Attività fisica contro le malattie killer: lo sport riduce i rischi di tumori e ictus

Uno studio di ISS, Coni e Ministero della Salute invita gli italiani a evitare la sedentarietà

In Europa, l’inattività fisica è ritenuta responsabile ogni anno di 1 milione di decessi (il 10% circa del totale) e di 8,3 milioni di anni di vita persi a causa della disabilità. A livello mondiale, invece, l’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha stimato che il 25% degli adulti non è sufficientemente attivo e l’80% degli adolescenti non raggiunge i livelli raccomandati di attività fisica.

In Italia, invece, stando ai dati Istat, oltre una persona su tre (oltre 20 milioni) ha dichiarato di praticare sport nel tempo libero, ma ben 23,1 milioni (quasi il 40%) sono totalmente inattivi: il tutto in un Paese che continua inesorabilmente a invecchiare.

Partendo da questi numeri, l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha realizzato, in collaborazione con il Ministero della Salute e il Coni (Comitato Olimpico Nazionale Italiano), un rapporto che evidenzia l’importanza di promuovere l’attività fisica a livello individuale e di comunità.

La parola d’ordine? Muoversi ogni giorno

La ricerca afferma che proprio l’attività fisica è “uno dei principali strumenti per la prevenzione delle malattie croniche non trasmissibili, per il mantenimento del benessere psicofisico e per il miglioramento della qualità della vita, in ambo i sessi e a tutte le età”. Non solo, attraverso un’analisi ad hoc si evidenzia anche – calcolando le ricadute economiche negative dell’inattività fisica – come un comportamento “virtuoso” della popolazione farebbe risparmiare oltre 2,3 miliardi al Servizio Sanitario Nazionale (SSN) in termini di prestazioni specialistiche e diagnostiche ambulatoriali, trattamenti ospedalieri e terapie farmacologiche evitate.

Italia, solo una persona su due fa la “giusta” attività fisica

La situazione evidenzia come in Italia solo il 50% degli adulti raggiunga i livelli raccomandati di attività fisica; inoltre la “sedentarietà” cresce con l’età, è maggiore fra le donne e fra le persone con uno status socio-economico più svantaggiato per difficoltà economiche o per basso livello di istruzione, fra i cittadini italiani rispetto agli stranieri e nelle regioni centro-meridionali. Attenzione poi ai bambini: secondo i dati del Sistema di sorveglianza sul sovrappeso e l’obesità nei bambini delle scuole primarie “OKkio alla SALUTE, quasi un bambino su quattro dedica al massimo un giorno a settimana (almeno un’ora) a giochi di movimento e il 41% trascorre più di due ore al giorno davanti a TV/videogiochi, tablet e cellulari. Da non sottovalutare, infine, che solo il 47% delle persone in sovrappeso ritiene troppo alto il proprio peso corporeo e anche se fra le persone obese c’è più consapevolezza (88%), è preoccupante il fatto che una su 10 ritenga il proprio peso più o meno giusto.

Gli effetti positivi dello sport sulla salute

Numerosi studi statistici dimostrano come l’attività fisica, oltre a migliorare il benessere psicofisico e la qualità della vita, possa ridurre i rischi legati all’incidenza di diverse patologie non trasmissibili (le principali cause di morte in Europa), quali il diabete mellito di tipo 2, le malattie cardiovascolari, l’ictus, alcuni tipi di tumore, oltre alla mortalità prematura, con un beneficio stimato in alcuni casi tra il 50 e il 68%. Per il tumore del colon e del diabete si parla di un 30-50% di riduzione del rischio, per il tumore alla mammella del 20% e per patologie cardiocircolatorie si va dal 20 al 35%.

Le raccomandazioni dell’OMS

Infine, ecco i livelli raccomandati di attività fisica, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, per prevenire le malattie non trasmissibili: per bambini e adolescenti, da 5 a 17 anni, vanno svolti almeno 60 minuti di attività (da moderata a intensa) cumulabili ogni giorno. Per gli adulti (18-64 anni) l’asticella è posta a 150 minuti di attività aerobica moderata o 75 di sforzo intenso ogni settimana e lo stesso vale per gli anziani.

Alla Quisisana radiologia interventistica top

La Clinica Quisisana, controllata dal 2002 dall’Eurosanità S.p.a., è una delle cliniche private più antiche e prestigiose di Roma con strutture all’avanguardia e rappresenta oggi una struttura all’avanguardia, sia per le tecnologie installate, sia per l’organizzazione e l’accoglienza della clientela. Ha infatti caratteristiche che le permettono di ospitare, oltre che tutte le specialità medico-chirurgiche e la ginecologia-ostetricia e maternità, anche alte specialità quali la Neurochirurgia, la Chirurgia Cardio Vascolare e Toracica nonché un Servizio di Radiologia e Cardiologia Interventistica, un Centro di Senologia (diagnostica e chirurgica) e un Centro di Endoscopia Diagnostica e Operativa.

Tra le eccellenze dell’Istituto spiccano la Chirurgia Robotica, la Chirurgia dell’Obesità e la Radiologia Interventistica Vascolare (carotidi, aneurismi aorta, arterie renali, ecc.) ed Extravascolare (embolizzazioni, biopsie, drenaggi, vie biliari e vie urinarie, vertebroplastica, ecc).

La Radiologia Interventistica, che alla Clinica Quisisana vanta un’esperienza più che ventennale, comprende tutte le procedure mini-invasive, diagnostiche e terapeutiche, effettuate mediante la guida delle metodiche di imaging ed eseguite per via percutanea. Queste presentano quindi due vantaggi: non necessitano di anestesia generale e hanno tempi di recupero e di ricovero ridotti.

La Chirurgia Robotica si avvale di un Robot Da Vinci e, pur avendo più campi di applicazione, è soprattutto indirizzata alla chirurgia urologica campo in cui elevatissimi livelli di professionalità e competenza permettono di affrontare con precisione ed efficienza ogni tipo di problematica.
Altro punto forte è quello della chirurgia dell’obesità, che si sviluppa con la presenza di tutte le professionalità richieste da un approccio multidisciplinare coordinato che permette di allungare l’aspettativa di vita dei pazienti obesi migliorando anche la loro qualità di vita globale.

La Bocconi promuove il Servizio Sanitario Nazionale

Ma il suo centro di ricerche Cergas avverte: “Da risolvere i nodi della frammentazione sociale e gli squilibri territoriali

Dopo avere raggiunto l’equilibrio economico-finanziario riuscendo a mantenere buoni risultati in termini di salute della popolazione, il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è chiamato a risolvere alcuni disequilibri territoriali e a raccogliere la sfida imposta dalla frammentazione della società, che crea nuove fragilità e nuovi bisogni. Lo afferma il Rapporto Oasi 2018 (Osservatorio sulle aziende e sul Sistema sanitario italiano), presentato alla fine dello scorso anno dal Cergas (Centro di ricerche sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale) dell’Università Bocconi di Milano.

Nel 2017 il SSN, secondo lo studio, ha segnato un lieve disavanzo contabile (282 milioni di euro, pari allo 0,2% della spesa sanitaria pubblica corrente), con le regioni del Centro-Sud che si dimostrano ormai virtuose quanto quelle del Nord. Il Lazio, per esempio, ha registrato un avanzo di 529 milioni e la Campania di 77. Nello stesso anno, la spesa del SSN è aumentata dell’1,3% a 117,5 miliardi di euro, portando l’aumento medio, dal 2012 al 2017, allo 0,6% nominale annuo, equivalente, tuttavia, a un incremento nullo tenendo conto dell’inflazione. Come ci posizioniamo in confronto all’Europa? La spesa sanitaria italiana è pari all’8,9% del Pil, contro il 9,8% della Gran Bretagna, l’11,1% della Germania e il 17,1% degli Stati Uniti, con il SSN che ne copre il 74%.

I rischi della frammentazione sociale per il Servizio Sanitario Nazionale

Il principale indicatore di salute della popolazione, l’aspettativa di vita rimane eccellente (82,8 anni al 2016), ma cresce meno che altrove, tanto che, dal 2010 al 2016, l’Italia è passata dal secondo al sesto posto al mondo nella classifica di longevità dell’Organizzazione mondiale della sanità. Ciò mentre i tassi di mortalità per tutte le maggiori malattie sono in declino, cresce la mortalità dovuta a disturbi psichici e malattie del sistema nervoso.

Rimangono invece ancora piuttosto marcate le differenze territoriali: l’aspettativa di vita in buona salute è di 56,6 anni al Sud e di 60,5 anni al Nord, con la Calabria che si assesta a 52 anni e la provincia autonoma di Bolzano che arriva a 69. Fino al 2016, prima dell’introduzione di limitazioni legislative, anche la mobilità territoriale dei pazienti sulla direttrice Sud-Nord era in aumento. A rimanere inevasa, tuttavia, è soprattutto la domanda derivante dal cambiamento sociale, che porta a una progressiva frammentazione: nel 2017 il 32% delle famiglie è unipersonale (8,1 milioni di individui, di cui 4,4 milioni over 60) e il rapporto tra gli over 65 e la popolazione attiva, al 35%, è il più alto d’Europa. Non è un caso che, tra il 2010 e il 2017, gli over 65 siano aumentati di 1,3 milioni di persone (+11%).

Le dinamiche demografiche e il nodo Long Term Care

L’invecchiamento è un trend fisiologico e di per sé positivo, perché conferma la lunga aspettativa di vita oltre i 60 anni. A preoccupare, semmai, è lo squilibrio tra popolazione over 65 e popolazione in età attiva, che diminuisce a causa del drastico calo delle nascite. Nei prossimi 20 anni, infatti, il rapporto tra over 65 e popolazione attiva passerà dal 35% al 53%: oltre un “anziano” ogni due persone in età attiva. Questa evoluzione crea e creerà sempre più gravi disequilibri nei servizi socio-sanitari che, stima l’Osservatorio, oggi riescono a coprire solo il 32% del bisogno. Particolarmente critica è la disponibilità di posti letto in strutture sanitarie per anziani non autosufficienti, pari nel 2015 a circa 302mila a fronte di 2,8 milioni di persone che ne avrebbero necessità. Il sistema fatica anche a garantire continuità assistenziale agli anziani a seguito di un ricovero: un over 85 su quattro viene ricoverato almeno una volta l’anno, con una degenza media di 11 giorni, ma solo il 16% di questi viene dimesso prevedendo qualche forma di continuità assistenziale.

La salute degli italiani migliore in Europa

Lo afferma uno studio condotto da The European House Ambrosetti sul Servizio Sanitario Nazionale. L’obiettivo è mantenere questa posizione anche in un futuro ricco di incognite.

Miglioramenti delle condizioni di vita, progressi della medicina, ma anche maggior consapevolezza dell’importanza della prevenzione. Negli ultimi 40 anni gli italiani hanno guadagnato quasi 10 anni di vita. Se nel 1978, anno di nascita del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), l’aspettativa di vita media era di 73,3 anni, oggi vivono in media 83,3 anni, anche se con forti differenze regionali.

È questo il quadro che emerge dal XIII Rapporto Meridiano Sanità, elaborato dal prestigioso The European House Ambrosetti (che ogni anno, a Cernobbio, organizza il celebre Forum in cui si incontrano politici, economisti e personaggi di livello globale), da cui emerge un dato molto chiaro: lo stato di salute degli italiani è il migliore in Europa.

Allo stesso tempo, tuttavia, lo studio (oltre 300 pagine di approfondite analisi) accende una spia sulle dinamiche che potrebbero mettere a rischio la tenuta del SSN, a partire dall’invecchiamento della popolazione, e sulle quali bisogna agire – puntando anche sull’intermediazione della spesa sanitaria privata, oltre che sull’innovazione e sulla prevenzione – per fronteggiare la situazione.

“Se oggi l’Italia presenta uno stato di salute ottimo nel confronto europeo, in futuro il nostro Paese potrebbe non riuscire a garantire il mantenimento o il miglioramento delle performance registrate fino ad oggi”, spiegano molto chiaramente gli esperti di The European House – Ambrosetti.

In particolare, l’indice di Mantenimento dello Stato di Salute del Meridiano Sanità Index, che individua la capacità del Sistema sanitario di mantenere il posizionamento attuale in futuro, evidenzia alcune situazioni di criticità per il nostro Paese, che riporta in questo campo un punteggio inferiore alla media europea, anche se più alto rispetto a quello del 2017.

Tra i fattori che mettono maggiormente a rischio la sostenibilità dell’attuale livello di salute ci sono la capacità di risposta del Sistema sanitario ai bisogni di salute emergenti, alcuni casi di inappropriatezza delle prescrizioni e l’ammontare delle risorse economiche a disposizione della sanità.

Da non sottovalutare, inoltre, il fatto che in Italia l‘incidenza della spesa sanitaria totale sul PIL oggi è inferiore alla media europea, soprattutto nella parte pubblica e nei prossimi anni è destinata a diminuire. Tutto ciò sembrerebbe a prima vista un dato positivo, ma occorre tener conto del fatto che l’invecchiamento della popolazione, tuttavia, è tipicamente accompagnato da un aumento delle malattie non trasmissibili e croniche, generando una maggiore pressione sui sistemi sanitari e di assistenza socio-sanitaria.

Il combinato di più persone anziane e di una spesa sanitaria proporzionalmente maggiore farà sì che larga parte dell’incremento di spesa sia concentrato nelle fasce più anziane della popolazione che porterà a incidere in modo significativo sul PIL.

Il rischio? Il peso della sanità sul PIL

In numeri: l’invecchiamento della popolazione e gli impatti delle patologie croniche proiettano la spesa sanitaria in percentuale sul PIL dal valore attuale di 6,6% all’8,3% nel 2050 passando da 116 miliardi di euro di oggi a 213 miliardi di euro del 2050.

Infine, c’è il nodo della spesa out-of-pocket, ossia la spesa sanitaria privata (non coperta dal Servizio Sanitario Nazionale). Scomponendo le cifre, si può identificarne una diversa composizione nei vari Paesi europei analizzati. In Irlanda, Francia e Paesi Bassi la componente intermediata – da assicurazioni o fondi integrativi – raggiunge un’incidenza sulla spesa sanitaria privata superiore al 40%, dovuta alla maggiore diffusione di forme di assicurazione complementari che riducono la necessità di sostenere spese out-of-pocket.

Al contrario, in Svezia e in Italia, data la più modesta entità del mercato assicurativo e dei fondi integrativi, è presente uno sbilanciamento della spesa privata verso la componente out-of-pocket (che rappresenta rispettivamente il 92% e il 91% della spesa sanitaria privata di questi Paesi). Un chiaro segnale che indica la necessità di puntare sulla sanità integrativa non per sostituire il Servizio Sanitario nazionale, che fino ad oggi ci ha consentito di avere lo stato di salute migliore d’Europa, ma per garantirne la sostenibilità nel tempo.

Istituto Auxologico, eccellenza high tech e ricerca

L’Istituto Auxologico è presente in Lombardia e Piemonte con 13 strutture, eccelle in diversi ambiti e offre servizi ad hoc.

L’Istituto Auxologico Italiano, che quest’anno raggiunge il traguardo dei 60 anni di attività, è una Fondazione no-profit. Tra le sue finalità la ricerca scientifica e l’attività di cura dei pazienti a livello ospedaliero e ambulatoriale. Le attività cliniche e scientifiche si rivolgono allo studio dello sviluppo umano dal concepimento all’età matura, come indica l’etimologia del nome. Fondato nel 1958, fin dal 1972 è riconosciuto dal Ministero della Salute come Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS). Auxologico è presente in Lombardia e in Piemonte con 13 strutture ospedaliere, poliambulatoriali e di ricerca che lavorano in stretta sinergia per offrire le migliori opzioni diagnostiche e le cure più appropriate a circa un milione di pazienti.

Gli ambiti di eccellenza dell’Istituto comprendono le malattie cerebro-cardiovascolari, neurodegenerative, endocrino-metaboliche, immunologiche e dell’invecchiamento. La medicina riabilitativa, trasversale a diverse patologie, è un altro ambito riconosciuto di eccellenza, così come la cura dell’obesità, con particolare riferimento ad Auxologico Piancavallo, centro di riferimento nazionale. Ampio spazio è dato alle indagini genetiche e molecolari, alla chirurgia robotica e mini invasiva, ma anche alla chirurgia tradizionale negli ambiti dell’ortopedia, dell’oculistica, della urologia, della chirurgia generale e della tiroide (con la presenza del robot DaVinci).

Tutto il personale dell’Istituto Auxologico monitora e migliora continuamente la qualità del servizio. Il controllo della qualità e della sicurezza dei processi di erogazione delle cure è fondamentale per l’ambito sanitario; inoltre l’Istituto è certificato ISO 9001 da più di dieci anni. Per andare incontro alle esigenze di prevenzione e cura anche nei luoghi di lavoro, l’Istituto ha inoltre ideato servizi specifici per aziende o altri enti. Dalla Medicina del lavoro alle convenzioni, dai check up fino a vere e proprie campagne di prevenzione, i servizi per le aziende sono uno strumento efficace per aumentare la produttività e il benessere di dipendenti e collaboratori.

Auxologico Mosè Bianchi – La riabilitazione neuromotoria attraverso la realtà virtuale (CAVE)

Intervista al Presidente Federmanager, Stefano Cuzzilla

“Avanti tutta con strategia e visione”: ecco lo spirito del programma di Stefano Cuzzilla, riconfermato Presidente di Federmanager, che punta sulla condivisione dei valori per affrontare le sfide del futuro.

Lo scorso 9 novembre, infatti, il Congresso Federmanager ha confermato alla guida dell’Organizzazione Stefano Cuzzilla, che avvia ora il suo secondo mandato di Presidente. Gli abbiamo rivolto alcune domande per conoscere i dettagli del Programma che intende attuare da qui al 2021.

Presidente, il titolo del suo Programma, “Avanti tutta”, è anche un incoraggiamento a proseguire con slancio il percorso intrapreso. Tra i dieci punti programmatici che ha indicato, da dove inizierà?
Federmanager è riuscita nello straordinario risultato di accrescere il numero degli associati, seppur lievemente, nel momento in cui il ruolo dei corpi intermedi veniva messo in discussione e la crisi si abbatteva sulle imprese, causando la fuoriuscita di molti colleghi dalle aziende. Questo sistema ha tenuto fino ad oggi perché abbiamo investito sui servizi, partendo da una forte condivisione valoriale. Noi siamo convinti che lo stare insieme, il riconoscersi parte di una collettività, sia ancora un bisogno sentito. Ecco perché ho posto come obiettivo primario del programma la costruzione di una rappresentanza forte nei numeri e più vicina ai manager e alle loro esigenze, che possa attrarre in particolare i giovani manager e possa aprire la base dei potenziali associati in coerenza con l’evoluzione del mercato del lavoro.

“Strategia e visione per accelerare il cambiamento”: come intendete essere protagonisti del cambiamento?
È tutto in rapida trasformazione e noi dobbiamo essere in grado di influenzare le politiche generali che impattano sul nostro futuro. Per questo intendo proseguire la nostra attività di accreditamento istituzionale avviata nel precedente mandato estendendo questa apertura verso altri portatori di interesse. Vogliamo intensificare anche l’attività di ricerca e sviluppo con una squadra di esperti per essere pronti a dare le risposte giuste alla politica sui temi di nostro interesse. Per dare fiducia al sistema produttivo servono strumenti di lungo periodo: ci impegneremo perché l’industria, nostro settore di riferimento, possa tornare a essere al centro dell’agenda di governo.

Ha definito il welfare “il nostro fiore all’occhiello”. Quali sono le sfide principali sul tema?
Sanità integrativa e previdenza complementare sono i pilastri su cui Federmanager ha da tempo investito, insieme alla formazione finanziata e ad altri strumenti di sostegno più recenti. Si tratta di un bagaglio ricchissimo per i manager durante la carriera ma anche dopo il pensionamento. La solidità dei nostri Enti è una garanzia soprattutto nella fase attuale: è di questi giorni la notizia che, per la prima volta dal 1861, la popolazione over 60 ha superato quella over 30. Proprio mentre l’aumento delle aspettative di vita e il tasso di sostituzione tra persone in attività e popolazione in pensione mettono a rischio il patto tra le generazioni, assistiamo a una progressiva ritirata del welfare pubblico. Se consideriamo questo contesto, capiamo quanto sia fondamentale consolidare il nostro sistema di welfare integrativo.

Come intende riuscirci?
Garantiremo a Enti e Società del sistema sostenibilità economica ed eccellenza operativa. Daremo più forza a sanità, previdenza, formazione e politiche attive del lavoro muovendoci come player competitivo sul mercato, al pari di altri soggetti. Dovremo sfruttare le grandi potenzialità del welfare contrattuale, allargare il più possibile le tutele, personalizzare le soluzioni, intervenire nelle aree dove il rischio è più alto, come ad esempio la protezione della non autosufficienza. Infine, come obiettivo programmatico, selezioneremo e formeremo una squadra di manager al nostro interno con il know-how necessario a valorizzare questo nostro grande patrimonio.

C’è un messaggio che vuole indirizzare ai manager associati?
Posso solo dire che continuerò con la determinazione di ieri. È forte la motivazione a fare cose grandi per la categoria e per il Paese. Siamo riusciti a rendere Federmanager un soggetto protagonista nei confronti del mondo dell’impresa, della società, della politica. Abbiamo l’ambizione di fare ancora di più. Quindi ai colleghi dico che le porte della Federazione sono spalancate a chi vuole farsi avanti e partecipare. Questo sistema cammina sulle vostre idee e sulla vostra capacità di fare!

Long Term Care, ampliati i vantaggi per il 2019

Per la terza volta in cinque anni il Fondo migliora le tutele per gli iscritti under e over 65 anni con ulteriori vantaggi, come aumenti di rendite e massimali mensili.

Con l’inizio del nuovo anno Assidai migliora ancora – per la terza volta in cinque anni – le tutele in caso di non autosufficienza a favore degli iscritti. Dopo la svolta impressa nel 2015 (quando la copertura era stata estesa anche al coniuge o al convivente more uxorio dell’iscritto) e quella del 2017 (tra l’altro furono introdotti un aumento della rendita per gli under 65 e prestazioni più ricche per gli over 65), il Fondo ha deciso di “rilanciare” ancora nel 2019.

I vantaggi della Long Term Care di Assidai

Che cosa cambia nel dettaglio e come? Anche questa volta bisogna distinguere tra l’iscritto sotto i 65 anni di età o sopra questa soglia. Nel primo caso, per le prestazioni in caso di non autosufficienza garantite a favore del caponucleo (iscritto) e del coniuge/convivente more uxorio o dei figli risultanti dallo stato di famiglia fino al 26° anno di età (siano essi legittimi, naturali, legittimati, adottivi e in affido preadottivo) la rendita vitalizia aumenta. Con tre distinguo:

  • nel caso standard da 1.100 euro (13.200 euro annui) a 1.200 euro (14.400 euro annui);
  • se il figlio è minorenne da 1.430 euro (17.160 euro annui) a 1.560 euro (18.720 euro annui);
  • se il figlio è disabile da 2.200 euro (26.400 euro annui) a 2.400 euro (28.800 euro annui).

Diverso il discorso se l’iscritto ha più di 65 anni: in questo caso per il caponucleo iscritto e/o il relativo coniuge/convivente more uxorio, è stata prevista l’estensione dell’assistenza infermieristica domiciliare, che prevede un massimale di 1.000 euro mensili, per un ulteriore mese e quindi per un massimo di 300 giorni per anno assicurativo per assistito (in precedenza era di 270 giorni).

Questa ulteriore mossa di Assidai, che va innanzitutto a vantaggio e tutela degli iscritti, dimostra ancora una volta come il Fondo sia da sempre in prima linea sulle coperture Long Term Care, un tema destinato ad avere sempre più peso in Italia e negli altri Paesi europei alla luce del trend di invecchiamento della popolazione e delle difficoltà del Sistema Sanitario Nazionale. In Italia – va sottolineato – non esiste una vera e propria esperienza in ambito di coperture LTC come succede invece in altri Paesi europei. Assidai, invece, fin dal 2010 ha deciso in modo assolutamente innovativo di essere accanto ai propri iscritti introducendo le coperture del rischio di non autosufficienza che, nel giro di pochi anni, hanno visto aumentare il livello delle prestazioni garantite.

La definizione di Long Term Care per Assidai

La definizione di non autosufficienza varia in base all’età dell’assistito. Fino a 65 anni la perdita di autosufficienza avviene quando l’assistito a causa di una malattia, di una lesione o della perdita delle forze si trovi in uno stato tale da aver bisogno, prevedibilmente per sempre, quotidianamente e in misura notevole, dell’assistenza di un’altra persona nel compiere almeno quattro delle seguenti sei attività elementari della vita quotidiana: lavarsi, vestirsi e/o svestirsi, mobilità, spostarsi, andare in bagno, bere e/o mangiare.

Dal 66esimo anno di età, la perdita di autosufficienza avviene quando l’assistito è incapace di compiere in modo totale, e presumibilmente permanente, almeno tre delle attività elementari della vita quotidiana (sopra citate) e necessita di assistenza continuativa da parte di una terza persona per lo svolgimento delle stesse.

Studio sulla Long Term Care di Cergas Sda Bocconi

In merito alla Long Term Care è interessante l’analisi dello studio promosso da Cergas Sda Bocconi, che sottolinea come le prestazioni pubbliche raggiungano solamente il 31,8% della popolazione non autosufficiente bisognosa di prestazioni specifiche.

L’Italia invecchia e ci sono sempre più over 65 non autosufficienti (per la precisione 2.847.814 di persone, uniformemente distribuite su tutte le Regioni), ma le risorse investite restano le stesse. È questo in sintesi il messaggio lanciato dal primo rapporto sull’innovazione e il cambiamento nel settore Long Term Care (LTC), realizzato dal Cergas (Centro di Ricerche sulla Gestione dell’Assistenza Sanitaria e Sociale) Sda Bocconi, che rimarca il ruolo di un “esercito silenzioso” di ben 8 milioni di caregiver familiari, i quali ogni giorno assistono i propri cari non più autonomi affiancandosi a 983mila badanti (di cui il 60% sono irregolari).

I servizi di welfare pubblico più tradizionali (strutture residenziali, centri diurni e assistenza domiciliare) raggiungono solamente il 31,8% della popolazione bisognosa di LTC: basti pensare che i posti letto in strutture residenziali per anziani sono 270.020 (fonte del Ministero della Salute), ovvero circa un posto ogni 100 anziani non autosufficienti. Nel tempo, peraltro, i bisogni espressi dalle famiglie sono tuttavia diventati sempre più complessi, crescendo rapidamente e non trovando una facile e chiara collocazione nelle politiche pubbliche. Quest’ultime nel 2016 hanno speso per la Long Term Care l’1,8% del Pil, di cui circa due terzi della somma complessiva destinati a soggetti con più di 65 anni.

Si viene così a creare un sistema per la non autosufficienza a più velocità: da un lato le famiglie che sono riuscite ad accedere ai servizi finanziati dal sistema pubblico più protette e tutelate, dall’altra quelle che auto-organizzano l’assistenza con modelli emergenti e, ipotesi peggiore, quelle che rimangono sole, non riuscendo a organizzare in nessun modo il lavoro di cura. Il rischio è che si formi una forbice sempre più ampia tra i tre gruppi, con l’attenzione del policy maker pubblico rivolta ai primi (che corrispondono al 30% della popolazione) e gli altri completamente al di fuori di ogni rete di supporto.

Un aiuto, secondo lo studio di Cergas, potrebbe arrivare dall’innovazione tecnologica. In base a un sondaggio a cui hanno risposto 142 strutture per anziani, il 47% ha introdotto nell’ultimo periodo specifiche tecnologie come app, dispositivi di smart home, sensori di varia natura, dispositivi indossabili, con la finalità di rendere più efficiente ed efficace il caregiving e di migliorare la qualità dell’assistenza per l’anziano e la sua famiglia. Tuttavia, solo il 12% di queste è arrivato a un utilizzo maturo, mentre le altre sono ancora in fase di sperimentazione. Queste soluzioni sono riconosciute ad alto valore aggiunto, ma presentano ancora un potenziale inespresso che potrebbe rivoluzionare i modelli d’intervento nel settore con esiti difficilmente prevedibili sotto il profilo economico, della qualità e dell’equità.

L’innovazione potrebbe portare un aiuto: in base a un recente sondaggio il 47% delle strutture per anziani ha introdotto tecnologie, di cui tuttavia solo il 12% è arrivato a un utilizzo maturo.

C’è anche un “esercito silenzioso” di ben 8 milioni di caregiver familiari, che ogni giorno assiste i propri cari non più autonomi affiancandosi a 983mila badanti (di cui il 60% è irregolare).

Piano Sanitario Familiari per tutti i figli: grande novità nel 2019

In via straordinaria il Fondo rende disponibile l’iscrizione a tutti i figli degli iscritti oltre i 26 anni. Per tutto il mese di gennaio 2019 sarà ancora possibile aderire a questa importante opportunità!

Assidai è un Fondo inclusivo. Uno dei valori che contraddistingue l’assistenza sanitaria che offre, infatti, consiste nel prendersi cura non solo del singolo capo-nucleo iscritto, ma anche di tutta la sua famiglia. Alla base di ciò c’è una convinzione, anche essa tra i principi base di Assidai: garantire il benessere dei propri cari è fondamentale per vivere con maggiore serenità il proprio quotidiano.

Per questo motivo, Assidai ha deciso in via del tutto straordinaria per il 2019 e in deroga al Regolamento del Fondo, l’iscrizione al Piano Sanitario Familiari a tutti i figli degli iscritti che hanno superato il 26esimo anno di età ed eventualmente anche al loro nucleo familiare. L’iscrizione al Piano Sanitario Familiari – va sottolineato – offre svariati e significativi vantaggi.

Piano Sanitario Familiari, ecco i dettagli

Qualche esempio? L’iscrizione è valida fino al 55esimo anno di età, c’è l’impossibilità di recesso unilaterale da parte del Fondo e le coperture sono garantite in tutto il mondo. Inoltre, al momento dell’iscrizione non è previsto alcun questionario anamnestico (un documento in cui viene richiesta una serie di informazioni relative allo stato di salute e alle precedenti malattie o infortuni). In aggiunta, il Piano Sanitario Familiari include importanti prestazioni in caso di malattia o infortunio che durante il periodo dell’iscrizione provochino uno stato di non autosufficienza (la cosiddetta Long Term Care).

Va ricordato, infine, che per questa specifica opportunità “Piano Sanitario Familiari 2019” sono escluse dal rimborso le spese relative a malattie e/o infortuni intervenute prima dell’iscrizione e sostenute nei 730 giorni successivi all’iscrizione.

La sanità italiana è più forte dei tagli

La Corte dei Conti difende il Servizio Sanitario Nazionale che “ha preservato la qualità dei servizi ai cittadini” nonostante la razionalizzazione della spesa pubblica.

Il Servizio Sanitario Nazionale ha saputo proporre “scelte e metodologie organizzative profondamente innovatrici, in grado di preservare i livelli qualitativi dei servizi resi ai cittadini”. A maggior ragione visti i numerosi interventi in tema di razionalizzazione della spesa che si sono abbattuti sul comparto sanitario con tagli “spesso troppo lineari”. È una sentenza chiara quella emessa di recente dalla Corte dei Conti, per bocca del procuratore generale Alberto Avoli, che si è espresso nel tradizionale appuntamento della presentazione del “Giudizio di parificazione sul rendiconto generale dello Stato per l’esercizio finanziario 2017”. In altre parole, la sanità italiana conferma la propria solidità strutturale: a fronte delle persistenti difficoltà a far quadrare i conti pubblici, che inevitabilmente si riflettono anche sulle risorse a disposizione, continua infatti a garantire ai cittadini un servizio universalistico, gratuito (ticket permettendo) e di qualità. Caratteristiche che fanno del Servizio Sanitario un caso quasi unico al mondo, ma pongono inevitabilmente anche un tema di sostenibilità futura, che – a fronte anche dell’invecchiamento della popolazione – non potrà prescindere dallo sviluppo di una “stampella” privata (non alternativa, ma complementare al pubblico) con fondi integrativi come Assidai pronti a fare la propria parte.

Spesa in leggero aumento, calano deficit e debito

Secondo i numeri della magistratura contabile, nel 2017 la spesa sanitaria pubblica è stata pari a 117,47 miliardi (+1,34% rispetto al 2016), finanziata quasi interamente dal gettito tributario con una incidenza del 6,85% sul PIL, a fronte di una spesa pro capite salita a 1.939 euro dai 1.912 del 2016. In realtà, già a marzo la Corte dei Conti si era espressa sulla sanità italiana, sottolineando che, se confrontata con quelle dei maggiori Paesi europei, resta tra le (relativamente) meno costose, pur garantendo, nel complesso, l’erogazione di “buoni servizi”, anche se va tenuta alta la guardia sulla cosiddetta spesa out of pocket. Tra gli altri elementi positivi, inoltre, era stato sottolineato il calo del deficit (ridotto a 1 miliardo dai 6 miliardi di 10 anni prima e con buone prospettive di rientro) e l’abbattimento del debito verso i fornitori (-40% tra il 2012 e il 2016).

I trend negativi: investimenti e mobilità territoriale

La Corte dei Conti, tuttavia, ha evidenziato anche altri trend meno positivi che riguardano il Servizio Sanitario Nazionale. Tra questi, dando uno sguardo più approfondito alle varie componenti della spesa, spicca la contrazione della spesa per investimenti infrastrutturali e tecnologici, il che “determina e aggrava il significativo tasso di obsolescenza delle tecnologie a disposizione delle strutture”, sottolinea la magistratura contabile. Con un dato preoccupante: circa un terzo delle apparecchiature è operativo da più di 10 anni ed ha bisogno di frequenti manutenzioni che le rendono indisponibili per lungo tempo. Infine c’è il tema delle disparità territoriali, con differenze nella qualità e nella disponibilità dei servizi fra le varie Regioni: una situazione di diseguaglianza la cui prova lampante è la crescente incidenza della mobilità sanitaria, cioè il fatto che sempre più persone si spostino dalla sede di residenza per curarsi.

“Tra i trend meno positivi la contrazione della spesa per investimenti infrastrutturali e tecnologici e le disparità regionali che alimentano la crescente dinamica della mobilità territoriale”

“Nel 2017 la spesa sanitaria pubblica è stata pari a 117,47 miliardi (+1,34% sul 2016), finanziata quasi interamente dal gettito tributario, a fronte di una spesa pro capite salita a 1.939 euro rispetto ai 1.912 del 2016″

Come sostenere la natalità

Il punto di vista di Stefano Cuzzilla, Presidente Federmanager

Il tasso di natalità italiano, pari a 1,34 figli per donna, è tra i più bassi in Europa. Dobbiamo preoccuparcene perché se cambia l’organizzazione sociale, anche il welfare e le ricette economiche di sostenibilità devono modificarsi. Federmanager è in prima linea per trovare soluzioni concrete. I nostri Fondi sanitari tutelano la famiglia, prevedendo la possibilità di dare copertura sanitaria al nucleo familiare. Ma occorre sostenere un cambiamento culturale in azienda, dove il tema della maternità deve diventare un tema di sviluppo.

Le soft skills femminili rappresentano un valore capace di risultati tangibili. Tuttavia, tra il 2011 al 2016 115mila neo-mamme hanno abbandonato il posto di lavoro. Questo dato esplicita quanto ancora sia difficile per una donna realizzare ambizioni professionali e, al tempo stesso, creare una famiglia.
Anche per questo stiamo organizzando, in partnership con la Santa Sede, un convegno internazionale che si terrà il 4 maggio 2018 sul tema “L’altra dimensione del management. Il valore aggiunto delle donne tra impresa, famiglia e società”. Un’iniziativa per sensibilizzare aziende e istituzioni ad adottare politiche di welfare e strumenti come lo smart working, funzionali non solo a un maggiore profitto ma anche a un miglior equilibrio sociale. Il beneficio che ne trarremo sarà una conquista di tutti, non solo delle donne.