Sole, come proteggersi durante l’estate

L’esposizione al sole porta innumerevoli benefici all’organismo e fa bene all’umore ma, senza protezione, ci espone a rischi rilevanti. È importante dunque prendersi cura della propria pelle in maniera adeguata prima dell’esposizione, ma anche – e soprattutto – durante e dopo. Si tratta di un discorso che è valido, a maggior ragione, durante l’estate, quando la voglia di esporsi al sole e di abbronzarsi non manca, sia al mare sia in montagna.

Attenzione però: è ormai più che noto che i raggi ultravioletti possono causare problemi al nostro benessere, dalle insolazioni agli eritemi (scottature), ma anche lesioni oculari, invecchiamento precoce e, nei casi più gravi, l’insorgenza di tumori cutanei (melanoma). Allo stesso tempo, come detto, il sole può offrire numerosi benefici, legati a un miglioramento della condizione psicofisica dell’individuo: consente la sintesi di vitamina D, svolge un’azione antibatterica, può migliorare alcune patologie cutanee, riduce la pressione arteriosa e fa bene all’umore. Come regolarsi dunque? Bisogna rispettare delle semplici regole. Agendo per gradi.

Come scegliere la protezione: le regole di Aideco

Innanzitutto – come sottolinea l’Aideco, Associazione Italiana Dermatologia e Cosmetologia – bisogna scegliere l’indice di protezione più adatto alle varie tipologie di pelle. Per farlo, per prima cosa è importante conoscere il proprio fototipo, che indica come reagisce la pelle all’esposizione al sole. Non tutti, infatti, pur avendo un tipo di pelle simile, hanno lo stesso comportamento: alcune persone si scottano facilmente, altre invece non si scottano mai, mentre gli individui che hanno una carnagione più scura si abbronzano subito, chi invece ha una pelle più chiara tende soprattutto ad arrossarsi e a sviluppare eritema, senza riuscire ad abbronzarsi più di tanto. Questi diversi comportamenti dipendono dal fototipo (ndr Il fototipo di una persona è un termine utilizzato in ambito dermatologico. Sviluppato nel 1975 – il sistema dei fototipi di Fitzpatrick – classifica il tipo di pelle in base alla quantità di melanina e alla reazione all’esposizione solare. Successivamente il concetto di fototipo è stato arricchito da alcune caratteristiche fenotipiche, come il colore dei capelli, la presenza/assenza di efelidi, il colore degli occhi, il tipo, la durata e la zona dell’eritema.)

Conoscere il proprio fototipo è il punto di partenza fondamentale per preservare la salute della pelle e per comportarsi correttamente durante l’esposizione alla radiazione ultravioletta della luce solare. In base al fototipo di appartenenza si può scegliere al meglio l’indice di protezione adeguata.

“Esistono diversi tipi di cute, cioè di fenotipi, che rappresentano a loro volta il modo in cui si manifesta il cosiddetto genotipo; ogni fenotipo ha una sensibilità diversa alle radiazioni solari. Per esempio, un soggetto nero è protetto quasi completamente dalla sua melanina; all’estremo opposto c’è il tipo scandinavo, con cute chiara e capelli biondi, sensibile più di chiunque altro ai raggi solari. Dunque, gli effetti dell’esposizione al sole, che è un fattore così temuto, dipendono dalla “tipologia di individuo”

aveva dichiarato a tal proposito, in un’intervista ad Assidai, il Professor Nicola Mozzillo, luminare dei tumori della cute, Primario Emerito dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Napoli nonché Docente di Chirurgia del Melanoma all’Università Federico II di Napoli e Professore presso la Clinica Ruesch.

In base al fototipo di appartenenza si può scegliere al meglio l’indice di protezione adeguata, continua l’Aideco. I soggetti con fototipo più chiaro e più reattive al sole (I-II e III) dovranno utilizzare prodotti con un indice di protezione elevato (30/50/50+) mentre i soggetti con carnagione più scura e meno sensibili alla radiazione solare (fototipo IV e V) possono optare per protezioni più basse. L’importante è proteggersi sempre, anche quando si è già abbronzati, magari diminuendo gradualmente il fattore di protezione all’aumentare della pigmentazione post-esposizione solare, ma evitando di esporsi senza.

Si specifica che l’efficacia protettiva dei prodotti solari è riportata in etichetta secondo una classificazione (europea) ovverosia bassa, media, alta e molto alta e in relazione a un numero che ne indica il fattore di protezione solare (SPF – Sun Protection Factor):

  • Protezione solare bassa = SPF 6-10
  • Protezione solare media = SPF 15-20
  • Protezione solare alta = SPF 30-50
  • Protezione solare molto alta = SPF 50+

Altra avvertenza molto importante: sarebbe auspicabile proteggersi non solo durante le vacanze estive (al mare) o invernali (in montagna), ma durante tutto l’anno, anche quando ci si limita a uscire per andare al lavoro o a fare una passeggiata. Le radiazioni solari, infatti, esplicano i loro effetti anche quando il cielo è nuvoloso.

Le cinque regole d’oro della Fondazione Veronesi

Per riassumere, è utile riportare i cinque consigli d’oro della Fondazione Veronesi:

  1. Non esporsi mai al sole senza una protezione adeguata al proprio tipo di pelle (fototipo). Non lesinare sull’utilizzo della crema solare: per proteggere adeguatamente tutto il corpo e il viso ne occorrono circa 35 grammi (valore riferito a una persona adulta di media corporatura).
  2. Applicare la fotoprotezione prima dell’effettiva esposizione al sole. Riapplicarla ogni 2 ore e dopo ogni bagno, o dopo una sudorazione abbondante.
  3. Non esporsi al sole nelle ore centrali della giornata. I raggi solari raggiungono la pelle anche all’ombra, seppur con minore intensità. Non dimentichiamo la crema anche se siamo sotto l’ombrellone
  4. Evitare o ridurre al minimo l’abbronzatura artificiale. Per tutelare la salute della pelle dei più giovani, in Italia i lettini e le lampade abbronzanti sono vietati per legge ai minori di 18 anni.
  5. Effettuare con regolarità una visita dermatologica: è importante tenere sotto controllo le macchie della pelle e i nei.

Il pericolo melanoma

Quest’ultima regola ci introduce allo spinoso tema del melanoma cutaneo che negli ultimi decenni, nella popolazione caucasica, è in crescita, con circa il 5% di casi in più ogni anno. In Italia, per esempio, vengono diagnosticati annualmente oltre 7.000 nuovi casi. Non solo: il melanoma è uno dei tumori più frequenti negli adulti di età compresa tra i 30 e 40 anni, ma può insorgere a ogni età. Fortunatamente una diagnosi precoce porta le probabilità di guarigione completa fino al 90% dei casi. “La migliore diagnosi precoce la fanno i pazienti. Bisogna abituarsi a mettersi davanti allo specchio e guardarsi regolarmente, davanti e dietro. Solo così si scopre il “brutto anatroccolo”, cioè un neo in cui è cambiato qualcosa, cioè la dimensione, la forma o il colore: è questo che deve fare scattare il campanello d’allarme. Anche perché dal dermatologo ha senso andare una volta all’anno o quando si ha qualche sospetto, non ogni mese”, ha sottolineato a tal proposito il Professor Mozzillo, sempre nell’intervista ad Assidai.

Il melanoma e la campagna di prevenzione Assidai

Alla luce di tutte queste considerazioni, il nostro Fondo di assistenza sanitaria – da sempre in prima linea sul fronte della prevenzione – due anni fa ha lanciato una importante iniziativa sul tema, identificando giugno 2019 come il mese della prevenzione del melanoma. Gli iscritti Assidai hanno così potuto usufruire – gratuitamente – del pacchetto Healthy Manager, che prevedeva una visita dermatologica e la mappatura dei nei, esami fondamentali in termini di prevenzione per evidenziare eventuali patologie o lesioni tumorali della pelle, cioè i cosiddetti melanomi. “Esami non invasivi e che non provocano alcun dolore ma che possono fare la differenza per scoprire in anticipo qualsiasi cambiamento sulla nostra pelle, un organo spesso sottovalutato ma di importanza cruciale per il nostro benessere, da proteggere e preservare con molta attenzione”, aveva dichiarato a tal proposito Tiziano Neviani, Presidente di Assidai.

Il piano anti-caldo del Ministero della Salute

D’estate prevenire il caldo, e soprattutto i suoi effetti (potenzialmente pericolosi per determinate fasce della popolazione) è un obbligo. Per questo il Ministero della Salute nel 2005 ha avviato il Piano nazionale per la prevenzione degli effetti del caldo sulla salute attraverso specifici progetti del Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (CCM) e sotto il coordinamento del Centro di competenza nazionale Dipartimento di Epidemiologia SSR Regione Lazio (DEP Lazio). L’obiettivo? In sostanza giocare di squadra: favorire cioè il coordinamento tra istituzioni ai vari livelli e fornire linee operative per la creazione di un sistema centralizzato di previsione e prevenzione degli effetti del caldo sulla salute.

I sistemi di allarme anti-caldo

Una delle componenti fondamentali del Piano è rappresentato dai sistemi di allarme, denominati Heat Health Watch Warning Systems: si tratta di sistemi città specifici che, utilizzando le previsioni meteorologiche sono in grado di prevedere, fino a 72 ore di anticipo, il verificarsi di condizioni climatiche a rischio per la salute della popolazione. I risultati – si spiega sul sito del Ministero della Salute – vengono poi riportati in un bollettino sintetico che contiene le previsioni meteorologiche riassuntive ed un livello di allarme graduato (da 1 a 3) per permettere la modulazione degli interventi di prevenzione sulla base dell’entità del di rischio previsto. Ogni giorno, durante il periodo estivo, vengono prodotti i bollettini per ben 27 città, qui in ordine alfabetico: Ancona, Bari, Bologna, Bolzano, Brescia, Cagliari, Campobasso, Catania, Civitavecchia, Firenze, Frosinone, Genova, Latina, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Perugia, Pescara, Reggio Calabria, Rieti, Roma, Torino, Trieste, Venezia, Verona e Viterbo.

I bollettini sulle ondate di calore sono pubblicati sul Portale del Ministero della Salute e inviati per ogni città ad un centro di riferimento locale (Comune, Asl, centro locale della Protezione civile) responsabile della diffusione sul territorio del bollettino ai servizi inclusi nel piano di prevenzione.

La sorveglianza dei Comuni

Oltre ai sistemi d’allarme, un altro caposaldo del Piano nazionale per la prevenzione degli effetti del caldo sulla salute è rappresentato dalla Sorveglianza. Come funziona? Il Sistema di sorveglianza della mortalità giornaliera ha lo scopo di monitorare in tempo reale il numero di decessi giornalieri nella popolazione anziana (età 65 anni e oltre). In collaborazione con l’ufficio Anagrafe dei Comuni, i dati di mortalità vengono acquisiti durante l’intero anno tramite un sistema di inserimento online. Il DEP Lazio gestisce il database della mortalità giornaliera per monitorare l’impatto in tempo reale degli eventi meteorologici estremi (ondate di calore, ondate di freddo, ecc.) sulla salute. Inoltre – spiega il Ministero della Salute – è attivo in alcune strutture sentinella delle grandi aree arbane un Sistema di Sorveglianza degli accessi al Pronto Soccorso per il monitoraggio anche degli esiti non fatali per supportare la risposta tempestiva all’emergenza dei servizi ospedalieri durante le ondate di calore.

Tutto ciò permette, ogni estate, di produrre rapporti mensili e stagionali con una sintesi dell’impatto delle ondate di calore sulla salute. Tutti dati chiave utili, osservando e analizzando i trend del passato, a cautelarsi e adottare le giuste misure di prevenzione per il presente e per il futuro.

Prevenzione e raccomandazioni per i più vulnerabili

Proprio la prevenzione rappresenta il terzo elemento chiave del Piano. Ogni estate vengono infatti raccolte le informazioni sui piani locali di prevenzione e i protocolli di emergenza in 34 città. Allo stesso tempo si aggiorna periodicamente un documento con le linee guida per la prevenzione degli effetti del caldo sulla salute. Esso comprende sia una sintesi delle evidenze disponibili sui fattori di rischio associati al caldo e alle ondate di calore e sugli interventi di prevenzione, sia modelli e strumenti, basati sulle prove scientifiche disponibili, per l’implementazione di piani locali di prevenzione per gli effetti del caldo in ambito sanitario differenziati per livello di rischio e del livello di suscettibilità della popolazione.

Da tutto ciò discendono raccomandazioni specifiche per diversi sottogruppi di popolazione più a rischio. Studi epidemiologici hanno infatti evidenziato che durante le ondate di calore alcuni sottogruppi di popolazione sono più vulnerabili e pertanto è importante indirizzare le risorse disponibili e definire specifiche misure di prevenzione rivolte a questi sottogruppi. I servizi locali sia sanitari (Asl) sia socio-assistenziali (Comune) dispongono di sistemi informativi che, opportunamente integrati, in diverse città sono utilizzati per la definizione di una “anagrafe” dei suscettibili che rappresenta uno degli strumenti utili per effettuare interventi mirati preventivi e di assistenza.

I consigli per un’estate “in salute”

Il concetto di prevenzione, come noto, è considerato cruciale da Assidai che la ritiene fondamentale per creare i presupposti per una vita lunga e soprattutto in buona salute. Anche l’estate, da molti considerata come la stagione più bella, presenta rischi da ridurre il più possibile. A partire dall’alimentazione: bere e mangiare correttamente – sottolinea il Ministero della Salute – contribuisce a ridurre i rischi per la salute dovuti alle ondate di calore, in particolare la disidratazione. Qualche consiglio? Bere almeno due litri (otto bicchieri) di acqua al giorno, moderando al contempo il consumo di bevande con zuccheri aggiunti e di alcolici, rispettare il numero e gli orari dei pasti (in particolare non trascurando mai una adeguata prima colazione), aumentare il consumo di frutta e verdura di stagione e yogurt e ridurre drasticamente quello di cibi ricchi di grassi.

Altro aspetto chiave dell’estate, forse ancora più importante, è quello della protezione della pelle, in particolare per evitare i rischi di insorgenza del melanoma, il tumore della cute. In questo caso, i principali esperti in materia indicano un vademecum piuttosto chiaro da rispettare. Non bisogna stare al sole a tutti i costi – evitando anzi le ore più calde della giornata – e va sempre applicata (anche quando è nuvoloso) una protezione solare ad ampio spettro, resistente all’acqua e con fattore di protezione 30 o 50.

Un dizionario per il welfare aziendale

Una importante tappa di avvicinamento alla definizione di un piccolo dizionario condiviso sul welfare aziendale, a partire dall’esperienza vissuta nel corso di un anno e mezzo del progetto “Mutualismo, innovazione e coesione sociale. Secondo welfare… per primi! Il welfare aziendale che fa la differenza”. La protagonista è Solidea, società di mutuo soccorso del sociale, che negli ultimi 18 mesi ha realizzato un progetto finanziato dalla Regione Piemonte, nell’ambito del Programma Operativo Fondo Sociale Europeo 2014/2020. Progetto – si spiega – che si inserisce a pieno titolo nella promozione del welfare aziendale, il quale ha trovato attuazione nella Strategia “WE.CA.RE. – Welfare Cantiere Regionale – Coesione sociale, welfare e sviluppo locale” della stessa Regione Piemonte. Il tema trasversale è il mutualismo, che da sempre muove le attività del Terzo Settore.

Il report di Solidea e le 10 parole chiave

Il lavoro svolto da Solidea ha preso forma in un report sostanzioso, di quasi 150 pagine, composto da diverse parti. Innanzitutto, si evidenziano opportunità, criticità e resistenze che vanno esaminate per affrontare una riflessione efficace sul welfare aziendale. In secondo luogo, si esamina la rilevante mole di dati sensibili raccolti e utili per valutare l’impatto della promozione di una cultura di welfare aziendale sulla costruzione effettiva di piani di welfare. Infine, vengono isolate e spiegate nel dettaglio dieci parole chiave: Ambiente, Cooperazione e Impresa sociale, Comunità, Contrattazione, Futuro, Mutualismo, Norme, Ottica di genere, Reti, Welfare aziendale.

Tutti concetti chiave per un mondo del lavoro che si è evoluto profondamente negli ultimi anni con un’evoluzione del rapporto tra dipendente e azienda, non più in contrapposizione tra loro ma “alleati” per aumentare l’efficacia dei processi societari ma anche per raggiungere il giusto equilibrio tra lavoro e vita privata, il cosiddetto work-life balance. Ago della bilancia di tutto ciò, come più volte sottolineato anche da Assidai, è il welfare aziendale, strumento per “remunerare” e premiare dipendenti e manager, anche alla luce delle condizioni fiscali vantaggiose offerte da queste soluzioni.

La dinamica del welfare in Italia

Il welfare aziendale, si legge nel rapporto di Solidea, è un fenomeno in crescita nel nostro Paese.

“Grazie alle innovazioni sociali e organizzative che esso porta con sé, infatti, sono sempre di più le realtà imprenditoriali che stanno sperimentando questo genere di interventi a favore dei propri lavoratori. – si aggiunge – Allo stesso tempo, tuttavia, sono in molti a evidenziare come il welfare aziendale rischi spesso di rimanere appannaggio delle grandi imprese che hanno le competenze e le risorse per investire in questa direzione”.

Ecco, dunque, i temi sul tavolo:

“Esistono delle strategie per far sì che anche le piccole e medie imprese e i loro collaboratori riescano a godere dei benefici del welfare aziendale? Quali sono le modalità per permettere al welfare di fuoriuscire dai confini dell’azienda e quindi produrre ricadute positive anche per il territorio e la comunità?”

Obiettivo del lavoro svolto da Solidea è anche rispondere a queste domande. Del resto, si spiega, c’è un’evidenza che caratterizza il tempo che stiamo attraversando: non è più possibile parlare di “welfare” senza considerarlo, prima di tutto, una “condizione”. Condizione intesa come elemento imprescindibile per attivare qualsiasi tipo di progettazione in ambito sociale. Quando poi al termine “welfare” aggiungiamo la declinazione “aziendale”, – continua il report – allora la cornice si allarga: la condizione stessa si traduce non solo nella capacità di offrire un insieme di servizi e benefit a integrazione della normale retribuzione dei lavoratori, ma anche nella possibilità di rendere questo intervento un valore aggiunto per il territorio. In altre parole: aziende e imprese sociali attori di welfare collettivo che operano in sinergia con l’Ente pubblico e altri enti territoriali.

La definizione di welfare aziendale e Assidai

Al tempo stesso, si argomenta, l’azienda responsabile dei propri dipendenti ha come primo compito quello di migliorare i luoghi di lavoro, a favore di un benessere crescente dei lavoratori. Da qui nasce una delle definizioni più recenti di welfare aziendale:

“l’insieme di misure e di interventi che vengono messi in atto volontariamente da un’organizzazione a favore dei propri dipendenti, per migliorarne la vita privata e lavorativa in numerosi ambiti, incrementando il loro benessere individuale, professionale e familiare sotto il profilo economico e sociale”

Una definizione in cui Assidai si ritrova. Il nostro Fondo ritiene peraltro che oggi le politiche di total reward rivestano una grande importanza per una concreta attuazione del welfare all’interno delle aziende, perché i manager si aspettano che l’azienda comprenda e favorisca sempre più l’equilibro tra vita lavorativa e vita privata e le aziende considerano i benefit una leva di gestione e di crescita dell’individuo all’interno dei modelli di sviluppo aziendale. Proprio per questo Assidai rappresenta un benefit esclusivo e di valore: un importante strumento a disposizione di datori di lavoro e dei responsabili delle risorse umane e degli altri decision maker aziendali per ricompensare, attrarre e trattenere talenti e collaboratori. Il nostro fondo si pone a completa disposizione delle aziende per fidelizzare e motivare i dirigenti, i quadri, i dipendenti e i consulenti, favorendo la prevenzione e il mantenimento di un buono stato di salute per gli iscritti.

Welfare aziendale, UNI ed eQwa lanciano una nuova prassi

Una prassi di riferimento per il welfare aziendale applicabile in qualsiasi realtà. O meglio: un documento che può essere utilizzato per qualificare fornitori, interni ed esterni all’organizzazione, di progetti di welfare aziendale e per la verifica indipendente, cioè la certificazione o l’attestazione dei progetti. A metterla a punto, nelle scorse settimane, sono stati UNI ed eQwa Impresa Sociale. Un’iniziativa che arriva sicuramente nel momento giusto, alla luce della forte diffusione del welfare aziendale nelle imprese italiane (una su due ormai lo adotta) grazie anche ai vari incentivi messi in campo dal Governo negli ultimi anni. Una sorta di bollino di qualità per il welfare aziendale che UNI aveva già realizzato nel 2019 in partnership con il Gruppo Cooperativo Gino Mattarelli.

UNI è l’Ente Italiano di Normazione: le sue norme non sono legge, perché usarla è volontario, ma sono la soluzione migliore per realizzare un prodotto, condurre un processo o svolgere una professione. Privato, indipendente e senza scopo di lucro, UNI è riconosciuto dallo Stato italiano e dall’Unione Europea e parte delle organizzazioni CEN e ISO, che elaborano le norme rispettivamente a livello europeo e mondiale; eQwa Impresa Sociale, invece, è nata per diffondere e sviluppare riflessioni, studi e comportamenti orientati alla persona nella sua interezza, per supportarne il benessere attraverso sistemi e strumenti di welfare, e contribuire così alla riduzione delle diseguaglianze economiche e sociali.

La prassi da rispettare per il welfare aziendale

Dalla collaborazione tra queste due realtà è nata così la prassi di riferimento UNI/PdR 103:2021, che definisce principalmente tre ambiti del welfare aziendale:

  • i requisiti per la progettazione, la realizzazione e la valutazione di progetti;
  • i requisiti del welfare manager in termini di compiti, conoscenze, abilità, responsabilità e autonomia;
  • le raccomandazioni per l’attività di valutazione della conformità di prima e di terza parte.

Nel testo della prassi di riferimento, gli autori spiegano in modo molto chiaro il concetto di welfare aziendale, che è

“quell’insieme di servizi e dispositivi in denaro progettati per accrescere il benessere personale, lavorativo e familiare dei lavoratori che, se erogati in risposta ai loro bisogni reali, riescono ad incidere sul benessere organizzativo dell’organizzazione”.

Il welfare aziendale, argomentano gli esperti, ha una funzione complementare a quella dei servizi pubblici e dovrebbe essere più tempestivo, personalizzato e flessibile rispetto ai bisogni dei lavoratori e delle loro famiglie. Allo stesso tempo rappresenta “una attività essenziale per le organizzazioni che cercano uno sviluppo di medio-lungo periodo ed un rapporto corretto con i propri stakeholder: deve essere quindi considerato parte integrante dei modelli di responsabilità sociale dell’organizzazione, in particolare quelli definiti dalla UNI EN ISO 260001”.

Ma quali devono essere i requisiti generali di un piano di welfare aziendale? Su questo tema la prassi elaborata da Uni e da eQwa è estremamente ricca ma si può sintetizzare in sei punti:

  1. analisi iniziale dei bisogni e classificazione,
  2. definizione del piano strategico,
  3. progettazione degli interventi,
  4. realizzazione del progetto di welfare aziendale,
  5. misurazione dei risultati in funzione degli obiettivi
  6. attività di reporting e monitoraggio.

Tutto ciò a fronte di alcuni punti fermi. Innanzitutto, “stante l’elevato grado di specializzazione degli interventi in materia di welfare aziendale e di personalizzazione richiesto, si raccomanda di utilizzare consulenza professionale e specialistica, fornita da un welfare manager o da un team di progetto”. Inoltre, “si deve offrire un servizio completo ed integrato, anche avvalendosi di altri professionisti opportunamente coordinati”. Infine, “il piano di welfare aziendale deve essere coerente con la mission e il business plan dell’organizzazione e inserirsi in un contesto di riferimento condiviso e validato e tale attività deve essere documentata”.

Assidai e l’attenzione alle certificazioni

Assidai, va ricordato, è un Fondo Sanitario Integrativo molto attento al tema delle certificazioni. È dotato infatti di un Sistema Gestione Qualità certificata in base alle norme UNI EN ISO 9001:2015 (ISO 9001:2015), rilasciata da DNV, per quanto concerne: “Erogazione del servizio di rimborsi spese mediche ed assistenziali per dirigenti, quadri e consulenti”. Le ragioni che hanno spinto Assidai ad affrontare l’impegno di dotarsi di un sistema di gestione per la Qualità risiedono nella volontà degli Organi Sociali di fornire ai propri iscritti i migliori servizi e prodotti, cercando di individuare con i propri partner le migliori soluzioni possibili per raggiungere tale obiettivo. Inoltre, la Certificazione UNI EN ISO 9001:2015 (ISO 9001:2015), richiede al Fondo di assistenza sanitaria integrativa un miglioramento continuo dell’efficienza e dell’efficacia dei processi interni e dei servizi agli iscritti attuato anche mediante un piano di formazione e crescita professionale del personale.

Prodotto Unico Fasi-Assidai, assistenza sanitaria completa per manager

Le aziende industriali oggi hanno una nuova grande opportunità: aderire al Prodotto Unico Fasi-Assidai, una copertura integrativa che garantisce ai dirigenti in servizio un’assistenza sanitaria completa. Infatti, attraverso il Prodotto Unico Fasi-Assidai essi potranno godere dell’incremento economico quasi totale delle prestazioni previste dal Nomenclatore Tariffario del Fasi stesso.

Ecco numeri e dettagli

Ma che cosa prevede nel dettaglio il Prodotto Unico Fasi-Assidai sulla copertura integrativa per i dirigenti in servizio iscritti in forma collettiva? Per quanto riguarda le prestazioni sanitarie erogate, è previsto un rimborso fino al 100% del richiesto per i ricoveri con o senza intervento chirurgico e interventi ambulatoriali, fino a un massimo di 1 milione di euro l’anno per nucleo familiare nel caso in cui le prestazioni siano effettuate utilizzando la rete di case di cura ed equipe mediche convenzionate con il network IWS.

Anche in caso di extra-ricovero è stabilito un rimborso fino al 100% del richiesto e fino ad un massimo di 25mila euro per nucleo familiare, sempre ovviamente in regime di convenzionamento diretto. Infine, per le cure odontoiatriche è previsto un rimborso fino al 90% dell’importo richiesto per le spese relative alle voci previste dalla Guida Odontoiatrica del Fasi in vigore e secondo i criteri liquidativi in essa riportati, fino ad un massimo di 12.500 euro l’anno per l’intero nucleo familiare.

È compreso, inoltre, all’interno del contributo di adesione al Prodotto Unico Fasi-Assidai, anche la copertura aggiuntiva in caso di non autosufficienza, una tutela fondamentale per avere una sicurezza a 360 gradi.

Vantaggi operativi del Prodotto Unico Fasi-Assidai

Network unico

Per gli aderenti alla proposta sanitaria, il network è unico e capillare su tutto il territorio nazionale. L’accesso alla rete di strutture sanitarie e professionisti convenzionati è semplice e senza alcun onere per l’iscritto.

Pratica di rimborso unica

Gli iscritti possono inviare una pratica di rimborso unica attraverso il portale online di IWS – Industria Welfare Salute, che, a sua volta, provvede a inoltrare le richieste ai due Fondi per quanto di loro competenza.

Nel nuovo CCNL dei manager c’è Assidai

A luglio 2019 Federmanager e Confindustria hanno firmato il rinnovo del Contratto Collettivo per i Dirigenti Industriali che ha migliorato tutti gli aspetti chiave del rapporto di lavoro con particolare focus sul welfare. Inoltre, per la prima volta, nel contratto stesso è comparso Assidai, in un’ottica di reciproca collaborazione con il Fasi che rafforza il ruolo di entrambi nel panorama della sanità integrativa e contribuisce a salvaguardare il patto intergenerazionale tra dirigenti in servizio e pensionati. L’intesa tra i due Enti, realizzata attraverso IWS – Industria Welfare Salute (società costituita da Federmanager, Confindustria e Fasi), fornisce molte funzionalità a vantaggio degli iscritti e ottimizza le risorse per continuare a investire su temi chiave come la prevenzione sanitaria e le coperture per la non autosufficienza – Long Term Care.

Per avere ulteriori dettagli sulla copertura integrativa per i dirigenti in servizio Prodotto Unico Fasi-Assidai è possibile contattare il Customer Care Assidai al numero +39 06 44070600 (attivo dal lunedì al venerdì dalle 8.00 alle 18.00).

Lavorare più di 55 ore a settimana è salutare?

Lavorare più di 55 ore a settimana aumenta il rischio di malattie cardiache ischemiche e ictus. A dirlo sono due fonti più che autorevoli, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) che hanno evidenziato questo problema in un’analisi pubblicata sulla rivista scientifica “Environment International” a maggio ed effettuata in base ai dati raccolti in 194 Paesi.

Un allarme che suona ancora più attuale in un momento in cui, causa il Covid e il lavoro a distanza, il tempo passato davanti al pc, al telefono o collegati in meeting virtuali si è allargato a dismisura.

“La pandemia ha significativamente cambiato il modo in cui molte persone lavorano – ha sottolineato il Direttore generale dell’OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus – Il telelavoro è diventato la norma in numerosi settori di attività, facendo spesso scomparire i confini tra casa e lavoro. Del resto, numerose aziende sono state costrette a ridurre o interrompere le loro attività per risparmiare e le persone che continuano a lavorare finiscono per avere un orario di lavoro prolungato”. Tuttavia, ha aggiunto, “nessun lavoro vale il rischio di ictus o di malattia cardiaca. I Governi, i datori di lavoro e i lavoratori devono collaborare per mettere a punto dei limiti che proteggano la salute dei lavoratori stessi”.

Oltre 55 ore di lavoro settimanali aumentano i rischi

Andiamo però nei dettagli dello studio pubblicato su “Environment International”. Innanzitutto i numeri: lavorare 55 ore o più a settimana – si legge nel report – aumenta il rischio di ictus del 35% e di morire d’infarto del 17% rispetto a chi si limita a 35-40 ore di lavoro a settimana. Dati alla mano, nel 2016 in tutto il mondo quasi 400mila persone, per l’esattezza 398mila, sono decedute per ictus e 347mila per una cardiopatia, in entrambi i casi dopo aver accumulato almeno 55 ore a settimana di lavoro. Non solo. Il fenomeno è in peggioramento se si pensa che tra il 2000 e il 2016 il numero di morti per malattie cardiache legate a orari di lavoro prolungati è aumentato del 42%, e quello di ictus del 19%. In generale, si osserva, la categoria di coloro che lavorano in modo eccessivo è in progressiva espansione: oggi riguarda il 9% della popolazione mondiale ma nei prossimi anni questo numero potrebbe lievitare ulteriormente.

Quali sono le categorie più a rischio? Sicuramente gli uomini (interessati dal 72% dei decessi) e – dal punto di vista geografico e demografico – le persone che vivono nell’area del Pacifico occidentale e nel Sud-Est asiatico e i lavoratori di mezza età o anziani. La maggior parte dei decessi registrati dai ricercatori riguardavano, infatti, persone tra i 60 e i 79 anni che avevano lavorato almeno 55 ore a settimana tra i 45 e i 74 anni.

“Lavorare 55 ore o più a settimana – ha concluso Maria Neira, Direttore del Dipartimento ambiente, cambiamento climatico e salute dell’Oms – rappresenta un grave pericolo per la salute. È arrivato il momento che tutti noi, governi, datori di lavoro e dipendenti apriamo gli occhi e ci rendiamo conto che orari di lavoro prolungati possono provocare morti premature”.

Parole che confermano l’estrema attualità di questo studio e anche uno dei temi affrontati più volte da Assidai: il work-life balance, ovvero il giusto equilibrio tra vita privata e lavoro. Un concetto, quest’ultimo, che è poi alla base anche del welfare aziendale, principio ispiratore di un nuovo tipo di rapporto tra dipendente e datore di lavoro, trend sempre più rilevante in Italia e su cui il nostro Fondo ha sempre lavorato attivamente.

Gli stili di vita e la prevenzione primaria

Quando detto finora conferma un’altra grande campagna portata avanti in questi anni da Assidai, quella per la prevenzione primaria, principale strumento a nostra disposizione contro le malattie croniche (patologie dell’apparato cardiocircolatorio e respiratorio, tumori, diabete) che sono i principali killer a livello mondiale.

Non è un caso che proprio l’OMS abbia messo a punto un piano di azione per ridurre su scala globale del 30% entro il 2030 l’incidenza di queste malattie, anche dette non trasmissibili. Nel 2018 il nostro Fondo aveva promosso la campagna di prevenzione proprio contro il rischio ictus , consentendo a tutti gli iscritti di effettuare gratuitamente l’esame ecocolordoppler dei tronchi sovraortici per rilevare eventuali stenosi carotidee. Era stato possibile prenotare l’esame in tutta Italia presso le strutture sanitarie  convenzionate aderenti all’iniziativa.

In generale un’alimentazione equilibrata, evitare il consumo di alcol o tabacco, svolgere un’attività fisica in modo regolare (o quanto meno evitare la sedentarietà) e adottare stili di vita corretti rappresentano il punto di partenza fondamentale – appunto la prevenzione primaria – per diminuire il più possibile l’insorgenza di malattie croniche. È evidente come il “troppo lavoro” (55 ore a settimana sono l’equivalente di 11 ore al giorno se si assumono cinque giorni lavorativi) – laddove esso non rappresenti, ovviamente, un’eccezione motivata da particolari esigenze o momenti di un’azienda – vada a incidere proprio sullo stile di vita di una persona, azzerando il tempo a disposizione per l’attività fisica oppure costringendolo a pasti improvvisati che, spesso, sono anche quelli meno equilibrati.

Un bollino di qualità per le aziende che promuovono la salute di genere in azienda

Un bollino di qualità per le aziende che si sono distinte nel garantire la tutela della salute delle proprie dipendenti o che hanno avviato un percorso virtuoso in tal senso. È questa l’ultima apprezzabile iniziativa della Fondazione Onda, Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere, che ha inventato il cosiddetto Bollino HCF (Health Friendly Company), un riconoscimento biennale – spiega lo stesso Osservatorio – alle realtà che hanno dimostrato di avere a cuore il benessere psichico e fisico delle donne, manifestando la volontà di affiancarle nel processo di informazione e sensibilizzazione in merito a salute della donna, prevenzione primaria e salute mentale.

Le donne al lavoro: il contesto e le conseguenze del Covid

Inquadrare il contesto e momento particolare in cui si inserisce l’iniziativa è certamente utile. Secondo l’Istat, infatti, su 10 posti di lavoro solo 4 sono occupati da donne e solo una donna su due è occupata in Italia, a conferma del fatto che l’ambiente di lavoro non favorisca il lavoro femminile.

I numeri dimostrano, inoltre, quanto la pandemia stia peggiorando la situazione: gran parte dei lavoratori che hanno perso il proprio impiego è composto da donne. Rispetto a dicembre 2019, infatti, ci sono 444 mila lavoratori in meno, 312 mila dei quali sono donne.

“L’emergenza Covid-19 ci ha portato a riflettere su quanto sia ancora più importante tutelare e promuovere la salute in tutti gli ambiti di vita, compreso quello lavorativo”, ha sottolineato al proposito Francesca Merzagora, Presidente della Fondazione Onda. “In questo contesto, – ha aggiunto – riteniamo che le aziende possano svolgere un ruolo molto attivo a livello di welfare fornendo alle proprie dipendenti tutti gli strumenti necessari per preservare e tutelare la propria salute in serenità e sicurezza”.

Da qui nasce il progetto HFC che “è da un lato un riconoscimento aziendale, dall’altro un modo per spronare le aziende a far sempre di più e meglio nell’ambito della salute di genere”, aggiunge. Del resto “l’attenzione alla salute dei dipendenti, non solo delle donne, e l’introduzione di nuove pratiche di welfare potrebbero favorire di riflesso anche l’occupazione femminile”.

In realtà, il discorso è più generale e si lega alle conseguenze della pandemia sotto questo particolare punto di vista. Essa, infatti, secondo Claudio Mencacci, Presidente della Società di NeuroPsicoFarmacologia che ha partecipato all’assegnazione dei bollini della Fondazione Onda,

“ha provocato un pesante impatto sulla salute mentale in particolare delle donne: ansia, depressione problemi legati al ritmo sonno-veglia sono peggiorati, anche e soprattutto nella popolazione che ha cambiato i propri ritmi lavorativi. Un recente studio su 6.700 italiani pubblicato su una rivista di Nature ha evidenziato come i lavoratori che hanno potuto uscire di casa e recarsi sul luogo di lavoro mantenendo così le loro abitudini, pur nella paura di infettarsi, sono stati i soggetti meno colpiti da sintomi depressive”. Ciò mentre lo smart working, pur se apprezzato dai lavoratori, ha provocato “alterazioni delle routine familiari e del work-life-balance, impattando negativamente sulla salute mentale: unitamente all’aumento di peso ha comportato un aumento nel consumo di psicofarmaci, in particolare di ansiolitici e ipnoinduttori in percentuali superiori al 12%”.

I criteri di assegnazione del Bollino Health Friendly Company

Ma come è stata decisa l’assegnazione del Bollino HFC? Essa è avvenuta sulla base di un questionario strutturato su specifici requisiti e validato da un apposito Advisory Board. Includeva domande relative all’impegno dell’azienda verso la tutela della salute dei propri dipendenti, tra cui attenzione al welfare aziendale, come retribuzione, orario flessibile, smart working, alle molestie sessuali di genere in ambito lavorativo, alle politiche a sostegno della maternità e della famiglia, alla promozione di campagne informative con l’obbiettivo di facilitare l’assunzione di stili di vita corretti. Da quanto è emerso, la salute mentale e l’attenzione per gli stili di vita sono gli ambiti in cui le aziende si sono dimostrate maggiormente sensibili. Sono, inoltre, molte le realtà che hanno potenziato i propri servizi per i dipendenti rispondendo alle esigenze emerse in epoca Covid-19 (servizi digitali, sportelli, ecc.).

Le realtà che hanno ottenuto il riconoscimento istituzionale Health Friendly Company 2021 sono state: Angelini Pharma, Azienda Ulss2 Marca Trevigiana, Banca Mediolanum, Cantabria Labs Difa Cooper, Daiichi Sankyo Italia, Danone, DHL Express Italy, Edwards Lifesciences Italia s.r.l., Esselunga S.p.A., EY S.p.A., GlaxoSmithKline e consociate, Gruppo Enav, Ipsen S.p.A., Janssen Italia, Leonardo Assicurazioni, Lundbeck Italia, Mediobanca – Banca Di Credito Finanziario, Merck, Novartis Farma, Roche S.p.A. – Roche Diagnostics S.p.A. – Roche Diabetes Care Italy S.p.A. e Teva Italia.

I valori di Assidai

L’attenzione al welfare aziendale, i valori del work-life balance, la solidarietà, la salute, la professionalità e la trasparenza sono tutti punti cardine dell’azione quotidiana di Assidai. E sono elementi che, come abbiamo visto, hanno mosso questa iniziativa della Fondazione Onda per premiare le aziende che tutelano le proprie dipendenti.

Perno di tutto ciò – come abbiamo più volte ricordato – è una filosofia di “personalizzazione” del rapporto di lavoro e di evoluzione delle relazioni industriali, non più basate soltanto sulla contrattazione collettiva, ma anche sulle relazioni personali. Senza dimenticare che sono sia l’impresa sia il dipendente (lavoratore o manager) a beneficiare di un rapporto fiduciario finalizzato a centrare obiettivi come i cosiddetti “work-life balance” (cioè l’equilibrio vita privata-lavoro) e “best place to work” (l’ambiente ideale per svolgere le proprie mansioni).

Un’approfondita ricerca svolta da Assidai, in collaborazione con Ipsos già nel 2015, aveva indagato a fondo queste tematiche, evidenziando come per i manager italiani fosse cruciale la protezione di una copertura sanitaria integrativa come elemento di tranquillità per la propria vita personale e professionale.

 

Nasce la Giornata della Prevenzione Cardiovascolare

Il 13 maggio 2021 si celebrerà la prima Giornata Italiana per la Prevenzione Cardiovascolare, promossa e organizzata dalla Società Italiana per la Prevenzione Cardiovascolare (SIPREC). L’iniziativa, incentrata sul tema della prevenzione cardiovascolare a 360 gradi, – spiega l’associazione – mira ad accrescere la consapevolezza dell’importanza e dell’incidenza delle malattie cardiovascolari nelle vite dei singoli e nell’intera comunità e soprattutto a sensibilizzare tutti gli stakeholders sul ruolo centrale degli interventi di prevenzione basati sia sugli stili di vita che con l’impiego dei farmaci. Non solo: la prevenzione delle malattie cardiovascolari rappresenta ancora oggi, anche alla luce delle gravi conseguenze determinate dalla pandemia Covid-19 soprattutto nei pazienti con patologie cardiovascolari, un obiettivo primario del nostro sistema sanitario e più in generale un’esigenza della nostra società.

I numeri della patologia

Le patologie cardiovascolari detengono un triste primato che deve indurre tutti noi a uno sforzo rilevante in fase di prevenzione primaria che, come noto, è il principale strumento in nostro possesso per evitare l’insorgenza delle malattie croniche. Quest’ultime, infatti, rappresentano ogni anno il 70% dei decessi a livello mondiale. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, inoltre, ha inoltre individuato quattro gruppi di malattie killer responsabili dell’80% dei decessi prematuri legati alle a questa categoria di patologie: spiccano appunto infarto e ictus (17,7 milioni di morti), seguiti da tumori (8,8 milioni), malattie respiratorie (3,9 milioni principalmente asma e bronco pneumopatia cronico ostruttiva) e diabete (1,6 milioni).

È proprio per migliorare questa situazione che – come detto – il 13 maggio 2021 è stata istituita da SIPREC la prima Giornata Italiana per la Prevenzione Cardiovascolare. L’obiettivo è uno sforzo collettivo: l’implementazione di strategie di prevenzione sia a livello di popolazione che individuali presuppone il contributo sinergico di tutte le componenti del sistema a partire dal coinvolgimento di differenti competenze specialistiche.

Per questo, la giornata di informazione promossa da SIPREC lascerà largo spazio alle tematiche più care alla prevenzione cardiovascolare. Dal cosiddetto lifestyle (preservare il benessere attraverso l’alimentazione e lo sport) ai fattori di rischio; dalla qualità della vita legata alla prevenzione delle malattie cardiovascolari alle possibili terapie farmacologiche. Senza dimenticare approfondimenti sui cosiddetti nemici del cuore (colesterolo, diabete, fumo, ipertensione, obesità, stress, età), sulla prevenzione secondaria (attraverso specifici screening), e sulle innovazioni della telemedicina.

L’importanza della prevenzione primaria

La prevenzione primaria, come più volte ricordato da Assidai, resta il punto chiave. Nel 2019 la Fondazione Italiana per il Cuore, in collaborazione con la Società Italiana di Scienza dell’Alimentazione, ha lanciato la campagna CUORIAMOCI, che prosegue tuttora e sul proprio sito ha messo a punto un test tanto divertente quanto utile per scoprire “se ti prendi cura del tuo cuore”. L’obiettivo, in sostanza, è informare e guidare le persone ad adottare uno stile di vita sano e corretto che preservi l’apparato cardiocircolatorio.

Parliamo di piccoli ma importanti gesti quotidiani come – innanzitutto – seguire una dieta equilibrata, ricca di cereali integrali e frutta e verdura, che contenga anche legumi, latte, yogurt, carne bianca e pesce, quest’ultimi da preferire rispetto alle carni rosse e conservate. In secondo luogo, sono fondamentali i comportamenti: a tavola scegliere cibi poco salati, evitare l’uso di bevande zuccherate e moderare il consumo di bevande alcoliche. L’uso di tabacco va evitato. Inoltre, fare un po’ di movimento quotidiano diventa fondamentale: una bella camminata prima o dopo il lavoro o la scelta dei gradini al posto dell’ascensore sono solo alcuni dei modi, anche semplici, con cui possiamo tenerci in esercizio giorno dopo giorno, specie per chi non ha il tempo (o la propensione) a svolgere un’attività fisica vera e propria, che darebbe ancora più benefici al nostro organismo.

Assidai e gli screening offerti agli iscritti

Anche Assidai ha sempre posto grande attenzione al tema della prevenzione, per esempio attraverso specifiche campagne offerte gratuitamente ai propri iscritti. Una di esse, “Healthy Manager”, nel 2018 prevedeva uno screening chiave per evitare l’ictus, una delle principali patologie da ricondurre al sistema cardiocircolatorio. In particolare, offriva la possibilità di sottoporsi all’esame ecocolordoppler dei tronchi sovraortici per rilevare eventuali stenosi carotidee. Esame giudicato in modo assolutamente positivo da tutti gli esperti dato che la medicina moderna è “anticipatoria” e pertanto la diagnosi precoce di stenosi carotidee asintomatiche, può portare a una riduzione non solo dell’ictus, ma anche dei costi sociali legati alle sue conseguenze cliniche invalidanti.

Welfare aziendale: i flexible benefit

Il welfare aziendale, ormai diffuso in più di un’azienda su due in Italia, ha un ruolo sempre più centrale nel nostro Paese, anche grazie agli incentivi del Governo che dal 2016 ne hanno permesso uno sviluppo rilevante. Esso è, infatti, il simbolo di un nuovo genere di relazioni e di rapporti tra il dipendente e il datore di lavoro: non più in contrapposizione ma “alleati” per lo sviluppo dell’impresa e per il cosiddetto work life balance del dipendente stesso.

Lo strumento su cui si impernia il welfare aziendale sono i flexible benefit, ovvero una serie di servizi o beni messi a disposizione dei dipendenti da parte della propria azienda. Caratteristica fondamentale: non rientrano in una retribuzione vera e propria, in quanto sono privi di carichi impositivi e contributivi, ma consistono in “benefici” dei quali i lavoratori possono godere.

Le differenze tra flexible benefit e fringe benefit

Per spiegare bene il concetto di flexible benefit è cruciale rappresentare in maniera adeguata la differenza con i fringe benefit.

Quest’ultimi, di cui ci siamo già occupati, sono compensi in natura che il datore di lavoro offre ai dipendenti e che – aspetto fondamentale da tenere in considerazione – vanno ad aumentare il valore della retribuzione. Qualche esempio? L’auto e il cellulare aziendali, i buoni carburante, i buoni spesa, immobili concessi in locazione o in uso. Tutti questi beni, come detto, sono conteggiati nel reddito lordo del lavoratore e tassati, a meno che il valore non rimanga sotto una certa soglia. Proprio questa soglia è stata raddoppiata l’anno scorso dal DL di agosto 2020 che nel dettaglio, modificando quanto previsto dall’articolo 51, comma 3 del TUIR, ha innalzato la soglia di esenzione fiscale per i fringe benefit da 258,23 euro a 516,46 euro. Tutto ciò, tuttavia, vale soltanto per il 2020.

Passiamo ora ai flexible benefit, perimetro in cui ricadono tutte le misure di welfare aziendale concesse dal datore di lavoro e che non rientrano nel contratto individuale ma derivano piuttosto da accordi aziendali, territoriali o di categoria. Tutti questi servizi o benefici di fatto aumentano la retribuzione del dipendente ma – diversamente dai fringe benefit – non partecipano alla formazione del reddito imponibile e dunque non sono oggetto di tassazione. Qualche esempio lo offre il secondo comma dell’articolo 51 del TUIR, che snocciola tutti i redditi erogati ai dipendenti che non concorrono a formare la base imponibile. Tra questi l’assistenza sanitaria integrativa (i contributi versati dal lavoratore o dal datore di lavoro non sono tassabili fino un massimo di 3.615,20 euro e possono essere destinati non solo al dipendente ma anche ai suoi familiari); prestazioni di trasporto collettivo come il servizio di navetta, fornito dal datore di lavoro o da terzi, o abbonamenti al trasporto pubblico acquistati dal datore di lavoro; compartecipazione del datore di lavoro a spese per educazione, ricreazione o istruzione dei figli dei dipendenti; servizi di assistenza familiare e prestazioni per il rischio di non autosufficienza; previdenza complementare.

I vantaggi dei flexible benefit

Alla luce di queste considerazioni i vantaggi dei flexible benefit sono evidenti e altro non sono che la declinazione della filosofia, sempre più vincente, del welfare aziendale. Vantaggi per l’azienda ma anche per i dipendenti. Quest’ultimi, infatti, possono contare su un maggiore potere d’acquisto visto che i beni e i servizi erogati – come abbiamo visto – sono sostanzialmente esenti dal punto di vista fiscale e consentono una migliore gestione del proprio work life balance. Il datore di lavoro, dal canto suo, ottiene sia un risparmio sui costi sia un miglioramento della produttività legato alla maggiore motivazione del personale. I benefici del welfare aziendale, e dunque dei flexible benefit, sono stati misurati da un position paper realizzato da Social Value Italia, Percorsi di secondo welfare, Avanzi e ALTIS – Università Cattolica, “La valutazione d’impatto sociale come elemento costitutivo dei piani di welfare aziendale”, che ha svolto un’indagine presso 56 aziende italiane. Il risultato, di cui ci siamo già occupati  è stato che, laddove vengono misurati, tra gli effetti positivie spiccano il senso di appartenenza (88%), impegno e dedizione (75%) e produttività (63%), seguiti poi dalla capacità di “attraction” (38%) e di “retention” (25%) e l’impatto su comunità e territori (25%). Un risultato, peraltro, coerente con altre ricerche condotte a livello internazionale.

Assidai e il welfare aziendale

Il flexible benefit più richiesto, come testimoniato da diverse indagini, è l’assistenza sanitaria integrativa su cui Assidai ritiene di avere una ricca offerta di Piani Sanitari riservati alle imprese e ai professionisti. Non solo, il nostro Fondo – ove richiesto – può valutare con i decision maker aziendali la realizzazione di Piani Sanitari ad hoc, personalizzati proprio sulla base delle caratteristiche richieste dalle aziende e dai lavoratori. Ciò perché Assidai è fermamente convinto che il benessere personale e un corretto bilanciamento tra vita lavorativa e vita privata fanno bene ai manager e ai dipendenti in generale, perché accrescono il benessere organizzativo generale all’interno di un’azienda e il livello di energia e motivazione dei singoli. E, di conseguenza, incrementano la produttività, l’operatività ordinaria e aiutano ad affrontare i cambiamenti organizzativi necessari per tenere il passo della competitività. Non solo, appoggiarsi a una soluzione complementare dal punto di vista sanitario permette di essere tutelati nel momento del bisogno e al tempo stesso di alleggerire, in ottica futura, le incombenze del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) che ha davanti a sé un futuro sempre più sfidante per la dinamica demografica del Paese.

Giornata Mondiale della Salute 2021

“Costruire un mondo più giusto e più sano dopo che il Covid ha aumentato le diseguaglianze mondiali nella sanità”. È questo il messaggio chiave lanciato dalla Giornata Mondiale della Salute che si è celebrata, come ogni anno, il 7 aprile: dal 1950, infatti, il World Health Day si festeggia in questa data per ricordare la fondazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), avvenuta appunto il 7 aprile 1948.

Quest’anno l’OMS non poteva non incentrare questa ricorrenza sulle conseguenze della pandemia che sta colpendo il pianeta. L’Agenzia delle Nazioni Unite specializzata per le questioni sanitarie ha infatti evidenziato come i contagi e i decessi per Covid sono stati più frequenti tra i gruppi caratterizzati da discriminazioni, povertà, esclusione sociale e condizioni di vita e di lavoro quotidiane avverse. Non solo: secondo l’OMS l’anno scorso solo la pandemia ha portato in condizioni di povertà estrema tra i 119 ei 124 milioni di persone in più, ampliando ulteriormente il “gender gap” nell’occupazione, con un aumento delle donne senza lavoro. “La pandemia ha prosperato tra le disuguaglianze e le lacune dei sistemi sanitari, per questo è cruciale che tutti i governi puntino sul rafforzamento della sanità”, ha sottolineato al proposito il Direttore Generale dell’OMS, Tedros Ghebreyesus, evidenziando la necessità che i servizi sanitari stessi acquisiscano sempre più caratteristiche di equità e universalità.

5 proposte dell’OMS per rilanciare la sanità mondiale

Al tempo stesso, ecco dunque profilarsi per il pianeta un’occasione unica: ricostruire dopo il Covid una sanità più equa che diminuisca, anziché aumentare, le diseguaglianze. Per cogliere questa occasione l’OMS ha identificato cinque direttive chiave che dovrebbero rappresentare le principali linee d’azione dei Governi mondiali. Vediamole nel dettaglio.

  1. Innanzitutto, serve investire sulla sanità di base, evitando al contempo tagli alla spesa pubblica, visto che almeno metà della popolazione mondiale non ha accesso ai servizi sanitari essenziali: una distorsione che porta oltre 800 milioni di persone a spendere almeno il 10% del reddito familiare in assistenza sanitaria e che trascina quasi 100 milioni di persone in povertà ogni anno. L’obiettivo minimo fissato dall’OMS? I Governi dovrebbero spendere un ulteriore 1% del prodotto interno lordo per l’assistenza sanitaria di base che – è dimostrato – produce maggiore equità ma anche efficienza.
  2. In secondo luogo, bisogna dare priorità alla salute e alla protezione sociale visto che in diversi Stati i contraccolpi socio-economici legati al Covid sono stati più gravi dell’impatto del virus a livello strettamente sanitario.
  3. In terzo luogo – non meno importante – bisogna garantire l’accesso equo ai vaccini anti Covid, a livello nazionale e internazionale. Insomma, serve che siano disponibili per tutti e in particolare per gli anziani e le persone con fragilità. Tenendo ben presente una cosa: nei prossimi mesi saranno altrettanto importanti materie prime come l’ossigeno medico e i dispositivi di protezione individuale, oltre ovviamente ai test diagnostici affidabili e ai medicinali.
  4. Quarto punto: agire sulle città, migliorando per esempio i sistemi di trasporto e le strutture idriche e igieniche. Secondo l’OMS, l’accesso a alloggi sani, posti in quartieri sicuri, con adeguate strutture educative e ricreative, è la chiave per raggiungere e garantire la salute per tutti. Una necessità ancora più stringente se si pensa a tre dati emblematici: nelle aree rurali vive l’80% della popolazione mondiale caratterizzata da condizioni di estrema povertà, l’80% di coloro che non dispongono di acqua potabile e il 70% di coloro che non hanno servizi igienici di base.
  5. Infine, serve un’azione incisiva sul trattamento dei dati, che devono essere tempestivi e di qualità: è l’unico modo per capire dove esistono le disuguaglianze e per affrontarle. Il monitoraggio della disuguaglianza sanitaria – conclude l’OMS – dovrebbe essere parte integrante di tutti i sistemi informativi sanitari nazionali.

L’Italia e le sfide del futuro nella sanità

Anche l’Italia ha festeggiato la Giornata Mondiale della Salute. Intervenendo all’undicesima edizione della cerimonia di consegna delle borse di ricerca Fondazione Umberto Veronesi, avvenuta proprio lo scorso 7 aprile, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha dichiarato:

“È fondamentale investire nel capitale umano costituito dalle giovani generazioni che, con il loro spirito innovativo e la loro apertura al confronto, rappresentano la nostra speranza nella lotta contro le più gravi patologie che affliggono il nostro tempo”.

Un messaggio chiaro, anche e soprattutto guardando a un futuro in cui il nostro Servizio Sanitario Nazionale (SSN), che si distingue in tutto il mondo per le caratteristiche di equità e universalità, sarà chiamato ad affrontare sfide rilevanti come l’invecchiamento della popolazione e la dinamica di restrizione della spesa pubblica. Sfide cruciali che potranno essere affrontate con maggiore solidità se la sanità pubblica sarà affiancata e sostenuta – sempre in ottica complementare e mai sostitutiva – da fondi sanitari integrativi come, per esempio, Assidai che tutela la salute dei propri iscritti da 30 anni secondo i principi della mutualità e della solidarietà.

giornata mondiale salute 2021