Analisi del terzo rapporto sul secondo welfare in Italia

In Italia la spesa pubblica annua per protezione sociale ammonta a 478 miliardi di euro oltre a 70 miliardi di spesa privata delle famiglie tra sanità, formazione dei figli e servizi di Long Term Care (LTC) ovverosia per la non autosufficienza. La spesa sanitaria, invece, nel 2016 ha raggiunto quota 150 miliardi, di cui tre quarti in forma pubblica e il restante 25% in forma privata. E proprio quest’ultima componente, pari a circa 37,21 miliardi (circa il 2,2% del Prodotto intero lordo), è stata per il 90,9% “out of pocket”, ovvero sostenuta direttamente dalle famiglie, senza alcuna forma di intermediazione. I temi che vengono affrontati  dal “Terzo Rapporto sul secondo welfare in Italia 2017”, a cura di Percorsi di Secondo Welfare e Centro di ricerca e documentazione Luigi Einaudi, sono variegati e toccano variabili importanti per il contesto sociale, economico e demografico in cui viviamo: ne esce un analisi di spessore, che traccia un percorso da seguire nei prossimi anni per preservare l’equilibrio e i valori del Servizio Sanitario Nazionale, anche nella sua interazione con la sanità integrativa.

Lo studio sottolinea come l’allungamento della vita media porta con sé un inevitabile aumento di costi sanitari e sociali che possono mettere a rischio il benessere delle famiglie italiane. A dimostrarlo c’è l’aumento della spesa media pro capite, che – dati Istat – sempre nel 2016 si è attestata a 2.446 euro, con un aumento dello 0,7% rispetto al 2012. Purtroppo, invece, i numeri dicono che sul fronte delle forme sanitarie alternative, in Italia, siamo ancora indietro rispetto ad altri Paesi europei: esse “intermediano” soltanto il 9,1% della spesa privata (in questa percentuale sono comprese fondi sanitari integrativi come Assidai, assicurazioni e società di mutuo soccorso) contro il 67% della Francia, il 44% della Germania e il 41% della Gran Bretagna.

La Long Term Care (LTC) e il confronto con l’Europa 

Un altro nodo importante evidenziato dal rapporto riguarda la non autosufficienza e più in particolare la spesa per l’assistenza sanitaria a lungo termine, che nel 2016 in Italia ha raggiunto 15,06 miliardi (+0,8%), incidendo per il 10,1% sul totale della spesa sanitaria. Anche in questo caso la “copertura integrativa” è bassa rispetto agli altri partner europei: secondo alcuni dati del Ministero della Salute solo 370mila persone over 65 (su circa 3 milioni di persone che hanno tale bisogno) godono dell’assistenza sanitaria domiciliare per la cura a lungo termine. Stiamo parlando del 2,7% degli ultrasessantacinquenni italiani contro il 20% degli anziani assistiti in casa in alcuni Paesi del Nord Europa come Danimarca, Svezia e Norvegia. Senza contare la difformità sul territorio nazionale di prestazioni, ore dedicate a ciascun assistito e costo pro capite dei servizi.

Integrazione tra sanità pubblica e privata

Alla luce di questi numeri e di questi confronti, la conclusione del Rapporto è chiara: “è sempre più urgente ripensare a un sistema di integrazione pubblico-privato che garantisca la sostenibilità delle cure, in cui il pubblico mantenga la sua centralità ma vengano ampliati gli interventi delle forme sanitarie integrative”. Percorso che anche Assidai ha presentato in vari momenti istituzionali. In altre parole, è necessario un grande mutamento di prospettiva e una presa di posizione da parte dello Stato nella promozione di un’assistenza integrativa e non sostitutiva rispetto al sistema pubblico che ne condivida la missione di tipo solidaristico. Per fare ciò, in Italia, “bisogna tracciare una chiara linea di demarcazione fra l’intervento pubblico e quello privato e dare una specifica mission affidata alle forme sanitarie integrative di tipo mutualistico e assicurativo”.

La crescita del welfare aziendale

Il welfare aziendale, sempre più diffuso nelle aziende italiane, può essere un mezzo importante per raggiungere questi obiettivi, argomenta anche il Rapporto. A dimostrarlo c’è il fatto che la contrattazione collettiva ha ritenuto necessario agire a favore di sanità integrativa e previdenza complementare: due esigenze che non sono comunque dei soli lavoratori ma dell’intera popolazione. Per questo, è necessario pensare “a un cambiamento che porti dal welfare contrattuale a un sistema integrato a protezione dell’intero ciclo di vita delle persone, anche attraverso l’estensione delle coperture al nucleo familiare”, cosa – quest’ultima – che Assidai ha fatto molti anni fa in modo pionieristico rispetto ad altri fondi e assicurazioni.

assistenza sanitaria integrativa metalmeccaniciProprio a proposito di welfare aziendale, dal Rapporto emergono dati interessanti sul settore metalmeccanico ovvero il primo a prevedere nel contratto nazionale l’introduzione obbligatoria di un piano di beni e servizi per tutte le imprese del settore, che metteranno a disposizione del lavoratore 100 euro (nel 2017), 150 nel 2018 e 200 nel 2019. In Emilia Romagna, invece, il 56,1% delle imprese con meno di 350 dipendenti adotta una o più misure di welfare e si sale all’82% per le aziende con più di 10 milioni di fatturato. La prestazione più diffusa? La sanità integrativa con il 63%, quasi il doppio rispetto alla seconda classificata “conciliazione vita-lavoro” con il 33%.

Come scegliere il fondo sanitario per le risorse umane

“L’assistenza sanitaria integrativa è molto importante, poiché rappresenta un bene prezioso: per questo può rivelarsi cruciale per attrarre i manager del futuro”. Bastano queste parole, pronunciate in un’intervista rilasciata a Welfare 24 da Carlo Corsi (Presidente e figura di spicco della società internazionale Spencer Stuart), per intuire la sempre maggiore centralità del welfare aziendale, e più in particolare della sanità integrativa, per le politiche di gestione del personale. Spencer Stuart è una delle società leader nel mondo tra i cosiddetti “head hunter” ovverosia i cacciatori di teste, il cui lavoro, in parole povere, è selezionare profili di manager all’altezza per i ruoli apicali e i consigli di amministrazione delle principali società a livello nazionale e internazionale.

Del resto, ormai, l’assistenza sanitaria integrativa costituisce una leva significativa di forte impatto nei pacchetti della cosiddetta total compensation. Una strada che l’azienda cerca di sfruttare per mitigare le crescenti difficoltà nell’impostare una politica di remunerazione basata esclusivamente sul salario. Dal canto suo, il manager ottiene un benefit gradito (dal 34% dei dirigenti, secondo un sondaggio Assidai-Ipsos del 2015, il servizio più richiesto delle varie e possibili forme di welfare aziendale) che integra o sostituisce un’assistenza sanitaria contrattuale talvolta non sufficiente.

Fondo sanitario integrativo: leva per il recruiting

Chiaramente, mettendosi nei panni dell’HR (Human Resources Manager) che deve scegliere e inserire in un pacchetto retributivo l’assistenza sanitaria integrativa, le variabili da prendere in considerazione sono diverse. Innanzitutto bisogna analizzare le caratteristiche dell’interlocutore. Nel caso di posizioni senior con stipendi molto elevati, infatti, il tema dell’assistenza sanitaria integrativa potrebbe anche diventare meno significativo; se invece si parla di giovani ad alto potenziale, che non hanno ancora raggiunto livelli retributivi elevati, allora la sanità integrativa diventa una leva su cui agire.

Bisogna tuttavia mettere poi a fuoco altri aspetti, da considerarsi cruciali. Innanzitutto se il dipendente o il manager ha già un fondo sanitario contrattuale di categoria e in caso positivo, come un eventuale pacchetto integrativo possa rappresentare un valore aggiunto per il suo profilo. Assidai, per esempio, può essere integrativo del Fasi o di altri fondi contrattuali o sostitutivo per coloro che non hanno un’assistenza sanitaria integrativa al Servizio Sanitario Nazionale.

Senza sottovalutare il tema della diversificazione e della modularità delle offerte di welfare aziendale, che da un lato consentono di abbattere i costi e dall’altro garantiscono una maggiore rispondenza alle esigenze individuali. Per esempio, non necessariamente la copertura sanitaria riservata a un giovane nucleo familiare è ottimale per il collega pensionato e viceversa. Queste considerazioni portano a un’altra scelta cruciale per l’HR manager: a chi rivolgersi per acquistare il “pacchetto” sanitario integrativo? Scegliere un broker assicurativo o un fondo sanitario come Assidai? Rispetto alle polizze il secondo presenta diversi vantaggi, al di là del fatto che la gestione delle risorse del Fondo avviene all’insegna di criteri come mutualità e la solidarietà, non ha limiti di età, di accesso e di permanenza; non opera la selezione del rischio, non può recedere dall’iscrizione e tutela gli assistiti per tutta la durata della loro vita ed in qualsiasi condizione di salute essi siano.

C’è inoltre un altro aspetto da considerare, talvolta sottovalutato. Il vero ritorno dato da politiche di total compensation che contemplano un modello di welfare avanzato è dato anche dalla crescita culturale e delle relazioni sindacali a tutti i livelli: in questo senso – come rimarcato in un’intervista, concessa sempre a Welfare 24, di Paola Assorgia, Responsabile Relazioni Industriali e Contenzioso del Gruppo Leonardo, il coinvolgimento delle rappresentanze sindacali nelle scelte e nella gestione dei vari organismi costituisce senz’altro un momento di forte evoluzione nel contesto aziendale. Il motivo? Permette un dialogo e un ulteriore “avvicinamento” tra due soggetti solitamente su due fronti opposti della negoziazione: per questo eventuali misure di welfare possono aiutare a favorire il dialogo e a vivere l’azienda e i suoi obiettivi con maggiore coesione.

La prevenzione: un diritto-dovere per migliorare la qualità della vita, nostra e di chi ci sta accanto

Lunedì 29 gennaio 2018 presso la sala Viscontea di ALDAI in Via Larga, 31 a Milano, dalle ore 16.00 alle ore 19.00, si terrà l’evento “La prevenzione: un diritto-dovere per migliorare la qualità della vita, nostra e di chi ci sta accanto”.

Margaret Chan, Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ha dichiarato:

“Con una popolazione mondiale in crescita continua e un allungamento della durata media della vita, l’unico modo per rendere sostenibile qualsiasi intervento sanitario è puntare ad evitare le malattie ancora prima che a curarle.” 

Per raggiungere tale risultato occorre avere un maggiore controllo dei singoli sulla propria salute e sui fattori in grado di mantenerla, cosa che risulta essere diretta conseguenza di programmi di formazione e informazione rivolti alla popolazione.

Il Gruppo Valorizzazione dei Senior (VDS), con il supporto di VISES, nella consapevolezza dell’importanza di questo tema, ha pensato di creare degli spazi di formazione, informazione e confronto per i colleghi ALDAI.

L’evento sarà introdotto da Mino Schianchi e Giovanni Carnaghi per il gruppo VDS e Francesco Dindo – Coordinatore di   Vises Gruppo Milano. Moderatore: Roberta Lovotti referente del “Progetto Prevenzione”.

A seguire gli interventi:

  • Carlo Vergani – Già Prof. Ordinario di Medicina Interna e Geriatria all’Università degli studi di Milano – “L’invecchiamento demografico e lo stato sociale”
  • Luigi Bisanti – Già Direttore del Servizio di Epidemiologia dell’ASL di Milano – “Gli screening dei tumori: una risorsa di salute, un diritto, una scelta consapevole”
  • Marcello Garzia – Presidente FASI – “Prevenire è meglio che curare”
  • Marco Rossetti – Direttore Generale ASSIDAI – L’esperienza di Assidai nella prevenzione

Al termine dell’incontro verrà lasciato spazio alle domande dei presenti nella sessione: “I relatori rispondono”.

Assidai e la prevenzione

Il titolo di questo evento “La prevenzione: un diritto-dovere per migliorare la qualità della vita, nostra e di chi ci sta accanto” evidenzia perfettamente qual è l’approccio di Assidai nei confronti di un tema così importante su cui il nostro Paese è ancora indietro.

Per questo, in base al lavoro svolto dalla Commissione Sanità di Federmanager, di cui Assidai fa parte, non solo la prevenzione dovrebbe essere ricompresa nell’elenco delle “prestazioni vincolate”, ma è importante che sia incentivata con appropriatezza, con una programmazione che si basi su studi epidemiologici e diagnostici.

L’evento sarà in diretta streaming sul sito di ALDAI a partire dalla ore 16.

Bruxelles promuove la sanità italiana: efficiente e “longeva”

Nei bilanci sanitari dei Paesi dell’Unione Europea solo il 3% del budget viene investito in prevenzione contro l’80% dedicato alla cura delle malattie. Una forbice troppo elevata, secondo l’ultimo studio diffuso dalla Commissione europea “Lo stato della salute nell’Ue”: un documento approfondito, che passa al setaccio pregi e difetti dei Sistemi sanitari nazionali di 28 Paesi membri, e dal quale arrivano notizie decisamente confortanti per l’Italia.

Il nostro SSN, infatti, presenta alcuni tra i dati migliori dell’Unione, in particolare per quanto riguarda la speranza di vita, anche se permane una marcata disparità a livello regionale e socioeconomico. Nonostante i vincoli di bilancio, l’Italia è inoltre riuscita a riorganizzare, ampliare e migliorare le prestazioni sanitarie nazionali e il Governo sta provando anche a definire un nuovo sistema che consenta di ripartire le risorse tra le Regioni con l’obiettivo di riequilibrare il sistema, eliminare le disparità e offrire a tutti gli italiani un pacchetto di prestazioni sostanzialmente analogo.

Vediamo alcuni dei fiori all’occhiello italiani. Innanzitutto la speranza di vita, che ha raggiunto 82,7 anni nel 2015 contro i 79,9 anni del 2000, ponendo l’Italia al secondo posto nell’Unione Europea (che ha una media di 80,6 anni) dietro la Spagna. Un miglioramento, si sottolinea nello studio, legato soprattutto alla riduzione della mortalità per malattie cardiovascolari anche se permangono notevoli diversità legate al sesso e alle condizioni socioeconomiche. Buone notizie anche per quanto riguarda i fattori di rischio: nel 2014 gli adulti che fumavano tabacco quotidianamente erano pari al 20%, poco sotto la media Ue e comunque in calo dal 25% del 2000. Ampiamente sotto la media del Vecchio Continente il consumo di alcol, in cui l’Italia è al terz’ultimo posto prima di Grecia e Svezia; negli ultimi anni, sempre nel nostro Paese, si è invece riscontrato un aumento dei problemi di sovrappeso e obesità infantile.

Qualità ed efficienza del Sistema Sanitario italiano

A proposito, per esempio, si può guardare il tasso di mortalità evitabile, cioè come vengono affrontate patologie potenzialmente letali come cardiopatie ischemiche, ictus, tumori al seno e al collo dell’utero e altre patologie oncologiche curabili. In Italia il tasso è pari a 74,1 contro il 97,5 della media Ue: in generale ci collochiamo in quinta posizione su 28 Paesi, dietro soltanto a Spagna, Francia, Lussemburgo e Cipro.

C’è un altro aspetto, di carattere più finanziario, decisamente confortante. Dopo i tagli dovuti alla crisi economica del 2008, in Italia la spesa sanitaria complessiva è tornata ad aumentare. Nel 2015 il nostro Paese ha destinato il 9,1% del pil alla sanità, ossia 2.502 euro, collocandosi al di sotto della media Ue del 10%. Tuttavia, la recente inversione di rotta è significativa: se dopo il 2008 è rimasta invariata o ha registrato un calo, dal 2014 la spesa procapite è tornata a crescere.

A livello più generale, la Commissione Ue ha sintetizzato in cinque punti il proprio lavoro, svolto in collaborazione con l’Ocse e l’Osservatorio europeo delle politiche e dei sistemi sanitari: una sorta di vademecum indirizzato anche ai Governi dei Paesi membri per le politiche sanitarie dei prossimi anni.

  • La promozione della salute e la prevenzione delle malattie creano le condizioni per un sistema sanitario più efficace ed efficiente. Una tematica che va affrontata senza sottovalutare il nodo delle disuguaglianze sociali, evidenziato dalla diversa frequenza di screening tumorali o attività fisica delle persone in funzione del livello di reddito e di istruzione più e meno elevato.
  • Una robusta assistenza sanitaria di base guida in modo efficiente i pazienti nel sistema sanitario e contribuisce ad evitare spese inutili. Un numero sintetizza perfettamente questo concetto: il 27% dei pazienti si rivolge a un pronto soccorso per via dell’inadeguatezza dell’assistenza sanitaria di base. Inoltre solo 14 Paesi dell’Unione europea impongono la prescrizione di un medico di base per accedere a una consulenza specialistica e ci sono soltanto 9 Paesi che, al contrario, prevedono incentivi finanziari correlati alla prescrizione.
  • L’assistenza integrata garantisce che il paziente riceva un’assistenza onnicomprensiva, evitando le situazioni che si verificano adesso in quasi tutti i Paesi dell’UE in cui l’assistenza è frammentata e i pazienti devono cercare soluzioni in un labirinto di strutture sanitarie.
  • La programmazione e la previsione delle esigenze sulla forza lavoro nella sanità aumentano la capacità dei sistemi sanitari di adattarsi alle evoluzioni future. Nell’Unione Europea, infatti, i professionisti della sanità sono 18 milioni ed entro il 2025 saranno creati altri 1,8 milioni di posti di lavoro.
  • Grazie alle nuove tecnologie, nei prossimi anni, i dati dei pazienti potranno essere analizzati, su scala aggregata, per dare ulteriori spunti alle politiche socio-sanitarie. La trasformazione digitale della sanità e dell’assistenza hanno un grande potenziale: con l’aiuto dei big data, cioè con l’accumulo delle statistiche aggregate relative a centinaia di migliaia di pazienti, si riusciranno a capire ancora meglio le esigenze sanitarie della popolazione, in termini di prevenzione e di cura. La diretta conseguenza sarà un aumento dell’efficienza dei sistemi sanitari grazie a un migliore utilizzo delle risorse disponibili.

Sanità, per la Bocconi la strada maestra è l’alleanza pubblico-privato

Il Servizio Sanitario Nazionale italiano è un sistema universalistico e solidale, tra i migliori al mondo per alcuni indicatori di salute (per esempio attesa di vita e mortalità infantile) e di spesa, e garantisce servizi essenziali anche alle fasce più deboli della popolazione. Proprio per questo, sedersi sugli allori e pensare che la copertura universale resterà comunque tale nonostante gli attuali trend sfavorevoli (invecchiamento della popolazione, cronicizzazione di alcune malattie e peggioramento dei conti pubblici), può rivelarsi controproducente e alla lunga insostenibile dal punto di vista finanziario.

È questo, in estrema sintesi, il messaggio lanciato dal “Rapporto Oasi 2017”, l’Osservatorio sulle Aziende e sul Sistema Sanitario Italiano realizzato ogni anno da Cergas-Sda Bocconi, che al tempo stesso suggerisce la soluzione per mantenere gli attuali standard: superare la contrapposizione tra pubblico e privato, sia nell’erogazione sia nel finanziamento del sistema, valorizzando così le sinergie e le collaborazioni (per esempio nella revisione del ruolo della spesa privata e intermediata rispetto alla spesa out of pocket) e introducendo modelli assistenziali e organizzativi flessibili in grado di adattarsi all’evoluzione dei bisogni.

La sanità pubblica sui livelli dei competitor europei

Secondo il paper, la spesa sanitaria italiana è sobria: corrisponde al 9% del PIL (contro il 9,9% della Gran Bretagna e l’oltre 11% di Francia e Germania) ma la componente pubblica riesce a coprire ben il 75% della spesa privata totale a fronte di un 23% “out of pocket” (cioè di esborsi pagati di tasca propria dai cittadini) e di solo il 2% di spesa intermediata da assicurazioni e fondi integrativi di assistenza sanitaria come Assidai.

Insomma, i consumi privati hanno un ruolo strutturale ma ciò, secondo gli autori della Bocconi, non è una prova di carenze del sistema pubblico. I dati mostrano infatti come la quota di spesa sanitaria privata dell’Italia sia in linea con quella di altri Paesi a estesa copertura pubblica (siamo al 25% contro il 21% della Francia, il 29% della Spagna e il 24% dell’Austria) e la stessa quota risulti maggiore nelle Regioni dove il sistema pubblico funziona meglio, rimanendo sostanzialmente stabile nonostante i prolungati anni di contenimento della spesa pubblica (intorno al 2% del PIL). Semmai, la vera anomalia è il fatto che, a differenza di quanto si registra in altri Paesi, le forme assicurative volontarie e la sanità integrativa intermediano una parte ancora minoritaria della spesa privata (il 2% contro il 14% della Francia). Una forbice che evidenzia quali siano i margini di crescita del cosiddetto “secondo pilastro”.

Italia record: è la migliore sulle ospedalizzazioni inappropriate

Ma come si posiziona il nostro Servizio Sanitario Nazionale, a livello qualitativo e quantitativo, nel panorama internazionale? Premesso che nel 2016 è stato registrato un avanzo contabile di 329 milioni ed è ormai stato raggiunto l’equilibrio economico finanziario a livello nazionale e nella maggior parte delle Regioni, la ricerca evidenzia come nel nostro Paese la spesa sanitaria totale pro capite registra valori inferiori ai principali Paesi Ue, dove tuttavia in alcuni casi scarseggia la copertura pubblica. La dotazione di posti letto è diminuita in tutti i Paesi mentre in Italia le dimissioni ospedaliere per 100mila abitanti sono calate negli ultimi anni a un valore inferiore alla media europea. Non solo: il nostro Paese registra il valore più basso tra quelli considerati sulle ospedalizzazioni inappropriate e sul consumo di antibiotici, facendo segnare inoltre una significativa riduzione del numero di parti cesarei.

I fondi integrativi come supporto per l’equilibrio del sistema

Il tema vero è il futuro e la tenuta dell’attuale equilibrio. Qualche numero? I pazienti cronici rappresentano il 21% della popolazione e tendono ad assorbire gran parte delle prestazioni ambulatoriali. Gli anziani non autosufficienti sono 2,8 milioni a fronte di soli 270mila posti letto sociosanitari residenziali pubblici o privati accreditati. Il numero medio di figli per donna continua a calare (1,34) e nel 2065 gli anziani saranno il 60% della popolazione attiva.

Tutti trend che chiamano in causa il ruolo complementare della sanità integrativa, come da sempre dichiara Assidai, come supporto per mantenere un Servizio Sanitario Nazionale efficiente, universalistico e solidale.   

Lo stato dell’assistenza sanitaria over 65 in Italia

La metafora può sembrare azzardata ma rende bene l’idea: immaginare il pianeta come una persona che sta lentamente invecchiando, ma rischia di non farlo bene. Anzi, secondo l’ultima e più recente indagine dell’OMS, l’Organizzazione Mondiale per la Sanità, i sistemi sanitari dei principali Paesi occidentali non sono ancora attrezzati bene per “curare” le malattie e le patologie tipiche degli “over 65”. Anche in Italia, ovviamente, si pone il tema dell’assistenza sanitaria per questa fascia di età in cui le necessità di cura aumentano inevitabilmente.

Innanzitutto vediamo qualche numero dello scenario prospettato dall’Oms. Entro il 2050 una persona su cinque nel mondo avrà superato i 60 anni; più a breve termine, entro il 2020 ci saranno più anziani che bambini sotto i cinque anni, con la popolazione over 60 che raddoppierà, passando da 900 milioni a quasi 2 miliardi di individui. Due i motivi dietro questo trend: la crescente aspettativa di vita e la contestuale riduzione della fertilità. L’Italia, nel suo piccolo, è il secondo Paese al mondo per longevità dopo il Giappone, medaglia d’oro d’Europa seguita da Germania e Portogallo con una popolazione nazionale fatta per il 21,4% da cittadini over 65 e per il 6,4% da over 80.

L’invecchiamento della popolazione porta con sé la necessità di ridefinire l’assistenza sociale e sanitaria, anche per quanto riguarda la LTC, cioè la copertura Long Term Care per la non autosufficienza. Secondo le stime dell’OMS 349 milioni di persone nel mondo dipendono da cure e di queste il 29% è rappresentato da persone di 60 anni o più. E il loro accesso alle cure, anche nei principali Paesi industrializzati, non è sempre facile. Anzi, una ricerca dell’OMS su 11 Paesi ad alto reddito ha scoperto che il 41% degli over 65 aveva riportato qualche problema di accesso nei due anni precedenti. Inoltre, le persone più in là con gli anni hanno una maggiore probabilità di avere più di una patologia contemporaneamente, mentre i sistemi sanitari sono più concentrati sul trattamento delle singole patologie acute.

Iscrizione ai Piani Sanitari per gli over 65

C’è poi un altro tema da sottolineare e che vale proprio per la fascia di età presa in considerazione dalla ricerca dell’OMS: in Italia poche assicurazioni fanno sottoscrivere individualmente polizze per l’assistenza sanitaria ai cittadini sopra i 65 anni senza chiedere preventivamente il loro stato di salute. Cosa che, invece, è possibile con Assidai attraverso l’iscrizione ai Piani Sanitari per la persona e la famiglia proposti dal Fondo stesso.

A tal proposito è molto utile ragionare su due esempi standard, ma concreti, che ben si sposano con le categorie di persone alle quali si rivolge l’offerta del nostro Fondo. Il primo – che chiameremo caso A – è rappresentato da dirigenti in servizio e in pensione già iscritti al Fasi o a un altro fondo di assistenza analoga per dirigenti; il secondo, invece, – il caso B – riguarda dirigenti, quadri e consulenti in servizio e in pensione che non sono iscritti al Fasi o ad un’altra forma di assistenza analoga.

Analizziamo ora nel dettaglio le due ipotesi: in ciascuna di esse avverrà poi un’ulteriore distinzione in due scenari, che chiameremo 1 e 2.

Caso A (dirigente già iscritto al Fasi o altro fondo)

Scenario 1. Se si hanno 65 anni e si è ancora in servizio i   sono ben cinque:

  • Piano Sanitario BASE che prevede l’assistenza sanitaria garantita in caso di ricoveri di alta specializzazione, con un’assistenza minimale e basilare per quanto riguarda alcune prestazioni sanitarie.
  • Piano Sanitario RICOVERI che garantisce l’assistenza sanitaria in caso di ricoveri, come indica il nome stesso del Piano Sanitario, con o senza intervento chirurgico.
  • Piano Sanitario ARCOBALENO che evidenzia che l’assistenza sanitaria sia garantita in caso di ricoveri con o senza intervento chirurgico con un’assistenza completa per quanto concerne le prestazioni sanitarie, ambulatoriali.
  • Piano Sanitario EXTRA (valido solo fino ai 70 anni) che consente l’assistenza sanitaria in caso di ricoveri con o senza intervento chirurgico, con un’assistenza completa per quanto concerne le prestazioni sanitarie, ambulatoriali e in aggiunta vi sono le cure odontoiatriche.
  • Piano sanitario DIRETTA che consente l’assistenza sanitaria nel caso di ricoveri con o senza intervento chirurgico e di prestazioni sanitarie ed ambulatoriali purché vengano effettuate presso strutture sanitarie e medici convenzionati.

Scenario 2. Se si hanno 65 anni e si è in pensione si può aderire solo al Piano Sanitario SENIOR che prevede l’assistenza sanitaria per tutti i ricoveri, e per le prestazioni extra-ospedaliere.

Caso B (dirigenti, Quadri e Consulenti in servizio e in pensione non iscritti al Fasi o altri fondi)

Scenario 1. Se si hanno 65 anni e si è ancora in servizio i Piani Sanitari a cui si può aderire sono i seguenti:

  • Piano Sanitario BASE
  • Piano Sanitario RICOVERI
  • Piano Sanitario ARCOBALENO

Scenario 2. Se si hanno 65 e si è in pensione è solo uno il Piano Sanitario a cui si può aderire: Piano Sanitario SENIOR

Cosa include la Long Term Care

Infine, ma non meno importante, il tema della LTC, su cui Assidai ha sempre agito in prima fila e che per gli over 65 anni non va certo sottovalutato. Per questa fascia di età, il nostro Fondo garantisce – senza alcun contributo aggiuntivo rispetto a quanto sostenuto per il Piano Sanitario che si è scelto – la copertura per la non autosufficienza – appunto la Long Term Care – che evidenzia come sia tutelato non solo il capo nucleo ma anche il coniuge o convivente more uxorio. Nel dettaglio viene messa a disposizione un’assistenza professionale domiciliare fino alla concorrenza di 1.000 euro per ogni mese di assistenza fino ad un massimo di 270 giorni (9 mesi). Inoltre, vengono garantite altre prestazioni quali:

  • assistenza fisioterapica a domicilio (nel caso di fratture del femore, delle vertebre o del bacino);
  • assistenza a domicilio tramite operatore socio-sanitario (in caso di fratture del femore, delle vertebre, del bacino o del cranio)
  • spesa a domicilio (in caso di fratture del femore, delle vertebre, del bacino o del cranio)
  • consegna farmaci presso l’abitazione (in caso di fratture del femore, delle vertebre, del bacino o del cranio)
  • custodia animali: cani e gatti (in caso di fratture del femore, delle vertebre, del bacino o del cranio).

 

LEA – Livelli Essenziali di Assistenza, caposaldo del Servizio Sanitario Nazionale

Se mi opero per un’appendicite urgente devo pagare? I vaccini sono gratuiti? E le cure ospedaliere per le malattie croniche? Tutte queste domande hanno una sola risposta, di tre lettere, ovvero LEA. Un acronimo che indica i Livelli Essenziali di Assistenza, cioè le prestazioni e i servizi che il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) deve fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di partecipazione (il noto ticket), utilizzando le risorse pubbliche raccolte attraverso la fiscalità generale. I LEA vengono considerati un caposaldo del nostro Servizio Sanitario Nazionale e lo rendono, in Europa, tra quelli più “assistenziali” nei confronti dei cittadini. Un pregio ma, in ottica futura, anche un innegabile punto di debolezza vista la dinamica di invecchiamento della popolazione: per questo, secondo gli esperti, per il Servizio Sanitario Nazionale sarà possibile mantenere gli attuali standard solo se verrà sostenuto da una “stampella” privata di carattere integrativo.

Il perimetro nel dettaglio: dai servizi sul territorio agli ospedali

I LEA, in ogni caso, all’interno del loro perimetro, garantiscono che chiunque, indipendentemente dal reddito e dal luogo di residenza, debba essere curato, al massimo con l’aggiunta di un ticket. Del resto, la loro base normativa è rappresentata innanzitutto dall’articolo 32 della Costituzione:

“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”

E in secondo luogo dalla legge di istituzione del SSN, promulgata nel 1978, che per la prima volta introdusse il concetto di prestazioni sanitarie che devono essere garantite a tutti i cittadini.

I LEA si suddividono in tre grandi aree e descriverle dà un’idea più precisa di che cosa comprenda, nel nostro Paese, l’ampio insieme dei Livelli Essenziali di Assistenza:

  • la prima è rappresentata dall’assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro, che comprende tutte le attività di prevenzione rivolte alle collettività e ai singoli (tra gli altri la tutela dagli effetti dell’inquinamento, profilassi delle malattie infettive, vaccinazioni e programmi di diagnosi precoce).
  • La seconda area è l’assistenza distrettuale, cioè le attività e i servizi sanitari diffusi sul territorio. Qualche esempio? Medicina di base, assistenza farmaceutica, specialistica, diagnostica ambulatoriale, servizi domiciliari agli anziani e ai malati gravi, residenze per anziani e comunità terapeutiche.
  • La terza è l’assistenza ospedaliera: in pronto soccorso, in ricovero ordinario e in day hospital, e le strutture per la lungodegenza e la riabilitazione.

I LEA 2017: tutte le novità

Per chiudere un ultimo passaggio, non meno importante. Il 12 gennaio 2017, un nuovo decreto ha sostituito interamente il precedente (datato 29 novembre 2001) sulla “definizione dei LEA”: in sostanza dopo 16 anni – sotto la spinta del ministro della Salute, Beatrice Lorenzin – è stato ridefinito il perimetro dei Livelli Essenziali di Assistenza. Un passaggio molto atteso, se non altro per stare al passo con l’evoluzione delle tecnologie, delle patologie e dei relativi bisogni di cura della popolazione, che è stato accompagnato da altri due provvedimenti rilevanti: lo stanziamento di 800 milioni e l’istituzione di una Commissione nazionale per l’aggiornamento dei LEA, con il compito di monitorarne costantemente il contenuto.

Ma quali sono le principali novità dell’ultimo aggiornamento? Vediamole nel modo più schematico possibile:

  • Nuovo nomenclatore della specialistica ambulatoriale, che introduce prestazioni tecnologicamente avanzate, tra cui le prestazioni di procreazione medicalmente assistita e la consulenza genetica, eliminando quelle obsolete.
  • Nuovo nomenclatore dell’assistenza protesica che permette finalmente di prescrivere ausili informatici e di comunicazione (per esempio tastiere adattate per persone con gravissime disabilità), apparecchi acustici a tecnologia digitale, posaterie, mezzi di comunicazione e suppellettili adattati per le disabilità motorie, arti artificiali a tecnologia avanzata e sistemi di riconoscimento vocale e di puntamento con lo sguardo.
  • Vaccini: sono stati inclusi quelli già previsti dal Calendario nazionale 2012-2014 e introdotti quelli nuovi, relativi al nuovo Piano Nazionale della Prevenzione Vaccinale 2017-2019, tra cui meningococco B, rotavirus e varicella nei nuovi nati con estensione dell’anti-Papillomavirus agli 11enni (prima era solo per le femmine). Sui nuovi vaccini per quanto riguarda l’eventuale pagamento il discorso è più complesso e dipende dalla Regione di appartenenza.
  • Malattie rare: è stato ampliato l’elenco, inserendo più di 110 nuove entità, tra cui sarcoidosi, sclerosi sistemica progressiva e fibrosi polmonare idiopatica.
  • Malattie croniche: vengono inserite nuove patologie tra cui la osteomielite cronica, le patologie renali croniche, la broncopneumopatia cronico ostruttiva e soprattutto l’endometriosi, di cui in Italia si stimano 3 milioni di casi e per la quale si prevedono 300mila esenzioni circa.
  • Screening neonatale: viene introdotto per sordità e cataratta congenita ed esteso a tutti i nuovi nati per le malattie metaboliche ereditarie.
  • Celiachia: da malattia rara diventa cronica, restano comunque in esenzione tutte le prestazioni di specialistica ambulatoriale.
  • Gravidanza: viene aggiornata la lista delle prestazioni gratuite offerte dal SSN, tra cui la diagnosi prenatale con test combinato, i corsi di accompagnamento alla nascita ed eventuali visite specialistiche di genetica medica in caso di aborti ripetuti.

Spesa sanitaria in Italia: il confronto con l’Europa

Evoluzione della spesa sanitaria in Italia

In Italia il rapporto tra spesa sanitaria pubblica e Prodotto interno lordo (Pil) nel 2010 era del 7% e in Europa dell’8%, nel 2016 il dato relativo al nostro Paese era sceso al 6,5% mentre quello sull’intero Vecchio Continente era lievitato all’8,3%. Opposto il trend sulla spesa sanitaria privata che in rapporto al Pil, in Italia, dall’1,9% del 2010 è arrivata sei anni dopo al 2,4% mentre in Europa è rimasta sostanzialmente stabile al 2,1%. La differenza tra l’Italia e i principali Paesi del Vecchio Continente in termini di spesa sanitaria è tutta in questi numeri e in un’altra dinamica piuttosto eloquente: negli ultimi 10 anni la capacità assistenziale del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) si è ridotta dal 92% al 77%. In parole povere, nel nostro Paese – diversamente dagli altri partner europei, che hanno già reimpostato il proprio sistema sanitario in una logica “multipilastro” (cioè che prevede un ruolo significativo di assicurazioni e fondi integrativi come Assidai) – negli ultimi anni si è registrato un progressivo e inesorabile arretramento del finanziamento pubblico alla sanità. Cosa che costretto i cittadini ad attingere al proprio portafoglio per accedere alle cure o addirittura li ha indotto a rinunciare alle cure stesse.

Nel 2016 la cosiddetta spesa “out of pocket” degli italiani (cioè le prestazioni sanitarie pagate di tasca propria) ha raggiunto 35,2 miliardi: un aumento del 4,2% rispetto al 2013 e il 50% in più rispetto a inizio Millennio. E quest’anno, secondo le ultime stime, si potrebbe raggiungere quota 37 miliardi di euro. Ormai più di un italiano su quattro non sa come affrontare le spese necessarie per curarsi e tra 10 anni la situazione sarà di totale emergenza visto che, a patto di non volere assistere al crac del SSN, si prevede una spesa sanitaria pro capite a quota 1000 euro l’anno dai circa 580 euro di oggi.

Spesa sanitaria in Italia e nell’OCSE

Inutile dire, se allarghiamo il nostro raggio di analisi all’estero, che l’Italia è tra i Paesi OCSE (l’organizzazione a cui appartengono i primi 35 Stati industrializzati del mondo) con un’incidenza più elevata della spesa sanitaria “out of pocket”. In Europa fanno peggio di noi soltanto Grecia e Portogallo ma soprattutto il dato tricolore è tre volte superiore a quello della Francia, due volte rispetto alla Gran Bretagna e una volta e mezza se paragonato con la Germania. Nel mondo, giusto per dare un’idea, siamo sul livello di Cile e Messico. Una situazione determinata anche e soprattutto da un altro fenomeno: la scarsa diffusione in Italia di coperture sanitarie integrative, che ad oggi coprono soltanto il 3,3% della spesa sanitaria totale e il 14% di quella a cui non fa fronte il settore pubblico (quest’ultimo dato nei principali Paesi europei supera anche il 70-80%).

Il tema vero, per quanto riguarda l’Italia, è anche l’assenza di un progetto di sistema relativo al cosiddetto “secondo pilastro” a supporto del Servizio Sanitario Nazionale. Assidai, per esempio, considera fondamentale costruire a livello nazionale un sistema sanitario integrato pubblico e privato che veda il giusto bilanciamento tra la qualità dei servizi offerti e la sostenibilità economica.

Il risultato dell’assenza di strutturazione di questo progetto? Un quadro assistenziale frammentato in cui l’11% degli italiani è beneficiario di sanità complementare (contro il 22,9% della Germania, l’82% del Belgio e il 95,5% della Francia) e il 3,9% di forme sanitarie integrative (qui i Paesi Bassi hanno addirittura l’84% e il Canada il 67%). Complessivamente l’Italia arriverebbe anche a un discreto grado di copertura integrativa, pari al 19%, ma l’elevata dispersione dell’offerta privata e lo scarso coordinamento con il Servizio Sanitario Nazionale determinano una situazione che sarà difficilmente sostenibile nei prossimi anni se non ci sarà un brusco cambio di rotta a tutti i livelli.