Emergenza Coronavirus: Assidai nella Fase 3

Il cuore della mission di Assidai sono gli iscritti e garantire loro il miglior benessere nei momenti più delicati della vita è quanto di più importante ci sia per il Fondo.

Assidai, in piena emergenza Coronavirus, è stato come sempre accanto ai propri iscritti con Piani Sanitari completi, che tutelano le persone in ogni momento della loro vita. Infatti, essendo un Fondo di assistenza sanitaria gestito con i più sani principi di mutualità e solidarietà, non prevede nel proprio Statuto e Regolamento alcuna esclusione del rischio pandemia e, quindi, tutte le garanzie previste dal proprio Piano Sanitario sono completamente operanti anche a seguito di una eventuale diagnosi del Covid-19.

A tutt’oggi Assidai, in piena fase 3 di questa emergenza che ha investito tutto il nostro Paese e coinvolto il Mondo nella sua globalità, conferma la piena operatività di tutti i servizi erogati, senza soluzione di continuità.

Dal 1° luglio 2020, inoltre, il personale del Fondo, dopo aver prestato servizio in modalità smart working con impegno e senso di responsabilità, è rientrato fisicamente presso la sede Assidai seguendo tutte le indicazioni degli organi preposti in materia di sicurezza.

Qualora vi fosse la necessità di contattare il Fondo, gli assistiti possono utilizzare i canali di comunicazione loro dedicati:

  • Il servizio “Comunica con Assidai”, presente all’interno dell’area riservata che permette di inviare un messaggio direttamente al Fondo e consente una veloce risposta;
  • il Customer Care Assidai al numero 06 44070600, attivo dal lunedì al venerdì dalle ore 8.00 alle ore 18.00.

Il Fondo di assistenza sanitaria integrativa Assidai, costituito da Federmanager 30 anni fa, precisa che continuerà a rivolgersi agli oltre 120.000 assistiti nell’assoluto rispetto delle prescrizioni provenienti dalle istituzionali nazionali e locali.

L’impatto sulla salute dei prodotti per la cura della persona

Un mercato, quello dei prodotti per il benessere, l’igiene e la cura della persona, che in Italia vale milioni di euro: il loro utilizzo è finalizzato al miglioramento dell’aspetto e alla protezione delle superfici esterne del corpo umano e pertanto non è percepito dai più come possibile fonte di rischio per la salute. Tuttavia, poiché i prodotti cosmetici per la cura della persona vengono a diretto contatto con la pelle e le mucose e poiché gli ingredienti sono moltissimi e comprendono anche sostanze chimiche, il loro uso costituisce una via di esposizione a sostanze che potrebbero anche essere sensibilizzanti, irritanti, nocive o tossiche.

La produzione e l’uso dei cosmetici sono regolamentati in Europa dal Regolamento (CE) 1223/2009 – entrato in vigore in tutti gli Stati membri nel 2013 – che contempla potenziali rischi che possono essere legati a diversi fattori quali, ad esempio, la presenza di ingredienti pericolosi per la salute, di allergizzanti e di contaminanti, la non corretta conservazione e/o l’uso improprio. Possibili danni associati all’uso dei prodotti cosmetici possono, inoltre, dipendere da fattori individuali legati a peculiarità fisiologiche e genetiche della persona o da patologie in presenza delle quali ne è controindicato l’uso.

Insomma, quando si parla di tali prodotti non si può non parlare di salute e dunque il tema diventa centrale per Assidai. Il nostro Fondo da 30 anni si prende cura di salute e benessere dei manager e delle loro famiglie, garantendo un’assistenza sanitaria completa per rispondere a tutte le possibili esigenze e, in questa sede, vuole offrire loro un ampio contenuto informativo – analizzando un recente rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e molte altre Fonti inerenti a tale argomento – per comprendere quali rischi posso derivare dall’uso di determinati prodotti per l’igiene e la cura, soprattutto per le persone più sensibili come i neonati, i bambini e gli anziani.

Nel dettaglio, l’ISS si propone di fare il punto della situazione “prodotti cosmetici” a partire dal quadro normativo, esplorando aspetti diversi, dall’economico al culturale e al medico-biologico, con attenzione alle nuove frontiere della moderna cosmesi incluso l’uso di nanomateriali che presumibilmente aumenterà con l’ulteriore sviluppo della tecnologia. L’obiettivo? La messa a fuoco di determinate criticità e la diffusione di una corretta informazione scientifica destinata non solo agli addetti ai lavori ma anche al consumatore.

I numeri del mercato cosmetico in Italia e nel mondo

Secondo il Ministero della Salute i prodotti per l’igiene e la cura della persona rappresentano una categoria di largo consumo e di ampia diffusione; si tratta di prodotti che fanno parte della nostra vita quotidiana e il cui impiego è legato a comportamenti abituali di cui non possiamo immaginare di fare a meno. Per “prodotto cosmetico” secondo il Regolamento CE si intende

“qualsiasi sostanza o miscela destinata ad essere applicata sulle superfici esterne del corpo umano (epidermide, sistema pilifero e capelli, unghie, labbra, organi genitali esterni) oppure sui denti e sulle mucose della bocca allo scopo di pulirli, profumarli, modificarne l’aspetto, proteggerli, mantenerli in buono stato o correggere gli odori corporei”.

Qualche numero? L’industria cosmetica internazionale ha un valore di oltre 260 miliardi di euro, con un trend positivo costante nonostante la crisi economica dell’ultimo decennio, confermando le caratteristiche anticicliche dei beni di lusso, sottolinea il rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità.  Secondo l’associazione europea “Cosmetics Europe” i principali acquirenti di prodotti cosmetici sono in Oriente: la Cina e la Russia sono i primi importatori, seguiti da Giappone e Corea del Sud. L’Europa è il maggiore produttore, con un valore di mercato stimato superiore a 77 miliardi. Nel Vecchio Continente l’industria cosmetica impiega oltre 190.000 lavoratori e indirettamente ne coinvolge oltre 2 milioni, impiegati nei settori correlati; l’Italia occupa una posizione di leadership nel settore a fronte di un fatturato stimato in 14 miliardi di euro e di circa 35mila lavoratori nel settore, che diventano 200mila se si considera l’indotto.

Qual è il target di questi prodotti? Principalmente i bambini e le donne, che usano la stragrande maggioranza (70%) dei prodotti, in particolare quelli per il make-up, anche se, negli ultimi dieci anni, il mercato dei cosmetici no gender e quello dedicato specificamente agli uomini ha visto una crescita costante, soprattutto tra gli uomini con un’età compresa tra i 20 e i 40 anni.

Contraffazione dei prodotti cosmetici

Un tema sicuramente “caldo”, che ha forte implicazioni sulla salute, è quello del mercato illegale dei cosmetici che è cresciuto costantemente, con un incremento dei prodotti contraffatti fortissimo negli ultimi anni, addirittura del 264% da un anno all’altro.

I cosmetici contraffatti, in quanto prodotti illegalmente, si caratterizzano per la mancanza di conformità alla normativa e per la possibile presenza di ingredienti vietati, o in concentrazione maggiore a quella ammessa. Si possono trovare anche contaminazione da batteri o funghi a causa dei processi produttivi in ambienti non idonei dal punto di vista igienico sanitario. Non solo: i metalli pesanti come il nichel, il piombo e in particolare il cromo, tutti vietati dalla legislazione europea, si trovano più frequentemente in rossetti contraffatti, eyeliner e altri prodotti per il trucco importati illegalmente da Paesi non UE (il maquillage in particolare dalla Cina, i profumi soprattutto dalla Turchia e Hong Kong). Recentemente è anche cresciuta la quota di cosmetici prodotti nel nostro Paese in laboratori clandestini. I contaminanti possono essere presenti in concentrazioni sufficientemente elevate da causare dermatiti e gravi allergie o danni ancora più gravi.

I cosmetici “green” e il tema certificazione

Altro punto che merita un’analisi è il mercato dei cosmetici “green” che si va velocemente espandendo in Italia e nel mondo ed è sempre più richiesto dai consumatori tanto che l’Associazione Cosmetica Italia nel marzo 2018 stima il mercato della cosmesi verde nel 2017 pari a 1,1 miliardi di euro in Italia e 45,8 miliardi di euro nel mondo. Il mercato del naturale è molto ben consolidato e in costante crescita perché moltissimi consumatori mostrano interesse per ingredienti e prodotti non chimici percepiti come più sicuri anche se tale certezza non è scontata, avverte l’Istituto Superiore di Sanità. Di fatto, solo il 10% dei prodotti è certificato biologico e, anche se i marchi e i simboli “bio” appaiono in modo sempre più numeroso su molte confezioni, la consapevolezza di consumatori e rivenditori, farmacisti inclusi, non è così scontata e sarebbe necessario fare più chiarezza.

Infatti – si spiega – mentre in agricoltura e nell’industria alimentare i prodotti sono regolati da norme dedicate, nel campo dei prodotti cosmetici non ci sono standard univoci né regole specifiche per la certificazione. Ad oggi, in mancanza di un Regolamento dedicato, l’indicazione è attenersi alle leggi in vigore CE che valgono per tutti i cosmetici fabbricati e venduti in Italia e in Europa sia che si produca un prodotto “green” che di sintesi, e riferirsi alla norma ISO 16128 per definire gli ingredienti naturali.

L’importanza dell’INCI (International Nomenclature of Cosmetic Ingredients)

Il Regolamento europeo ha previsto una serie di disposizioni specifiche sulla sicurezza perché, per esempio, i cosmetici possono essere immessi sul mercato solo se il contenitore a diretto contatto con il prodotto e l’imballaggio secondario riportano, oltre a tutti i claim pubblicitari e alle specifiche d’uso, alcune indicazioni obbligatorie relativamente agli ingredienti del prodotto stesso. Come? In ordine decrescente di peso al momento dell’incorporazione. Ma allora approfondiamo l’analisi dell’INCI per scoprire cosa si nasconde, realmente, dietro agli ingredienti che compongono un prodotto dedicato all’igiene e alla cura della persona.

Inizialmente, l’analisi dell’INCI potrebbe sembrare complesso per coloro che non hanno confidenza con la chimica, ma in realtà diventa più semplice se raggruppiamo gli ingredienti più comuni e se ne studiano le caratteristiche.

  • Formaldeide: è una sostanza di derivazione petrolifera che è stata dichiarata cancerogena ed è nella lista mondiale delle sostanze più pericolose e tossiche per gli esseri umani. Resta consentito l’utilizzo dei cessori della formaldeide che, però, sono comunque sostanze cancerogene come per esempio: Sodio idrossimetil glicinato, 2-Bromo-2-Nitropoane-1,3-Diol, Diazolidinyl urea, Imidazolidinyl urea, DMDM Hydantoin, Quaternium-15, Benzylhemiformal, Methenamine.
  • Petrolati: sono sottoprodotti del processo di raffinazione del petrolio che, oltre a non fare bene alla pelle, sono inquinanti. Le denominazioni sotto cui si trovano sono: petrolatum, paraffinum, liquidum, paraffina, ceresin, olii minerali, cera microcristallina, ozokerite e vaselina.
  • PEG (Poli-Etilen-Glicoli): sono composti che derivano dalla polimerizzazione dell’ossido di etilene e dalla lavorazione del petrolio. Esistono numerosi “PEG” all’interno degli ingredienti utilizzati e il numero accanto al termine PEG indica la lunghezza delle molecole a cui corrispondono differenti caratteristiche fisiche, mentre le proprietà chimiche sono le medesime. Vengono utilizzati nei cosmetici principalmente per ottenere emulsioni viscose ed emollienti. L’effetto, però, è solo temporaneo in quanto non avviene una vera idratazione ma viene coperto lo stato reale dell’epidermide. Inoltre, sono cancerogeni e inibiscono l’assorbimento da parte del derma delle sostanze nutritive.
  • Parabeni: sono sostanze chimiche utilizzate come conservanti negli alimenti, nei cosmetici e nei farmaci. Il loro compito è quello di proteggere i prodotti dalla formazione di batteri, funghi ecc. Accanto a questi vantaggi ci sono però anche molte controindicazioni. Una di esse è la capacità di queste sostanze di penetrare all’interno degli strati della pelle, rimanendo nei tessuti per diverso tempo. Queste sostanze sono classificate come “potenziali interferenti endocrini“, ovvero sostanze che possono interferire con la normale attività delle ghiandole che producono alcuni ormoni, soprattutto degli estrogeni e sono fortemente sospettati di avere dei legami con i tumori. Sono facilmente producibili e non molto costosi e ciò ha comportato un loro impiego in grandi quantità. Sono vietati: Isopropilparabene, Isobutilparabene, Fenilarabene, Benzilparabene e Pentilparabene ma, putroppo, è ancora consentito l’utilizzo di Propilparabene (E216), Butilparabene, Metilparabene (E218 ed E219), Etilparabene (E214), Calcium parabene, Sodium parabene e Potassium parabene.
  • Siliconi: sono composti chimici che non si trovano in natura. Utili per le loro proprietà idrorepellenti, antistatiche, anti-invecchiamento, resistenti alle alte temperature e al tempo. Il loro compito è quello di rendere le texture dei vari prodotti morbide e setose. Con il tempo, però, l’effetto risulta solo apparente: creano, infatti, una patina artificiale sulla pelle impedendo la traspirazione e l’assorbimento di ulteriori sostanze nutrienti e idratanti della zona interessata (es. Dimethicone, Amodimethicone, Cyclomethicone, Ciclopentasiloxane Polydimethicone, Quaternium-80, Simethicone).
  • Sles e Sls: sono tensioattivi chimici aggressivi che, con l’uso prolungato, danneggiano il film idrolipidico cutaneo causando secchezza e disidratazione, allergie e arrossamenti.
  • Alluminio: sostanza utilizzata nei deodoranti con proprietà antitraspiranti e antibatteriche. Potrebbe avere un legame con malattie come il morbo di Alzheimer e il cancro al seno.

La cosmetovigilanza per la tutela dei consumatori

Un ulteriore elemento da approfondire è quello della cosiddetta cosmetovigilanza.  Premesso che i prodotti in commercio sono sottoposti a controlli o sorveglianza su territorio nazionale, anche con campionamenti, per verificare e contrastare la vendita e la distribuzione di prodotti cosmetici irregolari, cioè non conformi al Regolamento (CE) 1223/2009, il consumatore, in caso di effetti avversi sulla salute, può fare una segnalazione, direttamente o attraverso il medico, al Ministero della Salute nell’ambito delle attività, appunto, di cosmetovigilanza. Queste sono definite nell’art. 23 del Regolamento (CE) 1223/2009 e includono raccolta, monitoraggio e verifica di eventuali segnalazioni di reazioni avverse, i cosiddetti effetti indesiderabili gravi e non dovuti all’impiego di prodotti cosmetici.

Al fine di facilitare la sorveglianza post-marketing e di garantire la tutela della salute dei cittadini il Ministero della Salute ha attivato una piattaforma informatica centralizzata per la raccolta e la gestione delle segnalazioni di effetti indesiderabili gravi e non gravi, per favorire l’acquisizione di nuove informazioni sulla qualità e sicurezza dei cosmetici disponibili.

Infine, un ulteriore strumento a tutela della salute dei consumatori è rappresentato dal sistema europeo di allerta rapida RAPEX (European Rapid Alert System for non-food consumer products). Grazie a questo sistema le autorità nazionali notificano alla Commissione Europea i prodotti che, ad eccezione degli alimenti, dei farmaci e dei presidi medici, rappresentano un grave rischio per la salute e la sicurezza dei consumatori. Fin dall’entrata in vigore della Direttiva 2001/95/CE sulla sicurezza generale dei prodotti, la Commissione europea pubblica così con cadenza settimanale un elenco delle notifiche RAPEX accessibile al consumatore. Le allerte riguardano prevalentemente la presenza di sostanze irritanti e sensibilizzanti, e, meno frequentemente, la presenza di sostanze vietate e pericolose. Il consumatore può comunicare e segnalare l’effetto indesiderabile sia all’azienda distributore del prodotto che all’Autorità per il tramite del medico e anche del Centro Anti Veleni.

Per concludere, qualche informazione pratica. Sul sito del Ministero della Salute, nella sezione cosmetici, si possono trovare tutte le informazioni relative a questi prodotti. Nello specifico, i dettagli sulla cosmetovigilanza e sugli effetti indesiderabili sono presenti nella sezione vigilanza, dove vengono descritte le modalità di segnalazione, compilando un’apposita scheda, al Ministero della Salute sia per le aziende che per i professionisti sanitari e per gli utilizzatori finali (consumatori, estetiste, parrucchieri etc…).

Perché segnalare è importante? Su questo punto il Ministero è chiaro: l’analisi delle segnalazioni degli effetti indesiderabili potenzialmente attribuibili all’uso dei cosmetici permette, ad esempio, di modificare le istruzioni e le avvertenze d’uso riportate in etichetta o di rimodulare la composizione di un prodotto cosmetico. Insomma, il sistema di segnalazione costituisce un importante strumento per la tutela della salute del consumatore.

Il vademecum per scegliere e utilizzare un prodotto cosmetico

Infine, un breve vademecum per un uso corretto e consapevole dei prodotti per l’igiene e la cura della persona:

  • Controllare attentamente l’etichetta: è importante leggere sempre l’INCI per scegliere i prodotti senza sostanze chimiche nocive e seguire con estrema attenzione le modalità d’uso, la zona e i tempi di applicazione. Se si avverte prurito, bruciore o altri sintomi dopo l’utilizzo di un cosmetico sospenderne sempre l’uso e se i sintomi persistono, consultare un medico, un farmacista e/o eventualmente uno specialista.
  • Per evitare la contaminazione dei cosmetici: lavare le mani prima di applicare il trucco e non condividerlo con altre persone e non aggiungere acqua o saliva per diluirlo.
  • Non usare cosmetici scaduti: attenzione alla data di durata minima (indicata sulla confezione con la dicitura “Usare preferibilmente entro…” seguita da mese e anno o giorno, mese e anno), che è quella fino alla quale il prodotto cosmetico, stoccato in condizioni adeguate, mantiene le sue caratteristiche iniziali. La sua indicazione non è obbligatoria per i prodotti cosmetici che abbiano una durata minima superiore ai 30 mesi.
  • Non usare mai un prodotto cosmetico che abbia cambiato odore, colore o consistenza.
  • Non acquistare prodotti cosmetici attraverso canali non regolarmente autorizzati alla vendita (come per esempio commercio ambulante non autorizzato).

Il mondo contro il fumo: una battaglia da vincere

Lo scorso 31 maggio è stata celebrata la Giornata Mondiale senza tabacco: un’occasione importante finalizzata a sensibilizzare l’opinione pubblica sugli effetti nocivi e mortali del fumo e a scoraggiare l’uso del tabacco in qualsiasi forma, essendo quest’ultimo responsabile – secondo gli studi più aggiornati – del 25% di tutti i decessi per cancro a livello globale. L’Organizzazione Mondiale della Sanità nel mondo e il Ministero della Sanità e l’Istituto Superiore di Sanità in Italia sono sempre stati in prima fila nella battaglia contro il fumo visto che la nicotina e i prodotti del tabacco aumentano in modo significativo anche il rischio di malattie cardiovascolari e polmonari.

Siamo nel campo della prevenzione primaria, cioè tutta quella serie di comportamenti corretti e salutari (che comprendono anche, per esempio, un’alimentazione equilibrata e uno stile di vita attivo), finalizzati a evitare l’insorgere delle malattie croniche, principali killer a livello mondiale e responsabili di almeno il 70% dei decessi nei Paesi occidentali.

OMS e Ministero della Salute: i costi del fumo

I numeri, del resto, parlano chiaro. Secondo l’OMS il tabacco uccide più di 7 milioni di persone ogni anno: oltre 6 milioni sono il risultato del consumo diretto di tabacco, mentre circa 890.000 derivano dal fumo passivo per i non fumatori. Ciò tenendo presente anche un altro dato chiave: circa l’80% degli 1,1 miliardi di fumatori del mondo vive in Paesi a basso e medio reddito.

Ancora: il fumo di tabacco è la causa principale del cancro del polmone, seconda causa di morte a livello globale dopo le patologie cardiocircolatorie. Non è un caso, infatti, che dopo 10 anni di abbandono delle sigarette, il rischio di cancro ai polmoni scenda a circa la metà di quello di un fumatore.

Ma il fumo di tabacco è anche la principale causa di broncopneumopatia cronica ostruttiva, una condizione in cui l’accumulo di muco e pus nei polmoni si traduce in una tosse dolorosa e in difficoltà di respirazione, e aggrava l’asma.

Ha effetti sui neonati: i bambini piccoli esposti al fumo passivo sono a rischio di esordio ed esacerbazione di asma, polmonite e bronchite e frequenti infezioni delle vie respiratorie inferiori. Globalmente, secondo l’OMS, 165mila bambini muoiono prima dei cinque anni di questo tipo di infezioni causate dal fumo passivo.

Infine, il fumo di tabacco è una forma molto pericolosa di inquinamento dell’aria interna: contiene oltre 7.000 sostanze chimiche, 69 delle quali sono note per causare il cancro e anche se può essere invisibile e inodore può rimanere sospeso nell’aria per un massimo di cinque ore, esponendo ai rischi spiegati finora chi lo respira.

Per riassumere, sottolinea dal canto suo il report annuale 2020 “Prevenzione e controllo del tabagismo” redatto dal Ministero della Salute, il tabacco provoca più decessi di alcol, AIDS, droghe, incidenti stradali, omicidi e suicidi messi insieme: il fumo è una causa nota o probabile di almeno 25 malattie.

“La più grande minaccia per la salute e il primo fattore di rischio delle malattie croniche non trasmissibili a livello mondiale”,

sintetizza l’OMS. Per questo il Piano di Azione Globale dell’OMS per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie ha incluso l’obiettivo di ridurre la prevalenza dell’uso di tabacco (da fumo e non da fumo) del 30% nel 2025 rispetto ai valori del 2010 anche se dai dati stimati la riduzione si fermerebbe al 23,4%.

In Italia, meno fumo ma ancora troppi morti

In questo contesto come si posiziona l’Italia? Per quanto ci riguarda qualche buona notizia c’è. Nel 2019, secondo i dati Istat, i fumatori, tra la popolazione di 14 anni e più, sono poco meno di 10 milioni. La prevalenza è scesa per la prima volta sotto il 19% ed è pari al 18,4%; restano comunque forti differenze di genere: tra gli uomini i fumatori sono il 22,4%, tra le donne il 14,7%. In ogni caso la progressione è positiva: nel 1993 la prevalenza era al 25,8%, prima dell’entrata in vigore della cosiddetta Legge Sirchia (nel 2003) al 23,8% con una riduzione relativa, dunque, negli ultimi 16 anni, di oltre il 22%. Nel dettaglio, il calo dei fumatori è quasi raddoppiato passando da una diminuzione di circa lo 0,7% annuo tra il 1993 e il 2003 all’1,3% annuo tra il 2003 e il 2019, soprattutto grazie al fatto che le donne fumatrici nel periodo 1993-2003 addirittura aumentavano dello 0,4% l’anno, mentre dopo la Legge Sirchia hanno cominciato a decrescere dello 0,9% l’anno. Anche gli uomini fumatori che prima diminuivano dell’1,2% l’anno hanno aumentato la “velocità” diminuendo dell’1,6% ogni anno.

In Italia, sottolinea inoltre il Ministero della Salute, si stima che possano essere attribuibili al fumo di tabacco oltre 93mila morti (il 20,6% del totale di tutte le morti tra gli uomini e il 7,9% del totale di tutte le morti tra le donne) con costi diretti e indiretti pari a oltre 26 miliardi di euro. Per quanto riguarda il carcinoma polmonare, una delle principali patologie fumo-correlate, nel nostro Paese la mortalità e l’incidenza sono in calo tra gli uomini ma in aumento tra le donne, per le quali questa patologia ha superato il tumore allo stomaco, divenendo la terza causa di morte per neoplasia, dopo il tumore al seno e al colon-retto. Un andamento che rispecchia quello della prevalenza dei fumatori, con una progressiva riduzione nei maschi e un costante lieve aumento nelle femmine tra il 1993 e il 2005.

I costi economici e sociali delle sigarette

Il tema dei “costi” legati al fumo non è certo secondario rispetto alle conseguenze a livello sanitario. La spesa sanitaria pubblica annuale dell’Unione Europea per il trattamento di sei principali categorie di malattie causate dal fumo è stimata intorno a 25,3 miliardi di euro, mentre è stimata in ulteriori 8,3 miliardi di euro all’anno la perdita in termini di produttività (inclusi prepensionamenti, decessi, situazione di non autosufficienza e assenteismo dal lavoro) legata al fumo: se monetizzati, gli anni di vita persi a causa del tabacco corrisponderebbero a 517 miliardi di euro ogni anno.

Diversi studi documentano, inoltre, l’effetto negativo delle sigarette sull’economia e sul lavoro. In particolare, l’evidenza mostra che per le aziende i fumatori sono fonte di costi più alti, dovuti soprattutto alla perdita di produttività associata a malattia e a pause per fumare, a più frequenti incidenti durante l’orario di lavoro, ai maggiori costi dei premi assicurativi per malattie o per incendio, a effetti negativi sui colleghi non fumatori e a pensionamenti anticipati per disabili.

La prevenzione primaria e Assidai

Assidai ritiene la prevenzione primaria fondamentale per evitare o ridurre a monte l’insorgenza e lo sviluppo di una malattia o di un evento sfavorevole: stili di vita sani e corretti, un’alimentazione equilibrata, un consumo limitato di alcolici, la pratica quotidiana di movimento (se non di attività sportiva) e ovviamente lo stop a qualsiasi uso di tabacco.

Del resto, il nostro Servizio Sanitario Nazionale (SSN) – per quanto considerato tra i migliori al mondo per le caratteristiche di universalità ed equità – nei prossimi anni sarà ulteriormente sotto pressione per le dinamiche demografiche e di spesa pubblica e non appesantirlo ulteriormente con costi miliardari legati al trattamento delle patologie legate per esempio al fumo (a partire da cancro e malattie cardiocircolatorie) deve essere considerato una priorità da ciascun cittadino, anche come atto di responsabilità nei confronti della comunità.

Con il 5×1000 ripartiamo dai giovani per ripensare il futuro

La situazione che il nostro Paese, come ormai gran parte del mondo, sta affrontando in questo periodo e l’impatto senza precedenti che sta generando sulle nostre vite, impongono di guardare al futuro con uno sguardo diverso, per tentare di ridisegnare una realtà migliore di quella che abbiamo lasciato. Oggi ancora di più, per far ripartire l’Italia ci sarà bisogno di riscoprire la solidarietà, anticipando i bisogni sociali che andranno sempre più ad aumentare.

Vises, la onlus di Federmanager, da anni lavora per contribuire al benessere delle persone e della società civile, tutelando i diritti dei più deboli. Realizzando percorsi educativi innovativi per lo sviluppo delle competenze personali e professionali, offre orientamento e sostegno a donne e giovani, categorie che la crisi attuale sta colpendo duramente.

All’educazione dei giovani Vises ha dedicato negli anni gran parte della sua azione: con progetti come Un’impresa che fa scuola e Apprendere x Riprendere, realizzati grazie al costante sostegno di Assidai, Federmanager e di molti manager, che intendono offrire ai ragazzi gli strumenti utili per diventare cittadini attivi e consapevoli, in grado di entrare, con nuove e rafforzate competenze, in un modo del lavoro che necessariamente verrà stravolto da questa crisi.

L’emergenza in atto ha imposto la sospensione della scuola e un adeguamento dei supporti educativi, con il rischio di aumentare le disuguaglianze lasciando indietro molti giovani. Sarà quindi indispensabile supportare le famiglie e i ragazzi per garantire il diritto fondamentale all’istruzione e permettere ai giovani di continuare ad essere parte attiva della crescita economica e sociale del Paese.

Grazie al contributo e alla partecipazione dei manager, uomini e donne abituati a trasformare i problemi in opportunità, volontari che con professionalità e passione si impegnano in prima linea o sostengono l’Associazione con donazioni, Vises realizza nelle scuole percorsi per lo sviluppo delle competenze trasversali e per l’orientamento, aiutando i ragazzi ad affrontare le continue sfide e i cambiamenti della società.

Inserendo il codice fiscale 08002540584 nello spazio della dichiarazione dei redditi riservato al sostegno al volontariato è possibile partecipare in modo semplice e diretto alle iniziative di Vises per lo sviluppo e diffusione di una cultura manageriale responsabile e partecipe del benessere della società civile, attenta alla creazione di valore sostenibile e impegnata per lo sviluppo delle competenze e per l’educazione dei giovani. Per immaginare un nuovo futuro che parta proprio da loro si può ripartire anche solo da un piccolo gesto come mettere una firma!

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L’impatto sulla salute dei metalli presenti nei cibi

La contaminazione alimentare da metalli rappresenta sicuramente un tema da non sottovalutare e su cui, invece, riporre forte attenzione. L’arsenico, il cadmio, il piombo e il mercurio sono composti chimici che esistono in natura e che possono trovarsi nell’ambiente a varie concentrazioni, ad esempio nel terreno, nell’acqua e nell’atmosfera. Ma i metalli possono anche essere presenti nei cibi come residui, essendo già nell’ambiente a esito di attività umane come l’allevamento, l’industria e i gas di scarico di autoveicoli oppure a causa di una contaminazione avvenuta durante la lavorazione e la conservazione degli alimenti. Gli esseri umani possono dunque essere esposti a questi metalli tramite l’ambiente o per ingestione di cibi o acqua contaminati e il loro accumulo nell’organismo umano può causare, nel tempo, effetti dannosi.

Questi metalli sono oggetto di attenzione da parte di autorità internazionali come l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) che hanno valutato i rischi derivanti alla salute umana dalla loro assunzione attraverso la dieta. Anche l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha effettuato studi sull’esposizione alimentare per la popolazione italiana. I risultati?

Ad eccezione dei fumatori, la fonte numero uno di esposizione al cadmio – sottolinea l’Istituto Superiore di Sanità (che ha nel proprio sito un approfondimento sui metalli pesanti e i loro rischi) – è rappresentata dalla dieta. I principali alimenti responsabili sono: cereali, verdura e ortaggi, patate, crostacei e molluschi.

Il mercurio, invece, è legato soprattutto a determinate tipologie di pesce: al proposito l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare invita a ridurre il consumo, soprattutto in gravidanza e durante la prima infanzia, di grandi predatori come pesce spada, tonno e luccio e a sostituirlo con altri pesci, come il pesce azzurro o le orate, che contengono concentrazioni molto meno elevate di metilmercurio.

E se il riso è l’alimento che ha le più spiccate capacità di accumulare l’arsenico legate al particolare ambiente in cui avviene la coltivazione della pianta, per la contaminazione da nichel delle filiere alimentari vanno tenuti sotto controllo per prevenire possibili effetti cronici sulla salute – specialmente nei bambini – cereali, dolci, verdure e ortaggi, acqua e bevande alcoliche.

Contaminazione alimentare: il caso dell’alluminio

Va ricondotto a questo quadro, anche se rappresenta sicuramente un caso a parte, la possibile contaminazione alimentare da contatto con l’alluminio, che trova largo impiego nel settore alimentare. Con esso vengono infatti realizzati imballaggi e recipienti destinati a venire in contatto con gli alimenti come pentole, film per avvolgere, vaschette monouso o caffettiere. Per questo, il Ministero della Salute ha chiesto al Comitato nazionale per la sicurezza alimentare (Cnsa) di esprimere un parere circa la valutazione del rischio derivante dall’utilizzo di materiali a contatto alimentare costituiti da alluminio e sue leghe, soprattutto per categorie di popolazione particolarmente vulnerabili (bambini e anziani). Ne è uscita un’analisi molto interessante (qui il documento completo) che sottolinea come

“l’alluminio, onnipresente nella nostra vita quotidiana, è uno dei metalli con riconosciuta potenziale pericolosità̀ per la nostra salute, anche considerando la presenza diffusa in molti alimenti e in molti altri prodotti di consumo”.

Il Comitato nazionale per la sicurezza alimentare, va ricordato, è un organo autorevole, autonomo e composto da 13 esperti (e un presidente) di comprovata esperienza nominati dal Ministero della Salute: il suo ruolo è tecnico-consultivo in materia di valutazione del rischio. Il Comitato si articola in due sezioni: una per la sicurezza alimentare e un’altra, consultiva, delle associazioni dei consumatori e dei produttori sempre in materia di sicurezza alimentare. La Sezione per la sicurezza alimentare, nel dettaglio, svolge consulenza tecnico-scientifica alle amministrazioni che si occupano di gestione del rischio nelle materie correlate alla sicurezza alimentare, formulando pareri scientifici su richiesta delle amministrazioni centrali e regionali.

Ebbene secondo il Cnsa, l’alluminio può interferire con diversi processi biologici e pertanto indurre effetti tossici in organi e sistemi: il tessuto nervoso è il bersaglio più vulnerabile. Questo metallo ha una biodisponibilità orale molto bassa nei soggetti sani anche se, per contro, la dose assorbita ha una certa capacità di bioaccumulo, specie per bambini piccoli, anziani e nefropatici. Inoltre, si aggiunge, l’alluminio può aumentare la morte neuronale e lo stress ossidativo a livello cerebrale; per cui non va escluso un ruolo nell’aggravare o accelerare i sintomi e l’insorgenza di patologie neurodegenerative umane.
La via primaria di esposizione per la popolazione generale è quella alimentare. La sua concentrazione negli alimenti può derivare da un background naturale o da emissioni ambientali; vi è inoltre un utilizzo di additivi alimentari a base di alluminio, che però è stato drasticamente ridotto a partire dal 2011. Attualmente, il principale fattore direttamente prevenibile è la contaminazione del cibo per contatto, ad esempio, per fenomeni migrazionali da utensili per la cottura o imballaggi. Per quanto generalmente modesta, la migrazione diventa marcata quando i materiali a base di alluminio vengono in contatto con cibi acidi (acido citrico) o contenenti sale. Alcuni studi effettuati con alimenti avvolti in fogli di alluminio e sottoposti a differenti tipi di cottura (in forno e grigliati sulla carbonella) hanno dimostrato che l’elevata temperatura comporta l’aumento della concentrazione dell’alluminio nell’alimento. Inoltre – continuano gli esperti – i dati disponibili indicano che i cereali e prodotti a base di cereali, verdure, bevande e formule per lattanti sono i principali determinanti dell’esposizione alimentare all’alluminio. L’acqua potabile rappresenta una fonte di esposizione secondaria. Un’ulteriore esposizione può infine derivare da medicinali e prodotti di consumo (ad esempio per la cura personale) che contengono composti dell’alluminio.

Lo studio dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) su 48 cibi

Il quadro delle ricerche in materia è stato arricchito da un recente paper dell’Istituto Superiore di Sanità, intitolato “Studio dell’esposizione del consumatore all’alluminio derivante dal contatto alimentare” che ha effettuato prove di cessione di alluminio da pentolame, utensili, barattoli, vaschette e film monouso di alluminio in contatto con 48 tipologie di preparazioni alimentari cotte e/o conservate in condizioni realistiche. Combinando l’incremento di alluminio con il consumo alimentare è stata stimata l’esposizione della popolazione italiana riferendola a diverse fasce di età (bambini, adolescenti, adulti, anziani), somministrando un questionario conoscitivo sulla frequenza di uso di materiali e oggetti di alluminio a contatto con alimenti nelle famiglie italiane. La conclusione?

L’esposizione all’alluminio da articoli monouso contribuisce in modo modesto all’incremento di alluminio assumibile ceduto in alimenti, rispetto alla esposizione da pentolame e utensili, fra i quali però il consumo di brodi è una delle maggiori fonti di esposizione, specialmente, per le fasce di età̀ dei bambini. Sicuramente un elemento su cui riporre particolare attenzione.

Come evitare i rischi dell’alluminio: istruzioni per l’uso

Come evitare questa tipologia di contaminazione? Sono molto utili alcuni  semplici accorgimenti considerato che il rilascio di alluminio dai materiali a contatto – sottolinea il Ministero della Salute in una recente campagna per il corretto utilizzo dell’alluminio in cucina – è condizionato dalle modalità di uso e da altri fattori combinati, quali il tempo di conservazione, la temperatura e la composizione dell’alimento. C’è un altro elemento da tenere ben presente: nei soggetti sani il rischio tossicologico dell’alluminio è limitato per via dello scarso assorbimento e della rapida escrezione attraverso i reni. I gruppi di popolazione più vulnerabili alla tossicità orale di questo metallo – come detto – sono invece quelli con diminuita capacità escretoria renale: cioè anziani, bambini sotto i tre anni, donne in gravidanza e tutti quei soggetti con malattie renali.

In ogni caso, anche per la contaminazione da alluminio, la parola chiave è sempre la stessa: prevenzione. Un valore chiave anche per Assidai, che ogni anno offre gratuitamente ai propri iscritti campagne di prevenzione (nel 2019 contro il melanoma) finalizzate a ridurre l’incidenza delle malattie croniche o quanto meno a diagnosticarle in anticipo visto che, statisticamente, sono i principali killer a livello mondiale, soprattutto nei Paesi occidentali.

3 consigli dal Comitato nazionale per la sicurezza alimentare

Per concludere qualche indicazione più pratica: va ricordato innanzitutto che in Italia, con decreto ministeriale dell’aprile 2007, sono state previste specifiche disposizioni in materia di contaminazione da alluminio. In particolare i contenitori in questo metallo devono riportare in etichetta una o più delle seguenti istruzioni:

  • non idoneo al contatto con alimenti fortemente acidi o fortemente salati;
  • destinato al contatto con alimenti a temperature refrigerate;
  • destinato al contatto con alimenti a temperature non refrigerate per tempi non superiori alle 24 ore;
  • destinato al contatto per tempi superiori alle 24 ore a temperatura ambiente solo per i seguenti alimenti: prodotti di cacao e cioccolato, caffè, spezie ed erbe per tisane e infusi, zucchero, cereali e prodotti derivati, paste alimentari non fresche, prodotti di panetteria, legumi secchi e prodotti derivati, frutta secca, funghi secchi, ortaggi essiccati, prodotto della confetteria, prodotti da forno fini a condizione che la farcitura non sia a diretto contatto con l’alluminio.

Tutto ciò – è bene sottolineare – non si applica ai materiali e agli oggetti di alluminio ricoperto purché lo strato a diretto contatto con gli alimenti costituisca un effetto barriera.
Inoltre, il Comitato nazionale per la sicurezza alimentare fornisce altri tre consigli molto chiari:

  1. non graffiare i contenitori, ledendo così la patina protettiva dell’alluminio anodizzato;
  2. evitare il contatto diretto di alimenti acidi o salati con fogli di alluminio;
  3. non conservare alimenti in contenitori di alluminio dopo la cottura e per lunghi tempi.

Attività fisica: le linee guida per tutte le età

“Interagire con il proprio ambiente attraverso le varie forme di movimento, a tutte le età, contribuisce in modo significativo a preservare lo stato di salute inteso come stato di benessere fisico, psichico e sociale: esiste un legame diretto tra la quantità di attività fisica e la speranza di vita, ragione per cui le popolazioni fisicamente più attive tendono a essere più longeve di quelle inattive”.

È partendo da questo presupposto, sottolineato dal Ministero della Salute, che non più tardi di un anno fa un accordo Stato-Regioni ha sancito e approvato le linee di indirizzo sull’attività fisica per le differenti fasce d’età e con riferimento a situazioni fisiologiche e fisiopatologiche e a sottogruppi specifici di popolazione. Redatte da un Tavolo di lavoro istituito presso la Direzione generale della Prevenzione sanitaria del Ministero della Salute, le linee di indirizzo – in linea con l’obiettivo dell’OMS: ridurre del 15% la prevalenza globale dell’inattività fisica negli adulti e negli adolescenti entro il 2030 – sottolineano la rilevanza dell’attività fisica per la popolazione generale e la necessità che tutti pratichino attività fisica, soprattutto integrata nella vita quotidiana.

Attività fisica regina della prevenzione primaria

Del resto, è opinione condivisa dalla comunità medica e scientifica, come più volte sottolineato da Assidai nella propria comunicazione e nelle proprie iniziative, che l’attività fisica sia uno degli elementi fondamentali per la prevenzione primaria delle malattie croniche o non trasmissibili, che rappresentano il principale killer mondiale. Cancro, patologie dell’apparato cardiocircolatorio, diabete e malattie respiratorie – secondo l’OMS – in futuro richiederanno circa il 70-80% delle risorse sanitarie a livello mondiale. Ogni anno, inoltre, uccidono 41 milioni di persone, rappresentando il 71% di tutti i decessi a livello globale (in Europa si arriva all’86%) con 15 milioni di morti che, peraltro, si verificano tra i 30 e i 70 anni. Secondo altri dati, nella Regione europea dell’OMS l’inattività fisica è responsabile ogni anno di 1 milione di decessi (il 10% circa del totale) e di 8,3 milioni di anni persi al netto della disabilità. Si stima che siano imputabili all’inattività fisica il 5% delle affezioni coronariche, il 7% dei casi di diabete di tipo 2, il 9% dei tumori al seno e il 10% dei tumori del colon.

L’attività fisica in Italia e nel mondo

Il tema, dunque, è di estrema attualità. Vediamo prima il contesto globale: in tutto il mondo, un adulto su quattro e tre adolescenti su quattro (di età compresa tra 11 e 17 anni), non svolgono attività fisica secondo le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. In alcuni Paesi, i livelli di inattività possono arrivare fino al 70%, a causa del cambiamento dei modelli di trasporto, dell’aumento dell’uso della tecnologia e dell’urbanizzazione: ragazze, donne, anziani, gruppi svantaggiati, persone con disabilità e malattie croniche hanno minori opportunità di essere fisicamente attivi.

Il “Piano d’azione globale sull’attività fisica per gli anni 2018-2030” di recente approvato dall’OMS, pertanto, definisce quattro obiettivi strategici da realizzare attraverso 20 azioni politiche applicabili in tutti i Paesi, al fine ridurre del 15% la prevalenza globale dell’inattività fisica negli adulti e negli adolescenti entro il 2030.

L’aumento dei livelli di attività fisica è una questione di salute ed è fondamentale per il raggiungimento di altri tre obiettivi mondiali entro il 2025. Innanzitutto la riduzione del 25% della mortalità precoce dovuta a malattie cardiovascolari, tumori, diabete o malattie respiratorie croniche; in secondo luogo la riduzione del 25% della prevalenza dell’ipertensione; infine lo stop dell’aumento del diabete e dell’obesità.

Passiamo ora all’Italia, le cui strategie sono in linea con gli obiettivi dei Piani d’azione promossi dall’OMS, a cui l’Italia ha contribuito, e con le politiche dell’Unione Europea e tengono in considerazione tutti i determinanti che influenzano lo stile di vita. Anche nel nostro Paese le strategie nazionali e locali di promozione dell’attività fisica e motoria mirano a realizzare azioni efficaci di promozione della salute in un’ottica intersettoriale e di approccio integrato secondo i principi di “Guadagnare Salute: rendere facili le scelte salutari” (approvato per decreto nel 2007), un programma coordinato dal Ministero della Salute che mira a contrastare i quattro principali fattori di rischio di malattie croniche nel nostro paese: scorretta alimentazione, inattività fisica, consumo dannoso e rischioso di bevande alcoliche e tabagismo.

Un approccio funzionale anche alla realizzazione, da parte delle Regioni e Province Autonome, del Piano Nazionale della Prevenzione 2014-2018, prorogato al 2019. Del resto anche l’Italia ha ancora un lungo cammino da percorrere: solo il 18% dei bambini pratica sport per non più di un’ora a settimana mentre il 33,6% delle persone con età compresa tra 18 e 69 anni è classificato come sedentario, cioè non fa un lavoro pesante e non pratica attività fisica nel tempo libero. Tra gli over 65, invece, l’attività maggiormente praticata è camminare fuori casa, le attività domestiche rappresentano l’interesse principale e c’è troppo poco tempo dedicato ad allenare la forza muscolare.

Le linee guida del Ministero sull’attività fisica

Passiamo ora, nello specifico, alle linee d’indirizzo messe nero su bianco dal Ministero della Salute. I bambini e gli adolescenti di età compresa tra 5 e 17 anni, come sottolineato dall’OMS, dovrebbero praticare almeno 60 minuti di attività fisica quotidiana di intensità moderata-vigorosa e esercizi di rafforzamento dell’apparato muscoloscheletrico almeno tre volte a settimana. L’attività fisica nei bambini e negli adolescenti include il gioco, l’esercizio fisico strutturato e lo sport. Non solo: l’influenza dello stile di vita dei genitori (fin dalla fase pre-concezionale e poi nella gestazione) e del contesto ambientale nella primissima infanzia hanno un ruolo chiave nel determinare lo stato di salute negli anni a venire. Uno stile di vita attivo durante la gravidanza contribuisce al benessere del nascituro.

Per gli adulti le attuali raccomandazioni dell’OMS consigliano di svolgere nel corso della settimana un minimo di 150 minuti di attività fisica aerobica d’intensità moderata oppure un minimo di 75 minuti di attività vigorosa più esercizi di rafforzamento dei maggiori gruppi muscolari due o più volte a settimana. Ciò può essere realizzato, ad esempio, attraverso cinque sessioni di esercizio a settimana della durata minima di 30 minuti oppure svolgendo almeno 25 minuti di esercizio di intensità vigorosa per 3 volte a settimana. La raccomandazione può essere soddisfatta anche combinando le attività ad intensità moderata e vigorosa.

Infine gli anziani, per i quali – si sottolinea – “promuovere e facilitare la pratica regolare di attività fisica è particolarmente importante perché questo gruppo di popolazione è molto spesso il meno attivo”. Secondo l’OMS, al fine di migliorare la salute cardiorespiratoria e muscolare, ridurre il rischio di malattie croniche non trasmissibili, depressione e declino cognitivo, gli adulti over 65 anni dovrebbero svolgere almeno 150 minuti alla settimana di attività fisica aerobica di moderata intensità o almeno 75 minuti di attività fisica aerobica a intensità vigorosa ogni settimana o una combinazione equivalente di attività con intensità moderata e vigorosa. Si raccomanda, inoltre, di associare esercizi di rafforzamento dei maggiori gruppi muscolari due o più volte la settimana nonché attività per migliorare l’equilibrio e prevenire le cadute tre o più volte la settimana per coloro che hanno una ridotta mobilità.

Dieci consigli per restare in forma

Infine, il Ministero della Salute fornisce un breve ma interessante vademecum con 10 consigli per praticare attività fisica con costanza, anche con uno sforzo limitato. Eccoli:

  1. Poco è meglio di niente: anche con quantità minime di attività fisica (60 minuti a settimana), se sei una persona sedentaria puoi ottenere benefici per la salute.
  2. Muoviti di più e stai meno seduto: interrompi almeno ogni 30 minuti i periodi nei quali stai in posizione seduta o reclinata, facendo 2-3 minuti di attività, come brevi camminate o piegamenti sulle gambe.
  3. Mantieni uno stile di vita attivo: anche le attività usuali della vita quotidiana, camminare, salire le scale, fare giardinaggio, ridurre l’uso dell’automobile sono semplici azioni che fanno bene alla tua salute e favoriscono l’autonomia e l’indipendenza, soprattutto in età avanzata.
  4. Evita la sedentarietà: è un fattore di rischio, a prescindere da quanta attività fisica tu pratichi in generale.
  5. Fai movimento: se sei in sovrappeso o obeso, praticare attività fisica apporta numerosi benefici, ma è necessario che venga protratta nel tempo. Meglio esercizi in acqua, ginnastica a terra, pedalate in bicicletta.
  6. Attività fisica per la futura mamma: se sei una donna sedentaria che non ha mai praticato sport la gravidanza può essere uno stimolo per iniziare ad adottare uno stile di vita attivo con la consapevolezza dei benefici che arreca alla futura mamma e al nascituro.
  7. Quale attività in gravidanza: camminare è un ottimo mezzo per allenarsi senza sforzi eccessivi. Se non ci sono controindicazioni, puoi praticare anche ginnastica dolce, esercizi in acqua, yoga e pilates modificati e adattati alla tua condizione fisica.
  8. Attività fisica nei bambini e ragazzi con patologie croniche: evitare la sedentarietà e poter praticare attività fisica in sicurezza è fondamentale anche per loro.
  9. Attività fisica anche nei bambini e adolescenti con disabilità: sempre che il grado di disabilità lo consenta devono svolgere attività fisica secondo i livelli raccomandati per i coetanei, scegliendo con il pediatra il tipo di attività e la frequenza più adatta.
  10. Attività fisica, non solo nella disabilità fisica: è necessaria per le persone con disabilità fisica, disabilità neuro-sensoriale, disabilità intellettuale e malattia mentale, che devono evitare la sedentarietà e svolgere una regolare attività fisica, in base alle loro capacità e abilità.

Assidai e l’attività fisica: il Trofeo RunCorporate

Assidai è sempre stata in prima linea sull’attività fisica e l’ha sempre citata, assieme ad abitudini alimentari corrette, come uno dei fattori chiave per prevenire le malattie croniche. Ha riportato diversi e autorevoli studi a sostegno di questa tesi, tra cui uno realizzato dall’Istituto Superiore di Sanità in collaborazione con il Ministero della Salute e il Coni (Comitato Olimpico Nazionale Italiano) che evidenzia l’importanza di promuovere l’attività fisica a livello individuale e di comunità. Secondo la ricerca, infatti, proprio il fitness è “uno dei principali strumenti per la prevenzione delle malattie croniche non trasmissibili, per il mantenimento del benessere psicofisico e per il miglioramento della qualità della vita, in ambo i sessi e a tutte le età”. Non solo, attraverso un’analisi ad hoc si evidenzia anche come un comportamento “virtuoso” della popolazione farebbe risparmiare oltre 2,3 miliardi al Servizio Sanitario Nazionale (SSN) in termini di prestazioni specialistiche e diagnostiche ambulatoriali, trattamenti ospedalieri e terapie farmacologiche evitate.

Assidai, infine, ha partecipato con grande entusiasmo e partecipazione al Trofeo RunCorporate, tenutosi all’interno della Maratona di Roma del 7 aprile 2019. Una corsa non competitiva di 5 km che aveva anche come obiettivi generare un forte senso di appartenenza, sentirsi parte di una squadra aumentando la conoscenza tra gli individui, scaricare le tensioni accumulate sul luogo di lavoro e favorire il benessere fisico. I valori legati a questa iniziativa – cioè l’esercizio fisico come fattore di benessere e di prevenzione, il ruolo chiave del welfare aziendale come strumento per generare valore dentro e fuori l’impresa, e la solidarietà – rappresentano alcuni dei punti fermi del nostro Fondo e della sua filosofia d’azione sul mercato e nei confronti dei suoi iscritti.

Allergie, cause e possibile prevenzione

L’allergia è la più comune malattia immunitaria ed è caratterizzata da una reazione infiammatoria verso agenti innocui presenti nell’ambiente esterno. Parliamo di componenti nell’aria che respiriamo tutti i giorni (per esempio pollini, muffe, polveri dell’ambiente domestico o lavorativo), ma anche di elementi presenti nel cibo, nei farmaci o nel veleno derivante dalle punture di insetti.

Il tema, in queste settimane, è di particolare attualità: con la primavera – sottolinea l’Associazione mondiale per le malattie infettive e i disordini immunologici (WAidid) – sono circa 20 milioni le persone che in Italia soffrono di disturbi legati alle allergie stagionali, di cui circa 1,2 milioni sono bambini. Stiamo parlando, in particolare, delle allergie ai pollini. Con l’alternarsi delle stagioni e nei diversi periodi di fioritura delle piante, in particolare in primavera, si verifica infatti un evento naturale di fondamentale importanza per il regno vegetale: invisibili nubi di polline, seguendo le correnti aeree, si riversano nell’atmosfera diffondendosi in altezza e a distanza anche per diversi chilometri. I pollini, quindi, si depositano un po’ ovunque, anche sulle mucose della congiuntiva, del naso e dei bronchi delle persone che vivono nelle zone interessate. Queste persone, se sensibilizzate alle proteine allergeniche liberate dai pollini, reagiscono con i caratteristici sintomi clinici. In particolare si è anche osservato come i temporali che si verificano nel corso della stagione dei pollini possono provocare gravi attacchi di asma nelle persone affette da pollinosi.

Il Ministero della Salute, sul proprio sito, dedica un’ampia sezione alle allergie – alle cause, ai rimedi e alla possibile prevenzione – a testimonianza della significativa fetta di popolazione che è purtroppo interessata da queste patologie (circa una persona su quattro tra 18 e 44 anni).

Allergie, numeri e costi in Italia e in Europa

Le allergie respiratorie rappresentano oggi la forma più comune di allergie in Europa e nel mondo. Inoltre, la diffusione delle malattie allergiche sta aumentando in Europa e, anche a causa del cambiamento climatico, non è più limitata a stagioni o ambienti specifici. Secondo i più recenti studi, le malattie allergiche sono osservate nel 35% della popolazione generale, con livelli di prevalenza in aumento: per esempio quello dello delle riniti allergiche, cioè del sistema respiratorio (valutato in Europa tra il 10% e il 30%) o quello dell’asma (3-8%), anch’esso in crescita negli ultimi 20 anni nei Paesi a stile di vita “occidentale”; la diffusione della dermatite atopica è valutata intorno al 10-12%.

In generale le allergie possono essere transitorie o permanenti. Inoltre bisogna saper distinguere tra l’allergia, ovvero la reazione specifica prodotta dal sistema immunitario quando si è esposti ad una sostanza normalmente innocua, anche in minima quantità, e la sensibilità, cioè l’aumento esagerato dei normali effetti di una sostanza: per esempio, la caffeina contenuta in una tazza di caffè può arrivare a causare disturbi come palpitazioni e tremore. Cosa ancora diversa è l’intolleranza, quando una sostanza provoca sintomi spiacevoli, come ad esempio la dissenteria, ma non coinvolge il sistema immunitario; in genere, le persone con un’intolleranza ad alcuni alimenti possono mangiarne piccole quantità senza avere alcun problema

È evidente in ogni caso le patologie infiammatorie allergiche determinano un importante impatto sulla qualità della vita dei pazienti e, allo stesso tempo, rilevanti costi sanitari. Recenti studi epidemiologici condotti in Italia, e riportati dal Ministero della Salute, indicano che il 25% della popolazione compresa tra i 18 e 44 anni soffre di rinite allergica e il 5% di asma. Questo si traduce, secondo le stime dell’Istituto Superiore di Sanità, in quasi 30 miliardi di euro annui di costi, in Europa, a livello socio economico, ovvero oltre 10 miliardi di euro per i costi diretti (spese mediche ospedaliere, spese per diagnostica e terapia) e altri 19 miliardi di euro per i costi indiretti (perdita di giornate lavorative, costi per misure di prevenzione).

Le cause e la possibile prevenzione delle allergie

Ma quali sono le cause delle allergie e quale può essere, se esiste, una strategia di prevenzione? Da tempo è noto che esiste una predisposizione genetica a sviluppare allergie così come influiscono il sesso (gli uomini sono più colpiti delle donne) e l’età (i bambini più degli adulti).

Tuttavia, negli ultimi decenni, in particolare nel mondo occidentale, si è manifestato un numero impressionante di patologie allergiche che ha fatto risaltare anche il ruolo dei fattori ambientali rispetto a quelli genetici. Stiamo parlando di fumo passivo, cambiamenti climatici, inquinamento e stili di vita. Secondo gli esperti, per esempio, l’aumento delle temperature medie nei Paesi occidentali porta all’arrivo di nuove specie di insetti a cui il nostro corpo non è abituato in caso di puntura. Allo stesso tempo, d’estate, è aumentato il numero di fenomeni temporaleschi che, come noto, possono portare a fortissimi attacchi allergici mentre alte concentrazioni di ozono sono state associate con un aumento della frequenza di esacerbazioni asmatiche e un incremento di ricoveri ospedalieri e visite al pronto soccorso per patologie respiratorie. C’è poi un tema, non secondario, di stili di vita. Per esempio il fatto che il 90% del tempo viene speso in edifici chiusi, soprattutto al lavoro, con una componente di sedentarietà molto spiccata. Senza dimenticare il tema dell’attività fisica, che recenti studi indicano avere effetti positivi sui soggetti allergici, in particolare per coloro che sono sovrappeso, e del fumo (attivo e passivo), anch’esso ritenuto controproducente per soggetti già caratterizzati da patologie allergiche.

Stili di vita corretti e un’alimentazione equilibrata rappresentano due punti fermi della mission di Assidai, che ne ha sempre sottolineato l’importanza ai propri iscritti attraverso un’informazione puntuale e campagne di prevenzione, che negli ultimi anni hanno riguardato per esempio l’ictus e il melanoma, registrando tassi di adesione crescenti tra gli iscritti stessi. L’obiettivo, perseguendo la cosiddetta prevenzione primaria, è quello di evitare l’insorgere di malattie croniche (tumori, patologie dell’apparato cardiocircolatorio e di quello respiratorio), considerate i principali killer a livello mondiale.

Decalogo per difendersi dalle allergie primaverili

Per concludere, ecco un decalogo pubblicato di recente dall’Associazione mondiale per le malattie infettive e i disordini immunologici (WAidid) per difendersi dalle allergie:

  1. Limitare il tempo trascorso all’aperto nelle ore centrali della giornata quando è più alta la concentrazione di pollini.
  2. Evitare di aprire le finestre nelle ore più calde della giornata. Un buon ricambio d’aria degli ambienti è importante, ma è opportuno farlo al mattino presto o in tarda serata, quando la concentrazione di pollini è più bassa.
  3. Evitare di stare all’aperto dopo la pioggia. Questa, infatti, riduce in frammenti più piccoli i pollini che possono raggiungere più facilmente le vie respiratorie.
  4. Consultare il calendario dei pollini può aiutare a calibrare il tempo che si può trascorrere all’aria aperta (per esempio quello realizzato dalla Associazione Italiana di Aerobiologia con specifiche per le varie Regioni del nostro Paese).
  5. Viaggiare in auto tenendo i finestrini chiusi. Se possibile, utilizzare i filtri antiparticolato e sostituirli annualmente, preferibilmente alla fine dell’inverno.
  6. Fare la doccia e lavare i capelli quotidianamente. I pollini, infatti, si depositano su di essi capelli con il rischio respirarli anche durante la notte.
  7. Indossare una mascherina e occhiali da sole durante le passeggiate in bicicletta e all’aria aperta.
  8. Eliminare tappeti e, se possibile, lavare frequentemente le tende in cui si depositano particelle allergizzanti.
  9. Evitare i luoghi in cui è stata da poco falciata l’erba.
  10. Non assumere farmaci senza il consulto del medico. Evitare il fai-da-te e seguire scrupolosamente le indicazioni terapeutiche del medico.

Per maggiori informazioni sul bollettino pollinico fare riferimento al sito dell’Associazione Italiana di Aerobiologia.

Malattie cerebrovascolari: prevenzione fin da bambini

Le malattie cerebrovascolari sono la seconda causa di morte e la terza causa di disabilità a livello mondiale, oltre a essere responsabili di circa un decimo degli anni persi per morte prematura o disabilità e, di conseguenza, di un considerevole carico sociale per il paziente e per i familiari che lo assistono.

È partendo da questa e altre considerazioni che il Ministero della Salute ha messo a punto e pubblicato un approfondito protocollo finalizzato alla prevenzione delle malattie cerebrovascolari nel corso della vita. Del resto, si osserva nel documento, con l’invecchiamento della popolazione è possibile prevedere nel tempo un incremento sia dell’incidenza totale dell’ictus, che rappresenta la manifestazione clinica di gran lunga più̀ frequente, sia del carico sociale conseguente alla disabilità post ictus.

Ragionamenti che valgono a maggior ragione per l’Italia che, secondo le ultime proiezioni, al 2050 sarà il Paese più vecchio del mondo dopo il Giappone: cosa che metterà ulteriormente sotto pressione il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e le sue caratteristiche uniche al mondo di universalità ed equità. Per questo, a maggior ragione, anche sul fronte delle malattie cerebrovascolari la prevenzione diventa fondamentale.

I numeri e il trend di lungo periodo

Ma quali sono i principali numeri delle malattie cerebrovascolari e il loro trend di lungo periodo? Tra il 1970 e il 2008, nei Paesi ad alto reddito l’incidenza dell’ictus cerebrale si è ridotta di oltre il 40%, passando da 163 a 94 casi per 100.000 abitanti per anno mentre nei Paesi a reddito medio o basso l’incidenza è più̀ che raddoppiata, con un incremento da 52 a 117 casi per 100.000 abitanti per anno. Contemporaneamente, la mortalità̀ precoce per ictus è diminuita sia nei Paesi ad alto reddito sia in quelli a reddito medio o basso. Peraltro, sottolinea il Ministero della Salute, il calo di incidenza dell’ictus cerebrale nei Paesi ad alto reddito contrasta con il continuo aumento dell’età̀ media della popolazione: ciò anche grazie all’efficace controllo di alcuni fattori di rischio che ha contribuito a prevenire l’insorgenza di nuovi ictus cerebrali.

Anche in Italia, nelle ultime due decadi, l’incidenza dell’ictus cerebrale si è ridotta da 293 a 143 casi per 100.000 abitanti per anno, risultando lievemente più̀ alta nelle donne rispetto agli uomini e con un incremento dal 35,7% al 47,8% negli ultra80enni. La mortalità̀ è del 20-30% a 30 giorni dall’evento e del 40-50% a distanza di un anno.

Fattori di rischio e prevenzione dell’ictus

Quali sono invece i principali fattori di rischio e come si può prevenire l’ictus?

I primi vanno distinti tra non modificabili e modificabili. Nella prima categoria rientrano sicuramente i fattori genetici, il genere (le donne sono meno a rischio rispetto agli uomini), l’età e l’etnia. Nella seconda categoria, cioè tra i principali fattori modificabili, ci sono tabagismo, scarsa attività fisica, consumo eccessivo di alcol, scorretta alimentazione, depressione, aritmie cardiache, ipertensione arteriosa, diabete e peso eccessivo.

Il tema della prevenzione primaria, che è l’altra faccia della medaglia, è altrettanto cruciale. Il Ministero della Salute, al proposito, è fin troppo chiaro: rappresenta la strategia più importante per contrastare le malattie cardio-cerebrovascolari. Come nello specifico?

“È indispensabile intervenire lungo tutto il corso dell’esistenza per assicurare a ogni bambino un buon inizio, per prevenire comportamenti non salutari durante l’infanzia e l’adolescenza, per ridurre il rischio di insorgenza delle citate patologie nell’adulto, nonché́ per arrivare a un invecchiamento sano e attivo”.

Serve dunque l’adozione di stili di vita salutari: non fumare o cessare il consumo di prodotti del tabacco ed evitare l’esposizione al fumo passivo; ridurre al minimo il consumo di alcol (mai più di due unità alcoliche al giorno per gli uomini e una per le donne); un’alimentazione corretta, varia ed equilibrata che prediliga il consumo di verdura e frutta, cereali, pesce, acidi grassi insaturi e limiti gli acidi grassi saturi; ridurre il consumo eccessivo di sale (meno di cinque grammi al giorno per gli adulti); svolgere attività fisica regolare e adeguata (almeno 30 minuti di attività fisica moderata aerobica come camminata, corsa, bicicletta o nuoto per 5-7 volte alla settimana o, alternativamente, esercizio fisico intenso 2-3 volte alla settimana). Tutti comportamenti che portano anche a un controllo significativo sul peso, cosa cruciale soprattutto per i bambini e gli adolescenti che gettano le basi per abitudini di vita e struttura corporea su cui svilupperanno l’età adulta.

Assidai e la prevenzione dell’ictus

Per Assidai la prevenzione è un valore fondamentale, in tutti i campi, tanto che ogni anno offre gratuitamente ai propri iscritti un esame in questa direzione, riscontrando adesioni in costante crescita.  L’anno scorso è stata la volta del melanoma, due anni fa proprio dell’ictus. Nel 2018, infatti, con il pacchetto “Healthy Manager”, Assidai e Federmanager hanno messo a disposizione dei propri iscritti la possibilità di svolgere un esame ecocolordoppler dei tronchi sovraortici per rilevare eventuali stenosi carotidee. Si tratta, secondo gli esperti, di uno degli screening più avanzati che possono aiutare a giocare d’anticipo sull’ictus, individuando possibili situazioni a rischio. Il modo migliore per prevenire una patologia che presenta enormi costi dal punto di vista umano, sociale ed economico. In Italia e nel mondo.

Screening e supporto del SSN per i malati di celiachia

“In Italia, nel 2018, il numero di celiaci ha raggiunto i 214.239 soggetti con un incremento di 7.500 diagnosi rispetto allo scorso anno”.

A fornire questo dato è stato il Ministro della Salute, l’Onorevole Roberto Speranza, nell’introduzione alla Relazione annuale sulla celiachia curata dal suo dicastero e destinata al Parlamento.

La celiachia, va ricordato, è una malattia infiammatoria permanente dell’intestino scatenata dal consumo di alimenti contenenti glutine in soggetti geneticamente predisposti. Può essere definita una patologia multifattoriale poiché per il suo sviluppo sono necessari due fattori: uno ambientale, il glutine nella dieta, e uno genetico, la presenza di determinate molecole sulla membrana delle cellule del sistema immunitario. Solo il 3% delle persone, geneticamente predisposte, che consumano glutine sviluppa, prima o poi, la celiachia.

“Il Ministero della Salute, garante del diritto alla salute, nell’ambito delle sue attività di prevenzione, promozione e assistenza sanitaria – precisa lo stesso Speranza – è impegnato da anni sul tema della celiachia e sulle necessità dei celiaci e delle loro famiglie”. Inoltre, “l’impegno istituzionale prevede l’accompagnamento dei pazienti nel percorso diagnostico e di follow-up e il sostegno alla dieta post diagnosi nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza a prescindere dalle provenienze territoriali e dalle condizioni di reddito e personali dei cittadini”.

Dal Servizio Sanitario Nazionale un sostegno chiave per i celiachi

Le parole del Ministro della Salute sono una premessa doverosa perché, anche nella cura della celiachia, il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) dimostra le proprie caratteristiche di equità e universalità, praticamente uniche in tutto il mondo. Dal 2017, infatti, con la revisione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA)  la celiachia è stata inserita infatti tra le malattie croniche invalidanti. Che cosa significa? Semplice: è previsto il regime di esenzione per tutte le prestazioni sanitarie successive alla diagnosi e il supporto economico alla dieta per l’acquisto degli alimenti senza glutine specificamente formulati per i celiaci (per esempio pane, pasta, biscotti, pizza, cereali per la prima colazione e alimenti similari) che, in una dieta sana ed equilibrata, rappresentano il 35% del fabbisogno energetico totale giornaliero da carboidrati.

Il celiaco, infatti, una volta ottenuta la diagnosi deve seguire una dieta varia e bilanciata (ma rigorosamente senza glutine), il cui apporto energetico giornaliero da carboidrati come per tutti deve essere di circa il 55%, di cui però solo il 35% deve derivare da alimenti senza glutine mentre il restante 20% deve provenire da alimenti naturalmente privi di glutine. A supporto della dieta senza glutine il Servizio Sanitario Nazionale nel 2018, secondo i dati pervenuti e le stime fatte, ha speso circa 250 milioni di euro, con una media annua nazionale di circa 1.200 euro pro capite.

I numeri della celiachia in Italia

In base ai dati presenti nella relazione al Parlamento, la celiachia è una patologia prettamente femminile, visto che due terzi dei malati sono donne, e si concentra in alcune regioni. Quelle con il maggior numero di residenti celiaci sono Lombardia, Lazio, Campania ed Emilia Romagna, mentre quelle che ne hanno meno sono Valle d’Aosta e Molise. Se si analizza invece la percentuale di persone celiache rispetto alla popolazione, allora il primato spetta alla Sardegna, seguita da Toscana e Provincia Autonoma di Trento. Questa la fotografica del 2018. Qual è invece il trend? Secondo i dati pubblicati dal Ministero, negli ultimi sei anni sono state registrate 57.899 nuove diagnosi, con una media di circa 10mila all’anno. Inoltre si evince che la tendenza è in aumento in tutte le realtà regionali, anche se nel 2018 spiccano la Lombardia con + 1.891 seguita da Emilia Romagna con + 1.234 e Piemonte con + 1.233. Peraltro, a distanza di ormai tre anni dall’entrata in vigore del nuovo protocollo diagnostico (realizzato dopo otto anni, nel 2015, con un accordo Stato-Regioni) emerge un incremento delle diagnosi molto più moderato, probabilmente dovuto ad indirizzi scientifici più mirati e procedure che permettono di ridurre gli esami superflui, sviluppare ipotesi diagnostiche più tempestive e limitare gli errori. Infine, la celiachia è una patologia che può manifestarsi in ogni periodo della vita: sempre considerando il triennio 2016-2018, la fascia di età in cui si registrano più celiaci è quella compresa tra i 19 e i 40 anni.

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Retinopatia diabetica, batterla con la prevenzione

La retinopatia diabetica è una grave complicanza del diabete: colpisce la retina e, in età lavorativa, è la prima causa d’ipovisione e cecità nei Paesi sviluppati. Si calcola che venga diagnosticata una retinopatia a circa un terzo dei diabetici.

Numeri importanti: l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), infatti, stima che i diabetici nel mondo siano 422 milioni e, per guardare all’Italia, secondo l’Istat in Italia il diabete stesso colpisce il 5,3% della popolazione, vale a dire oltre 3,2 milioni di persone, in particolare gli anziani, ossia il 16,5% tra le persone dai 65 anni in su.

Come combattere la retinopatia? La prevenzione è fondamentale se si pensa che – secondo gli studi più aggiornati – può ridurre in misura significativa le probabilità che questa malattia diventi molto impattante, portando il paziente alla cecità. La prevenzione, dunque, si conferma ancora una volta come elemento cruciale per salvaguardare la salute della popolazione e per limitare, in prospettiva, le spese del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), già messo a dura prova dalle dinamiche demografiche. Un concetto, quest’ultimo, che Assidai considera centrale nella propria mission tanto che viene perseguito ogni anno promuovendo per esempio campagne di prevenzione gratuite a disposizione dei propri iscritti (nel 2019 contro il rischio melanoma).

I numeri della retinopatia in Italia

Gli ultimi dati forniti dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) dicono che la retinopatia diabetica colpisce due diabetici su tre dopo 20 anni di malattia ed è, nel nostro Paese e nei Paesi industrializzati, la prima causa di cecità in età lavorativa. Se ne è parlato di recente al Senato della Repubblica, in occasione della presentazione della campagna informativa sulla retinopatia diabetica promossa dall’Agenzia internazionale per la prevenzione della cecità – IABP Italia onlus, in collaborazione con la Società italiana di medicina generale, l’Italian barometer diabetes observatory, Diabete Italia, l’Associazione parlamentare per la tutela e la promozione del diritto alla salute e il Censis.

Se generalmente il diabete di tipo 1 (il più grave) è diagnosticato dopo i 30 anni, indicativamente la prevalenza di retinopatia diabetica è del 20% dopo 5 anni di malattia, del 40-50% dopo 10 anni e di oltre 90% dopo 20 anni. Negli ultimi anni, tuttavia, c’è un nuovo trend – descritto dalla IAPB (l’Agenzia Internazionale per la Prevenzione della Cecità) – che dovrebbe indurre a riporre ulteriore attenzione nella prevenzione di questa malattia. Se infatti in passato erano colpiti soprattutto i Paesi più benestanti, oggi agli Stati a basso e medio reddito sono riconducibili il 75% dei diabetici. Con una differenza: molti di questi Paesi sono ancora poco attrezzati per diagnosticarla correttamente, per trattarla e per gestire le conseguenze varie e complesse di questa patologia. Ad oggi, in ogni caso, la zona del mondo dove si registra la maggiore prevalenza di diabetici è il Mediterraneo orientale (13,7% della popolazione maggiorenne), mentre complessivamente la regione europea si attesta al 7,3% (l’Africa è al 7,1%).

Anche l’OMS, al proposito, è molto chiaro. Sottolinea infatti che la retinopatia diabetica è un’importante causa di cecità e si verifica come risultato di un danno accumulato nel lungo periodo a carico dei piccoli vasi sanguigni della retina. Per questo, ha provocato in tutto il mondo l’1,9% della disabilità visiva (moderata o grave) e il 2,6% della cecità nel 2010.

Come combattere la retinopatia: prevenzione e screening

Come implementare una corretta prevenzione di questa malattia? Bisogna partire dal presupposto che i danni alla retina sono generalmente evitabili controllando bene il diabete. In particolare, è stato dimostrato che un attento controllo della pressione arteriosa in chi ha il diabete di tipo 2 riduce il rischio di malattia micro-vascolare del 37%, il tasso di progressione della retinopatia diabetica del 34% e il rischio di peggioramento dell’acuità visiva del 47%. Dunque, serve forte attenzione alla prevenzione primaria, il che significa controllare attentamente fattori di rischio quali la glicemia elevata e l’ipertensione arteriosa, e alla prevenzione secondaria, individuando tempestivamente la retinopatia diabetica e approntando i necessari trattamenti.

Detto in altre parole, se affrontata in tempo, con adeguati programmi di screening e di cura, la retinopatia diabetica è controllabile ed è possibile prevenire la cecità. Secondo gli specialisti, l’attenzione va aumentata quando il diabete è perdurante da più di vent’anni, quando le probabilità di malattia retinica aumentano esponenzialmente e due pazienti su tre rischiano la menomazione delle capacità visive con manifestazioni sia di ipovisione sia di totale perdita della vista nelle ipotesi peggiori.

Molto, nella prevenzione, dipende anche dai comportamenti personali: una dieta corretta, perlopiù vicina a quella mediterranea (che privilegia cioè frutta, verdura e pesce a zuccheri e grassi) e una attività fisica regolare sono la prima strategia da adottare. Senza dimenticare, per i diabetici, quanto sia fondamentale tenere sotto controllo i livelli di zuccheri nel sangue e sottoporsi a controlli oculistici periodici.

Assidai e la prevenzione

Per Assidai, come detto sopra, il valore della prevenzione è fondamentale. Il nostro Fondo la sostiene sia promuovendo campagne gratuite per i propri iscritti sia attraverso una informativa costante, che possa rappresentare un punto di riferimento per gli iscritti stessi. A tal proposito, visto che tra gli accorgimenti per prevenire la retinopatia diabetica c’è anche quello di evitare l’ipertensione arteriosa, è utile ricordare l’intervista rilasciata a Welfare 24 dal Dottor Bernhard Reimers, Responsabile dell’Unità Operativa Cardiologia clinica e interventistica dell’Humanitas Research Hospital di Milano, secondo il quale “per evitare l’insorgere di malattie cardiocircolatorie la regina della prevenzione è l’attività fisica aerobica”.

Un parere a dir poco autorevole, il suo: Reimers è considerato uno dei maggior esperti mondiali dell’angioplastica carotidea con più di 1.500 interventi eseguiti. Un consiglio pratico?

Una passeggiata di 20-30 minuti a passo veloce al giorno, lasciando a casa il cellulare per evitare stress e lasciare indietro tutti i pensieri e, a tavola, ovviamente dieta mediterranea.