Columbus Clinic Center: innovazione e qualità

Il paziente viene seguito in tutte le fasi del percorso in un contesto di altissimo livello tecnologico e professionale.

La Clinica Columbus è una Casa di Cura privata nel cuore di Milano, che offre prestazioni medico-chirurgiche di alto livello e ha stipulato convenzioni con i principali fondi integrativi e assicurativi tra cui Assidai in forma diretta.

Il paziente viene seguito da professionisti di comprovata esperienza in tutte le fasi del percorso clinico: indagini diagnostiche, trattamento chirurgico, ricovero ed eventualmente anche nella fase di riabilitazione.

La Clinica Columbus è dotata di sette sale operatorie di altissimo livello tecnologico, sempre mantenute all’avanguardia per realizzare interventi secondo le più moderne tecniche chirurgiche, come ad esempio la sala operatoria “ibrida” dove vengono effettuate procedure di cardiologia e radiologia interventistica, elettrofisiologia e chirurgia endovascolare. La struttura è inoltre dotata della strumentazione più innovativa nel campo della chirurgia robotica. Nei blocchi operatori sono infatti presenti sofisticate apparecchiature come il Robot da Vinci X.

Nel 2018 è stato eseguito anche un restyling del 4° piano di degenza con interni moderni e camere luminose, per migliorare l’organizzazione dei servizi e il comfort di pazienti e operatori. Il piano Executive è dotato di 15 nuove camere con opzione di videosorveglianza e videochiamate e grazie all’utilizzo di una connessione remota il medico può monitorare il paziente per garantire una maggiore interazione e un servizio immediato.

La casa di cura dispone di tre letti di terapia intensiva per esigenze post-operatorie e garantisce un servizio di assistenza medica e anestesiologica H24.

La Clinica si fonda su un insieme di valori professionali ed etici che guidano il quotidiano operare quali: professionalità, formazione, collaborazione e trasparenza. L’attenzione è rivolta verso la costante evoluzione della medicina e il piacere di fare sentire i pazienti in un luogo tecnologicamente attrezzato, protetto e confortevole.

Welfare aziendale nelle ultime Leggi di Bilancio

Secondo Attilio Gugiatti (Cergas-Bocconi) bisogna affrontare gli attuali e futuri grandi problemi del welfare, ovvero cronicità, non autosufficienza e sostegno in periodi di mancanza di lavoro e tutela. Per farlo il welfare aziendale è uno strumento adeguato.

Grazie all’impulso fornito dalle ultime Leggi di Bilancio il welfare aziendale è diventato “una componente rilevante delle relazioni industriali, rafforzando al tempo stesso il suo ruolo di integrazione e complementarietà rispetto alle misure più classiche di welfare”. Tuttavia, l’ultima manovra “ha imposto una brusca frenata a questo percorso, concentrandosi più su misure di tipo assistenzialistico che improntate a un concetto premiante dell’istituto del lavoro”. è questa, in estrema sintesi, l’opinione di Attilio Gugiatti, Ricercatore presso il Cergas, Centro di Ricerche dell’Università Bocconi sulla Gestione dell’Assistenza Sanitaria e Sociale nato nel 1978.

Partiamo dai dati. Qual è ad oggi la diffusione del welfare aziendale in Italia?

E’ stato introdotto all’incirca in un’azienda su due. Più nel dettaglio, secondo i numeri forniti dal Ministero del Lavoro a metà dicembre, su 17.630 contratti attivi a livello aziendale e territoriale, le misure di welfare aziendale erano previste in 8.231 di questi, ovvero nel 46,6% delle imprese. Il Terzo Rapporto di Welfare Index PMI su un campione di oltre 4.000 piccole e medie imprese evidenzia che il 41% ha attivato iniziative in almeno quattro aree di welfare aziendale, soprattutto nell’ambito della previdenza e della sanità integrative, ma anche in aree più innovative come conciliazione vita-lavoro, cultura e tempo libero e nel welfare comunitario. Sono dati rilevanti, figli delle importanti misure di sostegno adottate negli ultimi anni, che hanno contribuito – peraltro in un periodo di crisi economica – a dare vita a una nuova forma di relazioni industriali per promuovere istituti alternativi di welfare che affiancassero quelli tradizionali. Un percorso che ha come obiettivo finale il benessere sia dei lavoratori sia delle imprese.

Ciò si deve alle principali misure introdotte fino ad oggi?

Le misure di agevolazione fiscale sono state utilizzate in maniera crescente per favorire la creazione di uno spazio complementare che affiancasse i tradizionali istituti del welfare. Mi riferisco alle agevolazioni previste per lo sviluppo della previdenza e della sanità integrativa che interessano oggi milioni di lavoratori, allargando spesso i benefici anche ai familiari. Poi, le Leggi di Bilancio per il 2016 e il 2017 hanno dato un impulso notevole allo sviluppo di forme innovative e complementari di welfare, rafforzando le agevolazioni fiscali.

Nell’ultima Legge di Bilancio non si interviene su queste agevolazioni ma, al tempo stesso, non c’è alcun loro potenziamento. Vede più il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto?

La vedo così: se ho un percorso di sviluppo del welfare aziendale e ogni anno aggiungo un pezzettino, se un anno non cambia niente è un peggioramento. Anche perché la spesa sanitaria privata nel 2017 era a 40 miliardi di euro e nel 2018 è aumentata ancora, incrementando il peso della spesa out of pocket per le famiglie alle prese con le crescenti difficoltà del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). La coperta, insomma, è sempre più corta e il non avere posto integrazioni e riflessioni sul welfare aziendale nell’ultima manovra è un chiaro messaggio politico: si preferisce ragionare in un’ottica assistenzialista piuttosto che di incentivo all’appetibilità di un posto di lavoro e al miglioramento delle relazioni industriali. Un cambio di prospettiva dimostrato anche dal fatto che la manovra ha collocato il tema del welfare aziendale nell’ambito delle politiche della famiglia, che sono solo una piccola parte del welfare, abolendo al tempo stesso la sperimentazione del bonus per le madri lavoratrici per potenziare marginalmente il bonus bebè.

Che cosa serviva invece a suo parere?

Ulteriori incentivi per affrontare gli attuali e futuri grandi problemi del welfare, ovvero cronicità, non autosufficienza e sostegno in periodi di mancanza di lavoro e tutela. Questa Legge di Bilancio non ha avviato alcuna riflessione organica sul welfare socio-sanitario del paese. La popolazione cronica cresce in modo rilevante e per il sesto anno di fila le risorse del Servizio sanitario Nazionale (SSN) sono ferme, portandoci a 1800 Euro di spesa per abitante contro i 2.600 Euro degli inglesi e i 3.300 Euro dei tedeschi. In questo quadro di povertà di risorse e programmatorie risulta altrettanto parziale e frammentata la visione sul welfare aziendale, che si sviluppa positivamente e in forme innovative al di fuori di una necessaria e chiara prospettiva di marcia.

In questo scenario, qual è il ruolo dei fondi sanitari integrativi?

Dal 2010 al 2017 gli italiani coperti da forme di sanità integrativa sono aumentati da 6 milioni a 13 milioni, principalmente lavoratori. Non sono numeri di poco conto. La spesa intermediata si attesta invece attorno a 6 miliardi, a fronte di una spesa sanitaria privata di circa 40 miliardi. Fino ad oggi abbiamo ottenuto un grosso risultato ma c’è ancora molta strada da fare, anche in un’ottica di sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale, che dovrà sempre più fare i conti con le ristrettezze di spesa, il progressivo invecchiamento della popolazione e l’aumento delle cronicità, nonché con l’insufficiente ricambio dei professionisti, specie nell’ambito della medicina generale.

Gruppo CDC, diagnostica d’eccellenza per il Piemonte

Con oltre 30 sedi dislocate in modo capillare nella Regione offre prestazioni di qualità, in tempi brevi, con personale esperto e ad alto contenuto tecnologico

Una delle realtà sanitarie più significative e dinamiche del Piemonte, specializzata su un’attività diagnostica completa e di alta qualità, garantita da oltre 30 sedi dislocate in modo capillare su tutto il territorio regionale. È questo, in estrema sintesi il Gruppo CDC – convenzionato in forma diretta con Assidai – nato a Torino nel 1974 e poi sviluppatosi in tutto il Piemonte seguendo una strategia di crescita territoriale molto chiara, che consiste nel replicare il modello di efficienza della sede originaria del capoluogo piemontese, caratterizzata da prestazioni di qualità, erogate in tempi brevi, con personale qualificato e strumentazione di ultima generazione.

Il Gruppo CDC offre dunque ai propri pazienti un percorso diagnostico completo e garantisce un servizio di elevata qualità, avvalendosi per ogni ambito clinico della collaborazione di professionisti medici e tecnici di consolidata esperienza e del supporto di tecnologie e apparecchiature sempre più moderne e sofisticate. L’obiettivo è duplice: la soddisfazione delle esigenze dei pazienti e il miglioramento continuo delle prestazioni erogate sia in regime di accreditamento con il Servizio Sanitario Nazionale sia privatamente.

Qualche esempio delle eccellenze del Gruppo? Il Laboratorio di analisi, certificato ISO 9001:2015, effettua oltre 1.000 tipologie di esami, grazie alla presenza interna di tutte le specialità e garantisce un trasporto dei campioni sempre monitorato e a temperatura controllata. La Diagnostica per immagini, invece, offre 12 servizi di radiologia, 58 servizi di diagnostica ultrasonica (ecografia, ecodoppler, ecocardiodoppler), sei servizi di Risonanza magnetica, un servizio TC, sei servizi di TC dentale, due servizi di mammografia e diagnostica senologica, tre servizi di densitometria ossea. Ancora: il Poliambulatorio specialistico vanta 24 poliambulatori con 29 specializzazioni (dall’Allergologia alla Urologia) mentre il settore pediatrico può contare su sette centri pediatrici di eccellenza composti da equipe di pediatri specialisti nelle varie branche. Infine, il centro di Recupero e rieducazione funzionale si occupa di fisiatria, massoterapia, rieducazione individuale e di gruppo, terapie strumentali, logopedia, neuropsicomotricità e psicologia.

Per concludere, va ricordato che i servizi del Gruppo CDC ai pazienti offrono la possibilità di prenotazione online oltre che telefonica, referti online, app e area riservata MyCDC.

 

Ecco i sei grandi rischi della sedentarietà

La sedentarietà aumenta del 35% il rischio di patologie croniche, tra le quali il cancro, e stare seduti fino a 15 ore al giorno comporta diversi problemi per la salute. A dirlo sono i più recenti studi accademici in materia, che sottolineano come passare troppo tempo fermi possa produrre danni sia per il fisico (all’apparato cardiocircolatorio, in termini di sovrappeso, alle articolazioni) sia per la mente, in particolare alla memoria.

Ecco allora i sei grandi pericoli della sedentarietà.

Ansia e depressione

Secondo uno studio pubblicato su Mental Health and Physical Activity, maggiore è il tempo che si passa seduti, più aumenta il rischio di soffrire di disturbi psichici, quali ansia e depressione.

Dolore a collo e schiena

Una cattiva postura da seduti può portare problemi alle vertebre cervicali e a tutta la colonna, avverte il professor Gregory Billy, specialista in ortopedia e riabilitazione alla Penn State University.

Cancro

Una ricerca del Journal of the National Cancer Institute ha evidenziato come ogni due ore extra al giorno seduti aumenti il rischio di tumore al colon e all’endometrio rispettivamente dell’8 e del 10 per cento.

Obesità, diabete e problemi cardiaci

La sedentarietà incide sul metabolismo di grassi e zuccheri e sulla risposta dell’organismo all’insulina. Inoltre, il colesterolo può aumentare. Tutto ciò può quasi raddoppiare le probabilità di diabete e aumentare del 14% il rischio di malattie cardiovascolari.

Ossa fragili

Il movimento sollecita la colonna vertebrale in modo positivo, segnalando alle cellule di rinnovare il vecchio tessuto osseo. Quando invece si rimane troppo seduti il corpo rimpiazza meno di quello che perde, il che si traduce in ossa fragili e in un maggiore rischio di osteoporosi.

Coaguli di sangue

La sedentarietà rallenta il flusso sanguigno nelle gambe, aumentando il rischio di coaguli. Una condizione oltremodo rischiosa per le donne: secondo uno studio, chi resta seduta per più di 40 ore settimanali ha una probabilità più che doppia che un coagulo si sposti ai polmoni rispetto a chi siede per meno di 10 ore.

Fare sport riduce le “giornatacce”

Fare attività fisica in modo regolare aiuta anche la mente: riduce lo stress, previene la depressione e allevia i disturbi dell’umore. A dirlo è uno studio dei ricercatori della Yale University – USA – pubblicato sulla rivista “The Lancet Psychiatry”, che suggerisce anche il giusto tempo da dedicare al fitness: non più di cinque volte a settimana e non più di 90 minuti a sessione, andare oltre può essere controproducente per il benessere psichico. La ricerca ha analizzato i dati di oltre 1,2 milioni di persone, di età pari o superiore a 18 anni, raccolti tra il 2011 e il 2015, che ha fornito un risultato molto chiaro: i soggetti che praticavano una regolare attività fisica avevano trascorso, in media, 1,5 brutte giornate nel mese precedente contro le 3,4 “giornate no” (cioè il 43% in più) vissute da chi non si allenava con costanza. I ricercatori hanno anche osservato che tutti gli esercizi fisici hanno influenzato positivamente l’umore e le condizioni psichiche dei volontari, anche se i più “efficaci” da questo punto di vista sono stati gli sport di squadra (che hanno ridotto del 22,3% la quantità di brutte giornate), il ciclismo (21,6%) e l’aerobica (20,1%).

 

Giornata mondiale contro il cancro

È stato celebrato di recente il “World Cancer Day” promosso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms). Ecco le regole e i comportamenti da seguire per prevenire e battere la malattia più temuta

“I’m and I will”. Ovvero: chiunque tu sia hai il potere di ridurre l’impatto del cancro per te, per le persone che ami e per il mondo. È questo lo slogan del “World Cancer Day”, la Giornata mondiale contro il cancro promossa come ogni anno dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e celebrata in tutto il mondo lo scorso 4 febbraio. Del resto, i numeri parlano chiaro: solo in Italia nell’ultimo anno sono stati diagnosticati oltre 373mila nuovi casi, più di 1.000 al giorno. E le previsioni per il prossimo decennio indicano che nel 2030 il cancro sarà la principale causa di morte nel mondo con 21,6 milioni di nuovi casi all’anno.

Italia leader in Europa

In questo quadro c’è tuttavia una buona notizia: i numeri dicono che l’Italia è un’eccellenza nell’ambito della ricerca oncologica. Anche a livello internazionale: nel nostro Paese si guarisce di più, anzi siamo ai vertici europei di questa speciale classifica. Nel dettaglio, la sopravvivenza a cinque anni è aumentata rispetto al quinquennio precedente sia per gli uomini (dal 51% al 54%) sia per le donne (dal 60% al 63%). Non solo: nel nostro Paese ad oggi ci sono oltre 3,3 milioni di persone che hanno superato una diagnosi di cancro e in molti casi hanno un’aspettativa di vita paragonabile a quella di chi non si è mai ammalato.

La prevenzione “primaria”

Di certo, per battere il cancro non bastano soltanto diagnosi precoci e cure sempre più efficaci (come ha sottolineato nell’intervista a Welfare 24 il Professore Paolo Veronesi – IEO) ma servono anche abitudini e comportamenti più salutari. A ribadire questo concetto, di recente, è stato il World Cancer Research Fund – Fondo Mondiale per la Ricerca sul Cancro (WCRF) che da anni si occupa di studiare come dieta, peso e attività fisica possono influire sul rischio di sviluppare un tumore. Dopo un lavoro di revisione di migliaia di studi con criteri standardizzati, lo stesso WCRF ha pubblicato un decalogo d’oro: dieci regole che, se rispettate, possono ridurre in modo sensibile il rischio di ammalarsi di tumore. Tutto ciò tenendo sempre ben presente un concetto: il tabacco è la principale causa evitabile di malattia e morte nel mondo ed è anche la principale causa dello sviluppo di cancro.

Le 10 regole d’oro della prevenzione

Vediamo allora nel dettaglio le regole anti-cancro del WCRF. Innanzitutto, bisogna mantenere il peso più adeguato in ogni fase della vita (a partire dall’infanzia) e fare attività fisica, cioè quantomeno muoversi ogni giorno. Poi va seguita una dieta ricca e variegata (soprattutto con fibre, frutta e verdura) e limitare al contempo il consumo dei cosiddetti cibi spazzatura. Bisogna inoltre porre un limite anche alle carni rosse e lavorate (possibilmente eliminando prosciutti e insaccati) e alle bevande zuccherate. C’è poi il tema degli alcolici: sono molti i dati che dimostrano il legame tra il consumo di queste bevande e lo sviluppo di tumori. Inoltre, meglio non utilizzare gli integratori per prevenire il cancro e allattare al seno i bambini. Infine, dopo una diagnosi di cancro vanno seguite le raccomandazioni del WCRF, concordando in ogni caso con il proprio medico la dieta individuale più adatta a ciascun singolo caso.

Il decalogo della salute contro il cancro

  1. Mantieni il peso forma – Evita di ingrassare da adulto e tieni sotto controllo il peso dei bambini. L’eccesso di peso e l’obesità sono all’origine di dodici tumori diversi.
  2. Fai attività fisica – L’attività fisica protegge da diversi tipi di tumore. L’OMS consiglia agli adulti di muoversi ogni giorno e di fare ogni settimana almeno 150 minuti di attività fisica moderata.
  3. Segui una dieta variegata – Cereali integrali, fibre e vegetali proteggono contro diversi tipi di cancro. Si raccomanda di mangiare ogni giorno almeno 30 g di fibre e 400 gr di frutta e verdura.
  4. Riduci il consumo di cibi spazzatura – Attenzione anche a cibi trasformati e confezionati e a bevande come milk-shake e cole, alimenti ricchi di grassi, zuccheri e amidi che contengono molte calorie.
  5. Limita il consumo di carni rosse e lavorate – Consuma al massimo tre porzioni di carne rossa alla settimana (circa 350-500 grammi di carne cotta), e non consumare, o limita al massimo, la carne rossa processata, ovvero i prosciutti, gli insaccati e così via.
  6. Modera il consumo di bevande zuccherate – Non esistono evidenze scientifiche che colleghino il consumo di bevande zuccherate allo sviluppo di neoplasie, ma è chiaro che contribuiscono al sovrappeso e all’obesità, correlati a 12 tipi diversi di tumore.
  7. Stop al consumo di alcolici – Molti studi mostrano il legame tra il consumo di alcolici/sviluppo di tumori. Non esiste una soglia di sicurezza: meglio non berli.
  8. Non utilizzare gli integratori per prevenire il cancro – Una dieta varia ed equilibrata basta a soddisfare i fabbisogni di micronutrienti e a proteggere da molti tipi di tumore.
  9. Allatta al seno – Protegge la mamma dal cancro alla mammella e aiuta il bambino a crescere con meno rischi di sovrappeso e obesità.
  10. Dopo una diagnosi di cancro segui le raccomandazioni del World Cancer Research Fund – Fondo Mondiale per la Ricerca sul Cancro (WCRF) – Chi ha già affrontato il cancro, una volta terminate le cure può ottenere benefici seguendo queste raccomandazioni. E’ sempre opportuno concordare con il proprio medico la dieta individuale più adatta a ciascun singolo caso.

Clinica Villalba, diagnostica all’avanguardia

Nella struttura della GVM Care & Research vengono usati macchinari innovativi. Da segnalare anche la divisione per la cura dei disturbi del sonno.

GVM Care & Research è uno tra i maggiori gruppi italiani attivi nel settore della sanità, ricerca e formazione medico scientifica, benessere e cure termali, ospitalità alberghiera, industria biomedicale, prodotti alimentari e servizi alle imprese. In particolare, la rete integrata di Ospedali Polispecialistici, di Alta Specialità e Poliambulatori è costituita da 27 Ospedali, 4 Poliambulatori, 2 RSA e 1 RA in Italia e 12 Centri clinici anche all’estero: si tratta del più esteso sistema di strutture sanitarie, capillare sul territorio italiano, che coinvolge oltre 8mila operatori di cui 3.538 medici. I suoi punti di forza? L’esperienza dei medici specialisti, la loro costante formazione, l’approccio multidisciplinare, le tecnologie d’avanguardia e gli investimenti.

Un esempio, in questo senso, arriva dall’attività di Clinica Privata Villalba a Bologna, convenzionata con Assidai, che si distingue – tra l’altro – per un focus relativo alla diagnostica, che comprende la TC Volumetrica 4D e la RM 1.5 T con sistema Ambient Experience, per la Sleep Clinic, divisione dedicata alla cura delle patologie del sonno, e per la Dental Unit, specializzata nella cura della salute orale, con interventi di implantologia computer guidata e impianti zigomatici 3D. In particolare, per la Diagnostica, la TC di Clinica Privata Villalba è in grado di acquisire in una singola rotazione della durata di circa 30 centesimi di secondo 640 strati comprensivi di un intero organo, come il cuore o il cervello, il fegato o la pelvi. La grande rapidità di acquisizione permette di coniugare la migliore qualità dell’immagine alla minore dose di radiazioni attualmente possibile. La nuova Risonanza Magnetica 1.5 Tesla digitale a banda larga è, invece, una strumentazione di altissima precisione che associa la qualità delle immagini a tempi di esecuzione ridotti, in un ambiente confortevole per adulti e bambini. Il nuovo Philips Ambient Experience, con monitor per video e un sistema dinamico di luci e suoni, rende la permanenza all’interno del macchinario – soprattutto per i pazienti claustrofobici – rilassante e piacevole grazie anche allo spazio interno più ampio e al lettino adatto anche alle corporature più robuste.

Infine, il tema del sonno, la cui importanza è percepita sempre più come fattore chiave per la qualità della vita. Diverse persone, tuttavia, non sanno ancora come affrontare i disturbi legati al riposo: una soluzione, in questo senso, può arrivare dalla Sleep Clinic di Clinica Privata Villalba, centro specializzato nella diagnosi e nel trattamento delle patologie del sonno. Il punto di forza del progetto è la gestione integrata del paziente da parte di un’équipe multidisciplinare composta da diversi specialisti esperti certificati in Medicina del Sonno. Neurologo, odontoiatra, otorinolaringoiatra, pneumologo, psicologo lavorano insieme per offrire un percorso diagnostico-terapeutico completo e qualificato, a misura di paziente.

Il 2019 tappa chiave del progetto Fasi

Intervista al presidente Garzia: “Siamo partiti 41 anni fa e ci consideriamo i precursori delle tutele contrattuali sulla sanità integrativa: ecco come premieremo la fedeltà degli iscritti”

“Il 2019 per il Fasi rappresenterà una tappa fondamentale del progetto, iniziato 41 anni fa, che ci ha visto precursori delle tutele contrattuali sulla sanità integrativa”. Così Marcello Garzia, Presidente del Fondo di Assistenza Sanitaria Integrativa per i Dirigenti di aziende produttrici di beni e servizi, annuncia le modifiche alle norme di iscrizione entrate in vigore con il nuovo anno. Cambiamenti che “premieranno la fedeltà degli iscritti, ricompensando il loro senso di appartenenza, perché da sempre il Fondo è ispirato ai principi di mutualità e solidarietà intergenerazionale”, continua Garzia, il quale sottolinea anche come sia “importante non dimenticare che il Fasi siamo noi: tutti insieme partecipiamo alla salvaguardia della sostenibilità nel medio-lungo periodo”.

Partiamo dalle imprese. Che cosa cambia dunque dal primo gennaio 2019?

Potranno iscriversi al Fondo esclusivamente le aziende che aderiscono al Fasi per l’assistenza ai propri dirigenti in servizio. Al tempo stesso resteranno comunque iscritte le aziende che utilizzano per i propri dirigenti in servizio fondi alternativi ma già iscritte allo scorso primo gennaio.

Parliamo invece delle novità che riguardano i dirigenti pensionati.

Potranno mantenere l’iscrizione tutti quei dirigenti che abbiano maturato una anzianità di iscrizione al Fasi, quali dirigenti in servizio, di almeno 10 anni ma potranno altresì iscriversi, in qualità di pensionati, tutti quei dirigenti in forza per almeno 10 anni presso aziende che utilizzano altri fondi per l’assistenza dei dirigenti in servizio, già iscritte al Fasi allo scorso primo gennaio. è importante sottolineare che queste due categorie di dirigenti pensionati potranno accedere alla riduzione massima del contributo.

Infine, ci sono i dirigenti pensionati convenzionali.

Potranno mantenere l’iscrizione al Fasi, in qualità di pensionati e in via convenzionale, quattro categorie. Innanzitutto, i dirigenti che non hanno maturato una anzianità di iscrizione al nostro Fondo, in qualità di dirigenti in servizio, di almeno 10 anni ma che hanno aderito al Fondo entro sei mesi dalla data di prima nomina. In secondo luogo, i dirigenti che non hanno maturato una anzianità di iscrizione al Fasi, in qualità di dirigenti in servizio, di almeno 10 anni ma che hanno mantenuto l’iscrizione in via convenzionale dopo la cessazione del rapporto di lavoro, per più di otto anni. In terzo luogo, i dirigenti in forza per meno di 10 anni presso aziende che utilizzano altri fondi per l’assistenza dei dirigenti in servizio, già iscritte al Fasi allo scorso primo gennaio. Infine, potranno mantenere l’iscrizione al Fondo i dirigenti che non hanno maturato una anzianità di iscrizione al Fasi, in qualità di dirigenti in servizio, di almeno 10 anni ma che risultano iscritti al Fondo alla data del primo aprile 2019.

Senza dimenticare, ovviamente, le opportunità per i dirigenti non iscritti.

Tutti i dirigenti che ad oggi non risultano iscritti, pur avendone i requisiti, possono comunque inoltrare l’iscrizione entro il 31.03.2019, acquisendo in questo modo il diritto al mantenimento dell’iscrizione una volta in pensione.
A riguardo si precisa che i dirigenti nominati da più di sei mesi che inoltreranno la domanda successivamente alla data del 31 marzo 2019, non potranno mantenere l’iscrizione al Fondo in qualità di pensionati senza aver maturato 10 anni di iscrizione in qualità di dirigenti in servizio.
Per questo motivo si vuole dare l’opportunità a tali dirigenti, attualmente in forza presso aziende che utilizzano il Fasi per l’assistenza dei propri dirigenti attivi, di acquisire il diritto al mantenimento dell’iscrizione da pensionati, in via convenzionale, inoltrando domanda entro e non oltre il termine del 31 marzo 2019.
Tale opportunità non riguarda i dirigenti in forza presso aziende che utilizzano fondi alternativi per l’assistenza dei dirigenti in servizio, la cui iscrizione è regolata da differenti norme.

Curate la pelle, la prevenzione è fondamentale

Intervista al Professor Nicola Mozzillo: “La migliore diagnosi precoce spesso la fanno i pazienti. Ma recarsi dal dermatologo, una volta l’anno, è altrettanto importante”

“Conosci la tua pelle, salvati la pelle”. è questa la massima preferita del Professor Nicola Mozzillo, luminare dei tumori della cute, Primario Emerito dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Napoli nonché Docente di Chirurgia del Melanoma all’Università Federico II di Napoli e Professore presso la Clinica Ruesch. “La migliore diagnosi precoce, molto spesso, la fanno i pazienti, – spiega – anche se recarsi dal dermatologo, una volta l’anno o quando notiamo un neo dall’evoluzione sospetta, è altrettanto importante”.

Professor Mozzillo, molti trascurano il fatto che la pelle è un organo molto importante di cui bisogna prendersi cura. Come va preservata e che accorgimenti vanno presi quando ci si espone al sole?

Dobbiamo partire da una premessa. Esistono diversi tipi di cute, cioè di fenotipi, che rappresentano a loro volta il modo in cui si manifesta il cosiddetto genotipo; ogni fenotipo ha una sensibilità diversa alle radiazioni solari. Per esempio, un soggetto nero è protetto quasi completamente dalla sua melanina; all’estremo opposto c’è il tipo scandinavo, con cute chiara e capelli biondi, sensibile più di chiunque altro ai raggi solari. Dunque, gli effetti dell’esposizione al sole, che è un fattore così temuto, dipendono dalla tipologia di individuo.

Quali sono le possibili mosse per prevenire l’insorgere di un melanoma?

Parliamo di prevenzione primaria. Come ho detto dipende molto dal tipo di cute. Un individuo “latino” può stare relativamente tranquillo, ferme restando le consuete avvertenze: evitare l’esposizione solare nelle ore centrali in estate e applicare la giusta protezione in situazioni particolari, come in barca o sulla neve. A tal proposito, va sottolineato che i raggi UV, cioè il 95% di quelli solari e che sono considerati responsabili dell’abbronzatura e di gran parte dei tumori, passano attraverso le nuvole, i vetri dell’auto e anche le magliette. In quest’ultimo caso bisogna utilizzare capi ad hoc che si trovano nei negozi sportivi. Poi ci sono i filtri solari, cioè le creme, e ne esistono di diversi tipi. Vanno applicate di frequente, stando attenti alla data di scadenza e al fatto che col sudore o dopo una doccia o un bagno tendono ad annullare il loro effetto. Attenzione però: i soggetti più sensibili, cioè i fenotipi scandinavi, anche con una super protezione non possono stare troppo al sole. Vorrei aggiungere una nota sulle lampade solari: sono micidiali. Basta pensare che il livello di radiazioni solari al suolo a mezzogiorno, in una giornata di luglio, è intorno a 50 watt, mentre un lettino solare ne diffonde tra 250 e 300 watt. Questo rappresenta un urto violentissimo sulle cellule epidermiche che incide sull’elica del Dna e che produce danni. Senza contare, e ciò vale soprattutto per le scottature, che il danno cutaneo si cumula anno dopo anno e una buona parte residua sempre.

Il melanoma è una malattia in costante crescita negli ultimi anni. Perché questo trend in ascesa e come contrastarlo?

Per tre motivi. Innanzitutto, perché ci si espone di più al sole rispetto al passato: adesso è di moda essere abbronzati. In secondo luogo, in Italia, si va perdendo quel carattere di latinità, e di pelle scura, che ci proteggeva maggiormente. Infine, il melanoma viene diagnosticato molto più di una volta, e spesso in fase precoce, cosa che a sua volta ha determinato un calo della mortalità.

Passiamo alla prevenzione secondaria. Come va controllato il proprio corpo per scoprire eventuali nei sospetti?

La migliore diagnosi precoce la fanno i pazienti. Bisogna abituarsi a mettersi davanti allo specchio e guardarsi regolarmente, davanti e dietro. Solo così si scopre il “brutto anatroccolo”, cioè un neo in cui è cambiato qualcosa, cioè la dimensione, la forma o il colore: è questo che deve fare scattare il campanello d’allarme. Anche perché dal dermatologo ha senso andare una volta all’anno o quando si ha qualche sospetto, non ogni mese. C’è una bellissima frase di Deville, uno studioso del settore, che rende il senso del ragionamento fatto finora: “il melanoma scrive sulla pelle la propria diagnosi col proprio inchiostro, basta leggerlo”.

Assidai offre gratuitamente ai propri iscritti un pacchetto di prevenzione che prevede una visita dermatologica gratuita e una mappatura completa dei nei. Come valuta questa iniziativa e l’adesione della Clinica Ruesch alla campagna di prevenzione?

È una campagna utilissima perché ha il merito di creare sensibilità, cioè di alzare l’attenzione del grande pubblico su un tema cruciale e poi perché offre una via facilitata a una visita specialistica. Un’iniziativa decisamente utile per chi non si è mai sottoposto a una visita dermatologica e una eventuale mappatura dei nei: un incontro con uno specialista dà la possibilità di fare domande e avere chiarimenti.

I nei e la loro evoluzione, cosa tenere d’occhio

Come distinguere un neo benigno da uno che sta degenerando in melanoma? La regola dell’alfabeto e le parti del corpo alle quali dobbiamo stare più attenti.

I nei sono macchie della pelle dovute all’accumulo di melanociti, le cellule che producono melanina, cioè il pigmento responsabile del colore della pelle e dell’abbronzatura. Rappresentano un’anomalia della pelle, ma sono fisiologici: la maggior parte delle persone ne ha un numero compreso tra i 10 e i 40; alcuni sono presenti fin dalla nascita, altri si formano nel corso della vita.

Ma quali sono le principali caratteristiche dei nei benigni? Di solito hanno una larghezza inferiore al mezzo centimetro, una forma tondeggiante con contorni definiti e un colore che va dal rosa al marrone scuro. La quasi totalità dei nei è completamente innocua.

Una minima parte, tuttavia, può degenerare e dare vita a un aggressivo cancro della pelle: il melanoma.

Come riconoscere un neo comune e benigno da uno che sta degenerando in melanoma? Quando si svolge il cosiddetto auto-esame della propria pelle, una formula semplice ma efficace da ricordare nasce dalle prime cinque lettere dell’alfabeto ed è spiegata nell’immagine in pagina. Si parte dalla A di asimmetria nella forma: un neo benigno è generalmente tondeggiante, mentre un melanoma è più irregolare. La B riguarda i bordi, che nel caso di una lesione tumorale possono essere irregolari e indistinti, mentre la C è il colore variabile, ossia con sfumature diverse all’interno del neo stesso, cosa che deve fare scattare un campanello d’allarme. Poi c’è la D di dimensioni: nel passato venivano considerati a rischio i nei sopra i 6 millimetri di diametro, ma la diagnosi precoce ha reso frequente il riscontro di melanomi di dimensioni minori. Infine, la E come evoluzione. Quando nell’arco di poche settimane o mesi si riscontrano cambiamenti nella forma, nel colore e nelle dimensioni del neo, oppure quando la lesione cutanea diviene rilevata (cioè sensibile al tatto) e palpabile oppure, ancora, quando sanguina spontaneamente, allora è il momento di rivolgersi al dermatologo.

Dove può svilupparsi un melanoma? In teoria in qualsiasi parte del corpo, anche se negli uomini sono più frequenti su testa, collo e tronco e nelle donne sugli arti. In realtà ci sono anche lesioni più subdole che normalmente sfuggono alla nostra attenzione, per esempio sul cuoio capelluto o tra le dita dei piedi: in questo caso è la visita dermatologica a fare la differenza.

Manager, praticare attività fisica ringiovanisce il corpo e la mente

Intervista alla guru del fitness Elena Casiraghi: “Curate anche l’alimentazione”

“Tutte le persone dovrebbero fare attività fisica con regolarità perché aiuta a restare in forma, a prevenire l’insorgenza di malattie croniche e anche a rallentare il ritardo cognitivo”. Parola di Elena Casiraghi, atleta, laureata in Scienze Motorie con Ph.D in Attività fisica, Nutrizione e Benessere, nonché collaboratrice con diverse testate giornalistiche e radiofoniche, membro dell’Equipe Enervit (gruppo di ricerca scientifica dell’omonima azienda) e docente universitaria a Pavia. Casiraghi, autrice di diversi libri su allenamento e alimentazione, ricorda subito la “dose” di movimento minima consigliata dal Ministero della Salute: “150 minuti a settimana e ovviamente non tutti concentrati in un giorno”.

Numerosi studi confermano ormai da anni l’importanza di un’attività fisica regolare, se possibile quotidiana, per prevenire le malattie croniche. Condivide questa posizione?

Sono assolutamente d’accordo. Dovremmo cercare di muoverci sempre, tutti i giorni, a prescindere dallo sport vero e proprio, un po’ come fanno gli orientali nei parchi pubblici. Parlo di 20 minuti al giorno di attività fisica, cioè 150 minuti circa a settimana, il più possibile distribuiti sui vari giorni. Attenzione poi: l’attività fisica aerobica (cioè, per esempio, la corsa a ritmo costante) potrebbe annoiare, dunque meglio optare per il cosiddetto interval training, perfetto anche per chi ha poco tempo a disposizione. Un esempio pratico: in 30 minuti di corsa, dopo cinque minuti di riscaldamento iniziamo un ciclo di cinque o sei accelerazioni, seguite da un rallentamento di due minuti e concludiamo con il defaticamento.

È vero che fare attività fisica aiuta anche la mente oltre che il corpo?

Certo che sì. Rallenta il ritardo cognitivo e ormai ci sono tantissimi studi scientifici a dimostrarlo. Un tempo si pensava che invecchiando i neuroni morissero, invece l’attività fisica li rigenera. Senza contare che chi pratica attività fisica da giovane posticipa il declino: il nostro organismo dai 30 anni inizia a invecchiare e già dai 40 si può incorrere in una prima riduzione della forza muscolare. Poi c’è un ulteriore aspetto, che potrebbe essere di particolare interesse per un manager: dopo 20 minuti di attività fisica affluisce più sangue al cervello e questo consente, ad alcuni, di avere maggior efficienza cerebrale che si traduce con la possibilità di risolvere alcuni problemi o farsi venire in mente idee particolarmente brillanti.

Molte persone, tra cui proprio i manager, si lamentano di non avere abbastanza tempo per l’attività fisica. Ci dà qualche “ricetta” veloce e semplice da seguire per aiutare anche chi ha poco tempo a mantenersi in forma?

Abbiamo parlato dell’interval training, ma c’è anche la possibilità di fare una camminata veloce, di nuotare, della cyclette, oppure di sfruttare il mattino presto prima di colazione, quando abbiamo poca energia in corpo. Un apparente svantaggio che invece è un vantaggio reale, perché ci permette di massimizzare la resa. Ogni momento della giornata ha il suo allenamento ottimale: al mattino presto, a digiuno, meglio una corsa o una camminata ad andatura costante; dopo il lavoro, nel tardo pomeriggio, meglio puntare sui cambi di ritmo, cioè l’interval training. E poi, nello sport, c’è anche il tema psicologico: conosco molti manager di alto livello che praticano triathlon per incrementare la resistenza e la capacità di affrontare le sfide, temi che poi ritrovano nell’attività lavorativa.

Lei è anche un’esperta di alimentazione, fattore molto importante per la salute presente e futura. Anche in questo caso può darci qualche consiglio? Cosa consumare a colazione, a pranzo e la sera (e tra i pasti) per restare in forma assumendo le energie giuste?

In ogni giornata abbiamo tre pasti principali. Innanzitutto, la colazione, da fare entro un’ora dal risveglio, in cui spesso manca la fonte di proteine, che può essere il classico toast con prosciutto e fetta di formaggio oppure del latte con frutta essiccata (muesli d’avena al naturale) o ancora yogurt con frutta fresca. Poi, senza entrare troppo nello specifico, sia per il pranzo, sia per la cena, bisogna sempre pensare di dividere il piatto in tre parti: un terzo di proteine, un terzo di carboidrati (riso, orzo o pasta) e un terzo di verdure. Ciò rende ciascuno libero di “comporre” il proprio piatto ma attenendosi a questa proporzione personalizzerà le quantità automaticamente. Altrettanto importanti sono gli spuntini durante la giornata, ad esempio un frutto con un pezzetto di parmigiano o una barretta bilanciata. Infine, l’idratazione è cruciale: dovremmo bere almeno un bicchiere d’acqua ogni ora.

Lei è stata ed è una grande sportiva, scrive, insegna e interviene spesso sui media. Quali sono i principali errori che vede commettere in materia di alimentazione?

Non inserire quasi mai le proteine e seguire un’alimentazione troppo ricca di carboidrati e povera in polifenoli (frutta, verdura, spezie), cosa che spesso succede al ristorante, dove raramente si mangia “bene”. Poi siamo legati ancora ad alcuni retaggi culturali, per esempio che i grassi fanno male, dimenticandoci dei pregi degli Omega 3 e dell’olio extravergine d’oliva. Ancora: non consideriamo alimenti funzionali come la curcuma o molte spezie, che ci aiuterebbero anche a diminuire il sale. Infine, vorrei precisare che ci possiamo concedere un pasto “jolly” a settimana, poiché ci aiuta anche a recuperare le motivazioni per riprendere a seguire una dieta bilanciata.

Secondo lei in Italia la sedentarietà è un problema che sta peggiorando o migliorando e quali sarebbero le politiche corrette per risolverlo?

Non ho dati alla mano, qualcosa si muove, ma allo stesso tempo non vedo un vero cambiamento della nostra cultura perché il più delle volte le persone sono incostanti. Se davvero vogliamo iniziare a fare attività fisica cominciamo da una piccola cosa: ogni 40 minuti che siamo alla scrivania, muoviamoci.

Che consigli darebbe a un manager, con teoricamente poco tempo a disposizione, che approccia da zero il running e vuole preparare una gara?

Gli proporrei tre sessioni di allenamento a settimana, di cui una più lunga nel weekend. Si possono utilizzare le pause pranzo (45 minuti di corsa più il tempo per mangiare) oppure le mattine presto, allenandosi a digiuno, cosa che dopo, paradossalmente, fa sentire molto più energici. E poi la sera dopo cena sarebbe ottimo dedicare un momento allo stretching, magari con i figli, specie se si passa molto tempo seduti durante il giorno.