Sanità pubblica al bivio tra spesa e demografia

Il Rapporto Oasi curato dal Cergas (Bocconi) avverte: dopo lo slancio legato alla pandemia e al Pnrr si rischia la frenata. E sugli equilibri fiscali futuri potrebbe pesare l’invecchiamento della popolazione.

Il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è a un bivio cruciale. Se l’esperienza della pandemia e i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) sembravano aver segnato una svolta per la sanità pubblica, con ingenti risorse destinate alla sanità pubblica e alla ridefinizione di alcune policy fondamentali (medicina di territorio, telemedicina, rafforzamento delle università e del Fascicolo Sanitario Elettronico), alcuni trend positivi hanno rallentato. A partire, per esempio, dall’aumento della spesa pubblica in sanità o dall’assunzione di nuovo personale. È questo, in estrema sintesi, il quadro offerto dal Rapporto OASI 2022 (Osservatorio sulle Aziende e sul Sistema Sanitario Italiano) del Cergas Bocconi.

Il calo della spesa e il nodo Pnrr

Detto in numeri, come sottolineato dal responsabile scientifico del Rapporto, Francesco Longo, “l’incidenza della spesa per il Servizio Sanitario Nazionale sul Prodotto Interno Lordo, al 7,2%-7,3% nel 2021, è prevista in discesa al 7% nel 2022 e al 6% nel 2025, mentre gli ingressi stabili di personale del 2020 sono stati in buona parte compensati dalle uscite per pensionamenti, dovuti all’elevata età media dei dipendenti della sanità pubblica”.

Dopo il boom della spesa legato al picco della pandemia, un rintracciamento era quasi fisiologico. Tuttavia, anche i numeri del Pnrr – sottolineano gli esperti della Bocconi – vanno letti con attenzione. Esso infatti, in sanità, non potrà che concretizzarsi in un piano di riorganizzazione e riallocazione delle risorse, anziché essere un intervento di espansione e ammodernamento. Il piano prevede 20 miliardi di investimenti in sanità in 6 anni, dunque 3,3 miliardi all’anno, ovvero meno del 3% dei 130 miliardi di spesa sanitaria corrente annua.

Demografia ed equilibri fiscali

Altro elemento sfidante per la sanità pubblica è rappresentato dall’evoluzione demografica, fa notare il coordinatore del Rapporto, Alberto Ricci, che “fa presagire un gap crescente tra risorse e bisogni e presenta problemi politicamente scomodi, perché qualsiasi risposta si voglia individuare, risulta poco consolatoria e quindi fisiologicamente impopolare”. Per dare un’idea, nel 2021 si sono registrati 7 nascite e 12 decessi per mille abitanti. Non solo: nel corso dell’anno il calo della popolazione italiana è stato di 253.000 unità, spiegato solo in parte minore dai 59.000 decessi causati dal Covid. La bassissima natalità (1,25 figli per donna: ne servirebbero 2,2 per tenere la popolazione stabile) e l’alta speranza di vita (82 anni) comportano un’incidenza degli anziani già al 24% (14 milioni, di cui i non autosufficienti sono 3,9 milioni, il 6,6% della popolazione).

“Il rapporto tra lavoratori attivi (occupati) e pensionati, oggi 10 contro 6, nel 2050 potrebbe raggiungere la parità”, sintetizza Ricci. Con tutte le conseguenze del caso sugli equilibri tra risorse fiscali e spesa pensionistica. Di qui, secondo il Cergas, la necessità che il management sanitario interpreti la realtà a partire dalle evidenze, definisca scelte strategiche e provi ad attuarle. “In tal senso la probabilità di successo delle innovazioni di servizio è spesso dipendente dalle capacità di motivare e spiegare il cambiamento a cittadini, pazienti, enti locali e realtà sociali dei singoli territori”, concludono gli esperti.

È questa, insomma, la via da seguire per rafforzare e preservare il Servizio Sanitario Nazionale italiano, praticamente unico al mondo per le proprio caratteristiche di equità e universalità.

Il benessere mentale prima di tutto

È il risultato di una ricerca condotta da Ipsos a livello globale. Le preoccupazioni per la salute psichica superano per la prima volta quelle per il cancro e sono seconde solo al Covid.

Il 36% della popolazione mondiale (dal 31% del 2021) percepisce la salute mentale come uno dei principali problemi, secondo solo al Covid (47%) e, per la prima volta, davanti al cancro (34%). è questo il verdetto di uno studio condotto da Ipsos in 34 Paesi e diffuso di recente in occasione del World Mental Health Day 2022. Un dato chiaro e inequivocabile che evidenzia come i quasi tre anni di pandemia abbiano rimescolato le carte a livello sanitario e sociale, cambiando la gerarchia della priorità in diversi ambiti della nostra vita.

Basta pensare che – sempre secondo la ricerca di Ipsos – a livello internazionale, quasi otto persone su 10 (per la precisione il 76%) considerano salute mentale e fisica ugualmente importanti quando si tratta del proprio benessere personale. In Italia, lo pensa l’80% degli intervistati; solo il 13% ritiene che la salute mentale abbia un’importanza maggiore rispetto a quella fisica e solo il 6% l’opposto. 

Fermo il fatto che l’opinione pubblica italiana ritiene che il benessere mentale e fisico siano ugualmente importanti, c’è un altro tema indagato dallo studio di Ipsos. Ovvero: il sistema sanitario riflette questa visione e fornisce un trattamento adeguato? La risposta in questo caso è meno netta: il 40% ritiene che salute mentale e fisica siano trattate allo stesso modo. Il 9% sostiene che alla salute mentale sia data priorità, mentre il 41% pensa che il sistema sanitario si concentri maggiormente sulla salute fisica. 

Ma qual è il quadro italiano più nel dettaglio? Il 55% degli intervistati dichiara di pensare spesso al proprio benessere mentale, in aumento di 4 punti rispetto al 2021 e leggermente sotto la media internazionale pari al 58%. Guardando, invece, al benessere fisico si registrano percentuali più elevate: il 77% degli italiani afferma di pensarci spesso, in aumento di 5 punti rispetto allo scorso anno e sopra la media internazionale pari al 70%. In generale, i dati Ipsos mostrano come si tenda a preoccuparsi al proprio benessere fisico più frequentemente rispetto al benessere mentale, seppur con alcune differenze di genere e generazionali. In particolare, le donne tendono a pensare alla propria salute mentale più degli uomini (62% contro 53%), lo stesso vale più che gli under 35 (65%) rispetto agli over 50 (48%). Segno che le nuove generazioni sono maggiormente sensibili al benessere psicologico: un’indicazione che non può passare inosservata ai policy maker. 

Ambrosetti, allarme sulla salute globale “Più rischi con i cambiamenti climatici”

Il rapporto 2022 di Meridiano Sanità: il 24% dei decessi legato a fattori ambientali

Nel mondo il 24% dei decessi negli adulti e il 28% nei bambini sotto i 5 anni sono attribuibili a fattori ambientali modificabili, di cui oltre 7 milioni legati all’inquinamento atmosferico. La vulnerabilità della salute del Pianeta espone la popolazione non solo a un rischio maggiore di epidemie, ma anche di malattie croniche non trasmissibili: il 62% dei decessi globali associabili ai fattori ambientali è dovuto a queste patologie (8,5 milioni su 13,7 milioni). Questi alcuni dei principali dati illustrati nella XVII edizione del Rapporto annuale di Meridiano Sanità, realizzato dall’omonimo Think Tank di The European House – Ambrosetti, nato nel 2005 per dialogare sul futuro della sanità in Italia.

Lo studio, che si è avvalso – come punto di partenza – delle statistiche fornite dalle istituzioni più autorevoli a livello globale, a cominciare dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità, ha evidenziato come la salute sia il risultato di una combinazione di una molteplicità di elementi sociali, politici ed economici (ad esempio il luogo in cui si vive, la qualità dell’ambiente circostante, la genetica, lo stile di vita, il reddito e il livello di istruzione). Tra i principali determinanti, quelli ambientali stanno assumendo una rilevanza sempre maggiore a cominciare dall’inquinamento e dal cambiamento climatico. Un esempio su tutti: la cattiva qualità dell’aria rappresenta un punto particolarmente critico per l’Italia: secondo le ultime stime della European Environmental Agency, infatti, il 17% dei decessi per inquinamento nel Vecchio Continente si verifica nel nostro Paese. A ciò si aggiunge un quadro in chiaroscuro a livello globale. Stando alle ultime stime dell’Indice di Sviluppo Umano, l’indicatore composito elaborato dalle Nazioni Unite per misurare e comparare lo stato di benessere delle popolazioni dei diversi Paesi, gli effetti della pandemia, acuiti anche dalle conseguenze del conflitto russo-ucraino, hanno portato indietro di 5 anni la storia del progresso globale.

A questa performance negativa – si tratta della prima volta in 32 anni che l’Indice non cresce per due anni consecutivi – hanno contribuito in maniera significativa il peggioramento dell’aspettativa di vita alla nascita, registrato nel 70% dei Paesi del mondo, e la riduzione del reddito medio pro-capite, nell’85% dei casi. Allargando la prospettiva a un perimetro temporale più ampio, tuttavia, la narrativa cambia completamente. Considerando anche in questo caso il 1990 come punto di partenza, l’aspettativa di vita globale è infatti aumentata di oltre 7 anni, passando dai 65,4 anni di trent’anni fa ai 73 attuali. Nello stesso periodo, è migliorata anche l’aspettativa di vita in buona salute (+13,3%), si è ridotto il tasso di mortalità infantile nei primi 5 anni di vita (-60,6%) così come la mortalità prematura per malattie non trasmissibili (-29%). Il trend di lungo periodo, in buona sostanza, è positivo ma solo un aumento rilevante dell’attenzione sul fronte del clima può permetterci di superare le difficoltà incontrate negli ultimi tre anni e di puntare a un ulteriore miglioramento del livello di salute e di benessere a livello globale.

Alzheimer, allarme globale sul boom di casi. Previsti 150 milioni di malati nel 2050

Ogni tre secondi nel mondo qualcuno sviluppa una forma di demenza, di cui il morbo di Alzheimer è la forma più comune. Parliamo di una malattia neurodegenerativa a decorso progressivo e cronico per la quale non è stata ancora trovata una cura e che rappresenta ormai in tutto il pianeta, in particolare nei Paesi sviluppati a causa del graduale invecchiamento della popolazione, uno dei principali elementi di criticità a livello sanitario e sociale. Anche per questo, il 21 settembre è stata celebrata – come ogni anno – la Giornata Mondiale dell’Alzheimer, giunta alla sua XXVI edizione. L’obiettivo? Sensibilizzare l’opinione pubblica e combattere lo stigma che ancora colpisce le persone con demenza e i loro familiari.

I numeri parlano chiaro: una ricerca dell’Institute of Health Metrics and Evaluation dell’Università di Washington, pubblicata sulla prestigiosa rivista britannica “The Lancet” stima, infatti, che in Italia ci siano attualmente 1.487.368 persone con demenza: un numero destinato ad aumentare del 56% entro il 2050, quando arriverà a 2.316.951. Un trend che si riflette a livello globale: la stima è che i casi triplicheranno passando dai 57 milioni del 2019 a oltre 153 milioni tra quasi 30 anni.

La ricerca è stata condotta valutando i possibili casi di demenza in 195 Paesi e territori in varie parti del globo, sottolineando che attualmente essa rappresenta la settima causa di morte in tutto il mondo e una delle principali ragioni di disabilità e dipendenza tra le persone anziane, con costi globali che, secondo calcoli puntuali, per il 2019 ammontavano a oltre 1000 miliardi di euro. Le cause principali? Come detto ci sono l’invecchiamento e la crescita della popolazione, ma non vanno sottovalutati stili di vita non salutari (tra i fattori di rischio i ricercatori puntano il dito in particolare su fumo, obesità e diabete) e un basso grado di istruzione. Va detto, in ogni caso, che ad oggi non si conoscono ancora con esattezza le cause dell’insorgenza di questa malattia.

L’Alzheimer è la causa più comune di demenza nella popolazione anziana dei Paesi sviluppati: ne è colpito, infatti, circa il 5% della fascia sopra i 65 anni e oltre il 20% sopra gli 85 anni. In particolare, la malattia innesca un processo degenerativo che distrugge le cellule del cervello e, in questo modo, causa un deterioramento irreversibile fino alla non autosufficienza. Del resto, il decorso di queste patologie pone un significativo problema di assistenza del malato per le strutture ospedaliere e per le famiglie con il tema della Long Term Care che assume così sempre più rilevanza in ottica futura. L’emergenza è riconosciuta a livello globale se si pensa che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha lanciato il “Global action plan on the public health response to dementia 2017-2025”, invitando i Paesi membri ad agire nel più breve tempo possibile con cinque obiettivi: aumentare la consapevolezza del problema della demenza; ridurre il rischio di questa patologia; assicurare ai malati diagnosi, trattamento e assistenza sanitaria; supportare le famiglie; promuovere ricerca e innovazione.

Superiamo la tempesta

Il punto di vista di Stefano Cuzzilla, Presidente Federmanager

Inflazione alle stelle, sospinta dall’impennata dei costi dell’energia, una guerra alle porte dell’Europa, la pandemia che si sviluppa in nuove varianti e cambiamenti climatici che si riflettono pesantemente sui nostri ecosistemi. Molti osservatori la chiamano “la tempesta perfetta”, una definizione che riesce a rendere tutta la complessità di “navigare nel presente” per manager e imprese.
Le aziende italiane stanno dimostrando una straordinaria resilienza, segnale chiaro dell’eccellenza della managerialità che è chiamata quotidianamente a guidarle.
In una fase di così acuto stress lavorativo e organizzativo, ai nostri manager prospettiamo l’orizzonte di un porto sicuro: l’innovativa copertura sanitaria Prodotto Unico Fasi-Assidai. Un’offerta altamente innovativa che, anche grazie ai preziosi servizi erogati da IWS S.p.A. – espressione eminente della bilateralità tra Federmanager e Confindustria -, garantisce ai manager e ai loro nuclei familiari l’accesso alle migliori strutture sanitarie e ai professionisti presenti nelle diverse regioni.

Associazioni Territoriali Federmanager, ruolo chiave

Sono il simbolo del forte legame tra l’associazione e Assidai e rappresentano un canale privilegiato per gli iscritti, anche sulle pratiche cartacee.

Le Associazioni Territoriali Federmanager sono il simbolo del forte legame tra il Fondo di assistenza sanitaria e l’Associazione di rappresentanza che l’ha fondata nel lontano 1990. Assidai, come noto, è un Fondo di categoria e i dirigenti per iscriversi devono far parte anche di Federmanager. All’interno del Fondo vi è una specifica figura che segue i rapporti con le Associazioni Territoriali e, in particolare, monitora quotidianamente le richieste per risolvere al meglio qualsiasi eventuale problematica insieme al personale dedicato dello sportello Fasi-Assidai.
Nel corso dell’anno, Assidai partecipa con molto interesse, in un’ottica di sinergia, agli eventi organizzati sul territorio dalle Associazioni insieme agli Enti di tutto il sistema federale e al Fasi. In particolare, l’obiettivo di Assidai negli incontri è di presentare le attività in corso, illustrare le peculiarità del Prodotto Unico Fasi-Assidai, fornire informazioni su come iscriversi, oltre che ascoltare le esigenze degli iscritti, di coloro che vogliono aderire per la prima volta al Fondo di assistenza sanitaria e valutare le esigenze delle aziende che desiderano garantire ai loro manager un benefit importante come l’assistenza sanitaria integrativa.
Le Associazioni Territoriali sono 55, dislocate su tutto il territorio nazionale. Tra i vari servizi offerti c’è anche lo sportello Fasi-Assidai, che mette a disposizione un canale preferenziale, grazie alla consulenza offerta dal personale Federmanager che ben conosce Assidai e i valori che lo contraddistinguono. I servizi offerti gratuitamente sono numerosi: dal caricamento delle richieste di rimborso cartacee direttamente online, alla loro verifica puntuale per arrivare a eventuali segnalazioni, che poi possono essere analizzate one to one con Assidai.
In caso di necessità, il dirigente può fissare un appuntamento presso l’Associazione Territoriale dove è iscritto per consegnare le proprie richieste di rimborso cartacee. Una soluzione che permette di risparmiare tempo prezioso e che consente di relazionarsi direttamente con un personale preparato, pronto a chiarire ogni dubbio, proprio come è nello spirito degli sportelli Fasi-Assidai.

L’etichetta intelligente per mangiare sano

È la nuova iniziativa lanciata da alcuni Ministeri, tra cui quello della Salute, e dall’Istituto Superiore di Sanità per evidenziare le informazioni nutrizionali dei prodotti alimentari

Fotografare il codice a barre (EAN) dei prodotti confezionati per ottenere approfondite informazioni nutrizionali sugli alimenti e bevande che si consumano, evidenziandone la porzione consigliata dai nutrizionisti e il relativo apporto di calorie, sale, zuccheri e grassi alla dieta quotidiana di ciascuno di noi. è quanto consente la nuova app Nutrinform Battery (scaricabile gratuitamente da Apple Store e Play Store sui telefoni cellulari e i tablet). Per seguire una dieta sana occorre infatti alimentarsi in modo vario e bilanciato, con un corretto apporto di tutti i gruppi di alimenti, ognuno nelle giuste quantità.
La app è la versione smart e digitale dell’etichetta dei prodotti alimentari promossa dai Ministeri dello Sviluppo economico, della Salute e delle Politiche agricole, alimentari e forestali, e realizzata in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (CREA) e i rappresentanti delle associazioni di categoria della filiera agroalimentare.
Si tratta, in particolare, del sistema di etichettatura basato sull’icona della batteria che l’Italia ha proposto alla Commissione Ue come alternativa al semaforo, raccogliendo già l’adesione di diversi Stati membri in vista della decisione che dovrà essere presa entro quest’anno a livello europeo.
Il semaforo Ue, va ricordato, prevede che nell’etichetta, a ogni singolo alimento (su 100 grammi o 100 ml di prodotto) vengano assegnati una lettera e il relativo colore (A, verde scuro; B, verde chiaro; C, giallo; D, arancione; E, rosso), in base a un algoritmo che tiene conto degli elementi nutrizionali da limitare (calorie, grassi saturi, zuccheri e sale) e da prediligere (fibre, proteine, frutta, frutta secca e verdure).

L’olimpionica Federica Pellegrini protagonista della campagna

Per la promozione di un’ampia diffusione dell’app tra i cittadini-consumatori, il ministero dello Sviluppo economico ha avviato una campagna di comunicazione e informazione sui media – in particolare sui canali digitali – dove sarà possibile scaricare direttamente l’applicazione dal titolo NutrInform Battery “il Gusto di essere informati”, che ha come testimonial la campionessa olimpionica Federica Pellegrini.
Ma come funziona esattamente la App? Di facile intuizione, la sua grafica permette di monitorare attraverso il simbolo della batteria il consumo giornaliero di cinque elementi che sono alla base di una corretta alimentazione: calorie, grassi, grassi saturi, zuccheri e sale.
Il consumatore, inquadrando con la fotocamera del cellulare il codice a barre dei prodotti confezionati, potrà conoscere la percentuale di calorie e nutrienti consumati nel corso della giornata, in riferimento alla porzione degli alimenti consigliata dai nutrizionisti secondo i valori stabiliti dall’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA).
Un aiuto in più, insomma, per seguire una dieta varia ed equilibrata, che a sua volta rappresenta uno dei capisaldi della prevenzione primaria, lo strumento a nostra disposizione contro le malattie croniche (patologie cardiocircolatorie, cancro e diabete), principale causa di decessi a livello mondiale e in particolare nei Paesi occidentali.

“In futuro la svolta sarà un vaccino”

Intervista al Professor Pietro Calissano, neuroscienziato esperto mondiale sull’Alzheimer e “storico” collaboratore di Rita Levi Montalcini

Professor Calissano, il 21 settembre si è celebrata la giornata mondiale dell’Alzheimer. Qual è il significato di questo appuntamento?
Il significato nasce dai numeri: in Italia circa mezzo milione di persone sono affette da Alzheimer e il numero è direttamente collegato con la popolazione. Negli USA, ad esempio, ne soffrono 2,5 milioni di persone.

Quale ritiene sia l’entità del problema, a livello sanitario e sociale, rappresentato dalle forme di demenza e dalle preoccupanti stime sul loro incremento nei prossimi decenni?
Talvolta ho definito Alzheimer una “pandemia generazionale”. Non è infettiva, ma si instaura in rapporto all’età: trascurabile fino a 60 anni (tranne le forme sporadiche ereditarie), ma in progressione con l’invecchiamento fino a colpire un terzo della popolazione oltre i 90 anni. Purtroppo si vive il “paradosso” che i grandi successi della medicina negli ultimi decenni con il prolungamento della vita media si accompagnano anche a un incremento dell’incidenza della malattia. Questa relazione inversa, ovviamente, non significa che dobbiamo interrompere questi formidabili progressi medico-clinici, ma concentrare i nostri sforzi per trovare rimedi all’Alzheimer.

Quali sono le principali cause?
Le cause sono diverse. Ci troviamo nella situazione di alcuni decenni fa quando tutti i tumori venivano classificati come “cancro”. Oggi sappiamo che ci sono diversi tipi di cancro, e ciò permette di mirare meglio le cure. Grazie agli studi condotti in decine di laboratori, si sono individuate piuttosto bene le molecole proteiche che causano e propagano la malattia, ma siamo ancora indietro nel comprendere quali siano le cause che provocano l’attivazione di queste proteine tossiche.

Quali sono, ad oggi, le prospettive per trovare una cura per l’Alzheimer o quantomeno un farmaco che ne rallenti significativamente l’evoluzione?
Penso che lo sviluppo di vaccini potrebbe essere la via più giusta. Mi fa piacere ricordare che nel nostro gruppo allo European Brain Research Institute (EBRI) abbiamo iniziato un lavoro sperimentale con Nadia Canu e Giuseppina Amadoro più di due decenni fa. Purtroppo Nadia Canu è deceduta prematuramente, ma Amadoro sta portando avanti con enorme impegno il testimone di questa ricerca, che si è concretizzato nella produzione di un anticorpo monoclonale estremamente efficace nella cura di modelli animali che sviluppano l’Alzheimer. Stiamo ora iniziando il trasferimento di questo anticorpo per il suo uso clinico all’uomo.

Lei ha lavorato fianco a fianco con Rita Levi Montalcini. Quali sono stati i vostri principali ambiti di collaborazione e che ricordo conserva di lei?
Ho un bellissimo ricordo di Rita Levi Montalcini sia sul piano umano sia su quello scientifico. Fui selezionato per una borsa di studio nel suo piccolo gruppo di ricerca nel 1965 – ventuno anni prima del conferimento del Nobel – grazie a una mia discreta preparazione in biochimica maturata a Genova. Il mio compito consisteva nella ricerca del meccanismo con il quale il NGF, la proteina scoperta negli Usa, induceva la crescita delle fibre nervose nelle cellule bersaglio. Lavorai prima come borsista, in seguito come collaboratore, e fui un suo sincero amico fino alla sua scomparsa. Ovviamente il mio lavoro sperimentale progressivamente divenne più indipendente ma ricorderò sempre con quale interesse seguisse il nostro lavoro scientifico sulle possibili cure per l’Alzheimer.

Pietro Calissano è laureato in Medicina ed è un neurobiologo. È stato collaboratore di Rita Levi Montalcini (Nobel per la Medicina nel 1986) – con lui nella foto – fino alla sua scomparsa. Ha svolto le sue ricerche a Roma e in numerose università, fra le quali Washington University, Ucla, Harvard Medical School, Cambridge University, Weitzman Institute. Ha diretto l’Istituto di Neurobiologia e Medicina Molecolare del Cnr, è stato Ordinario di Neurofisiologia all’Università di Tor Vergata a Roma ed è stato co-fondatore insieme a Levi Montalcini dell’Ebri dove attualmente lavora.

La salute al centro

Il punto di vista di Stefano Cuzzilla, Presidente Federmanager

La perdurante emergenza pandemica ha rinnovato l’attenzione sull’importanza della salute come “bene primario” e sul valore inestimabile delle tutele che il sistema Federmanager è in grado di offrire, grazie alla solidità degli enti bilaterali e degli enti propri come Assidai.

I manager che aderiscono ai nostri Fondi di assistenza sanitaria abbracciano un’ampia gamma di tutele che garantisce un accesso alle cure sanitarie sicuro e soddisfacente.  E il Prodotto Unico Fasi-Assidai rappresenta una vetta d’eccellenza di questa offerta, pensata su misura per i manager e per le loro famiglie, proponendo una copertura sanitaria pressoché totale e distinguendosi per un approccio davvero innovativo. Controllo della spesa, digitalizzazione e semplificazione dei processi, insieme a una costante attenzione all’implementazione delle prestazioni previste dal nomenclatore tariffario, sono infatti alcune delle caratteristiche vincenti del prodotto unico Fasi – Assidai. Il successo del nostro riconosciuto posizionamento nel panorama della sanità integrativa dipende proprio dalla nostra capacità di innovare e fare sistema. Come dimostra anche il fondamentale lavoro svolto da Industria Welfare Salute (IWS), ulteriore espressione della sinergia tra Federmanager e Confindustria nella gestione dei servizi di riferimento per le attività promosse dal Ccnl e dalle iniziative bilaterali. 

La tutela della salute si conferma al centro delle nostre strategie. 

Prodotto Unico, vera innovazione sul mercato

Una copertura sanitaria che integra e completa il rimborso delle prestazioni previste dal Fasi con un focus chiave sulla copertura LTC

Una copertura sanitaria fortemente innovativa, che integra e completa pressoché totalmente il rimborso delle prestazioni previste dal Nomenclatore Tariffario Fasi. Per le aziende industriali con l’adesione al Prodotto Unico Fasi-Assidai si è aperta una nuova grande opportunità per offrire ai propri manager uno dei benefit più richiesti in assoluto: l’assistenza sanitaria integrativa, che conferma sul mercato anche come e quanto un’azienda sia fortemente orientata all’eccellenza in termini di welfare. Il Prodotto Unico è coerente con l’impostazione strategica e innovativa prevista dal rinnovo del Ccnl Dirigenti Industria siglato da Confindustria e Federmanager nel luglio 2019.

Quali sono i vantaggi della nuova proposta sanitaria dal punto di vista operativo?

Innanzitutto per gli aderenti al nuovo Prodotto Unico, il network è unico. L’accesso alla rete di strutture sanitarie e professionisti convenzionati di eccellenza è semplice, immediato e capillare su tutto il territorio nazionale. Poi c’è un altro aspetto rilevante: gli iscritti possono inviare una pratica di rimborso unica attraverso il portale online di IWS, che, a sua volta, provvede a inoltrare le richieste ai due Fondi per quanto di loro competenza. Tra le principali coperture previste, da segnalare, il rimborso fino al 100% del richiesto e fino ad un massimo di 25mila euro per nucleo familiare in caso di extra-ricovero, sempre in regime di convenzionamento diretto. Ma è previsto anche il rimborso fino al 90% dell’importo richiesto e fino a un massimo di 12.500 euro per nucleo familiare in caso di spese relative alle voci previste dalla Guida Odontoiatrica del Fasi in vigore e secondo i criteri liquidativi in essa riportati.

Aspetto davvero rilevante è la copertura Long Term Care, su cui Assidai negli anni scorsi è sempre stato pioniere sul mercato. All’interno del contributo di adesione al Prodotto Unico è infatti compresa anche la copertura in caso di non autosufficienza, una tutela fondamentale per avere una sicurezza a 360 gradi per sé e per la propria famiglia in ciascun momento della nostra vita. 

Infine, in aggiunta al pacchetto base è possibile scegliere due upgrade del Prodotto Unico per ottenere anche il rimborso di lenti e occhiali e di medicinali, purché prescritti dal medico curante. 

Insomma, un prodotto davvero unico che ogni azienda dovrebbe prendere in seria considerazione per offrire ai propri manager una copertura sanitaria all’altezza e che permetta loro di guardare al futuro con serenità, per sé e per le proprie famiglie.

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