Sanità nel mondo, sistemi a confronto

In Italia, Svezia e Gran Bretagna predomina il welfare statale. In Asia e negli Stati Uniti senza assicurazioni i costi privati rischiano di esplodere

Come funzionano i sistemi sanitari nei cinque continenti? Quanto costa essere curati in ospedale e quali coperture pubbliche o private sono a disposizione del cittadino? Business Insider International ha realizzato un’interessante inchiesta internazionale in cui, per nove Paesi “rappresentativi” di tutto il mondo, cioè Italia, Germania, Francia, Stati Uniti, Nigeria, Singapore, Svezia, Gran Bretagna, Paesi Bassi e Giappone, ha provato a rispondere a queste domande.

Va anche precisato che, nell’inchiesta stessa, si parla soltanto di assicurazioni sanitarie senza citare i fondi sanitari integrativi come Assidai, che sono una peculiarità del nostro Paese e, in talune fattispecie, offrono una copertura simile.

La Svezia è la patria del welfare di Stato: l’assistenza sanitaria di emergenza è finanziata dal Governo e il paziente deve pagare tra i 35 e i 45 dollari per la visita in ospedale, se è assicurato gli verrà rimborsata anche questa somma. La Svezia è un caso ormai molto raro, assieme alla Gran Bretagna e all’Italia. Anche a Londra le cure mediche per un braccio rotto non avrebbero nessun costo, perché la sanità è finanziata dai contribuenti attraverso un’apposita tassa, anche se le aziende possono offrire un’assicurazione privata. Nel nostro Paese, come noto, non serve una polizza per essere curati in un ospedale pubblico, a seconda del problema e delle necessità c’è il pagamento di un eventuale ticket, anche se a volte si propende per il privato, perché garantisce tempi di cura e costi, per alcune prestazioni specifiche, addirittura inferiori al ticket pubblico.

Nella maggior parte degli Stati, invece, l’assicurazione pubblica è obbligatoria.

In Germania la polizza (di importo proporzionale al reddito) viene pagata metà dal datore di lavoro e metà dal dipendente (gli viene sottratta dal salario): con essa un braccio rotto non “costa” nulla.

Stessa musica nei Paesi Bassi, dove la polizza assicurativa di base è obbligatoria (con una franchigia annua complessiva di 350 euro) e costa in media 109 euro al mese.

Anche nel Far East, a Singapore, c’è un’assicurazione gestita dallo Stato che provvede alla copertura delle cure ricevute negli ospedali pubblici e che può essere integrata con polizze private. Senza di essa, la sola visita di pronto soccorso per un braccio rotto (inclusi test e radiografie) costerebbe 85 euro circa.

In Giappone, invece l’assicurazione pubblica è obbligatoria, anche per i disoccupati (per chi lavora molto spesso è un benefit erogato dai datori di lavoro, compreso nel più ampio universo del welfare aziendale). Per quanto riguarda invece l’intervento in pronto soccorso per un braccio rotto, i pazienti di solito pagano tra il 10% e il 30% del costo, mentre il resto (su un totale di circa 600 euro) è coperto appunto dallo Stato.

In Africa, in particolare in Nigeria, l’assicurazione privata (spesso stipulata dal datore di lavoro) è praticamente obbligatoria, se si pensa che un braccio fratturato, negli ospedali pubblici, può costare oltre 650 dollari esclusi i costi aggiuntivi.

Per concludere gli Stati Uniti, dove l’assicurazione è imprescindibile visti i costi altissimi della sanità. Nella zona di San Francisco rompersi un braccio e avere un’assicurazione con una franchigia elevata può costare anche 1200 dollari; in assenza di polizza il costo stesso sale alle stelle. La maggioranza degli americani ha un’assicurazione pubblica (i famosi piani Medicare e Medicaid finanziati dal Governo) o privata, che invece per molti cittadini è fornita dal datore di lavoro. Secondo le ultime ricerche, in particolare una realizzata dal centro di sondaggi Gallup, oltre l’11% degli americani non ha nessuna assicurazione sanitaria e per questo deve affrontare costi devastanti per affrontare un’emergenza medica.

In molti Paesi una assicurazione pubblica è obbligatoria ma una parte di essa viene coperta dallo Stato (in Germania per metà) o dalle aziende come forma di benefit. Lo stesso vale in diversi Paesi extra europei per le polizze private.

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Non autosufficienza, un problema molto italiano

Rapporto Istat sulle condizioni di salute in tutta Europa

Gli italiani frequentano “il giusto” il medico di famiglia (il 74,9% vi ha fatto ricorso negli ultimi 12 mesi, in linea con la media europea; guida la Francia con l’87,6%) ma si ricoverano poco (8,4% contro il 10,6% a livello continentale e il 15,2% della Germania).

È questa una delle principali evidenze del rapporto Istat appena pubblicato “Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari in Italia e nell’Unione europea” – dati di rilevazione 2015. Un documento che evidenzia anche come il ricorso a visite specialistiche nel nostro Paese è superiore alla media Ue (54,6% contro il 49,5%) mentre quello a dentisti o ortodontisti, per l’Italia, è drammaticamente basso: il 45,8% vi si è recato negli ultimi 12 mesi contro il 60% medio dell’Europa e il 93,6% dell’Irlanda, prima di questa speciale classifica.

E ancora: gli italiani prendono meno farmaci (prescritti o non prescritti) di quasi tutta l’Ue (sono terzultimi) e presentano limitazioni fisiche (vista, udito e motorie) abbastanza in media rispetto agli altri Paesi.

Altro aspetto interessante è quello legato alle limitazioni del vivere quotidiano – più nello specifico, tra gli altri, la cura della persona, mangiare, lavarsi e varie attività domestiche (tutti elementi che, qualora presenti contemporaneamente determinano la non autosufficienza di una persona) – dove l’Italia è quasi sempre oltre la media europea e ai primi posti della classifica.

Ciò a testimonianza dell’importanza e attualità di questo tema e quindi della cosiddetta copertura Ltc (Long Term Care) per la non autosufficienza.

Ticket, esami, screening e pronto soccorso ecco il federalismo sanitario italiano

Uno studio di Cittadinanzattiva rivela: tempi d’attesa e qualità diversi tra le regioni

Per una mammografia nel Nord-Ovest si attendono 89 giorni, in media in tutta Italia 122 giorni (due mesi in più rispetto al 2014) e al Sud e nelle Isole addirittura 142 giorni. Sulle quattro vaccinazioni obbligatorie da anni (polio, difterite, teta ed epatite B), Abruzzo, Molise e Basilicata hanno una copertura superiore al 97% mentre Friuli Venezia Giulia e la Provincia Autonoma di Bolzano si fermano rispettivamente all’89% e all’85%. Un ticket per una visita specialistica costa 16,5 euro nelle Marche e quasi il doppio, per l’esattezza 29 euro, in Friuli. L’arrivo del Pronto Soccorso che in Liguria richiede 13 minuti e in Basilicata quasi mezzora (27 minuti). Sono solo alcuni degli esempi delle profonde disuguaglianze che permangono (e in taluni casi aumentano) in Italia nell’accesso ai servizi sanitari che incidono purtroppo sulla salute dei cittadini.

Una sorta di “federalismo” sanitario evidenziato dall’ultimo Osservatorio Civico sul tema, presentato recentemente da Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato e riferito all’anno 2015. I numeri parlano chiaro: dai tempi di attesa all’erogazione dei farmaci, dalla copertura vaccinale alla gestione del Pronto Soccorso, dai servizi per i malati oncologici agli screening per i tumori, l’Italia della sanità viaggia davvero a mille velocità. Al Sud si concentrano le Regioni con maggiori problematicità (ma ci sono anche eccezioni positive) mentre al Nord alcune regioni faticano più del passato a mantenere livelli elevati di performance nell’erogazione dei servizi sanitari ai cittadini. I motivi di questa situazione? Sempre gli stessi, tra cui le risorse statali sempre più scarse e il graduale invecchiamento della popolazione: per questo lo sviluppo del secondo pilastro (a partire dai fondi sanitari integrativi) è sempre più essenziale per la sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale.

Sanità, aumenta il divario Nord-Sud

Un tema da non sottovalutare è quello dei Lea (Livelli essenziali di assistenza): nel 2015 passano da tre a cinque le Regioni che non li rispettano nonostante l’attuale sistema di affiancamento dei ministeri competenti: al Molise, Calabria e Campania, che versa in condizioni di particolare criticità (da un punteggio di 139 nel 2014 a 106 nel 2015), si aggiungono Puglia (da 162 del 2014 a 155 nel 2015) e Sicilia (da 170 nel 2014 a 153 nel 2015). Anche fra quelle che garantiscono i livelli essenziali di assistenza, le discrepanze sono notevoli: si va da un punteggio di 212 (la soglia di sufficienza è pari a 160) della Toscana ai 170 della Basilicata. Del resto, secondo l’Istat, la quota di persone che ha rinunciato a una visita specialistica negli ultimi 12 mesi è cresciuta tra il 2008 e il 2015 dal 4% al 6,5% della popolazione. Il fenomeno appare più accentuato nel Mezzogiorno che passa dal 6,6% nel 2008 al 10,1 per cento.

E gli screening oncologici? Quello mammografico, nonostante l’aumento degli inviti recapitati nel 2015, presenta disuguaglianze territoriali significative: al Nord raggiunge quasi tutte le donne (oltre nove su dieci) ma al Sud solo il 60%. Per guardare il dettaglio delle singole regioni, guida l’Emilia Romagna (78%) mentre Campania, Calabria e Sicilia si attestano al 50%. Per quanto riguarda invece i tempi di attesa per le prestazioni diagnostiche e specialistiche in caso di sospetto diagnostico, i dati del monitoraggio delle strutture oncologiche di Cittadinanzattiva mostrano che al Nord l’80% delle persone in condizione di urgenza accede entro le 72 ore stabilite. Percentuali peggiori sono rilevabili al Centro (72%) e al Sud (77%). C’è maggiore tempestività, invece, per l’accesso all’intervento chirurgico a seguito di diagnosi oncologica. Al Nord il 100% dei cittadini accede entro 60 giorni, al Centro l’88% e al Sud il 77%. Nota dolente, purtroppo, l’accesso alla radioterapia e alla chemioterapia che, soprattutto al Centro e al Sud, non viene garantita entro 30 giorni nel 100% delle strutture ma solo rispettivamente nell’84% e nel 86 per cento.

Cittadinanzattiva

Presentazione di Welfare 24

La parola al presidente Assidai, Tiziano Neviani

Il “federalismo” sanitario, sempre più penalizzante per i cittadini di alcune regioni italiane, le condizioni di salute degli italiani (confrontate con quelle dei nostri “coinquilini” europei”), e la prestigiosa certificazione di rinnovo dell’iscrizione di Assidai all’Anagrafe dei Fondi Sanitari, inviata dal Ministero della Salute.

Questi e altri sono i temi di Welfare 24 di ottobre, che presenta anche un’interessante inchiesta sul funzionamento dei Sistemi sanitari nei cinque continenti. Un semplice confronto, quest’ultimo, che induce a valutazioni ben più ampie – in prospettiva futura – sull’importanza del ruolo di Assidai come fondo integrativo e/o sostitutivo nel contesto di un sistema sanitario italiano sempre più sofferente dal punto di vista della sostenibilità finanziaria.
Del resto, i numeri dell’ultimo Osservatorio Civico promosso da Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato sono lì a dimostrarlo con un’impressionante forbice, tra le varie regioni italiane, su tempi di attesa degli esami, ticket e molto altro.
L’Italia, come sottolinea nel suo intervento il presidente di Federmanager, Stefano Cuzzilla, entro tre anni avrà più anziani che bambini: un motivo in più per agire sulla prevenzione, a 360 gradi.

 

Assidai ha debuttato alla prevenzione di “Tennis & Friends”

Il Fondo è stato presente all’evento che si è svolto il 7-8 ottobre 2017 al Foro Italico di Roma. L’obiettivo della manifestazione è salvaguardare la salute del cittadino incentivando la prevenzione e contribuendo così alla riduzione delle spese del servizio sanitario nazionale.

Assidai ha partecipato alla settima edizione di “Tennis & Friends” che si è svolta sabato 7 e domenica 8 ottobre al Foro Italico di Roma, dalle ore 10.00 alle 18.00, con oltre 18mila metri quadri di Villaggio della Salute.

L’evento, nato nel 2011 su iniziativa di FRIENDS FOR HEALTH Onlus, unisce 4S: Salute, Solidarietà, Sport e Spettacolo ed è diventato un appuntamento molto atteso – al quale Assidai è stato presente per la prima volta – poiché permette a un vasto pubblico di approfittare di due giornate di prevenzione gratuita in collaborazione con lo staff sanitario della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli. Inoltre, nel corso della manifestazione, personaggi dello spettacolo e dello sport si sono sfidati nel torneo di Tennis Celebrity.

L’obiettivo primario di Tennis & Friends – che si tiene anche a maggio durante gli Internazionali di tennis di Roma – è la diffusione della cultura della prevenzione: nelle ultime 6 edizioni e 5 special events sono stati effettuati oltre 28.000 check-up gratuiti. Soltanto l’anno scorso hanno partecipato all’evento più di 20mila persone, accolte da 44 postazioni mediche (di cui 15 del Ministero della Salute), 24 postazioni ecografiche e 150 figure professionali tra medici e operatori sanitari.

Tra le aree di prevenzione polispecialistica è previsto un percorso clinico diagnostico a 360 gradi contro malattie tiroidee, patologie correlate al fumo, metabolismo, cuore e sport, malattie del fegato, ipertensione arteriosa, medicina dello sport, tumori della pelle, odontoiatria, pediatria e altro ancora.

Nel corso della manifestazione gli esperti sono stati a disposizione per aumentare la consapevolezza su queste malattie, rispondere a domande e dare consigli su come gestirle al meglio, ricordando che la prevenzione, e uno stile di vita sano, sono la terapia più efficace per combatterle.

Tennis & Friends

Attività fisica batte malattie croniche

Una ricerca dellistituto superiore di sanità evidenzia come fare movimento previene patologie cardiovascolari, diabete e cancro. A tutte le età.

L’attività fisica come prevenzione per determinate malattie cronico-degenerative. È questa, in estrema sintesi, la conclusione di un recente studio dell’Istituto Superiore di Sanità. Le malattie cronico-degenerative, come noto, sono caratterizzate da un lungo periodo di sviluppo e colpiscono prevalentemente donne e uomini più anziani. Stiamo parlando di un ampio gruppo di patologie che vanno dall’osteoporosi alle malattie cardiovascolari, dal diabete alle dislipidemie per arrivare a sovrappeso/obesità, malattie respiratorie croniche, ictus e cancro. Sono tra le malattie più invalidanti e mortali che interessano molti Paesi e che sono caratterizzate da fattori di rischio endogeni non modificabili ed esogeni modificabili: proprio tra quest’ultimi l’inattività fisica gioca un ruolo cruciale. Viceversa l’attività fisica, sostiene la ricerca, fornisce vantaggi sia al singolo individuo, sia al Servizio Sanitario Nazionale (SSN) riducendo l’ospedalizzazione e l’uso di farmaci.

Incidere sui fattori di rischio esogeni: l’attività fisica

Incidere sui fattori di rischio esogeni è dunque l’unico modo per abbassare l’incidenza delle malattie cronico-degenerative. Quelli associati agli stili di vita sono quattro: il consumo di alcol, l’alimentazione scorretta, il fumo di sigarette e l’inattività fisica. Evitarli e svolgere una regolare attività fisica è una semplice misura che può aiutare ad affrontare le malattie degenerative. Non solo: se è ben riconosciuto il ruolo importante dell’esercizio fisico come prevenzione e cura dell’osteoporosi per i suoi effetti positivi diretti sul tessuto osseo, ci sono evidenze positive anche legati alla minor insorgenza di altre patologie come diabete, malattie cardiovascolari e dislipidemie. I benefici ottenuti, peraltro, anche se sono relazionati all’età, comprendono tutte le fasce, che vanno dai giovani tra i 20 e i 30 anni agli adulti tra i 40 e i 50 anni fino agli anziani di età superiore ai 60 anni.

Contro l’osteoporosi sì al movimento no al nuoto

Ovviamente, l’intensità dell’attività fisica consigliata dipende dall’età e dalle abitudini di vita delle persone, ma anche e soprattutto dal loro stato di salute, in quanto alcune malattie possono portare a una situazione debilitante soprattutto tra gli anziani.

Ma c’è di più: secondo la ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità, “un’attività fisica come camminare, pedalare, salire le scale a piedi e ballare può costituire una buona prevenzione, non solo per le malattie croniche ma anche per il riassorbimento del tessuto osseo: alcuni studi hanno evidenziato che per tutti i pazienti è importante camminare per 30-60 minuti”. Ecco dunque una valenza non solo preventiva, ma anche di “cura” per chi è affetto da alcune malattie degenerative, nel caso specifico l’osteoporosi.

Una nota a parte merita invece il nuoto: uno sport ritenuto “molto utile per alcune malattie croniche, ma non per l’osteoporosi poiché i suoi movimenti, pur facendo bene a muscoli, cuore, articolazioni, non sono particolarmente utili per l’ossatura: in acqua, infatti, non viene sostenuto il peso corporeo per mancanza dello stimolo della forza gravitazionale”.

L’Italia merita l’EMA

Il punto di vista di Stefano Cuzzilla, Presidente Federmanager

Milano è in corsa per l’assegnazione dell’Agenzia europea del Farmaco che, dopo Brexit, deve lasciare Londra per uno degli Stati membri.

Vale la pena sottolineare il valore di questa partita. Un valore certamente economico, dati gli oltre 300 milioni di budget annuale e i circa 900 dipendenti dell’Agenzia, ma soprattutto strategico per i temi della salute pubblica, della produttività dell’industria farmaceutica europea e della ricerca scientifica.

Ritengo che il nostro Paese, che possiede una forte tradizione industriale in campo farmaceutico e biomedicale, meriti di ottenere, insieme a questa Agenzia, il riconoscimento europeo del proprio ruolo di leadership: la nostra filiera della salute vale circa l’11% del PIL e assorbe il 6% degli occupati. Ci sono distretti industriali che sono primi al mondo per ricerca e innovazione, non solo in Lombardia. Questo è un settore in inarrestabile crescita che, quindi, è in grado di offrire numerose opportunità di sviluppo alla nostra rete di piccole e medie imprese.

Come Federmanager non possiamo che esprimere l’impegno del management industriale a condividere gli intenti politici, economici e sociali che la candidatura meneghina porta con sé e a dare tutto il supporto, operativo e di visione, di cui siamo capaci.

Una nuova certificazione per migliorare processi di gestione e servizi agli iscritti

Con la UNI EN ISO 9001:2015 il Fondo si conferma all’avanguardia per efficienza

Puntare a un continuo miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia dei propri processi interni (anche attraverso un piano di formazione e crescita professionale del proprio personale) e dare agli iscritti una ulteriore garanzia sul valore dei servizi offerti dal Fondo. È principalmente per questi motivi che Assidai persegue, ormai dal 2011, una politica di certificazione e organizzazione del proprio sistema di gestione, che di recente è stato validato da DNV-GL (ente di primaria importanza nel panorama internazionale) secondo la nuova norma UNI EN ISO 9001:2015. Che cos’è quest’ultima? Al di là della dicitura apparentemente complicata, il significato è molto semplice: le normative della famiglia ISO 9000, messe a punto dall’Organizzazione internazionale per la normazione, definiscono i requisiti per realizzare un sistema di gestione in grado di migliorare continuamente l’efficienza nella realizzazione di un prodotto o nell’erogazione di un servizio e, al tempo stesso, di incrementare la soddisfazione di un cliente.

Un passo in avanti sulla certificazione ISO 9001

Assidai, nel 2011, si era dotata della certificazione UNI EN ISO 9001:2008. Col tempo, tuttavia, la ISO 9001 è molto cambiata e l’edizione 2015 dello standard, che in sostanza rappresenta la “versione” più recente di questa certificazione, è nata proprio dall’esigenza di riflettere i cambiamenti avvenuti nelle pratiche e tecnologie per il Quality Management negli ultimi anni e si adatta completamente a qualsiasi organizzazione per requisiti, bilancio e struttura. Di qui la decisione del Fondo di stare al passo con l’evoluzione delle certificazioni e la scelta di conformare la propria attività non soltanto alle normative cogenti di riferimento ma anche a normative volontarie come la UNI EN ISO 9001:2015, adottando un sistema di gestione che agisce principalmente su due direttive.

Un lungo percorso di sostenibilità

Da una parte permette di mantenere sotto controllo i propri processi e la conformità ai requisiti dello standard e delle altre normative di riferimento. Dall’altra parte rafforza il rapporto con i propri stakeholder, dimostrando attenzione verso la soddisfazione delle loro aspettative ed esigenze specifiche.

Assidai e una lunga tradizione di sostenibilità

La certificazione UNI EN ISO 9001:2015 per l’erogazione del servizio di rimborsi spese mediche e assistenziali per dirigenti, quadri e consulenti è il coronamento di un lungo percorso guidato dai principi ispiratori di Assidai. Percorso che ha come filo conduttore una strategia di sviluppo sostenibile voluta dal Fondo e iniziata da diversi anni con l’iscrizione all’Anagrafe dei Fondi Sanitari e il rinnovo annuale della stessa, con la certificazione volontaria del bilancio e con la realizzazione, tre anni fa, del Codice Etico e di Comportamento. Del resto, raggiungere eccellenti standard di conformità ed efficienza è condizione necessaria per raggiungere l’obiettivo principale del Fondo: costruire a livello nazionale un sistema sanitario integrato e complementare che veda il giusto bilanciamento tra la qualità dei servizi offerti e la sostenibilità economica.

I processi di gestione e le loro categorie

In quest’ottica Assidai ha individuato specifici processi di gestione che si possono classificare in tre aree (vedi infografica “Il sistema di gestione del Fondo”). Innanzitutto ci sono i processi di gestione, che disciplinano e coordinano le relazioni dell’Organizzazione con i propri stakeholder. In secondo luogo i processi operativi, cioè l’insieme delle attività volte all’erogazione del servizio. Infine, ecco i processi di supporto, che gestiscono le risorse interne e forniscono supporto ai processi principali. È proprio attraverso il proprio sistema di gestione che l’azienda definisce per ciascuno di questi processi responsabilità e regole di comportamento condivise, documentandole e dettagliandole all’interno di policies, procedure e istruzioni operative.

I principi di Assidai

La volontà di dotarsi di un sistema di gestione certificato è la base della strategia di sviluppo sostenibile voluta da Assidai che vuole raggiungere nuovi obiettivi di business tenendo fermi i propri valori e i propri principi. Tra questi spiccano la tutela degli iscritti e della loro salute durante l’intero arco della vita con spirito di mutualità e solidarietà. Per l’iscritto Assidai vuole essere innanzitutto un consulente, che agisce con integrità e professionalità offrendo la propria assistenza con un’ampia gamma di Piani Sanitari innovativi a copertura del nucleo familiare anche all’estero. Altri valori del Fondo sono quelli del welfare, della qualità e dell’innovazione, indispensabili per riuscire a stare al passo con i bisogni dei manager, delle loro famiglie e anche delle aziende. Senza trascurare la riservatezza e la trasparenza: Assidai rinnova annualmente l’iscrizione all’Anagrafe dei Fondi Sanitari istituita dal Ministero della Salute, certifica – su base volontaria – il proprio bilancio e si è dotato di un Codice Etico e di Comportamento; inoltre garantisce la più completa tutela delle informazioni in proprio possesso e che riguardano, tra l’altro, anche gli iscritti.

 

Presentazione di Welfare 24

La parola al presidente Assidai, Tiziano Neviani

In questo numero di Welfare 24 parliamo di una importante novità per Assidai: la certificazione del nostro sistema di gestione in base allo standard più aggiornato in circolazione, UNI EN ISO 9001: 2015.

Perché questa scelta? Avere un sistema di gestione certificato è alla base della strategia di sviluppo sostenibile iniziata dal Fondo da diversi anni con un duplice obiettivo: mantenere sotto controllo i processi e rafforzare il rapporto con gli stakeholder. Sullo sfondo c’è poi il nostro obiettivo primario: costruire a livello nazionale un sistema sanitario integrato pubblico-privato che operi nell’interesse del cittadino e offra un corretto bilanciamento tra qualità del servizio e sostenibilità economica.

In questo quadro la prevenzione gioca un ruolo rilevante: a questo proposito riportiamo un interessante studio dell’Istituto superiore di Sanità che rivela come l’attività fisica diminuisca la probabilità dell’insorgere di malattie cronico-degenerative.

Sempre in tema di prevenzione, segnalo con piacere l’evento Tennis &Friends a Roma il 7 e 8 ottobre 2017, che ha visto per la prima volta la partecipazione di Assidai.

Infine, il consueto contributo del Presidente Federmanager, Stefano Cuzzilla, che sostiene la candidatura dell’Italia per l’assegnazione dell’Agenzia del Farmaco: posizione che non possiamo che condividere.

Il trattamento fiscale di contributi e prestazioni Assidai

Con la dichiarazione dei redditi che si approssima, vale la pena ricordare come e in che misura si possono scaricare i contributi versati al fondo sanitario integrativo e le spese mediche. Per farlo bisogna distinguere tuttavia tre fattispecie.

Per chi aderisce ad Assidai in forma individuale e volontaria (pensionati, lavoratori autonomi, etc) il contributo di adesione versato dall’iscritto concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente e quindi solo le spese mediche sono detraibili dalle imposte nella misura del 19% per la parte eccedente 129,11 euro, sebbene le stesse siano state rimborsate da Assidai.

Per i lavoratori dipendenti che aderiscono ad Assidai in conformità di contratto, accordo o regolamento aziendale i contributi di assistenza sanitaria versati dal datore di lavoro o dal lavoratore a enti o casse aventi esclusivamente fine assistenziale per un importo non superiore complessivamente a 3.615,20 euro non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente.

Se non si supera questa soglia, solo le spese non rimborsate da Assidai sono detraibili nella misura del 19% per la parte eccedente 129,11 euro. Se invece i contributi superano 3.615,20 euro, la parte eccedente concorre a formare il reddito imponibile mentre le spese sanitarie sono detraibili nella misura proporzionale alla quota dei contributi eccedenti la soglia per un importo pari al 19% della parte oltre 129,11 euro.

Per le aziende, infine, i contributi a loro carico rappresentano una voce di costo del lavoro, deducibile integralmente ai fini della determinazione del reddito di impresa soggetto ad Ires.

I contributi del datore di lavoro sono soggetti ad un contributo di solidarietà del 10% che deve essere devoluto alle gestioni pensionistiche cui sono iscritti i lavoratori.