di queste patologie sono in costante aumento.

Per questo, la prevenzione primaria diventa fondamentale: stili di vita salutari, alimentazione equilibrata e attività fisica sono i capisaldi per tutelare il nostro cuore e, in generale, il nostro corpo.

Professionisti della salute, la nostra risorsa

di Stefano Cuzzilla, Presidente Federmanager

La pandemia ha generato una nuova percezione delle tematiche legate alla salute da parte dei cittadini e dei governi. Le politiche di settore sono ormai uno snodo fondamentale dell’intervento pubblico, tanto che anche il PNRR interviene sulla salute con la “missione 6”, destinataria di oltre 15 miliardi di euro. Risorse che guardano alle infrastrutture, all’assistenza territoriale, alle apparecchiature, che promettono di costruire ospedali e case di comunità, oltre che investire sulle competenze, anche digitali e manageriali, del personale presente.

Con i fondi PNRR, però, non è possibile assumere nuove risorse né sostenere un piano d’investimento sul capitale umano di lungo periodo. Deve pensarci il bilancio pubblico. Anche di questo stiamo discutendo con il Governo e il Ministero nei tavoli aperti, insieme alla Cida, in cui è compresa la rappresentanza dei dirigenti sanitari.

Sono comuni le preoccupazioni sulla carenza di medici e infermieri: oggi ne mancano rispettivamente 30mila e 250mila. Secondo l’Oms, entro il 2030 nel mondo mancheranno 10 milioni di lavoratori della sanità, mentre 1,4 miliardi di persone avranno un’età superiore ai 60 anni. Per gestire efficacemente il presente e il futuro dobbiamo avere il coraggio di riorientare la formazione dei nostri giovani verso la medicina e di costruire un sistema capace di trattenere qui le generazioni di ottimi professionisti che, una volta formati, scelgono – spesso a malincuore – di lavorare all’estero.

 

Welfare aziendale chiave di volta per il futuro: dal mondo del lavoro alla sostenibilità del Ssn

Estratto dell’intervento del Presidente Assidai, Armando Indennimeo, all’Assemblea annuale Federmanager Roma

«Il tema scelto “Sanità Domani: strategie per migliorare il sistema sanitario” è di grande rilevanza strategica, soprattutto perché nel mondo del lavoro post-pandemia emergono nuove priorità, che determinano la nascita di un sistema di relazioni industriali dove i fondi sanitari integrativi rivestono un ruolo sempre più importante. In tale contesto, proprio il welfare aziendale è la chiave di volta di un nuovo scenario: un “ponte” tra i bisogni dei lavoratori e le richieste dell’impresa, che determina effetti positivi in termini di produttività, clima aziendale e maggiore engagement. Negli ultimi anni il trend si è rafforzato grazie agli incentivi governativi che tuttavia non hanno più mostrato evoluzioni.

Assidai è uno dei player di mercato in termini di assistenza sanitaria integrativa non contrattuale e ciò che rende unico il Fondo sono i suoi valori distintivi, primi tra tutti mutualità e solidarietà, che consentono di assistere i manager fino a quando lo desiderano, anche in pensione, insieme all’eccellenza dei Piani Sanitari realizzati su misura in base alle esigenze di aziende e lavoratori, e, unici, come l’innovativo Prodotto Unico Fasi-Assidai.

Del resto, l’attenzione verso la salute è testimoniata anche dai livelli molto alti della spesa sanitaria out of pocket in Italia: ormai 38 miliardi di euro di cui solo poco più del 10% viene “intermediato” da fondi o polizze, mentre 34 miliardi vanno a pesare direttamente sulle famiglie. Questa spesa si concentra in visite, accertamenti diagnostici e medicinali: tutti fronti su cui il SSN, alle prese con il graduale invecchiamento della popolazione, finisce in difficoltà.

Anche dal nostro osservatorio privilegiato notiamo un forte incremento della domanda di prestazioni sanitarie dopo il periodo post Covid: fenomeno che ci preoccupa non solo per l’equilibrio dei nostri bilanci tecnici, prerogativa essenziale per continuare a offrire servizi all’altezza degli iscritti – ove possibile migliorandoli – ma soprattutto perché conferma la sensazione di un SSN che rischia di essere costretto ad arretrare progressivamente.

Come Assidai siamo convinti che il Sistema sanitario nazionale sia un pilastro fondamentale al quale tutti devono contribuire per il buon funzionamento e riteniamo che i Fondi Sanitari Integrativi debbano essere di supporto al SSN per garantire una sostenibilità di lungo periodo alla sanità pubblica, le cui caratteristiche di equità e universalità restano uniche al mondo. È opportuno, allo stesso tempo, fare sistema per trovare il giusto connubio sanità pubblica- privata e offriamo la nostra disponibilità per confrontarci con le istituzioni e per contribuire attivamente al processo evolutivo di tutta la normativa.»

 

Allarme Istat su 3,5 milioni di anziani con cronicità

Sono oltre 3,5 milioni gli anziani che in Italia hanno bisogno di cure complesse e per più malattie – almeno tre patologie concomitanti – o che hanno gravi problemi di autonomia.

È questa forse la sfida più grande per la sanità italiana: a tratteggiarla è l’Istat nei suoi recenti indicatori Bes (Benessere e sostenibilità), dove si ricorda che se nel 2013 erano il 54% gli over 75 “con gravi limitazioni nelle attività o in condizioni di multicronicità” il dato è poi sceso, ma “tra il 2019 e il 2022 si osserva, tuttavia, una stabilità nei valori registrati” che porta la quota di questi anziani con più patologie a fermarsi a quota 49% dei 7 milioni e 150mila over 75 italiani e quindi a più di 3,5 milioni bisognosi di cure.

Un tema su cui Assidai è presente e sensibile da diversi anni – le prestazioni per la non autosufficienza – Long Term Care – sono infatti presenti nei Piani Sanitari del nostro Fondo – e che chiama in causa, per quanto riguarda il Servizio Sanitario Nazionale, la cosiddetta sanità territoriale. Essa, infatti, dovrebbe raggiungere a casa almeno 1 milione di anziani con i fondi PNRR e con la riforma dell’assistenza ai non autosufficienti ancora a corto di risorse.

Tra le patologie croniche che più caratterizzano la fascia di età over 75 si confermano anche nel 2022 l’ipertensione e i problemi osteoarticolari (artrosi/artrite) che, da soli o in concomitanza con altre patologie croniche rilevate, riguardano ben 1 anziano su 2. Seguono l’osteoporosi (30,8%), il diabete (21,6%) e alcune patologie a carico del sistema nervoso (15%).