Welfare aziendale, impatti positivi su imprese e dipendenti

La misurazione dell’impatto del welfare aziendale in Italia è ancora da migliorare in maniera rilevante, ma laddove viene effettuata rivela importanti effetti positivi sul lavoratore e sull’impresa, confermando quanto già evidenziato da diversi studi effettuati a livello internazionale. Inoltre, il benefit più diffuso da oggi nelle imprese è quello della sanità integrativa. È quanto emerge da un position paper realizzato da Social Value Italia, Percorsi di secondo welfare, Avanzi e ALTIS – Università Cattolica, “La valutazione d’impatto sociale come elemento costitutivo dei piani di welfare aziendale”, che ha esaminato a fondo questo tema, svolgendo anche una survey presso 56 aziende italiane, un campione variegato per settore di attività e dimensioni.

Sanità integrativa al top tra i benefit in azienda

Partiamo dalle buone notizie. I ricercatori confermano come il welfare aziendale, dal 2016, grazie agli incentivi previsti dalle Leggi di Stabilità, abbia registrato uno sviluppo importante. Esso, infatti, per oltre la metà delle organizzazioni rispondenti, è interiorizzato attraverso un piano aziendale strutturato (64%) e una politica formalizzata ad hoc (59%).

Ma quali sono i benefit messi a disposizione dei lavoratori nelle aziende oggetto del paper? Spicca la sanità integrativa (33%), seguita da previdenza complementare (29%), servizi per l’infanzia, l’educazione e l’istruzione (25%), fringe benefit ed erogazioni in natura (25%), strumenti per la gestione della flessibilità oraria (per esempio smart working) anch’essi con il 25%, servizi di trasporto collettivo e abbonamenti al trasporto pubblico (24%), cultura e tempo libero, opere e servizi con finalità sociali (24%), assistenza di familiari anziani e/o non autosufficienti (18%), assicurazioni Long Term Care per il lavoratore (7%). Un risultato interessante che conferma come l’assistenza sanitaria integrativa, erogata da fondi come Assidai, sia in cima alle preferenze dei lavoratori e delle aziende come opzione per l’investimento in welfare aziendale, senza trascurare il tema della non autosufficienza, che acquisirà purtroppo sempre più peso nei prossimi anni e decenni.

I benefici del welfare per imprese e dipendenti

Passiamo ora alla misurazione dell’impatto sociale dei piani di welfare aziendale, ovvero il punto chiave dello studio, che sul tema – in base ai risultati ottenuti – ha una posizione piuttosto chiara: “la strada da percorrere è ancora molto lunga”.

Ecco i numeri: solo il 14% dei rispondenti, ossia i rappresentanti di 8 aziende, ha dichiarato di realizzare attività, prevalentemente annuali, per il monitoraggio delle azioni di welfare in termini di effetti generati. Le ragioni della mancata realizzazione di questo tipo di progetti di analisi e monitoraggio? “Non tanto la mancanza di interesse, ma principalmente la percezione da parte delle aziende di non disporre ancora di adeguate conoscenze degli strumenti (50%), soprattutto per la gestione interna del processo (50%) e, allo stesso tempo, anche una mancanza di risorse economiche per l’affidamento a un soggetto specializzato esterno (63%)”, si legge nel paper.

Per coloro (pochi) che invece realizzano la misurazione dell’impatto dei propri servizi, invece, si spiega, “sono ben chiari gli obiettivi di questa attività sia in ottica interna per la comunicazione con i beneficiari (75%) e la programmazione strategica (63%), sia in ottica esterna per la comunicazione con gli altri stakeholder e la rendicontazione (63%)”.

Ma laddove vengono misurati, quali sono gli effetti del welfare aziendale in termini di benefici attesi per i lavoratori e l’azienda? Spiccano il senso di appartenenza (88%), impegno e dedizione (75%) e produttività (63%), seguiti poi dalla capacità di “attraction” (38%) e di “retention” (25%) e l’impatto su comunità e territori (25%). Un risultato coerente con altre ricerche condotte a livello internazionale. Tra queste si cita quella realizzata da McKinsey, secondo la quale i piani di welfare realizzati dalle imprese riducono le assenze per maternità (-15%, ovvero 1,6 mesi, pari a un risparmio di 1.200 euro per dipendente), diminuiscono le assenze a causa dall’assistenza a familiari anziani o non autosufficienti (pari a 1.350 euro l’anno) e aumentano la disponibilità a fermarsi in ufficio oltre l’orario di lavoro (+5%).

Secondo la stessa indagine, inoltre, grazie al welfare aziendale l’engagement index di un lavoratore può aumentare del 30% nelle aziende che non hanno mai introdotto queste misure e del 15% nelle aziende che già le hanno ma potrebbero migliorarle tarando meglio il pacchetto di servizi offerti in base ai bisogni dei loro lavoratori. C’è poi – si aggiunge – il gruppo di lavoro MAUNIMIB realizzato tra gli altri dall’Università degli Studi Milano: secondo un’osservazione svolta su 8 grandi aziende, è stato stimato che il “ritorno” che i piani di welfare aziendale possono produrre è poco significativo sul piano puramente economico ma ha effetti molto più rilevanti su indicatori “intangibili”, come il clima organizzativo, il tasso di turnover e la reputazione dell’azienda.

Assidai e welfare aziendale: un binomio di successo

Quanto detto finora conferma da una parte lo sviluppo realizzato dal welfare aziendale negli ultimi anni ma dall’altra parte anche la necessità di non fermare un percorso che, come ricordato in un’intervista a Welfare 24 da Attilio Gugiatti, Professore del Cergas-Bocconi, dovrà proseguire in futuro con strategie nuove e senza puntare soltanto sugli incentivi statali. Assidai, dal canto suo, ha sempre sostenuto il welfare aziendale come nuova frontiera del rapporto tra azienda e dipendente/manager in nome della ricerca di un sempre maggior equilibro tra vita lavorativa e vita privata: un benefit che le imprese considerano sempre più come una leva di gestione e di crescita dell’individuo all’interno dei modelli di sviluppo aziendale.

Per questo Assidai rappresenta un benefit esclusivo e di valore: un importante strumento a disposizione di datori di lavoro e dei responsabili delle risorse umane e degli altri decision maker aziendali per ricompensare, attrarre e trattenere talenti e collaboratori, attraverso la progettazione di Piani Sanitari taylor made, nonché con l’offerta di campagne di prevenzione gratuite finalizzate al mantenimento di un buono stato di salute per gli iscritti.

Va ricordato, infine, che già nel 2015 Assidai in un’importante ricerca per testare la conoscenza dell’assistenza sanitaria integrativa in azienda, realizzata con Ipsos, aveva riscontrato che il 34% dei dirigenti interpellati dichiarava che come strumento di welfare offerto dall’azienda desiderava l’assistenza sanitaria integrativa.

Dal CREA le nuove Linee Guida per l’alimentazione

Dopo più di dieci anni dall’ultimo aggiornamento il Crea (principale Ente di ricerca italiano dedicato alle filiere agroalimentari con personalità giuridica di diritto pubblico, vigilato dal Ministero delle politiche agricole) ha pubblicato la revisione delle Linee Guida per una sana alimentazione. Un documento chiave, riportato anche dal sito del Ministero della Salute e rivolto a tutti i consumatori che raccoglie e aggiorna consigli e indicazioni alimentari, elaborate da un’apposita commissione scientifica. Le Linee Guida italiane si basano ovviamente sul modello alimentare mediterraneo e hanno tre obiettivi molto chiari: la prevenzione delle malattie cronico-degenerative (principale causa di decessi nei Paesi occidentali), la promozione di salute e longevità (già, peraltro, punto di forza del nostro Paese visto che solo la Spagna ci è davanti come durata della vita media), e la sostenibilità sociale e ambientale.

Il rapporto tra corretta alimentazione e salute

Prima di entrare nello specifico del rapporto redatto dal Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (CREA) è necessaria una premessa. Il rapporto tra nutrizione, corretta alimentazione e salute è molto stretto. Nella storia recente del nostro Paese, sul piano della salute, – si sottolinea nel documento – si è passati dalla sotto nutrizione di un terzo della popolazione negli anni Trenta al sovrappeso, che riguarda oggi quasi il 60% degli italiani, con il 21% di obesi, dati che preoccupano soprattutto in merito al crescente problema dell’obesità infantile.

Non solo. La diffusione progressiva del sovrappeso e dell’obesità nel mondo ha portato a coniare il termine globesity, una vera emergenza globale, che minaccia la salute della popolazione occidentale. In Europa, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) segnala che la frequenza dell’obesità è triplicata negli ultimi due decenni e ha ormai raggiunto proporzioni epidemiche. A peggiorare la situazione c’è, poi, la sedentarietà: sempre l’OMS stima, infatti, che circa il 41% degli europei non svolge alcun tipo di attività fisica nell’arco della settimana e ciò aumenta il rischio di malattie croniche. Secondo l’Atlante delle malattie cardiache e dell’ictus cerebrale, recentemente pubblicato dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità, l’alimentazione non corretta e la sedentarietà rappresentano i maggiori responsabili (preceduti solo dall’abitudine al fumo) dei 17 milioni di morti per malattie circolatorie, cardiache e cerebrali. Se non bastasse, dopo molti anni di analisi ed oltre 7.000 studi scientifici, l’American Institute of Cancer Research (AICR) e il World Cancer Research Fund (WRF), due autorevolissime società scientifiche statunitensi, hanno messo a punto un decalogo di raccomandazioni per la prevenzione del cancro a tavola, dove si sottolineano le regole della corretta alimentazione e la raccomandazione a svolgere quotidianamente 30 minuti di attività fisica.

Le Linee Guida italiane: 13 direttive chiave

In questo contesto si inseriscono le Linee Guida per una sana alimentazione (stese per la prima volta nel 1986 e successivamente aggiornate con cadenza periodica), che insieme con i Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia (LARN) per la popolazione italiana sono tra gli strumenti di orientamento delle politiche alimentari del Paese. I LARN – in particolare – sono le raccomandazioni nutrizionali, ossia fissano le quantità di nutrienti e di energia in grado di soddisfare i relativi bisogni, nonché le quantità che, qualora in eccesso, potrebbero comportare effetti negativi sulla salute. Le Linee Guida sono invece le raccomandazioni basate sugli alimenti e sulla dieta, ossia indicano con quali scelte alimentari, a seconda delle tradizioni e delle abitudini locali, si possono soddisfare i LARN.

Esse si propongono la tutela della salute in situazioni in cui fattori socio-economici e comportamentali determinino eccessi o carenze di assunzione alimentare con conseguenti effetti sulla salute dell’individuo. I due strumenti sono dunque due facce della stessa medaglia: le Linee Guida traducono in indicazioni alimentari pratiche gli obiettivi nutrizionali fissati nei LARN e la loro revisione periodica segue generalmente la revisione dei Larn. La caratteristica principale delle Linee Guida per una sana alimentazione è quella di “rappresentare il consenso di una commissione multidisciplinare, con messaggi rivolti alla popolazione generale in modo autorevole e libero da condizionamenti”, spiegano ancora gli esperti che ne hanno curato la redazione.

Vediamo allora nel dettaglio le Linee Guida, curate da un gruppo di esperti (oltre 100 componenti) molto più ampio rispetto al passato e composto da specialisti dei Ministeri coinvolti nelle tematiche delle Linee Guida stessa, da professori di nutrizione, da esponenti delle società scientifiche di ambito nutrizionale e medico, da associazioni di medici, dietisti, biologi e consumatori.

Spiegarle in modo schematico è la cosa più semplice. Esse si dividono in 13 direttive chiave, che a loro volta sono suddivise in quattro blocchi logici.

  1. Bilancio nutrienti ed energia dove le direttive chiave sono “controlla il peso e mantieniti sempre attivo” e “consigli speciali per persone speciali”.
  2. Più è meglio, che approfondisce il tema degli alimenti o dei gruppi il cui consumo deve essere incentivato. Direttive chiave: “più frutta e verdura”, “più cereali integrali e legumi”, “bevi acqua ogni giorno in abbondanza”.
  3. Meno è meglio, dove nel mirino finiscono invece nutrienti critici nella dieta attuale e il cui consumo dovrebbe essere ridotto. Direttive chiave: “sui grassi scegli quali e limita la quantità”, “meno bevande zuccherate e dolci”, “meglio poco sale ma iodato”, “bevande alcoliche, se sì il meno possibile”.
  4. Varietà, sicurezza e sostenibilità, ovvero come garantirsi un’alimentazione completa e salutare di tutti i nutrienti per le diverse età e condizioni della vita. Direttive chiave: “varia la tua alimentazione”, “attenzione a diete e integratori”, “la sicurezza dei tuoi cibi dipende da te” e “scegli alimenti sostenibili”, un filone quest’ultimo particolarmente d’attualità visto il trend globale verso percorsi sempre più orientati alla sostenibilità.

Infine, le Linee Guida 2018 contengono piani dietetici, anche ipocalorici, che includono alimenti provenienti da tutti i gruppi alimentari utilizzando come riferimento le “porzioni standard italiane”, la cui corretta conoscenza da parte del consumatore è di importanza fondamentale per una alimentazione equilibrata. Novità dell’ultima revisione è l’introduzione di raccomandazioni pratiche di profili di consumo anche per i bambini e gli adolescenti, per aiutare le famiglie ad organizzare un’alimentazione quotidiana, varia ed equilibrata anche per l’età evolutiva.

Assidai e la prevenzione primaria: un impegno di lungo periodo

Le Linee Guida del CREA fin qui illustrate sono coerenti con la prevenzione primaria delle malattie croniche, principale causa di decesso nei Paesi occidentali, di cui Assidai si fa da tempo promotore nei confronti dei propri iscritti e dei propri stakeholder. Adottare stili di vita sani, in cui una corretta alimentazione e un’attività fisica (o meglio ancora sportiva) regolare sono pilastri irrinunciabili, è il modo migliore per diminuire la probabilità di insorgenza di patologie cardiocircolatorie o di tumori, alleggerendo al tempo stesso il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) di costi rilevanti che ne mettono a rischio la sostenibilità nel lungo periodo. Un obiettivo, quest’ultimo, che dovrebbe avere ciascuno di noi e che Assidai ha tra i propri capisaldi in un’ottica di supporto e complementarietà a una sanità pubblica che resta tra le migliori al mondo per le caratteristiche di equità e universalità.

Emicrania problema globale: numeri e prevenzione

Rappresenta la terza malattia più diffusa al mondo e la prima causa di disabilità sotto i 50 anni. Spesso sottovalutata, l’emicrania – stando a queste statistiche fornite dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) – è uno dei disturbi più frequenti a livello globale: colpisce infatti il 14% della popolazione, soprattutto donne (all’incirca in un rapporto di tre a uno rispetto agli uomini). Dunque, soffrirebbe di mal di testa il 18% delle donne e l’8% degli uomini. Di emicrania, dei suoi costi e delle possibili cure, si è occupato approfonditamente un convegno organizzato dal gruppo Il Sole 24 Ore, tenutosi lo scorso 20 gennaio, dal titolo “Emicrania. Combattere il disagio e prospettive future”. All’appuntamento sono intervenuti, tra gli altri, esperti di rilievo della materia come Messoud Ashina, Presidente International Headache Society, Cinzia Aurilia, Neurologo IRCCS San Raffaele Pisana, Piero Barbanti, Presidente Associazione neurologica italiana per la ricerca sulle cefalee e Rosanna Tarricone, Professore del Dipartimento di Analisi delle Politiche e Management Pubblico Università Bocconi. Un evento importante che ha trattato approfonditamente il tema dell’emicrania offrendo interessanti spunti di riflessione e discussione.

I numeri dell’emicrania in Italia e il costo per il sistema Paese

Anche in Italia le cifre sono rilevanti. Di emicrania soffre o ha sofferto il 24% della popolazione e un terzo di questa – qualcosa come 3 milioni – ne viene colpito almeno una volta a settimana. Tutto ciò ha ovviamente anche un costo sociale, considerato che la maggior parte delle persone colpite dal mal di testa è nel pieno dell’età lavorativa. Secondo un calcolo effettuato dall’Università Bocconi di Milano, l’emicrania – per tutte quelle spese che non sono coperte dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN) – oggi costa al nostro Paese 20 miliardi di euro l’anno. Il che equivale a un costo medio annuo di 4.352 euro per paziente – tra perdita di produttività (36%), assistenza informale da parte di familiari (34%), prestazioni sanitarie (25%) e cure affidate a professionisti 2%) – e un calo del rendimento al lavoro di 380 euro a persona in un trimestre.

Sono questi numeri, secondo Rosanna Tarricone del dipartimento di Analisi delle politiche e management pubblico della Bocconi, intervenuta al convegno, a dirci che “l’emicrania è una malattia emblematica della necessità di definire politiche di welfare integrate, capaci di intercettare alla base i bisogni della popolazione per contrastare le disuguaglianze”.

Il ruolo cruciale della prevenzione dell’emicrania

Serve quindi un approccio a tutto tondo, che parte ovviamente anche dalla prevenzione, che da una parte consente di aiutare a diminuire la frequenza e l’intensità dell’emicrania e dall’altra agisce anche sull’azione dei farmaci, potenziandone l’efficacia. Una strategia efficace, al di là di alcuni farmaci innovativi che consentono di “prevenire” l’insorgenza dell’emicrania, è certamente quella di adottare stili di vita sani, che riducono le possibilità che i fattori scatenanti dell’emicrania si mettano in azione.

Qualche esempio? Adottare un’alimentazione sana ed equilibrata, evitando il consumo di alcol e bevande contenenti caffeina, oltre che ovviamente di tabacco. Bere molta acqua (almeno un litro e mezzo al giorno), privilegiando al contempo cibi ricchi di magnesio, selenio e zinco come uova, pesce e cereali integrali. Può aiutare una buona “dose” di attività fisica, praticando sport come corsa, nuoto e ginnastica che hanno effetti benefici sul sistema nervoso, allentando lo stress e la tensione muscolare. Infine, non bisogna dimenticare di dormire con regolarità e a lungo, almeno otto ore a notte, e ove possibile di praticare esercizi di rilassamento come lo yoga.

La stessa Anircef, Associazione Neurologica Italiana per la Ricerca sulle Cefalee, sottolinea come uno dei principali problemi del nostro secolo è il rapporto tra salute e un corretto stile di vita, che gioca un ruolo importante in molte malattie, tra le quali anche l’emicrania. Da recenti studi l’84% degli italiani non conduce uno stile di vita adeguato, a discapito della prevenzione. Inoltre, aggiunge, si è concordi che la frequenza, la durata e l’intensità di un’emicrania possono essere influenzati da una serie di fattori, come lo stress, la dieta, le fluttuazioni ormonali e il consumo di farmaci.

Non stupisce che molte di queste indicazioni ricalchino quelle più volte fornite da Assidai ai propri iscritti come vademecum della prevenzione primaria, lo strumento principale che abbiamo a nostra disposizione per diminuire la probabilità di insorgenza delle malattie croniche (patologie polmonari e cardiovascolari e cancro) che sono la principale causa di morte e di disabilità nel mondo. Il nostro Fondo, va ricordato, negli ultimi anni – a parte il 2020 per ovvi motivi legati alla pandemia da Covid-19 – ha realizzato importanti campagne di prevenzione offerte gratuitamente ai propri iscritti; ricordiamo, per esempio, le ultime iniziative contro l’ictus o il melanoma. Non solo per tutelare la salute degli iscritti stessi ma anche per supportare il Servizio Sanitario Nazionale nell’evitare patologie che rischiano di generare, nel tempo, un peso insostenibile per la sanità pubblica.

Long Term Care, Assidai anticipa i trend del Paese

Nel panorama dei fondi sanitari integrativi italiani Assidai ha sempre giocato d’anticipo, fin dal 2010, sul delicato tema delle coperture per la non autosufficienza (Long Term Care), cioè l’insieme dei servizi socio-sanitari forniti con continuità a persone che necessitano di assistenza permanente a causa di disabilità fisica o psichica.

Definizione di non autosufficienza

La definizione di non autosufficienza per Assidai varia in base all’età dell’assistito.

Fino a 65 anni la perdita di autosufficienza avviene quando l’assistito a causa di una malattia, di una lesione o della perdita delle forze si trovi in uno stato tale da aver bisogno, prevedibilmente per sempre, quotidianamente e in misura notevole, dell’assistenza di un’altra persona nel compiere almeno quattro delle seguenti sei attività elementari della vita quotidiana: lavarsi, vestirsi e/o svestirsi, mobilità, spostarsi, andare in bagno, bere e/o mangiare.

Dal 66esimo anno di età, la perdita di autosufficienza avviene quando l’assistito è incapace di compiere in modo totale, e presumibilmente permanente, almeno tre delle attività elementari della vita quotidiana (sopra citate) e necessita di assistenza continuativa da parte di una terza persona per lo svolgimento delle stesse.

Long Term Care, numeri e criticità in Italia

Questo tema  purtroppo per l’Italia e per i principali Paesi europei, è sempre più di attualità a causa del graduale invecchiamento della popolazione. A certificare il trend, per il nostro Paese, sono stati i risultati dell’ultimo Censimento dell’Istat: è un Italia che non cresce più e che invecchia – ha certificato l’Istituto nazionale di statistica – con ormai cinque nonni per ogni bambino.

Sul sistema Italia, come è facile intuire, le prospettive non sono rosee e le analisi a tal proposito non mancano. Nei prossimi dieci anni, si stima, 8 milioni di anziani avranno almeno una malattia cronica grave, cioè ipertensione, diabete, demenza, malattie cardiovascolari e respiratorie. E già nel 2030, secondo le previsioni di Italia Longeva, la cosiddetta “bomba dell’invecchiamento” potrebbe esplodere con 5 milioni di anziani potenzialmente disabili, innescando un circolo vizioso se non adeguatamente gestito: l’aumento della vita media causerà l’incremento di condizioni patologiche che richiederanno cure a lungo termine e determineranno un’impennata del numero di persone non autosufficienti, esposte al rischio di solitudine e di emarginazione sociale. Crescerà così inesorabilmente anche la spesa per la cura e l’assistenza a lungo termine degli anziani e quella previdenziale, mentre diminuirà la forza produttiva del Paese e non ci saranno abbastanza giovani per prendersi cura degli anziani.

A maggior ragione perché l’Italia – stando ai più recenti dati Eurostat – naviga nelle retrovie a livello europeo per le cure a lungo termine che in media assorbono 15 miliardi di euro l’anno, dei quali ben 3,5 miliardi pagati di tasca propria dalle famiglie. Il nostro Paese riserva alla Long Term Care il 10% della spesa sanitaria, fanalino di coda tra i big europei: Svezia e Olanda guidano la classifica con il 26,3% e il 24,8%, la Germania è al 16,3%, l’Austria sfiora il 15% e la Francia è al 12%.

Allo stesso tempo, nel nostro Paese, come rilevato da, i servizi di welfare pubblico più tradizionali (strutture residenziali, centri diurni e assistenza domiciliare) raggiungono solamente il 31,8% della popolazione bisognosa di prestazioni per la non autosufficienza: basti pensare che i posti letto in strutture residenziali per anziani sono 270.020 (fonte del Ministero della Salute), ovvero circa un posto ogni 100 anziani non autosufficienti.

Insomma, il quadro è chiaro. Siamo davanti a un mix esplosivo, caratterizzato da un rilevante trend di invecchiamento della popolazione e da un Servizio Sanitario Nazionale (SSN) che, per quanto equo e universale, non riesce a tenere il passo. Per questo, in un’ottica complementare e non sostitutiva alla sanità pubblica, Assidai si pone come un interlocutore credibile, nei confronti di manager, professionisti e aziende, per offrire Piani Sanitari taylor made, che prevedono anche una copertura LTC all’avanguardia in Italia.

Assidai all’avanguardia sulle coperture per la non autosufficienza

Proprio un anno fa, all’inizio del 2019, per la terza volta in cinque anni il nostro Fondo ha migliorato le tutele per gli iscritti under e over 65 anni con ulteriori vantaggi, come aumenti di rendite e massimali mensili. Ciò dopo la svolta impressa nel 2015 (quando la copertura era stata estesa anche al coniuge o al convivente more uxorio dell’iscritto) e quella del 2017 (tra l’altro furono introdotti un aumento della rendita per gli under 65 e prestazioni più ricche per gli over 65). Che cosa è cambiato nel dettaglio? Bisogna distinguere tra l’iscritto sotto i 65 anni di età o sopra questa soglia.

Nel primo caso, per le prestazioni in caso di non autosufficienza garantite a favore del caponucleo (iscritto) e del coniuge/convivente more uxorio o dei figli risultanti dallo stato di famiglia fino al 26° anno di età (siano essi legittimi, naturali, legittimati, adottivi e in affido preadottivo) la rendita vitalizia aumenta. Con tre distinguo: nel caso standard da 1.100 euro (13.200 euro annui) a 1.200 euro (14.400 euro annui); se il figlio è minorenne da 1.430 euro (17.160 euro annui) a 1.560 euro (18.720 euro annui); se il figlio è disabile da 2.200 euro (26.400 euro annui) a 2.400 euro (28.800 euro annui).

Diverso il discorso se l’iscritto ha più di 65 anni: in questo caso per il caponucleo iscritto e/o il relativo coniuge/convivente more uxorio, è stata prevista l’estensione dell’assistenza infermieristica domiciliare, che prevede un massimale di 1.000 euro mensili, per un ulteriore mese e quindi per un massimo di 300 giorni per anno assicurativo per assistito (in precedenza era di 270 giorni).

Il censimento Istat e le stime LIUC Business School

L’ultimo Censimento dell’Istat, diffuso nelle scorse settimane, certifica il graduale invecchiamento della popolazione italiana. Qualche numero? Quest’anno cadono i 70 anni dal primo censimento, effettuato nel 1970. Ebbene, all’epoca l’età media della popolazione era di 32 anni, a fine 2019 è salita a 45 anni. Una dinamica che si spiega meglio guardando a due indici sintetici: il numero di anziani per bambino e l’indice di vecchiaia. Il primo ha un trend costantemente in crescita tra il 1951 e il 2019, passa infatti da meno di 1 anziano per un bambino nel 1951 a 5 nel 2019 (3,8 nel 2011). Anche l’indice di vecchiaia (dato dal rapporto tra la popolazione di 65 anni e più e quella con meno di 15 anni) è notevolmente aumentato: dal 33,5% del 1951 a quasi il 180% del 2019 (148,7% nel 2001).

Dati eloquenti che vengono utilizzati come fonte, assieme ai numeri Ocse e Inps, dall’Osservatorio settoriale sulle Rsa della LIUC Business School per analisi specifiche sul tema. Da una di queste, diffusa di recente, è emerso che per rendere sostenibile l’invecchiamento della popolazione previsto nei prossimi 25 anni bisognerebbe aumentare di oltre il 40% il numero di posti letto nelle residenze per anziani e, contemporaneamente, far crescere del 70% la presenza di badanti per il lavoro domestico di cura. Questo nello scenario minimo, immaginando cioè di mantenere, da qui al 2045, la stessa offerta di posti letto in Rsa per mille abitanti anziani che abbiamo attualmente, vale a dire poco più di 18. Se invece volessimo passare a un’offerta perlomeno allineata alla media Ocse (43,8 posti letto per mille anziani) allora dovremmo affrontare uno sforzo ben più rilevante, passando dai 259mila posti attuali a oltre 610mila (+135%).

Tutti scenari impegnativi, che fanno ben intuire l’importanza di una “stampella” privata e complementare al sistema pubblico anche sul fronte delle coperture per la non autosufficienza. E proprio per questo Assidai continua a offrire con convinzione ed efficacia il proprio contributo.

Lo screening neonatale esteso nel nostro Sistema Sanitario

Lo screening neonatale rappresenta una delle più importanti misure di prevenzione secondaria messe in campo in Italia dal Servizio Sanitario Nazionale. Esso, infatti, è gratuito e obbligatorio sin dal 1992 (L. 104/1992) per tre patologie: fenilchetonuria, ipotiroidismo congenito e fibrosi cistica.

Successivamente, la legge 167/2016 ha esteso lo screening neonatale obbligatorio a circa 40 malattie metaboliche ereditarie (divenendo il cosiddetto “screening neonatale esteso”) e ha istituito il Centro di coordinamento sugli screening neonatali all’Istituto Superiore di Sanità (ISS) al fine di assicurare la massima uniformità nell’applicazione sul territorio della diagnosi precoce neonatale. Inoltre, il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 12/01/2017 per l’aggiornamento dei Livelli essenziali di assistenza (LEA), che già coprivano lo “screening neonatale esteso”, ha garantito a tutti i neonati anche esami uditivi e visivi per la sordità congenita e la cataratta congenita.

La prevenzione e la centralità della sanità pubblica

Per quanto persistano ancora delle rilevanti disparità di accesso a livello regionale in Italia allo screening neonatale esteso, la messa a punto di questo programma testimonia e conferma due concetti chiave, pienamente sostenuti da Assidai: la centralità e l’unicità del Servizio Sanitario Nazionale e l’importanza della prevenzione, in questo caso secondaria.

Le patologie oggetto dello screening neonatale, infatti, se non riconosciute precocemente, possono causare danni spesso irreversibili soprattutto a carico del sistema nervoso centrale con conseguenti gravi disabilità. È dunque cruciale identificarle nei primi giorni di vita per intervenire in tempo e per evitare conseguenze gravi sulla salute nel neonato attraverso un intervento terapeutico farmacologico e/o dietetico. Per questo, dunque, lo screening neonatale viene considerato uno dei più importanti programmi di medicina preventiva pubblica.

Malattie metaboliche gravi: incidenza e rischi

Le malattie metaboliche ereditarie, denominate anche errori congeniti del metabolismo, costituiscono una categoria importante di malattie genetiche rare, causate dall’alterato funzionamento di una specifica via metabolica. Esse rappresentano un gruppo eterogeneo di oltre 700 diverse patologie che, prese singolarmente, sono rare ma nel loro insieme presentano un’incidenza cumulativa che varia da 1 su 500 a 1 su 4.000 nati vivi.

Tecnicamente parlando, l’assenza o la riduzione dell’attività di una proteina coinvolta in una via metabolica provoca la riduzione di alcune sostanze essenziali e l’accumulo di altre potenzialmente tossiche. Il risultato? Conseguenze cliniche nella maggior parte dei casi gravi, per esempio con la compromissione di organi vitali come cuore o il fegato o anche il cervello. Il tutto a fronte di sintomi estremamente variabili nella loro intensità.

Da tutto ciò si può ben desumere quanto sia importante una strategia nazionale efficace su questo tema. “L’Italia si pone all’avanguardia sul settore dello screening neonatale attraverso la Legge 167/2016 che rappresenta una delle norme più avanzate in materia di sanità pubblica in quanto pone l’obiettivo di effettuare lo screening a tutti i nati per un numero significativo di malattie”, ricorda l’Istituto Superiore di Sanità.

Il programma di screening neonatale secondo l’Istituto Superiore di Sanità (ISS)

Come avviene nel dettaglio lo screening neonatale esteso? Il programma prevede che tutti i neonati vengano sottoposti gratuitamente a semplici test effettuati su poche gocce di sangue prelevate dal tallone nei primi giorni dopo la nascita. Sia lo screening di base per tre patologie, attualmente obbligatorie per legge, sia lo screening esteso a più di 40 patologie possono essere effettuati sullo stesso prelievo di sangue.

L’esame viene svolto dal Centro Nascita, prima della dimissione, ed il campione di sangue viene inviato al Centri di Screening Neonatale di riferimento. Per verificare qual è il centro di screening della propria regione è consigliabile consultare il sito della Società Italiana per lo studio delle Malattie Metaboliche Ereditarie e lo Screening Neonatale.

Va anche ricordato che lo screening è un programma che non si esaurisce nel semplice prelievo ma, in caso di diagnosi confermata, avvia il paziente al trattamento specifico per la malattia identificata e ad assicurargli il successivo follow-up. Questo perché lo screening neonatale esteso – come riassume l’Istituto Superiore di Sanità – non è solo un “test” ma rappresenta un sistema e un’organizzazione che necessita la costruzione di un processo e un percorso in cui è essenziale creare un team, composto da più professionalità, per fare in modo che l’azione di sanità pubblica si esprima in tutta la sua efficacia. Si tratta quindi di rafforzare sinergie tra i vari portatori di interesse: Istituzioni centrali, Regioni, centri clinici, associazioni di pazienti e famiglie, e società scientifiche, per garantire la piena attuazione della normativa in materia e l’equità nell’accesso a tutti i nati sul territorio nazionale.

Assidai: un storia lunga 30 anni

Confindustria ha scelto di offrire ai suoi dirigenti e ai rispettivi nuclei familiari il Prodotto Unico Fasi-Assidai, una soluzione sanitaria integrativa molto completa cha ha come logica di fondo la copertura quasi integrale del costo delle prestazioni sanitarie avendo come riferimento il Nomenclatore del Fasi. Il Prodotto Unico Fasi-Assidai è frutto della collaborazione sviluppata con il Fasi e Industria Welfare Salute (IWS), società che ha portato a compimento la lunga esperienza maturata sul campo da Federmanager, Confindustria e Fasi.

La decisione di Confindustria è il coronamento di un lungo percorso di sviluppo di Assidai che, proprio nelle scorse settimane, ha tagliato il prestigioso traguardo dei 30 anni. Assidai è un Fondo di assistenza sanitaria integrativa non profit fondato nel 1990 da Federmanager e Federmanager Roma che, con il passare del tempo è sempre più diventato un punto di riferimento per i manager, i professionisti e le loro famiglie.

“La nostra scelta è la conseguenza naturale del lavoro svolto da IWS insieme ad Assidai e Fasi per la definizione di questo prodotto innovativo, che anche dal punto di vista procedurale è molto semplice. Come Confindustria anche molte altre imprese stanno scegliendo in modo crescente questa soluzione che rappresenta un Unicum nel panorama delle coperture sanitarie per i dirigenti presenti in Italia”, dichiara Francesca Mariotti, Direttore Generale di Confindustria. “Il sistema Confindustria è molto attento anche al tema del welfare aziendale. – continua Mariotti – In questi anni infatti ha svolto un ruolo determinante nel dialogo con i sindacati, soprattutto per promuovere la diffusione delle iniziative di previdenza complementare e sanità integrativa”.

“Assidai basa la propria gestione su due principi distintivi: mutualità e solidarietà. Attorno ad essi si sviluppa tutta la nostra attività, che ha come fulcro la salute e la tutela degli iscritti e delle loro famiglie. – sottolinea il Presidente Assidai, Tiziano Neviani – Vogliamo contribuire a garantire, nel tempo, la sostenibilità della sanità pubblica, che negli ultimi difficili mesi ha dimostrato di avere caratteristiche di universalità ed equità uniche al mondo”.  “La nostra essenza è sempre stata la tutela degli iscritti: la abbiamo perseguita introducendo e potenziando le coperture per la non autosufficienza, l’innovazione tecnologica, la revisione della governance e la riorganizzazione dei processi interni, oltre all’impegno sul fronte della prevenzione e della comunicazione”, precisa il Direttore Generale di Assidai, Marco Rossetti.

“Assidai rappresenta un’assoluta garanzia: persino in questi durissimi mesi di crisi pandemica, continua a riconoscere agli assistiti tutte le prestazioni previste dai rispettivi Piani Sanitari, rispettando il principio di non operare alcuna selezione del rischio sanitario”.  Secondo Stefano Cuzzilla, Presidente di Federmanager, in generale, la sanità integrativa è “un valore aggiunto per l’intero sistema Paese anche in termini di efficienza, controllo della qualità dei servizi erogati e lotta al sommerso, perché basata sul meccanismo del rimborso delle spese sanitarie effettivamente sostenute e fatturate”.

Giacomo Gargano, Presidente di Federmanager Roma, aggiunge: “Assidai ha contribuito – con l’offerta dei propri Piani Sanitari – alla diffusione del welfare aziendale, che sta assumendo sempre maggiore importanza per i lavoratori, per le imprese stesse e per lo Stato”.

Fine comunicato stampa.

Per informazioni:
Assidai – Marilena Albanese, Responsabile Marketing e Comunicazione cell. 366 9617638

Download del Comunicato Stampa

Nuovo Sistema di Garanzia dei LEA 2020

Da quest’anno è in vigore il Nuovo Sistema di Garanzia dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), approvato nel dicembre 2018 in sede di Conferenza Stato-Regioni. Di che cosa stiamo parlando esattamente? Si tratta – come riportato dal sito del Ministero della Salute – di uno strumento che consente, con le numerose informazioni ad oggi disponibili sul Nuovo Sistema Informativo Sanitario (NSIS), di misurare secondo le dimensioni dell’equità, dell’efficacia, e della appropriatezza le cure e le prestazioni rientranti appunto nei LEA e ricevute dai cittadini. Secondo gli esperti questo nuovo Sistema di Garanzia, rappresenta una svolta significativa nelle metodologie di monitoraggio e aggiorna il sistema che era stato introdotto nel 2000. In altre parole, si tratta di un sistema di verifica capillare, puntuale e aggiornato – e soprattutto distribuito su tutto il territorio italiano – del buon funzionamento della sanità pubblica italiana.

I LEA e le prospettive della sanità pubblica

Per capire l’importanza del Nuovo Sistema di Garanzia giova ricordare il ruolo cruciale giocato dai LEA nella sanità italiana. Come detto si tratta, infatti, di un acronimo che indica i Livelli Essenziali di Assistenza, cioè le prestazioni e i servizi che il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) deve fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di partecipazione (il cosiddetto ticket), utilizzando le risorse pubbliche raccolte attraverso la fiscalità generale. I LEA vengono considerati un caposaldo del nostro Servizio Sanitario Nazionale e lo rendono, in Europa, tra quelli più “assistenziali” – cioè universali ed equi – nei confronti dei cittadini. I LEA, che hanno visto una ridefinizione del loro perimetro nel 2017, all’interno del loro perimetro garantiscono in sostanza che chiunque, indipendentemente dal reddito e dal luogo di residenza, debba essere curato. Del resto, la loro base normativa è rappresentata innanzitutto dall’articolo 32 della Costituzione: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.

Tutto ciò rappresenta un punto di forza per il nostro Paese ma, in ottica futura, anche un possibile elemento di debolezza vista la dinamica di invecchiamento della popolazione e l’aumento della spesa pubblica per la sanità. Per questo, secondo gli esperti, in futuro per il Servizio Sanitario Nazionale sarà possibile mantenere gli attuali standard solo se verrà supportato da una “stampella” privata di carattere integrativo. Una posizione fermamente condivisa da Assidai che, in quest’ottica, offre dal 1990 il proprio contributo al sistema Federmanager e al Paese in un’ottica complementare rispetto al Servizio Sanitario Nazionale e mai in alternativa ad esso.

Origine e sviluppo del Sistema di Garanzia dei LEA

Il Sistema di Garanzia è stato introdotto per la prima volta nel 2000. Al tempo venne promosso dal Decreto Legislativo 56/2000, istitutivo del “federalismo fiscale”, per poi essere reso operativo nel dicembre 2001. Quel Sistema di Garanzia definiva, nel dettaglio, un set di circa 100 indicatori, individuati sulla base delle fonti informative allora disponibili e delle conoscenze in materia, rilevanti per il monitoraggio e la valutazione dell’assistenza sanitaria finalizzata agli obiettivi di tutela della salute perseguiti dal Servizio Sanitario Nazionale. Nel tempo, tuttavia, il Sistema informativo sanitario del Ministero ha modificato la sua architettura e si è evoluto, introducendo flussi informativi su base individuale e con informazioni a livello di singola prestazione erogata e tipologia. Per questo si è reso necessario modificare l’insieme degli indicatori per renderlo più adatto a descrivere le performance e le capacità di risposta dei Servizi sanitari regionali ai bisogni di salute della popolazione. Un percorso che è stato condiviso con tutte le Regioni, come riportato nei diversi Patti per la salute.

A tal proposito va ricordato che il Patto per la Salute 2010-2012 prevedeva di utilizzare, nelle more dell’aggiornamento del sistema di garanzia, un set di indicatori (la cosiddetta Griglia LEA) ripartiti tra: l’attività di assistenza negli ambienti di vita e di lavoro, l’assistenza territoriale e l’assistenza ospedaliera. In base ad essi era così possibile individuare, per le singole realtà regionali, quelle aree di criticità in un’adeguata erogazione dei LEA, sia evidenziare i punti di forza della stessa erogazione.

Il “Nuovo sistema di garanzia per il monitoraggio dell’assistenza sanitaria” è invece operativo a partire dal 1° gennaio 2020. Ha sostituito la precedente Griglia LEA introducendo 88 indicatori, di cui:

  • 16 per la prevenzione collettiva e sanità pubblica,
  • 33 per l’assistenza distrettuale,
  • 24 per l’assistenza ospedaliera,
  • 4 indicatori di contesto per la stima del bisogno sanitario,
  • 1 indicatore di equità sociale
  • 10 indicatori per il monitoraggio e la valutazione dei percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali.

Inoltre, come sottolineato dal Ministero della Salute, il Nuovo Sistema di Garanzia è “innovativo e rilevante” per tre ragioni. Innanzitutto, per le finalità del sistema, che è descrittivo, di valutazione, di monitoraggio e di verifica dell’attività sanitaria erogata in tutte le Regioni. In secondo luogo, per le modalità d’integrazione con il sistema di verifica degli adempimenti cui sono tenute le Regioni per legge. Infine, per lo schema concettuale alla base del sistema degli indicatori: l’articolazione del sistema di indicatori, che associa a ciascun LEA gli attributi rilevanti dei processi di erogazione delle prestazioni, quali efficienza e appropriatezza organizzativa, efficacia e appropriatezza clinica, sicurezza delle cure.

In sostanza, da quest’anno il Servizio Sanitario Nazionale ha indossato nuove lenti per interpretare le sue performance. La Griglia LEA, che fino ad oggi ha rappresentato la bussola per le classifiche sull’assistenza nelle varie zone del Paese, è andata in archivio e verranno usati nuovi parametri, previsti appunto dal Nuovo Sistema di Garanzia. Un passo fondamentale, in un momento cruciale per la sanità italiana.

Verso l’Unione Europea della Salute

Garantire una maggiore protezione della salute dei cittadini europei, dare all’Unione Europea e agli Stati membri gli strumenti necessari per prevenire e affrontare meglio eventuali pandemie future dopo il Covid-19 e migliorare la resilienza (cioè la resistenza agli choc e agli eventi imprevisti) dei sistemi sanitari europei. Sono questi i principali obiettivi dell’Unione europea della salute, alla quale – come annunciato negli ultimi giorni – la Commissione europea sta lavorando per creare un contesto di reciproco sostegno in cui tutti gli Stati membri si preparino alle crisi sanitarie e le affrontino insieme, le forniture mediche siano disponibili, innovative e a buon mercato, e i Paesi lavorino insieme per migliorare la prevenzione, la terapia e la fase post-cure per malattie come il cancro.

Insomma, un enorme progetto che dimostrerebbe il ruolo sempre più forte dell’Europa, non soltanto Unione monetaria ma anche politica, fiscale ed economica. Un’Europa che negli ultimi tempi si sta dimostrando sempre più compatta, soprattutto davanti alle difficoltà: ne è prova l’accordo storico sul maxi Recovery Fund da 750 miliardi approvato in estate per far fronte alla crisi economica legata al Covid-19.

Obiettivo: porre le basi per una sanità a livello europeo più forte

“Non possiamo aspettare la fine della pandemia per riparare i danni e pensare al futuro. Porremo le basi per un’Unione europea della salute più forte, in cui 27 Paesi possano lavorare insieme per individuare le minacce, prepararsi e avviare una risposta collettiva”.

Queste parole, pronunciate dalla Presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, durante il suo intervento al vertice mondiale sulla salute (e riportate dal sito della Commissione UE) indicano chiaramente lo spirito e lo scopo ultimo dell’iniziativa.

“Il nostro obiettivo – ha anche spiegato la Presidente – è proteggere la salute di tutti i cittadini europei. La pandemia di Covid-19 ha evidenziato la necessità di un maggiore coordinamento nell’Ue, di sistemi sanitari più resilienti e di una migliore preparazione per le crisi future”.

Dunque, è ora di iniziare a muoversi per costruire un’Unione europea della sanità, per proteggere i cittadini con un’assistenza di alta qualità in caso di crisi e di fornire all’Unione e ai suoi Stati membri la possibilità di prevenire e gestire le emergenze sanitarie che colpiscono l’intero Vecchio Continente.

Think tank Ispi favorevole al progetto

Sul tema, di recente, si era espresso anche l’Ispi, l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, oggi riconosciuto tra i più prestigiosi think tank dedicati allo studio delle dinamiche internazionali, dichiarandosi nettamente favorevole. Secondo l’Ispi va adottato il modello “One Health” proposto dall’Organizzazione mondiale della sanità come approccio che permette di “collegare organicamente le prospettive di una riforma sanitaria su base continentale alla più generale trasformazione della nostra società imposta dal cambiamento climatico e dalla ricerca di uno sviluppo sostenibile, verde, equo e digitale”.

L’idea è dunque quella di riscoprire la salute come “bene pubblico globale”, per costruire su di essa un contratto sociale rinnovato, perché “nessuno deve essere lasciato indietro” di fronte alla malattia. Inoltre, secondo l’Ispi, una futura, eventuale Unione Europea della Salute sarebbe sì basata sulla riforma dei Trattati sottoscritti da Stati nazionali sovrani ma, ancor più di altre iniziative, dovrebbe avere al centro del progetto i diritti e i doveri dei singoli cittadini europei, indipendentemente da passaporti e carte d’identità.

Le leve su cui agire

Quali sono le leve su cui agire per creare un’Unione europea della salute? Ecco la strada indicata dalla Commissione Ue. Innanzitutto, bisognerà lavorare sul fronte della prevenzione, approntando una serie di raccomandazioni e un piano per affrontare le crisi sanitarie sia a livello comunitario sia a livello nazionale. In secondo luogo, si dovrà rafforzare la sorveglianza, creando un sistema integrato a livello dell’Unione europea, utilizzando l’intelligenza artificiale e altri mezzi tecnologici avanzati. Servirà inoltre un miglioramento della comunicazione dei dati: gli Stati membri saranno tenuti a rafforzare tutti i sistemi per garantire la massima trasparenza degli indicatori dei sistemi sanitari (disponibilità di posti letto ospedalieri, capacità di cure specialistiche e cure intensive, numero di personale medico qualificato e altro ancora). Infine, ma non meno importante, c’è l’esigenza di un coordinamento, che consentirebbe lo sviluppo, lo stoccaggio e l’approvvigionamento di prodotti rilevanti per affrontare le situazioni di crisi in modo coordinato ed efficiente.

In questo contesto, un ruolo rilevante – sempre secondo la Commissione – dovranno averlo le agenzie dell’Unione europea: il Centro europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie e l’Agenzia europea per i medicinali sono in prima linea contro il Coronavirus. Tuttavia, proprio la pandemia ha dimostrato che entrambe le agenzie devono essere rafforzate e dotate di mandati più forti per proteggere meglio i cittadini. Senza dimenticare l’Ema (l’Agenzia europea per i medicinali), che dovrà ampliare il proprio raggio d’azione, e una nuova Agenzia per le emergenze, la cosiddetta Hera, che sarà proposta entro la fine dell’anno prossimo.

Solo agendo in queste direzioni, secondo Bruxelles, si potrà costruire un’Unione europea della Salute in grado di rispondere alle esigenze e ai bisogni della popolazione sia in tempi di “normalità” sia in tempi di pandemia. Perché – come ha ricordato Ursula von der Leyen – non si può parlare di Unione europea della Salute solo tra Governi e Parlamenti: occorre che questo tema divenga uno dei pilastri portanti della annunciata Conferenza sul Futuro dell’Europa, quale capillare forma di consultazione e progettazione di un avvenire comune.

La salute valore cardine per Assidai

L’obiettivo del progetto, dunque, è la salute di tutti i cittadini europei. La salute – insieme, tra gli altri, alla tutela, all’integrità, al welfare e alla trasparenza – è uno dei dieci valori cardine di Assidai, che da ormai 30 anni opera per garantire il miglior benessere ai manager e alle loro famiglie, garantendo un’ampia copertura delle loro esigenze, nel rispetto dei limiti del mandato del Fondo. Tra gli strumenti per raggiungere questo ambizioso obiettivo, come la Commissione Ue, Assidai considera sicuramente centrale la prevenzione (primaria e secondaria), che resta lo strumento più efficace per diminuire l’incidenza e la mortalità delle malattie croniche.

Ultimi dati ISTAT: forte recupero del PIL nel terzo trimestre

L’atteso rimbalzo del Prodotto Interno Lordo italiano (PIL) è arrivato, anche se, complice la seconda ondata del Covid-19, si aggiungono nuove criticità al quadro della congiuntura globale. A certificare il recupero dell’economia è stato l’ISTAT che lo scorso venerdì 30 ottobre ha diffuso i dati del PIL relativi proprio al terzo trimestre stimando che il Prodotto Interno Lordo – corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato – è aumentato del 16,1% rispetto al trimestre precedente, cioè aprile-giugno, quando il Paese era ancora di fatto paralizzato dal lockdown nazionale, registrando un calo del PIL del 13,3%. Certo, il confronto con il terzo trimestre del 2019 resta penalizzante (-4,7%) ma i numeri dell’ISTAT, superiori alle attese, dimostrano comunque un solido recupero del Paese in linea, peraltro, con gli altri principali partner europei.

Un trend evidenziato anche, in una recente intervista concessa a Welfare 24, newsletter di Assidai realizzata in collaborazione con Il Sole 24 Ore, da Valerio De Molli, Managing Partner e Amministratore Delegato di The European House – Ambrosetti, il Think Tank che organizza, tra l’altro, il prestigioso Forum di Cernobbio. De Molli, tuttavia, ha anche acceso un faro sull’andamento dell’economia nel quarto trimestre che dipenderà, ha precisato, da eventuali misure di contenimento sociale per contrastare il Covid-19. In ogni caso, secondo l’esperto, per non perdere il treno della ripresa il Paese deve mettere in moto riforme importanti (scuola, fisco, pubblica amministrazione) e, anche grazie al Recovery Fund, investire in maniera massiccia su infrastrutture e sanità, settore in cui – precisa – i fondi sanitari integrativi possono svolgere un ruolo complementare al Servizio Sanitario Nazionale per soddisfare i nuovi bisogni di welfare.

Il recupero italiano guidato da tutti i settori

Da che cosa è stata guidata la riscossa dell’economia italiana?

“Da un aumento del valore aggiunto sia nel comparto dell’agricoltura, silvicoltura e pesca, sia in quello dell’industria, sia in quello dei servizi. – sottolinea l’ISTAT – Dal lato della domanda, vi è un contributo positivo sia della componente nazionale (al lordo delle scorte), sia di quella estera netta”.

Ciò porta, aggiunge l’Istituto Nazionale di Statistica, a una variazione acquisita per il 2020 pari a -8,2%. Che cosa significa? Che se nel quarto trimestre la variazione del PIL fosse invariata, il dato finale del 2020 sarebbe proprio pari a -8,2%.

Già Banca d’Italia, nelle scorse settimane, aveva stimato il recupero dell’economia italiana grazie al rimbalzo della produzione industriale, che nei tre mesi estivi è tornata di fatto sui livelli pre Covid-19.  Tra luglio e settembre, avevano precisato gli esperti di Via Nazionale, è continuata la risalita degli indicatori più tempestivi relativi ai consumi elettrici, al gas distribuito al settore industriale e al flusso di traffico autostradale, avviatasi all’inizio di maggio con la riapertura di molte attività.

In forte ripresa tutti i principali Paesi europei

Anche dagli altri principali Paesi europei arrivano dati positivi sul PIL del terzo trimestre. La Francia ha mostrato un rimbalzo del 18,2% battendo le attese, anche se il ministro dell’Economia, Bruno Le Maire, ha sottolineato che il governo prevede una contrazione del PIL della Francia dell’11% nel 2020 (con un ritorno alla crescita nel 2021). Discorso simile per Spagna e Germania. La prima ha fatto segnare un recupero del PIL pari al 16,7% nel terzo trimestre e la seconda ha registrato +8,2%, sempre rispetto ai tre mesi precedenti.

A livello aggregato tutta l’Europa ha registrato una crescita forte nei mesi estivi: il PIL destagionalizzato – secondo Eurostat – è cresciuto del 12,7% nell’area euro e del 12,1% nell’UE, rispetto al trimestre precedente: è la stima flash di Eurostat. Si tratta di gran lunga degli aumenti maggiori dall’inizio delle serie temporali nel 1995 e di un rimbalzo rispetto ai cali nel secondo trimestre del 2020, quando il PIL era sceso dell’11,8% nell’area euro e del 11,4% nell’UE.

 

Rinnovo iscrizione Anagrafe dei Fondi Sanitari 2020

Il 23 ottobre 2020 Assidai ha ricevuto dalla Direzione Generale della Programmazione Sanitaria del Ministero della Salute il rinnovo dell’iscrizione all’Anagrafe dei Fondi Sanitari per l’anno 2020, di cui al Decreto del Ministero della Salute del 31 marzo 2008 e del 27 ottobre 2009, con numero di protocollo 0021606-23/10/2020-DGPROGS-DGPROGS-UFF02-P. Ricordiamo che Assidai è iscritto all’Anagrafe dei Fondi sanitari fin dal 2010 – primo anno di attività dell’Anagrafe stessa.

Un riconoscimento che si conferma essere, come ogni anno, un importante tassello del ricco mosaico rappresentato dai valori del Fondo: riservatezza, professionalità, integrità, trasparenza, mutualità, solidarietà, assistenza, salute, innovazione. Essi rappresentano i pilastri della mission di Assidai, che opera con un obiettivo sopra tutti: prendersi cura degli iscritti e delle loro famiglie senza limiti di età, di accesso e di permanenza, senza selezione del rischio e per tutta la durata della loro vita.

Perché l’iscrizione all’Anagrafe dei Fondi Sanitari Integrativi va considerata un elemento fondamentale? Proprio perché evidenzia la trasparenza del Fondo insieme alla certificazione annuale su base volontaria del proprio bilancio, al Sistema di Gestione certificato ISO 9001:2015 e al Codice Etico e di Comportamento.

L’Anagrafe è regolamentata, per le sue funzioni e finalità, dal Decreto Ministeriale del 27 ottobre 2009. All’anagrafe – si spiega nel sito del Ministero della Salute – si possono iscrivere volontariamente I fondi sanitari integrativi del Servizio Sanitario Nazionale (istituiti o adeguati ai sensi dell’art. 9 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni) e gli enti, casse e società di mutuo soccorso aventi esclusivamente fine assistenziale, di cui all’art. 51 comma 2, lettera a) del D.P.R. 917/1986 e successive modificazioni. L’iscrizione e il rinnovo dell’iscrizione può essere chiesta dal 1° gennaio al 31 luglio di ciascun anno e l’attestato viene rilasciato per via telematica, ai fondi sanitari aventi diritto, fra tutti quelli che ne hanno fatto richiesta. Inoltre, l’attestato ha la validità di un anno – pertanto l’iscrizione deve essere rinnovata annualmente – e permette anche di beneficiare delle agevolazioni fiscali previste dalla normativa vigente.

Oltre alla documentazione relativa alla loro istituzione e regolamentazione, i fondi che richiedono l’iscrizione all’Anagrafe devono fornire i bilanci di gestione e un’autodichiarazione sulla tipologia di prestazioni erogate fra quelle non comprese nei livelli essenziali di assistenza (LEA). Queste informazioni, soprattutto negli ultimi anni, hanno permesso di ampliare le conoscenze sulla sanità integrativa e di approfondire le sue dinamiche. A tal proposito, va ricordato che gli ultimi dati dell’Anagrafe sui fondi sanitari sono stati diffusi dal Ministero della Salute lo scorso anno e certificano una crescita costante della sanità integrativa italiana, con i fondi passati complessivamente dai 267 del 2010 ai 322 del 2017, a fronte di una netta prevalenza degli Enti, Casse e Società di mutuo soccorso (come Assidai) rispetto ai fondi sanitari puramente integrativi. Un trend che sarà sicuramente utile verificare con numeri più aggiornati (quando verranno pubblicati) insieme a un’altra tendenza: il divario tra il numero dei fondi sanitari integrativi e gli enti, casse e società di mutuo soccorso si è allargato nel tempo con la seconda categoria che ormai rappresenta il 97% del totale. Un gap rivelato anche dall’ammontare delle risorse erogate e nel numero di iscritti. Gli Enti, le Casse e le Società di Mutuo Soccorso, nel 2017, avevano erogato prestazioni per 2,32 miliardi di euro, a fronte di un totale di 10,6 milioni di iscritti; l’altra categoria di fondi si fermava rispettivamente a 1,3 milioni e poco più di 11mila iscritti.

Per approfondire: Report del Ministero della Salute sull’evoluzione dei fondi sanitari

evoluzione fondi sanitari