Dal Ministero della Salute un sito per imparare a proteggere la pelle

Un sito tematico per conoscere la pelle e proteggerla dai principali rischi, tra cui ovviamente anche quello del melanoma. La Mia Pelle – questo il nome del sito – è stato realizzato dal Ministero della Salute e dagli Istituti Fisioterapici Ospitalieri, che si pone un obiettivo molto chiaro: diffondere in modo semplice e interattivo una “cultura” della pelle per prevenire l’insorgere di malattie, adottando i corretti comportamenti relativi all’esposizione al sole e alle altre fonti di raggi UV (come le lampade solari), o per diagnosticarle in anticipo.

Una filosofia che va di pari passo con quella di Assidai, i cui iscritti per tutto il mese di giugno possono usufruire gratuitamente del nuovo pacchetto Healthy Manager, che prevede la possibilità di prenotare nel corso del mese una visita dermatologica e la mappatura dei nei, esami fondamentali in termini di prevenzione dei melanomi, ovvero patologie o lesioni tumorali della pelle. Si potranno poi effettuare gli esami fino al 31 dicembre 2019. Una grande opportunità per prendersi cura di un organo, spesso sottovalutato e non considerato tale.

La prevenzione carta vincente contro i tumori

Secondo il sito del Ministero della Salute, la prevenzione è una carta vincente perché consente di diminuire i costi per il sistema sanitario derivanti dai ricoveri e dall’assistenza e, allo stesso tempo, di salvare tante vite salvaguardando la salute degli individui. La grande sfida della medicina, in estrema sintesi, è non fare ammalare le persone sane: ciò vale a maggior ragione nella lotta ai tumori della pelle, per cui “la riduzione del rischio passa attraverso la corretta esposizione al sole fin dall’infanzia”. Ovvero: “è prioritario evitare le scottature e proteggere la propria pelle, anche per godere del tempo libero e dell’estate in sicurezza”. In secondo luogo, “la diagnosi precoce garantisce oggi nella maggior parte dei casi la riuscita dei trattamenti di cura, la diminuzione delle complicanze e in un’alta percentuale di casi, fino al 90%, consente di salvarsi la vita”.

L’attenzione dedicata dal Ministero della Salute al tema deriva anche da un trend preoccupante: il melanoma, considerato fino a pochi anni fa una neoplasia rara, presenta attualmente un’incidenza in continua crescita in tutto il mondo e anche in Italia, dove si registrano circa 7500 nuovi casi l’anno e circa 1.500 decessi. Nel nostro Paese, il melanoma cutaneo ha un’incidenza di 14,3 casi su 100mila uomini e 13,6 casi su 100mila donne ed è al terzo posto per numero di nuovi casi nella fascia di età da 0 a 44 anni. Inoltre, a differenza di molte altre neoplasie il melanoma colpisce anche le classi d’età più giovani, infatti oltre il 50% dei casi viene diagnosticato entro i 59 anni d’età.

Il portale per la prevenzione dermatologica del Ministero della Salute

Il sito realizzato dal Ministero della Salute ha un taglio estremamente divulgativo. Per esempio, ha un test molto veloce che permette di capire, rispondendo ad alcune semplici domande, a che tipo di fenotipo si appartiene per prendere poi di conseguenza le opportune misure di protezione per la propria pelle. C’è anche un divertente, quanto utile, gioco dell’oca che ci consente di capire come comportarci, per evitare rischi alla nostra cute, nella classica giornata estiva di sole.

La parte più consistente, in ogni caso, è rappresentata da una ricca dote di contenuti, che riguardano per esempio il controllo dei nei, comprese le principali linee guida dell’autoesame e le ipotesi in cui invece bisogna rivolgersi direttamente al dermatologo. Perché la pelle, si ricorda, “è il confine tra organismo e ambiente esterno: la nostra prima difesa verso il mondo che ci circonda ma è anche l’organo più esposto ai fattori ambientali, è quindi importante proteggerla”. Per questo, il Ministero della Salute fornisce una serie di preziose indicazioni che vanno nell’ottica della prevenzione e dei corretti stili di vita per contrastare le malattie della pelle: gli stessi obiettivi perseguiti dalle importanti campagne di informazione e prevenzione promosse da Assidai, perché è davvero il caso di dirlo “prevenire, è meglio che curare”.

A giugno 2019 al via la Campagna Prevenzione Melanoma per gli iscritti Assidai

Giugno 2019 per gli iscritti Assidai è il mese della prevenzione del melanoma. Per tutto il mese gli iscritti al fondo sanitario possono usufruire gratuitamente del nuovo pacchetto Healthy Manager, che prevede una visita dermatologica e la mappatura dei nei, esami fondamentali in termini di prevenzione per evidenziare eventuali patologie o lesioni tumorali della pelle, cioè i cosiddetti melanomi.

L’iniziativa viene svolta in collaborazione con i partner Allianz e Generali Welion che ne garantiscono il protocollo di prevenzione.

I numeri del melanoma nel mondo

Negli ultimi decenni l’incidenza del melanoma cutaneo nella popolazione caucasica è in crescita, con circa il 5% di casi in più ogni anno. In Italia vengono diagnosticati annualmente oltre 7.000 nuovi casi. Il melanoma è uno dei tumori più frequenti negli adulti di età compresa tra i 30 e 40 anni, ma può insorgere a ogni età. Fortunatamente una diagnosi precoce porta le probabilità di guarigione completa fino al 90% dei casi. Alla luce di questi numeri, il Fondo di assistenza sanitaria integrativa Assidai e Federmanager – Federazione dei manager dell’industria – hanno scelto di sostenere interamente i costi del pacchetto Healthy Manager in modo da incentivare gli iscritti ad Assidai a sottoporsi agli esami preventivi, grazie anche alla partecipazione in qualità di partner di Allianz e Generali Welion, società di welfare integrato.

Pacchetto Healthy Manager 2019

L’iniziativa offre la possibilità per tutto il mese di giugno 2019 di prenotare presso le strutture sanitarie del network Assidai aderenti al programma, una visita dermatologica e la mappatura dei nei. Le visite potranno poi essere effettuate fino al 31 dicembre 2019.

Sottolinea Tiziano Neviani,Presidente di Assidai

Riteniamo fondamentale prenderci cura della salute dei nostri iscritti senza limitarci al rimborso delle spese mediche sostenute. Va proprio in questa direzione la scelta di rendere la campagna Healthy Manager un’attività strutturale per garantire ogni anno a manager, quadri e consulenti iscritti al Fondo pacchetti di prevenzione totalmente gratuiti. Per il 2019 la nostra attenzione si è focalizzata sull’offerta di una visita dermatologica e una mappatura completa dei nei. Esami non invasivi e che non provocano alcun dolore ma che possono fare la differenza per scoprire in anticipo qualsiasi cambiamento sulla nostra pelle, un organo spesso sottovalutato ma di importanza cruciale per il nostro benessere, da proteggere e preservare con molta attenzione.

Per Stefano Cuzzilla, Presidente di Federmanager

La prevenzione sanitaria è innanzitutto una conquista culturale. Pertanto abbiamo deciso di rinnovare anche quest’anno una campagna gratuita che incentivi i colleghi a maturare la giusta consapevolezza verso fattori di rischio e ad assumere stili di vita corretti. Per noi la prevenzione non è un costo, bensì un investimento. È una precisa missione per i Fondi di sanità integrativa che, proprio in questo campo, possono dare un contributo importante in termini di sostenibilità al Servizio sanitario nazionale, svolgendo un’azione di sinergia fondamentale verso l’obiettivo di una società più sana e più longeva.

Simone Salerni, Direttore Commerciale di Allianz Italia ha commentato:

Anche quest’anno Allianz è orgogliosa di contribuire a questa rilevante campagna di prevenzione, al fianco di Assidai e Federmanager. Iniziative come questa vanno nella giusta direzione di sensibilizzare tutti sull’importanza della prevenzione, uno stile di vita che una compagnia come Allianz sostiene da sempre e promuove costantemente toccando anche temi delicati con sensibilità e offrendo soluzioni d’eccellenza per le famiglie e le imprese italiane.

Andrea Mencattini, Amministratore Delegato di Generali Welion ha commentato:

Uno degli obiettivi di Generali Welion è quello di garantire consapevolezza e informazione sul tema salute. Per questo riteniamo sia importante supportare i nostri clienti anche nella prevenzione e adozione di comportamenti salutari, tramite servizi innovativi e semplici da fruire come il pacchetto Healthy Manager costruito per gli iscritti ad Assidai.

 

Tiziano Neviani rieletto alla presidenza di Assidai

Il 23 maggio 2019 Tiziano Neviani è stato rieletto Presidente di Assidai per il triennio 2019-2021. Confermati nel Consiglio di Amministrazione Maurizio Bressani, Giuseppina De Cicco, Otello Onorato ed è stata eletta la nuova consigliera Barbara Picutti. Nel Collegio Sindacale, invece, sono stati confermati Paola Perrone (Presidente) e Carla Ortolani e si aggiunge Paolo Grasso come nuova nomina.

Tiziano Neviani, classe ’48, originario di Cremona, è un manager di lunga esperienza, che ha dedicato tutta la sua vita lavorativa a importanti gruppi industriali italiani. Collabora attualmente con il Gruppo Arvedi. Sottolinea Neviani, riferendosi al programma d’azione di Assidai per il prossimo triennio:

Le esigenze di contenimento della spesa pubblica, unite alle dinamiche demografiche, danno vita a uno scenario in cui il Servizio Sanitario Nazionale, che si è sempre contraddistinto in Europa e nel mondo per universalità ed equità, difficilmente potrà continuare a offrire piena copertura ai nostri concittadini. Per questo, il cosiddetto “secondo pilastro” della Sanità deve essere agevolato con politiche e normative che riordinino i benefici fiscali già esistenti e favoriscano il più possibile imprese, lavoratori e non lavoratori ad aderire ai Fondi sanitari integrativi. In questa logica, Assidai, Fondo di assistenza sanitaria integrativa di emanazione Federmanager, da 29 anni è al fianco degli iscritti e delle loro famiglie e si mette pone a disposizione del sistema Federmanager e delle istituzioni preposte per condividere il proprio modello organizzativo e le proprie idee.

L’obiettivo primario del Presidente Neviani è continuare a garantire servizi sempre più efficienti per la massima soddisfazione degli iscritti Assidai, puntando anche ad aumentare la platea dei propri iscritti, in termini individuali e corporate. A questo si affiancano altri tre concetti chiave, da sempre molto cari ad Assidai:

  • copertura LTC, l’assistenza delle persone non autosufficienti;
  • prevenzione, cruciale per combattere la diffusione delle malattie croniche;
  • welfare aziendale, un segmento che dimostra la diffusione di un rapporto più evoluto ed efficiente tra azienda e dipendente, in cui Assidai si candida a giocare un ruolo di primo piano.

Ulteriore capitolo di estrema rilevanza si conferma la collaborazione con le Associazioni Territoriali Federmanager. Il Fondo considera infatti la ricchezza di esperienze presenti sul territorio come «un valore fondamentale, da consolidare e rafforzare ogni giorno» conclude Neviani.

Alla scoperta del diritto sanitario in Italia

Quando si parla di diritto sanitario si intende un particolare ramo della giurisprudenza italiana che si occupa di tutelare e fare funzionare nel modo corretto due aspetti cruciali del nostro Paese: il diritto alla salute e il Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Sono due principi base scritti nella nostra Costituzione che, infatti, considera la salute come uno dei diritti fondamentali della persona, che lo Stato deve poter assicurare a tutti. E, al tempo stesso, rappresentano due valori chiave della filosofia di Assidai, che considera il Servizio Sanitario Nazionale un pilastro cruciale per gli equilibri del nostro Paese – grazie alle sue caratteristiche di universalità ed equità praticamente uniche al mondo – e pone al centro della propria mission la tutela della salute e l’assistenza sanitaria a 360 gradi dei propri iscritti.

Negli ultimi anni, tuttavia, la coesistenza tra diritto alla salute e sanità pubblica è diventata progressivamente più complessa a causa soprattutto della ristrettezza dei fondi a disposizione del Governo centrale. In estrema sintesi, la salute deve essere assicurata in maniera gratuita a tutti coloro che ne hanno bisogno, ma è necessario anche fare quadrare i conti dello Stato. È qui, appunto, che entrano in gioco le normative che lo Stato stesso ha dovuto predisporre per affrontare la situazione e che, in generale, hanno visto lo sviluppo del diritto sanitario.

La definizione di diritto sanitario

Nel dettaglio, il diritto sanitario si occupa anche di stabilire e fare rispettare gli aspetti organizzativi della sanità pubblica. Esistono, infatti, diversi enti con lo scopo di gestire al meglio tutte le attività connesse alla salute dei cittadini. Il Servizio Sanitario Nazionale, istituito dalla legge 833 del 1978, fornisce l’assistenza sanitaria a tutti i cittadini:

Il servizio sanitario nazionale è costituito dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio.

Si basa su cinque principi:

  1. responsabilità pubblica della tutela della salute,
  2. universalità ed equità di accesso ai servizi sanitari,
  3. globalità di copertura in base alle necessità assistenziali di ciascuno,
  4. finanziamento pubblico attraverso la fiscalità generale,
  5. “portabilità” dei diritti in tutto il territorio nazionale e reciprocità di assistenza con le altre regioni.

Il SSN è composto da diversi enti: l’organo centrale è il Ministero della Salute, esistono poi le Aziende Sanitarie Locali, le cosiddette Asl, e gli ospedali controllati dalle Regioni.

Il Governo del sistema sanitario viene esercitato in misura prevalente da Stato e Regioni, secondo la distribuzione di competenze stabilita dalla Carta costituzionale e dalle norme in materia: alla legislazione statale spetta la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; la tutela della salute rientra invece nella competenza concorrente affidata alle Regioni, che possono legiferare in materia nel rispetto dei principi fondamentali posti dalla legislazione statale.

Riassumendo, il servizio sanitario è articolato secondo diversi livelli di responsabilità e di governo. C’è il livello centrale, cioè lo Stato, che deve assicurare a tutti i cittadini il diritto alla salute mediante un forte sistema di garanzie, attraverso i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). E c’è il livello delle Regioni, che hanno la responsabilità diretta della realizzazione del governo e della spesa per il raggiungimento degli obiettivi di salute del Paese. Inoltre, le Regioni stesse hanno competenza esclusiva nella regolamentazione e organizzazione di servizi e di attività destinate alla tutela della salute e dei criteri di finanziamento delle Aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere, che devono a loro volta gestire le situazioni nel loro territorio di competenza.

Inoltre, nella Costituzione italiana è scritto, all’articolo 32, che il diritto alla salute rappresenta uno dei diritti fondamentali della persona, dove per salute, si intende, il benessere psico-fisico di un individuo. In sostanza, non si tratta di prevenire o curare solamente le malattie in senso stretto: il raggio di azione è ben più allargato e fa anche riferimento al diritto a ricevere prestazioni sanitarie, a vivere in un ambiente salubre, e non ultimo alla libertà di cura, cioè alla possibilità di decidere se essere curato o meno.

Non solo: lo Stato ha anche il compito di tutelare tutti i diritti fondamentali dell’uomo, quindi anche la salute (a dirlo è l’articolo 2 della Costituzione). Da qui nasce la necessità di fornire assistenza gratuita agli indigenti, ovvero alle persone povere o con scarse possibilità economiche. Per tutti gli altri individui è prevista invece una compartecipazione alle spese sostenute dallo Stato, attraverso il pagamento del ticket.

Le ristrettezze di spesa dello Stato

Come detto, tuttavia, c’è anche la necessità da parte dello Stato di far quadrare i conti e, a volte, mettere in pratica quanto afferma la Costituzione in materia di tutela e diritto alla salute a volte non è semplice poiché ciò entra in conflitto con la sostenibilità finanziaria del sistema. Del resto, anche l’articolo 81 della nostra Carta parla chiaro: lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Tutto ciò, ogni anno, si sostanzia nella Legge di Bilancio, in cui vengono stanziati dei fondi a favore della sanità, nell’ambito di tutte le spese che deve sostenere lo Stato per garantire dei servizi ai propri cittadini. In pratica, il Governo da una parte cerca di mantenere i conti in ordine e dall’altra deve garantire tutti i diritti dei cittadini costituzionalmente protetti. Una questione decisamente delicata e complessa che, in ambito sanitario, viene appunto regolata dal cosiddetto diritto sanitario. E che, in prospettiva, potrebbe vedere i fondi sanitari integrativi giocare un ruolo cruciale, così come anticipato più volte da Assidai in un’ottica di collaborazione e complementarietà con l’obiettivo di rendere il SSN stesso sostenibile nel lungo periodo.

Welfare aziendale, la chiave per incrementare la produttività

Prima di tutti i numeri. Secondo l’OCSE – l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico che raggruppa i principali 36 Paesi industrializzati – l’Italia tra il 1995 e il 2017 ha registrato un incremento della produttività del lavoro dello 0,3% contro un aumento medio (sempre nell’OCSE) dell’1,47%.

Come colmare questo gap? Secondo gli esperti una delle leve possibili che possono essere sfruttate è sicuramente quella del welfare aziendale. Del resto, ed è questa una posizione sostenuta da diverso tempo anche da Assidai, il benessere personale e un corretto bilanciamento tra vita lavorativa e vita privata (il cosiddetto work-life balance) fanno bene ai manager e ai dipendenti in generale, perché accrescono il benessere organizzativo all’interno di un’azienda e il livello di energia e motivazione dei singoli. Secondo Assidai, il welfare aziendale deve essere dunque visto come uno strumento da mettere a disposizione dei lavoratori e, in particolare, dei propri manager, quadri e professionisti iscritti che, alla luce dei gravosi impegni lavorativi e della scarsità di tempo libero a disposizione, dimostrano sempre più di apprezzare una struttura flessibile ed efficiente, come quella del nostro Fondo di assistenza sanitaria integrativa. Da svariati studi e ricerche emerge, peraltro, come proprio l’assistenza sanitaria sia tra i benefit più richiesti a livello di welfare aziendale.

L’Italia ultima in termini di produttività aziendale

Secondo l’OCSE, l’Italia è tra i fanalini di coda dell’Europa e tra i principali Stati industrializzati quanto a produttività del lavoro. Una debolezza che, tuttavia, rappresenta al tempo stesso una grande occasione, poiché il nostro Paese ha margini di crescita e miglioramento superiori rispetto a molti altri partner europei e mondiali. Nel dettaglio, sottolinea l’Organizzazione, tra il 1995 e il 2017 l’aumento della produttività del lavoro nel nostro Paese, ossia il Prodotto Interno Lordo per ore lavorate, è stato dello 0,3%, il più basso tra le 40 economie prese in considerazione (le 36 OCSE più alcuni Paesi partner), a fronte di un aumento medio OCSE dell’1,47%. Sempre considerando questi dati, presa come base 100 la produttività degli Stati Uniti, l’Italia si ferma a 78, la Germania è al 98, la Francia al 94, mentre Irlanda e Lussemburgo si collocano a 135 e la Norvegia a 112. Non solo: tra il 2010 e il 2016 la produttività italiana è aumentata solo dello 0,14% medio annuo, dato peggiore in assoluto dopo quello della Grecia (-1,09%). Ma prima della grande crisi, tra il 2001 e il 2007, il nostro Paese è risultato l’ultimo in assoluto, con una flessione dello 0,01% annuo, unico segno meno tra la quarantina di Paesi considerati dallo studio OCSE.

Nuove misure di potenziamento del welfare aziendale

Ecco perché il welfare aziendale, in Italia, potrebbe essere uno strumento utile per alleviare il cronico problema della produttività. Al proposito, secondo indiscrezioni, in un disegno di legge di imminente presentazione potrebbero essere introdotte nuove misure che puntano a potenziare le agevolazioni per il welfare aziendale. In particolare, potrebbe essere incrementato da 3mila a 5mila euro l’importo dei premi di risultato soggetto a detassazione, a fronte di un dimezzamento dell’imposta sostitutiva dal 10 al 5%. Va ricordato che la Legge di Bilancio 2019, approvata nei mesi scorsi, non aveva previsto nuovi incentivi in materia. Incentivi che invece erano stati lanciati con la Manovra del 2017 che, così come quella del 2016, era intervenuta principalmente in due direzioni. Da una parte aveva deciso per un “allargamento” del perimetro del welfare aziendale che non concorre al calcolo dell’Irpef. Dall’altra parte aveva ampliato, nei numeri, l’area della tassazione zero per i dipendenti che scelgono di convertire i premi di risultato del settore privato di ammontare variabile in benefit compresi nell’universo del welfare aziendale stesso. In alternativa, come già previsto, i benefit saranno soggetti a un’imposta sostitutiva dell’Irpef e delle addizionali regionali e comunali pari al 10 per cento.

Più nel dettaglio, il tetto massimo di reddito di lavoro dipendente che consente l’accesso alla tassazione agevolata era stato aumentato da 50mila a 80mila euro, mentre gli importi dei premi erogabili erano passati da 2 mila a 3 mila euro nella generalità dei casi e da 2.500 a 4mila euro per le aziende che coinvolgono pariteticamente i lavoratori nell’organizzazione del lavoro. Numeri che, in assenza di provvedimenti ufficiali, valgono ovviamente ancora oggi.

Il ruolo del welfare nel Pilastro Europeo dei Diritti Sociali

Fornire un nuovo quadro di riferimento per i modelli di welfare nazionali chiamati a fronteggiare le nuove sfide globali (invecchiamento demografico, digitalizzazione, globalizzazione e automazione del lavoro) ma anche uno strumento per aggiornare la legislazione europea in tema di politiche sociali e del lavoro. È questo il principale obiettivo del Pilastro Europeo dei Diritti Sociali (PEDS), una sorta di Costituzione del nuovo welfare del Terzo Millennio che stabilisce 20 principi e diritti fondamentali per sostenere il buon funzionamento e l’equità dei mercati del lavoro e dei sistemi di protezione sociale. Allo stesso tempo, nelle intenzioni dei Paesi membri, il PEDS – concepito principalmente per la zona euro ma applicabile a tutti gli Stati membri dell’Ue che desiderino aderirvi – dovrà essere bussola per un nuovo processo di convergenza verso migliori condizioni di vita e di lavoro in Europa.

Tra i principi chiave assistenza sanitaria e LTC

Va rilevato come tra i 20 principi del PEDS ce ne siano almeno due che fanno parte dei punti fermi della mission di Assidai. Il primo è quello dell’assistenza sanitaria: il nostro Fondo ritiene infatti essenziale il ruolo del Servizio Sanitario Nazionale come punto di riferimento per il Paese grazie alle sue caratteristiche, uniche al mondo, di universalità e gratuita. Al proposito, il documento ufficiale del PEDS sottoscritto congiuntamente dal Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione durante il vertice sociale per l’occupazione equa e la crescita, che si è tenuto il 17 novembre 2017 a Göteborg, in Svezia, recita molto chiaramente al principio numero 16:

Ogni persona ha il diritto di accedere tempestivamente a un’assistenza sanitaria preventiva e terapeutica di buona qualità e a costi accessibili.

Al punto 18 del PEDS c’è invece l’altro punto fermo di Assidai: la copertura per la non autosufficienza – Long Term Care, cioè l’assistenza degli individui non più autosufficienti.

Ogni persona ha diritto a servizi di assistenza a lungo termine di qualità e a prezzi accessibili, in particolare ai servizi di assistenza a domicilio e ai servizi locali”.

Più in generale, come detto, il Pilastro Europeo dei Diritti Sociali identifica una lista di 20 principi e diritti, suddivisi sotto tre distinte aree (qui il link al sito dell’Unione Europea): uguali opportunità, pari condizioni lavorative, protezione e inclusione sociale. Tali principi e diritti coprono sia aree dove l’UE possiede un’esplicita competenza legislativa (per esempio le pari opportunità, l’uguaglianza di genere e la sicurezza sul posto di lavoro), sia aree dove l’UE ha finora esercitato una competenza limitata (per esempio il diritto a un’abitazione dignitosa e l’assistenza ai senza fissa dimora).

I 20 principi del Pilastro Europeo dei Diritti Sociali

La proclamazione di Göteborg è arrivata dopo un lungo percorso iniziato nel settembre 2015, quando il presidente della Commissione UE, Jean Claude Junker, ha lanciato la nuova iniziativa, chiamandola appunto Pilastro Europeo dei Diritti Sociali. Proprio la Commissione ha cercato di promuoverlo negli Stati membri durante i mesi successivi, avviando anche un ampio processo di consultazione con i governi nazionali, gli stakeholders e i cittadini, con l’obiettivo di raccogliere impressioni, suggerimenti e aspettative. Sulla scorta di questa consultazione, la Commissione UE ha pubblicato una serie di documenti arrivando poi alla stesura dei 20 principi e, appunto, al “sì” di Göteborg, che rappresenta uno dei primi passi formali verso l’effettiva creazione di un Pilastro Europeo dei Diritti Sociali.

La sua effettiva implementazione e messa a regime dipenderà da molti fattori ma, se tutto andrà per il verso giusto, potrà avere un ruolo cruciale nella creazione del welfare del Terzo Millennio, in cui anche i fondi integrativi saranno chiamati a fare la loro parte per garantire gli equilibri del sistema.

Anziani di oggi e di domani: LTC, welfare e rapporto tra generazioni

Ci sono diversi modi per valutare gli effetti dell’invecchiamento della popolazione, che rappresenta indubbiamente una delle più importanti trasformazioni sociali, economiche (e con significativi riflessi finanziari) del nostro tempo. Una lettura interessante è quella che prende in considerazione il rapporto tra generazioni, sicuramente un tema cruciale, che a sua volta si distingue in due approcci:

  • il primo analizza lo “scambio” tra generazioni – il più classico è quello tra anziani e figli adulti – e le relative diseguaglianze nell’accesso a risorse di cura formali e informali.
  • Il secondo approccio, invece, prende in considerazione le condizioni degli anziani appartenenti a diverse fasce d’età.

È proprio da quest’ultima analisi che emergono, secondo alcuni esperti, considerazioni e implicazioni cruciali per le politiche economiche di un Paese e, più in particolare, per quelle che dovrebbero essere le strategie in materia di LTC Long Term Care – prestazioni per la non autosufficienza. Un settore, quest’ultimo, su cui Assidai si è sempre mossa in prima linea, garantendo ai propri iscritti (e alle loro famiglie) tre miglioramenti della copertura in pochi anni.

Un futuro meno agevole per gli anziani

In particolare, emergerebbe una frattura molto chiara tra due classi di età: gli anziani di oggi, che hanno beneficiato di livelli crescenti di benessere di welfare, e quelli di domani (gli attuali adulti), per i quali si prospetta invece un invecchiamento con risorse ridotte e accresciute disuguaglianze. In Italia, in particolare, il nodo riguarda coloro che oggi hanno 40-50 anni: quando invecchieranno che tipo di società avranno intorno a loro? E su che tipo di potenziale assistenza potranno contare, anche alla luce delle loro future condizioni sociali e finanziarie? Ebbene, quando i nati negli anni Sessanta e Settanta varcheranno la soglia dei 75 anni, lo scenario sarà diverso rispetto ad oggi: avranno una speranza di vita più lunga ma in una società che, nel frattempo, sarà fortemente invecchiata. Le attuali dinamiche demografiche – molti futuri anziani avranno solo un figlio (o anche nessuno) – porteranno a una significativa restrizione del perimetro di potenziali “caregiver”, cioè di persone che potranno prendersi cura di loro.

In sostanza, gli anziani di domani saranno diversi e potenzialmente più deboli rispetto a quelli di oggi. In assenza di mutamenti profondi delle politiche sociali o di uno sviluppo importante di previdenza e sanità integrative, i nuovi anziani potranno così contare non solo su minori risorse di cure formali, ma anche su minori risorse economiche per acquistare cure sul mercato. Questi problemi riguarderanno la generazione nata tra il 1965 e il 1974 ma – secondo gli esperti – potrebbero sfiorare anche i nati tra il 1955 e il 1964.

I baby boomers e la sfida LTC Long Term Care

Il problema, insomma, è soprattutto sul futuro: bisognerà fare i conti con le sfide poste dall’invecchiamento dei cosiddetti baby boomer, cioè coloro che sono nati nel Secondo Dopoguerra (e fino a metà anni 60) e hanno contribuito alla fortissima ripresa economica dei Paesi occidentali nel secolo scorso.

In futuro, la sostenibilità economica dei sistemi di welfare chiamati a gestire questo passaggio generazionale rischia di andare in crisi sia per le caratteristiche demografiche (la numerosità e la presenza di molti grandi anziani) sia per quelle sociali (la minor ampiezza e disponibilità di reti informali di sostegno). Tutto ciò rischia così di avere importanti ripercussioni sia sul versante economico e finanziario, sia sull’organizzazione dei servizi. In questo contesto, la gestione della copertura LTC – attraverso il rilancio del secondo pilastro – assume un ruolo ancora più centrale, vista anche l’ingente mole di spesa out of pocket e l’enorme esercito di caregiver famigliari che già oggi si dedicano nel supporto dei propri cari non più autosufficienti.

L’esplosione dei centenari

C’è poi un ulteriore scenario, che meriterebbe di essere analizzato più ampiamente, che riguarda i bambini nati nell’ultimo decennio. Ebbene, costoro – secondo le ultime proiezioni demografiche – sono destinati a vivere ancora più a lungo: uno su due, in Italia come nei principali Paesi occidentali, avrebbe infatti buone possibilità di raggiungere 100 anni. Un’età inimmaginabile fino a qualche decennio fa, se non per poche eccezioni, che tuttavia implica profonde riflessioni non soltanto in ambito sociale, sanitario e previdenziale ma anche a livello politico, culturale e aziendale. A fronte di questo scenario, una scelta di investimento a lungo termine su un fondo sanitario integrativo destinato a erogare prestazioni nella terza età, che sarà ben più lunga rispetto ad oggi, diventa una componente imprescindibile per gli equilibri di un Paese.

Assidai e le politiche LTC Long Term Care  prestazioni per la non autosufficienza

Abbiamo parlato più volte delle politiche adottate da Assidai in termini di Long Term Care e Non autosufficienza. Assidai sin dal 2015 si spende per offrire ai propri iscritti una serie di vantaggi in termini di LTC. Inizialmente estendendo la copertura anche al coniuge o al convivente more uxorio dell’iscritto e poi ampliando ulteriormente la copertura dal 2017 per gli iscritti under 65, la cui copertura è ampliata a tutto il nucleo familiare dell’iscritto con aumento del 30% della rendita in caso di presenza di un figlio minore e fino alla sua maggiore età, e raddoppio della rendita in presenza di un figlio già non autosufficiente, e per gli iscritti over 65.

Nel 2019 è arrivata la svolta ulteriore: per gli iscritti sotto i 65 anni di età in caso di prestazioni per la non autosufficienza dedicate al caponucleo, il coniuge/convivente more uxorio e i figli risultanti dallo stato di famiglia fino al 26° anno di età, la rendita vitalizia aumenta; per gli iscritti con più di 65 anni di età per il caponucleo iscritto e il coniuge/convivente more uxorio è stata prevista l’estensione dell’assistenza infermieristica domiciliare. Per approfondire si può consultare Assidai: vantaggi LTC dal 2019.

Ricordiamo che da recenti studi è emerso che l’Italia è uno dei fanalini di coda europei in termini di Long Term Care. Nel 2030 in Italia potrebbe esserci 5 milioni di anziani, una percentuale dei quali sarà non autosufficiente. Con l’attuale gestione della spesa sanitaria (solo il 10% va in LTC) le famiglie potrebbero trovarsi fortemente in crisi, dovendosi sobbarcare quasi totalmente la gestione dell’invecchiamento della popolazione. Motivo per cui Assidai ha deciso di migliorare le tutele LTC per la terza volta in soli 5 anni, focalizzandosi sull’importanza che questa tematica ha per tutte le famiglie in generale e per quelle dei suoi iscritti in particolare.

La squadra di Assidai alla Maratona di Roma 2019

Generare un forte senso di appartenenza, sentirsi parte di una squadra aumentando la conoscenza tra gli individui, scaricare le tensioni accumulate sul luogo di lavoro e favorire il benessere fisico. Sono questi i quattro principali obiettivi che si è posto il Trofeo RunCorporate, tenutosi all’interno della Maratona di Roma lo scorso 7 aprile e al quale ha partecipato, con grande entusiasmo e partecipazione, anche Assidai. Del resto, i valori legati a questa iniziativa – cioè l’esercizio fisico come fattore di benessere e di prevenzione, il ruolo chiave del welfare aziendale come strumento per generare valore dentro e fuori l’impresa, e la solidarietà – rappresentano alcuni dei punti fermi del nostro Fondo e della sua filosofia d’azione sul mercato e nei confronti dei suoi iscritti.

Il trofeo RunCorporate 2019 e la solidarietà

Come funzionava l’iniziativa RunCorporate? In modo molto semplice: in un’ottica di team building e di rafforzamento aziendale proponeva, all’interno della Maratona di Roma, lo sviluppo di un Trofeo a sè stante su un tracciato di 5 km esclusivamente dedicato alle aziende. Aspetto cruciale è che partecipando alla gara, le imprese e i dipendenti hanno contribuito fattivamente alla raccolta fondi attraverso tutte le Onlus inserite nel Charity Program di Roma Marathon. Ogni pettorale acquistato sono stati devoluti 3 euro e ogni azienda ha potuto scegliere personalmente e liberamente la Onlus, tra quelle previste dal programma, a cui devolvere la somma derivante dai pettorali acquistati. Due i premi previsti: uno per l’azienda con il maggior numero di dipendenti iscritti e l’altro per quella con più donne partecipanti al Trofeo.

Non si è trattato dunque di una gara con una spiccata accezione competitiva, ma piuttosto di un’occasione finalizzata a costruire, attraverso la conoscenza delle dinamiche del running, una più solida coscienza di sè e dei propri obiettivi, oltre che dei colleghi con cui si lavora fianco al fianco tutti i giorni. Il tutto in un’ottica di work-life balance, cioè una cultura di conciliazione tra lavoro e vita privata finalizzata ad accrescere i livelli di soddisfazione delle persone con impatti significativi anche sulla produttività aziendale. È la filosofia che muove tutte le iniziative di welfare aziendale, strumento che si sta diffondendo sempre più in Italia grazie anche gli incentivi del Governo e la cui validità è sostenuta da Assidai.

La corsa medico-paziente che ha commosso tutti

Peraltro, quest’anno, la Maratona di Roma è stata anche teatro di una bellissima storia – raccontata dai quotidiani – che ha visto protagonisti un cardiochirurgo, Luca Di Marco di 44 anni, e il suo paziente, Massimiliano Ponzo, di 46 anni, che il 22 febbraio 2018 (ormai più di un anno fa) era in condizioni critiche prima di ricevere un nuovo cuore da un ragazzo parlemitano di 33 anni, mancato quel giorno e del quale la famiglia aveva deciso di donare gli organi. Ebbene, domenica scorsa, Massimiliano e Luca si sono ritrovati uno sottobraccio all’altro a tagliare il traguardo della stracittadina nell’ambito della Maratona di Roma. Il tutto è avvenuto grazie a un’iniziativa – su un percorso ridotto di 5 km dai Fori Imperiali al Circo Massimo – lanciata dalla fondazione “Cuore Domani” con l’obiettivo di raccogliere fondi per la ricerca sulle malattie cardiovascolari. Per Di Marco, “è stata una gioia immensa vedere che, ad un anno dal trapianto, un tuo paziente può correre e va anche più forte di te”. “Marco è ormai il mio angelo custode: non solo per quello che ha fatto in sala operatoria ma per come mi è stato accanto prima e dopo il trapianto, sempre a farmi coraggio e darmi speranza”, ha sottolineato invece Massimiliano.

Il suo è stato un calvario lungo e doloroso: un uomo di sport al quale, a 38 anni, è stata diagnosticata una cardiomiopatia dilatativa. “Due anni dopo muore mia madre della stessa malattia. A quel punto facciamo un’indagine genetica e scopriamo che tutti i parenti per parte di madre sono morti per la stessa patologia tra i 40 e i 55 anni. La mia vita era segnata. Da quel momento è stata una discesa agli inferi fatta di ricoveri e arresti cardiaci”, ha raccontato lui. L’unica speranza: il trapianto atteso per anni. Fino a febbraio dello scorso anno, quando il cerchio si è chiuso e per Massimiliano è iniziata una nuova vita.

Welfare familiare, big dell’industria

La sua dimensione è superiore a quella dell’industria assicurativa (139,5 miliardi di euro di raccolta) e del settore alimentare (137 miliardi di fatturato); vale una volta e mezza l’universo della moda (95,7 miliardi) e ben tre volte e mezzo quello del mobile (41,5 miliardi). Stiamo parlando dell’universo del welfare familiare italiano, a cui Mbs (il principale gruppo italiano indipendente di business consulting), ha appena dedicato un Rapporto ad hoc.

La conclusione è chiara: si tratta di un settore che fa da locomotiva per l’intero Paese, caratterizzato da una dimensione complessiva di 143,4 miliardi (+6,9% sul 2017), pari all’8,3% del Prodotto interno lordo italiano. Un numero decisamente rilevante che dovrebbe indurre a riflessioni sul presente ma soprattutto sul futuro, alla luce di quelle che potrebbero essere le politiche di sostegno a quest’area, in particolar modo per quanto riguarda il welfare aziendale, che già negli anni scorsi ha vissuto un importante sviluppo grazie agli incentivi messi in campo dal Governo.

L’industria del welfare, sottolineano gli autori del Rapporto, è in pieno sviluppo ed è destinata a crescere nel medio e lungo termine, poiché risponde a una domanda generata dal cambiamento sociale e dalle dinamiche demografiche del Paese.

 La sanità prima voce di spesa per le famiglie italiane

Nel dettaglio, il Rapporto ha mappato un ecosistema in cui agiscono dieci soggetti chiave: Stato e Regioni, rappresentanze e associazioni di categoria, fondi pensione e fondazioni, fondi e casse, servizi finanziari e assicurativi, aziende erogatrici, terzo settore, comunità e reti sociali, servizi professionali, facilitatori gestionali. Per ognuno è stato tracciato il contributo attuale e quello potenziale alla costruzione di un sistema nazionale di offerta del welfare che soddisfi la domanda delle famiglie.

In ogni caso, quello che balza subito all’occhio dall’analisi effettuata da Mbs Consulting è come l’industria del welfare familiare sia un settore trainante per il sistema Paese. Qualche numero? La spesa per il welfare assorbe il 18,6% del reddito netto delle famiglie: a fronte di un reddito annuo medio rilevato di 30.134 euro, le uscite per il welfare sono pari a 5.611 euro per nucleo familiare. La sanità è l’area di spesa più̀ rilevante: 37,7 miliardi nel 2018 e una spesa familiare media di 1.476 euro. Allo stesso tempo, la sanità rappresenta anche il segmento con una dinamica di crescita più marcata: +11,9%.

Stiamo parlando della cosiddetta spesa out of pocket, ovvero quella non coperta dal Servizio Sanitario Nazionale – che pure ha uno degli approcci più universalistici al mondo – né da fondi integrativi. La dimensione significativa della spesa privata, che va a erodere direttamente i redditi delle famiglie (e in taluni casi spinge addirittura alla rinuncia alle cure, un aspetto analizzato dallo studio di cui parleremo più avanti), spinge a riflettere sull’assoluta necessità, nel nostro Paese, di una maggiore intermediazione della spesa sanitaria: un concetto più volte rimarcato da Assidai.

Welfare familiare e spesa per LTC

Per dare una scorsa alle altre principali voci del welfare familiare, si scopre che le spese per il lavoro – trasporti e pasti – sono la seconda area con 31,9 miliardi (+2,2%) mentre l’assistenza agli anziani e alle persone bisognose è la terza area per dimensione: 27,9 miliardi, con un aumento del 10,3% a fronte di una spesa individuale di 13.300 euro per famiglia, con forte divario fra Nord (14.863 euro) e Sud (9.657 euro).

In quest’ultima voce di spesa ricade anche la Long Term Care, cioè le cure e l’assistenza necessarie per le persone non autosufficienti, altro settore su cui Assidai è da sempre molto attiva nelle opportunità e coperture offerte ai propri iscritti e ai rispettivi famigliari. Infine, un’altra area di spesa in forte crescita è l’istruzione: 10,5 miliardi, in incremento del 9,4%. Nel 2018 ogni famiglia italiana ci ha investito in media 5.611 euro: dai 3.206 euro per le famiglie più deboli ai 13.030 euro per quelle agiate.

La rinuncia al welfare, dall’assistenza alla sanità

Infine, un capitolo doloroso. Gli attuali squilibri della struttura del welfare familiare italiano determinano significativi fenomeni di rinuncia alle prestazioni da parte delle famiglie meno abbienti. Il settore più critico è quello dell’assistenza agli anziani e ai non autosufficienti, con un tasso medio del 48%. La rinuncia a cure sanitarie è mediamente del 40,8% e sale al 61,5% per le fasce più deboli, con un 17% di rinuncia rilevante che colpisce particolarmente le visite mediche e le cure odontoiatriche. Inoltre, il 36,7% delle famiglie con figli a scuola o nell’università rinunciano a spese per l’istruzione: per il 15% si tratta purtroppo di scelte che hanno un’incidenza negativa sul percorso formativo.

Differenze e analogie tra salute e sanità

Sanità e salute, talvolta, vengono utilizzate nel gergo comune come sinonimo mentre, benché legate l’una con l’altra, sono due concetti ben distinti con differenze significative. La principale? La salute esiste per definizione da quando c’è l’uomo proprio perché insita nel concetto di umanità. La nascita della sanità, intesa come sistema sanitario organizzato e diffuso sul territorio, è avvenuta a cavallo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, dunque da poco più di un secolo.

Il concetto di salute e la sua evoluzione

Più nel dettaglio, secondo lo statuto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), redatto nel 1948, la salute è “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza di malattia”. Il concetto, col tempo, si è ovviamente evoluto: oggi per salute si intendono generalmente le condizioni della popolazione di un Paese o di una comunità in un dato anno. Per questo, essa viene misurata con l’aspettativa di vita (in cui l’Italia per esempio è seconda soltanto alla Spagna in tutto il mondo) e le sue principali determinanti sono lo stile di vita, le condizioni socio-economiche, il genoma, la cultura, l’ambiente e i servizi sanitari. In buona sostanza, a conferma di quanto più volte sottolineato da Assidai, è l’attitudine degli individui nei confronti della prevenzione, primaria e secondaria, a determinare in maniera significativa l’incidenza delle malattie, anche se ovviamente c’è una componente di imponderabile che non può essere controllata.

Come si definisce la sanità

Che cosa si intende invece per sanità? Anche in questo caso è utile partire da una definizione più datata ma certamente autorevole. Secondo Charles-Edward Amory Winslow, celebre accademico americano dell’MIT di Boston e poi fondatore nel 1915 a Yale del dipartimento di Sanità Pubblica, quest’ultima è la scienza e l’arte di prevenire le malattie, prolungare la vita e promuovere salute fisica e mentale ed efficienza. Ciò avviene, afferma Winslow in uno scritto del 1920,

“attraverso sforzi organizzati della comunità per migliorare le condizioni igieniche dell’ambiente, controllare le infezioni ed educare l’individuo ai principi dell’igiene personale, organizzare il servizio medico e infermieristico per la diagnosi precoce e il trattamento preventivo delle malattie, sviluppare organizzazioni sociali che assicurino ad ogni individuo della comunità uno standard di vita adeguato per il mantenimento della salute”.

Leggendo questi concetti e considerata la loro attualità è immediato intuire la profondità di pensiero dello stesso Winslow. In generale oggi per sanità si intende l’insieme delle regole e delle risorse umane, strutturali e tecnologiche dedicate alla tutela della salute.

Essa viene misurata con tre parametri:

  • la dimensione, personale, numero di strutture, etc;
  • il funzionamento, per esempio il tasso di ospedalizzazione;
  • la spesa, pro-capite e in percentuale sul PIL.

È facile intuire come in tutti i Paesi industrializzati la sanità sia uno dei settori più estesi e complessi poiché assorbe grossi capitali, coinvolge milioni di persone (tra operatori, pazienti e tutti gli altri stakholder che girano intorno al mondo della sanità stessa) ed è influenzato da fattori culturali e morali.

I vari modelli di sanità nel mondo

Chiaramente sanità e salute sono tra loro legate a doppio filo ed è questo il motivo, forse, per il quale a volte vengono confuse l’una con l’altra: meglio funziona la sanità, più alta sarà la qualità della salute di una popolazione.

Negli ultimi anni, questa relazione è stata messa alla prova da diversi fattori strutturali, in particolare due: le ristrettezze di bilancio a livello di Stato centrale (è un ragionamento che vale per l’Italia) e soprattutto il graduale e costante invecchiamento della popolazione, che amplia inevitabilmente il bacino di coloro che abbisognano di cure. A fronte di questo trend, in Italia, gli esperti evidenziano la necessità di un supporto da parte dei fondi sanitari integrativi (come Assidai) alla Sanità pubblica, affinché quest’ultima preservi quelle prerogative di equità e universalità che la rendono praticamente unica al mondo.

Sistema Sanitario e Servizio Sanitario Nazionale

A tal proposito è utile evidenziare le differenze tra altri due concetti e cioè tra Sistema Sanitario e Servizio Sanitario Nazionale. Il primo è l’insieme degli elementi che costituiscono e caratterizzano l’organizzazione sanitaria di un Paese (indipendentemente dal modello adottato). Il secondo, invece, è un particolare modello sanitario in cui lo Stato si occupa (integralmente o in parte) di gestire e regolamentare gli aspetti della sanità. È il caso, per esempio, di Italia, Spagna e Regno Unito.

Più in generale, nella sanità ci sono due tipi di modelli: quello solidaristico (più diffuso in Europa) e quello individualistico (spesso identificato con gli Stati Uniti). In quest’ultimo ogni cittadino è libero di scegliere a quale struttura sanitaria rivolgersi in caso di necessità e secondo le proprie risorse economiche. Nel modello solidaristico, invece, ciascun cittadino è chiamato a pagare una tassa allo Stato, indipendentemente dalla frequenza e dall’entità delle prestazioni che riceve, e gli viene garantita un’assistenza sanitaria pubblica che, solo in taluni casi, coincide con il Servizio Sanitario Nazionale.