A Natale non dimenticare la salute

A Natale, tra pasti abbondanti e temperature rigide, che scoraggiano l’attività fisica, spesso si verifica un incremento di peso, che vari studi internazionali hanno quantificato in media tra 500 grammi e 1 chilo. A prima vista si tratta di un aumento di poco conto che, tuttavia, rischia di non essere smaltito nei mesi successivi e, anzi, di accumularsi di anno in anno, fino a creare vere e proprie situazioni di sovrappeso. Quest’ultime, va ricordato, non rappresentano soltanto un problema di carattere estetico ma, soprattutto, possono rivelarsi dannose nel medio e lungo termine, accelerando l’invecchiamento e creando uno squilibrio ormonale consistente.

Adottare uno stile vita sano e corretto, un’alimentazione equilibrata abbinata alla giusta quantità di movimento ogni settimana, rappresenta infatti uno dei punti cardine della prevenzione primaria, la principale arma che possiamo mettere in campo per contrastare le malattie non trasmissibili: patologie cardiache, ictus, cancro, diabete e malattie polmonari croniche, responsabili di quasi il 70% delle morti in tutto il mondo secondo gli ultimi dati dell’Oms.

Un concetto molto caro ad Assidai che ha sempre cercato di trasmetterlo ai propri iscritti attraverso le proprie campagne. Come quella di giugno 2018 per la prevenzione dell’ictus, che proponeva il nuovo pacchetto “Healthy Manager”, grazie al quale gli iscritti potevano effettuare gratuitamente l’esame ecocolordoppler dei tronchi sovraortici per rilevare eventuali stenosi carotidee.

 

Lo studio dell’Università di Birmingham

In vista delle festività natalizie, l’Università di Birmingham ha realizzato uno studio, pubblicato nei giorni scorsi dal British Medical Journal, finalizzato a evitare l’aumento di peso causato da abbuffate di panettone e cotechino. Del resto, soltanto il giorno di Natale c’è chi arriva a consumare qualcosa come 6mila calorie, il triplo della quantità giornaliera consigliata e – giusto per dare un’idea – l’equivalente di quanto consumato in termini calorici da un ciclista professionista durante una tappa alpina del Giro d’Italia o del Tour de France.

Gli accademici britannici hanno selezionato 272 partecipanti adulti nel novembre e nel dicembre del 2016 e 2017 e li hanno seguiti per circa 45 giorni. A metà di loro è stata semplicemente consegnata una brochure sulle abitudini di vita sana. L’altra metà del campione, invece, ha ricevuto il consiglio di pesarsi frequentemente e di riflettere sull’andamento del peso stesso: inoltre ha potuto contare su 10 suggerimenti (che vedremo più avanti nel dettaglio) per gestire il peso e su un elenco di cibi usualmente consumati durante le festività natalizie con il quantitativo di esercizio fisico richiesto per compensare il contenuto calorico di ognuno. I risultati? La prima categoria del campione ha guadagnato in media 370 grammi; gli adulti assegnati al programma di prevenzione hanno invece perso 130 grammi. Tra i due valori c’è una forbice di mezzo chilo esatto: un risultato decisamente interessante, di cui tenere conto anche nelle strategie nazionali contro l’obesità.

Pasti e calorie: come smaltirli

Dalla teoria alla pratica. Quante calorie ci sono in una fetta di panettone da 100 grammi? Circa 330: per smaltirle ci vogliono circa 40 minuti di bicicletta oppure mezz’ora scarsa di corsa a passo sostenuto. Un bicchiere di spumante vale 87 calorie e per “annullarlo” ci vogliono 15 minuti di passeggiata a passo veloce. Altri esempi di cibi natalizi: una porzione di salmone affumicato da 100 grammi è decisamente più light e pari a 160 calorie mentre 200 grammi di tortellini in brodo sono 480 calorie; 70 grammi di pandoro valgono 280 calorie mentre bastano 20 grammi di torrone per sfiorare le 100 calorie. Da preferire invece la frutta secca, altra grande protagonista delle mense natalizie, che rappresenta un cibo “amico” per tutti i giorni, consigliato dai nutrizionisti sia per la colazione sia per spezzare la mattina o il pomeriggio quando sentiamo un piccolo languorino.

10 consigli per evitare di prendere peso a Natale

Infine, passiamo al vademecum più atteso, cioè i 10 consigli dispensati dall’Università di Birmingham alla metà del campione che è riuscito a calare di peso durante le vacanze natalizie.

  1. Seguire una routine dei pasti regolare, cioè cercare di mangiare ogni giorno alla stessa ora.
  2. Scegliere opzioni a basso contenuto di grassi saturi.
  3. Fare una camminata di 10.000 passi al giorno, soprattutto ovviamente nei giorni di festa.
  4. Selezionare snack sani durante il giorno, ovvero frutta fresca (o secca), cioccolato nero o yogurt.
  5. Leggere sempre le etichette dei cibi, controllando grassi e zuccheri, senza farsi ingannare dalla dicitura “light”.
  6. Fare attenzione alle porzioni, eccetto che per quelle di verdure.
  7. Ridurre la sedentarietà: ogni ora circa meglio alzarsi per una decina di minuti.
  8. Moderare il consumo di bevande dolci e alcoliche (massimo un’unita giornaliera per le donne e due per gli uomini), non aggiungere zuccherò a the o caffè e bere tanta acqua.
  9. Dedicare maggior tempo dedicato ai pasti, evitando di mangiare in viaggio o davanti alla tv.
  10. Includere almeno cinque porzioni di frutta e verdura di stagione al giorno.

Seguire queste 10 semplici regole, non solo durante le vacanze di Natale ma anche per il resto dell’anno, ci consentirà di evitare aumenti di peso indesiderati e di porre le basi per la costruzione di una solida prevenzione primaria contro le principali malattie non trasmissibili.

 

I vantaggi per le aziende che scelgono il welfare

Il benessere personale e un corretto bilanciamento tra vita lavorativa e vita privata fanno bene ai manager e ai dipendenti in generale, perché accrescono il benessere organizzativo generale all’interno di un’azienda e il livello di energia e motivazione dei singoli. E, di conseguenza, incrementano la produttività, l’operatività ordinaria e aiutano ad affrontare ai cambiamenti organizzativi necessari per tenere il passo della competitività. È questa, in estrema sintesi, la posizione ormai condivisa da esperti autorevoli – e dimostrata da diversi sondaggi e inchieste – sui vantaggi offerti dall’adozione dei servizi di welfare in azienda e sul perché, in buona sostanza, alle imprese “convenga” mettere a disposizione dei propri dipendenti questa opportunità.

Il nuovo patto impresa-lavoratore e il primato della salute

Secondo una ricerca svolta da Gi Group e OD&M Consulting, per esempio, sette aziende su 10 hanno cercato di ascoltare i bisogni dei lavoratori sul fronte dei servizi di welfare prima di approntarli. Il motivo è presto detto: proprio il welfare aziendale viene considerato come parte integrante di un nuovo patto tra azienda e lavoratore, basato non più sull’erogazione di denaro, ma anche su un supporto concreto che aiuti le persone ad accrescere il loro benessere nell’organizzazione. Supporto che, come noto, può svariare in molti ambiti: formazione personale e sviluppo, flessibilità, previdenza complementare, convenzioni, servizi salva tempo, maternità, servizi a supporto della genitorialità e, soprattutto, salute.

Anche per questo Assidai ha sempre sostenuto in generale il welfare aziendale come strumento da mettere a disposizione dei lavoratori e, in particolare, dei propri manager, quadri e professionisti iscritti che, alla luce dei gravosi impegni lavorativi e della scarsità di tempo libero a disposizione, dimostrano sempre più di apprezzare una struttura flessibile ed efficiente come quella del nostro Fondo di assistenza sanitaria integrativa. I Piani Sanitari Assidai riservati alle aziende sono vari e i vantaggi sia per aziende che per i lavoratori sono numerosi; inoltre, i decision maker possono valutare con Assidai la costruzione di Piani Sanitari ad hoc, personalizzati proprio sulla base delle caratteristiche richieste dalle aziende e dai lavoratori.

Del resto, anche da un recente studio svolto da Censis ed Eudaimon, è emersa una tendenza chiara, decisamente utile da sapere per tutte le aziende che vogliono iniziare un percorso di welfare aziendale. In generale i benefit più richiesti dai lavoratori sono attinenti all’area salute e previdenza, seguiti da quelli legati a caratteristiche più specifiche dei nuclei familiari, ad esempio per i figli o per i familiari non autosufficienti. Tutto ciò, a livello imprenditoriale, sta facendo consolidare una convinzione: il buon welfare aziendale è soprattutto quello che riesce a mettere in piedi un’offerta capace di colmare i vuoti lasciati dal welfare pubblico, contribuendo a ridurre l’ansia e l’incertezza generate da particolari rischi sociali. Questa è proprio la filosofia di Assidai: non considerarsi sostitutivo del Servizio Sanitario Nazionale, ma piuttosto integrativo e complementare ad esso.

Tre motivi (oltre agli incentivi) per scegliere il welfare

Perché, ancora prima che emergessero i recenti incentivi fiscali introdotti dalle ultime Leggi di Bilancio – 100 euro investiti in welfare aziendale corrispondono a una spesa di 100 euro netti per l’azienda e a 100 euro spendibili per il dipendente – alcune aziende hanno deciso di attivare un’offerta di servizi per i propri dipendenti?

Principalmente per tre motivi:

  1. perché il welfare in azienda contribuisce a una convergenza di interessi tra imprese e lavoratori e incide positivamente sul clima aziendale, mettendo i dipendenti nelle migliori condizioni possibili per lavorare.
  2. Il welfare migliora la percezione che i lavoratori hanno della propria azienda, poiché sentono che può supportarli in modo efficace in caso di difficoltà trasformandosi in una vera e propria comunità.
  3. Il welfare rappresenta un investimento in grado di dare frutti nel tempo a livello materiale e immateriale, perché genera senso di appartenenza nei lavoratori e stimola maggior impegno.

Welfare aziendale e Millennials

Infine, aspetto da non sottovalutare, anche i giovani “promuovono” il welfare aziendale. Stando sempre a uno studio Censis-Eudaimon, per i cosiddetti Millennials esso rappresenta una leva fondamentale di “employee engagement”. Detto in altre parole, quanto maggiore è l’utilizzo e la soddisfazione per le iniziative di welfare di cui si è fruito, tanto più aumenta il senso di identificazione con la propria azienda. Secondo invece un sondaggio di Jointly focalizzato proprio sugli under 35, il welfare aziendale presenta tre vantaggi: rende il dipendente fiero della propria azienda, fa crescere benessere e produttività e migliora il clima aziendale. Il fatto che i giovani abbiano compreso la portata e il significato di questi servizi lascia ben sperare per il futuro, affinché il nostro Paese e le nostre imprese possano imboccare una strada di sviluppo già intrapresa da tempo da diversi partner europei.

Innovazione e cambiamento nel settore della Long Term Care

Anche l’Università Bocconi di Milano accende un faro sulla Long Term Care (LTC), una criticità del Sistema Sanitario Italiano che potrebbe aggravarsi nei prossimi anni a causa del trend demografico del nostro Paese.

Famiglie ed emergenza LTC

Proprio nei giorni scorsi, l’Università Bocconi e il Cergas (Centro di ricerca sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale)  hanno pubblicato il Primo Rapporto dell’Osservatorio LTC, intitolato “L’innovazione e il cambiamento nel settore della Long Term Care”, da cui emerge “la presenza di ampi spazi in cui è assente una risposta istituzionalizzata e formalizzata ai bisogni di LTC: una zona grigia all’interno della quale non si intravedono possibili risposte da parte dell’azione pubblica”, si legge nel rapporto.

Le possibili risposte delle famiglie? Cinque, secondo gli esperti della Bocconi. “Si auto-organizzano caricandosi di compiti di care giving; ricorrono a servizi professionali privati a pagamento che colmano il vuoto lasciato dall’offerta pubblica nel settore; se si trovano in difficoltà economica provano a rivolgersi al Servizio sanitario nazionale per avere una risposta ma per un periodo limitato; giocano la carta delle badanti; oppure restano sole ad affrontare l’emergenza”. A fronte di questa analisi c’è una sesta via che il sistema dovrebbe tenere in seria considerazione, guardando anche a quanto avviene in altri Paesi europei, e cioè il ricorso alla sanità integrativa e alle possibilità offerte da fondi di assistenza sanitaria come per esempio Assidai.

La spesa privata per la Long Term Care

Al di là delle considerazioni qualitative, lo studio della Bocconi fa il punto anche su alcune cifre esemplificative del problema. Innanzitutto, i caregiver familiari in Italia sono stati stimati in circa 8 milioni di persone, dato che risulta realistico considerando il numero stimato di 2,8 milioni di non autosufficienti. Come non bastasse, tra gli stessi familiari che assistono uno su cinque è anziano a sua volta.  Altro numero chiave: il 92% circa delle famiglie che gestiscono anziani presso il loro domicilio lo fanno tramite servizi o attività assistenziali completamente organizzate privatamente. Infine, guardando complessivamente alla spesa per servizi per le prestazioni per la non autosufficienza, i dati Istat parlano di una spesa annuale per la componente sanitaria di 15,067 miliardi annui, di cui il 23% circa di spesa privata delle famiglie out of pocket (3,4 miliardi) che include sia la spesa per servizi privati che la compartecipazione per servizi pubblici.

Assidai migliora ancora la copertura LTC per i propri iscritti

È anche perché consapevole di questi numeri e di questo trend che Assidai, fin dal 2010, tutela i propri iscritti con le coperture per la non autosufficienza, incluse nei Piani Sanitari e per la terza volta in cinque anni, offre ai propri iscritti un miglioramento della coperture LTC.

Dopo la svolta del 2015 (quando la copertura era stata estesa anche al coniuge o al convivente more uxorio dell’iscritto) e quella del 2017 (dove, tra le altre cose, furono introdotti un aumento della rendita per gli under 65 e prestazioni più ricche per gli over 65), il Fondo ha deciso di “rilanciare” ancora a partire dal primo gennaio 2019. Anche questa volta bisogna distinguere tra l’iscritto sotto i 65 anni di età o sopra questa soglia. Nel primo caso, per le prestazioni in caso di non autosufficienza garantite a favore del caponucleo (iscritto) e del coniuge/convivente more uxorio o dei figli risultanti dallo stato di famiglia fino al 26° anno di età (siano essi legittimi, naturali, legittimati, adottivi e in affido preadottivo) la rendita vitalizia aumenta. Con tre distinguo: nel caso standard da 1.100 euro (13.200 euro annui) a 1.200 euro (14.400 euro annui); se il figlio è minorenne da 1.430 euro (17.160 euro annui) a 1.560 euro (18.720 euro annui); se il figlio è disabile da 2.200 euro (26.400 euro annui) a 2.400 euro (28.800 euro annui). Diverso il discorso se l’iscritto ha più di 65 anni: in questo caso per il caponucleo iscritto e/o il relativo coniuge/convivente more uxorio, è stata prevista l’estensione dell’assistenza infermieristica domiciliare, che prevede un massimale di 1.000 euro mensili, per un ulteriore mese e quindi per un massimo di 300 giorni per anno assicurativo per assistito (in precedenza era di 270 giorni).

Insomma, un nuovo passo a favore degli iscritti in un settore come la Long Term Care destinato a giocare un ruolo sempre più rilevante sugli equilibri economici e sociali non solo del Paese, ma anche delle singole famiglie.

Welfare aziendale, serve una “buona” comunicazione

In Italia c’è un basso tasso di conoscenza del welfare aziendale da parte dei lavoratori e, di riflesso, nasce l’esigenza di una comunicazione personalizzata dei servizi, in base alle singole esigenze che tuttavia – secondo i lavoratori stessi – deve avvenire nel pieno rispetto della privacy.  È questo il principale risultato che emerge dal secondo studio realizzato quest’anno da Censis-Eudaimon sul welfare aziendale e focalizzato, in questo caso, sul ruolo che può giocare una buona comunicazione.

Il welfare aziendale è una tematica che sta a cuore a tutti i lavoratori, qualsiasi sia il proprio ruolo all’interno dell’azienda. Assidai si era interessata all’argomento già nel 2015, quando ha pubblicato un’interessante ricerca, realizzata da Ipsos, nella quale si indagavano i tratti distintivi e le esigenze del manager italiani, analizzando quali caratteristiche deve avere il “best place to work” e soprattutto evidenziando il ruolo dell’assistenza sanitaria integrativa oggi in Italia. È possibile consultare al seguente link la ricerca completa: L’identità del manager italiano, il best place to work e l’assistenza sanitaria integrativa.

Il 35% contrario alla comunicazione personalizzata digitale

L’analisi, realizzata grazie al supporto di quattro aziende di rilievo italiano e internazionale come Michelin, Snam, Credem ed Edison, parte dal messaggio del primo studio Censis-Eudaimon sul welfare aziendale diffuso a gennaio scorso. E cioè: sono pochi i lavoratori che sanno realmente cosa sia il welfare aziendale (il 17,9%), e lo sanno ancor meno i lavoratori a basso reddito, gli operai e assimilati; così la ridotta conoscenza tiene bassi i tassi di utilizzo di questi servizi, mentre l’asimmetria informativa genera nuove disparità sociali a svantaggio dei lavoratori meno abbienti. Di fronte a questi dati la domanda sorge spontanea ed è quella che ha mosso appunto la seconda indagine di Eudaimon-Censis, diffusa nelle scorse settimane: è possibile promuovere una comunicazione altamente personalizzata, sfruttando digitalizzazione e big data, per aiutare i lavoratori ad accedere a soluzioni appropriate ai propri bisogni?

Ebbene, la risposta dei lavoratori interpellati – probabilmente esausti per anni di assalti commerciali personalizzati con una comunicazione molto aggressiva tra email, sms e messaggistica varia – è tiepida. In particolare, il 35% dei lavoratori è nettamente contrario alla comunicazione personalizzata modello digitale, perché considera la tutela della privacy come la preoccupazione chiave della nuova era digital. Bisogna tenere conto, inoltre, di un altro 45% che, pur non considerando la privacy come la preoccupazione prioritaria, è comunque contrario a fare utilizzare i propri dati sensibili fosse pure per ricevere una comunicazione con proposte personalizzate. Infine, quasi il 65% dei lavoratori al quesito diretto, “Sei favorevole o contrario all’utilizzo dei dati dei lavoratori per costruire servizi personalizzati?” si è dichiarato contrario. C’è però un altro lato della medaglia: ovvero un 35,2% dei lavoratori che – secondo lo studio – ritiene utile che vengano usati i dati degli utenti per personalizzare i servizi di welfare aziendale, adattandoli meglio alle singole esigenze e preferenze. Una percentuale che sale al 41,4% se l’interpellato è un giovane con età compresa tra 18 e 34 anni.

L’asse vincente? Lavoratore – azienda – fornitore di servizi

Questi numeri, secondo Censis-Eudaimon, delineano la nuova sfida per il welfare aziendale che

“per la complessità dell’ecosistema azienda, può essere un luogo di sperimentazione di una nuova stagione della cultura digitale, più attenta alla molteplicità di interessi e aspettative dei soggetti in campo, dove un ruolo decisivo lo può giocare la social reputation e anche la competenza di chi offre il welfare stesso”.

Al tempo stesso, per l’azienda, si rende decisiva la costruzione di un rapporto stabile e duraturo con il lavoratore, ben oltre il momento dell’erogazione del singolo servizio. Da ciò nascerebbe un percorso di comunicazione personalizzata perché fondato sul coinvolgimento consapevole dei lavoratori, e gli effetti sarebbero di certo positivi con il welfare aziendale che sarebbe mosso da un motore a tre cilindri: lavoratori, imprese e provider di servizi.

La tutela di dati e privacy in Assidai

Il rispetto dei dati personali e della privacy dei propri iscritti è peraltro uno dei 10 valori cardine di Assidai. Il Fondo, infatti, garantisce la più completa tutela delle informazioni in proprio possesso e che riguardano, tra l’altro, anche gli iscritti stessi. Sul fronte della cyber-security, Assidai protegge i propri iscritti grazie a un solido impianto di sicurezza. La sua rete informatica, per esempio, viaggia su un circuito MPLS (utilizzato, tra gli altri, anche da Federmanager e Fasi) sul quale non c’è alcuna possibilità di intrusione da parte di terze persone. Tutti i servizi del Fondo, inoltre, non sono esposti a Internet e quello che esce da questo circuito è la navigazione internet dei dipendenti, protetta dal Firewall Fortinet. Inoltre, è stato messo a punto un antivirus centralizzato, McAfee, che monitora il traffico e riesce a intercettare ogni singola minaccia in tempo reale. Infine, ai dipendenti e ai collaboratori è fatto divieto di utilizzare informazioni riservate per scopi non connessi all’esercizio dell’attività professionale e comunque nei limiti previsti dalla normativa vigente e dai regolamenti interni.

Ristoceutica, una nuova scienza al servizio della prevenzione

L’obiettivo della ristoceutica, una scienza nata di recente, è portare in tavola un’alimentazione adatta ai soggetti affetti o a rischio di malattie cardio e cerebrovascolari, senza togliere loro il piacere di scegliere il proprio pasto à la carte. Insomma, una prevenzione primaria di alto profilo, visto che – come ha spesso ricordato Assidai ai propri iscritti – è proprio partendo dagli stili di vita, e dunque anche dall’alimentazione, che si pongono le basi per evitare l’insorgere delle malattie non trasmissibili. Tra queste, va sottolineato, soprattutto quelle cardiovascolari, il cancro, il diabete e i disturbi respiratori cronici, rappresentano oggi i principali rischi per la salute e lo sviluppo umano. Queste quattro malattie, secondo i dati dell’OMS sono responsabili della maggior parte dei decessi e provocano ogni anno circa 35 milioni di morti, il 60% dei decessi a livello globale e l’80% dei decessi nei Paesi a basso e medio reddito. Circa l’80% di queste malattie potrebbero essere prevenute, eliminando alcuni fattori di rischio come il consumo di tabacco, le diete poco salutari, l’inattività fisica e il consumo eccessivo di alcol, ma senza un’adeguata prevenzione il loro peso sulla salute globale potrebbe crescere del 17% nei prossimi 10 anni.

I segreti della ristoceutica e la ricetta ideale

Torniamo alla ristoceutica, una nuova linea di ricerca che punta a sfruttare le più recenti biotecnologie per generare un pasto funzionale, ovvero un’associazione di diversi alimenti funzionali che migliorano lo stato di salute dell’uomo grazie al loro contenuto in composti biologicamente attivi. Questa disciplina è nata grazie alle ricerche svolte al laboratorio di Medicina critica traslazionale della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, coordinate dal professor Vincenzo Lionetti.

Un esempio pratico? Mangiare un buon piatto di spaghetti secondo alcune ricerche pubblicate da Scientific Reports aiuta a rigenerare i tessuti cardiaci dopo un infarto. Gli spaghetti, però, devono essere però particolari e qui subentra la ristoceutica: la pasta, infatti, va prodotta mescolando semola di grano duro con la farina d’orzo, particolarmente ricca di una fibra “amica” del cuore, il beta-glucano. L’effetto di questa ricetta magica è stimolare la formazione di “by-pass” naturali, che continuare a nutrire il tessuto cardiaco anche quando è messo a dura prova dall’occlusione di una coronaria.  Altri alimenti d’oro, secondo questa disciplina, sono le brassicaceae (tra cui cavoli e broccoli), la borragine (ricca di calcio e potassio), il melograno (ricco di omega 6) e le erbe spontanee come la cicoria selvatica (ricca di inulina, sostanza antimicrobica e antitumorale).

Il vero segreto della ristoceutica sta poi nel favorire l’interazione tra diversi alimenti funzionali e creare effetti positivi, grazie alle tecniche di conservazione e cottura sui composti nutraceutici presenti negli alimenti stessi. Per questo, proprio secondo il professor Lionetti, il miglior piatto funzionale si crea unendo le orecchiette di orzo (ricche di beta-glucano), le rape e il cavolo, condite con olio extravergine d’oliva coratina, specie olearia con il più alto contenuto di polifenoli. Per capire se è anche il più buono non resta ovviamente che prepararlo ed assaggiarlo.

Il ruolo dei ristoranti

Anche i ristoranti dovranno fare la loro parte. Del resto, a dirlo è la parola stessa, la ristoceutica nasce proprio per aiutare a fare prevenzione a tavola, quando si va a mangiare fuori e spesso, anche per la povertà dei menù, chi non dovrebbe si concede qualche distrazione. Per questo, se si fanno dialogare la chimica gastronomica con la necessità dell’individuo di difendere sé stesso si può creare un’offerta funzionale per ristoranti e mense, curando le persone senza rinunciare al gusto. In quest’ottica sui menù dovranno essere indicati gli alimenti funzionali e il cliente potrà scegliere sempre il cibo più adatto alla propria salute,a mentre i cuochi dovranno favorire la funzionalità dell’alimento attraverso la cottura e la preparazione del piatto.

Una scienza innovativa, quindi, che contribuirà a migliorare il benessere dei cittadini.

Il Welfare Aziendale dal punto di vista degli under 35

I giovani credono e puntano sul welfare con la sanità integrativa in prima linea. Ma soprattutto lo fanno in un’accezione sempre più legata al benessere a 360 gradi (salute, volontariato, flessibilità di tempi e spazi di lavoro: in poche parole il cosiddetto “work life balance”) e guardando con minor interesse al mero vantaggio economico individuale. È questo il principale messaggio che emerge da “Indagine per i bisogni degli under 35”, condotta dalla start up innovativa a vocazione sociale Jointly – Il welfare condiviso con il supporto di un team di ricerca del Dipartimento di Psicologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. L’obiettivo dello studio è chiaro: mettere a fuoco la percezione che i giovani lavoratori hanno del welfare e, in particolare, quali sono i loro bisogni e le loro preferenze dentro e fuori l’azienda. Per questo, sono stati intervistati circa 3.200 dipendenti di aziende come Acli Milano, Banca Etica, Coopservice, Discovery, Etica sgr, Ferrovie dello Stato, Invitalia, Unipol e Yoox Net-A-Porter.

Welfare aziendale: meglio il tempo libero che un aumento in busta paga

Il messaggio che emerge è dunque chiaro: i “Millennials” (cioè i nuovi giovani), piuttosto che un rimborso in busta paga preferiscono avere più tempo da dedicare a sé stessi, alla crescita e formazione professionale o molto più semplicemente al benessere psicofisico. Ciò che balza subito all’occhio è che le nuove generazioni di lavoratori fanno ampio utilizzo dei servizi di welfare: più della metà degli interessati utilizza, infatti, almeno due servizi tra quelli a disposizione (il 32% uno e il 24% due), mentre il 18% ne utilizza tre e il 16% più di quattro.

Ma quali servizi di welfare preferiscono i Millennials? I giovani che utilizzano già iniziative di welfare scelgono sempre meno le convenzioni (per esempio la palestra) a vantaggio di attività di formazione (scelte dal 100% degli intervistati), iniziative di socializzazione (96%), flessibilità (78%) e salute (61%), che si posiziona comunque davanti ad altre categorie più “tradizionali” come previdenza complementare (54%), convenzioni (54%), servizi salva tempo (32%) e maternità (12%).

C’è un altro messaggio, altrettanto importante, che dimostra anche il cambiamento culturale ormai in atto: per i Millennials il lavoro non è più mera fonte di guadagno e componente totalizzante e centrale della vita, quanto piuttosto uno strumento utile al miglioramento del work-life balance. Emblematico in questo senso è il caso dell’utilizzo di convenzioni a disposizione nel piano welfare: se da un lato infatti gran parte degli interpellati le utilizzerebbe (quasi il 75%), il valore che gli viene attribuito risulta basso (3 su 10).

Soluzioni personalizzate come nuova frontiera del welfare aziendale

Secondo Francesca Rizzi, Ceo di Jointly – Il welfare condiviso, questi dati dimostrano una cosa molto chiara:

“La mutata percezione da parte dei giovani del welfare aziendale è un dato di fatto di cui le aziende devono tener conto: la società moderna è caratterizzata da una fluidità tra vita privata e lavoro mai vista prima che comporta, per le aziende e gli operatori del settore, la necessità di prevedere sempre più iniziative volte al benessere e alla crescita della persona, non solo nella dimensione lavorativa, ma sempre più in quella personale e di conciliazione vita-lavoro”. Proprio per questo, aggiunge Rizzi, “solo chi ascolterà i bisogni dei propri dipendenti, e costruirà per loro nuove iniziative coinvolgendoli nella progettazione, sarà in grado di soddisfarli e vedrà aumentare il senso di appartenenza e la possibilità di ridurne il turn over”.

Assidai, massima l’attenzione per i giovani

Il Fondo di Assistenza Sanitaria Integrativa da sempre è attento ai bisogni dei giovani. In primis, fin da piccoli, i figli sono inclusi all’interno del nucleo familiare dell’iscritto/a principale; questo significa che, appena nati, i bimbi hanno a completa disposizione l’assistenza sanitaria Assidai e sono tutelati, da quel momento in poi, in ogni momento della loro vita. Non solo ma una volta cresciuti, al raggiungimento dei 26 anni, possono scegliere di continuare a godere dei benefici garantiti da Assidai attraverso l’iscrizione al Piano Sanitario Familiari con ampie prestazioni socio-sanitarie offerte e l’inclusione anche della copertura per la non autosufficienza. Qualora poi un figlio/a si sia spostato o conviva è possibile estendere l’assistenza sanitaria anche alla moglie/marito/convivente e ai loro futuri figli.

Insomma, un’assistenza sanitaria completa, quindi, per tutta la famiglia fin da giovanissimi.

Al via la nuova campagna istituzionale di Assidai

Io sono Assidai è questo il titolo forte e incisivo che caratterizza la nuova campagna istituzionale di Assidai, Fondo di assistenza sanitaria integrativa nato 28 anni fa da un’intuizione di Federmanager, l’associazione nazionale del management industriale italiano.

La campagna, promossa oggi in anteprima sui principali quotidiani nazionali, fa leva sull’impatto grafico e sceglie di non utilizzare immagini. La motivazione è stata dettata dal voler rappresentare il Fondo sanitario in modo nuovo e dinamico, focalizzando l’attenzione sulla parte testuale per valorizzare ogni punto che caratterizza e che contraddistingue Assidai sul mercato.

L’obiettivo è confermare un posizionamento consapevole e distintivo del Fondo, affinché Assidai possa essere immediatamente compreso da chi non conosce i suoi valori core e possa essere riconosciuto, invece, da chi è già iscritto e trae beneficio da un’assistenza sanitaria integrativa al Sistema Sanitario Nazionale.

Subito dopo l’headline “Io sono Assidai” si evidenziano le peculiarità di Assidai a partire dagli anni in cui il Fondo è operativo; il target di riferimento; la durata e la popolazione di assistiti di cui ci si prende cura.

  • 28 – Gli anni passati a prendermi cura di te e dei tuoi familiari offrendo assistenza sanitaria, consulenza e protezione dagli imprevisti che possono compromettere l’abituale tenore di vita.
  • Per te – manager o azienda che hai deciso di affidarmi il bene più importante: la tutela della salute.
  • Per sempre – Il tempo durante il quale potrai beneficiare delle prestazioni sanitarie senza alcuna limitazione di età e senza che io possa rescindere la tua copertura.
  • 140mila – le persone che assisto su tutto il territorio nazionale secondo criteri di mutualità e solidarietà attraverso i più alti standard qualitativi nell’erogazione delle prestazioni sanitarie.

Chiude la campagna la body copy che racconta in sintesi l’essenza del Fondo:

C’è un Fondo sanitario integrativo diverso dagli altri, perché creato da manager per i manager, i quadri, le alte professionalità e le loro famiglie. E’ senza scopo di lucro e si prende cura di oltre 140.000 persone. Non ha limiti di età, di accesso e di permanenza; non opera la selezione del rischio, non può recedere dall’iscrizione e, quindi, tutela gli assistiti per tutta la durata della loro vita. Tutto questo è garantito da un’istituzione: Federmanager. Ed è contenuto in un nome: Assidai.

 

Per maggiori informazioni per iscriversi Customer Care Assidai 06 44070600

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Per il 2018 confermata l’iscrizione all’Anagrafe dei fondi sanitari

La trasparenza è uno dei pilastri su cui Assidai fonda la propria attività. Un valore chiave del Fondo di assistenza sanitaria integrativa che si concretizza in una serie di azioni e attività poste in essere a tutela degli iscritti. Tra di esse la certificazione annuale su base volontaria del proprio bilancio, la dotazione di un Codice Etico e di Comportamento, un Sistema Gestione Qualità certificato e, non ultima, la regolare iscrizione all’Anagrafe dei fondi sanitari, istituita dal Ministero della Salute. Proprio su quest’ultimo punto vi è un’importante notizia da condividere: il 29 ottobre 2018, infatti, la Direzione Generale della Programmazione Sanitaria del Ministero ha confermato il rinnovo dell’iscrizione di Assidai all’Anagrafe dei Fondi Sanitari, anche per il 2018, con il seguente numero di protocollo 0033585-29/10/2018-DGPROGS-DGPROGS-UFF02-P.

Iscrizione all’Anagrafe: come funziona e la posizione di Assidai

Il prestigioso documento della certificazione è arrivato nella sede di Assidai direttamente dal Ministero della Salute, in particolare dalla Direzione Generale della Programmazione Sanitaria. Nel dettaglio, si tratta del rinnovo dell’iscrizione per il 2018 del Fondo Assidai all’Anagrafe dei Fondi Sanitari. Evidenziamo che, per operare in Italia, i fondi di assistenza sanitaria integrativi devono essere iscritti ad un albo, chiamato appunto Anagrafe Fondi Sanitari Integrativi. Quest’ultima è stata prima istituita dal Ministero della Salute con il Decreto del 31 marzo 2008, e poi resa operativa con il successivo Decreto ministeriale del 27 ottobre 2009, che ha definito le procedure e le modalità del suo funzionamento.

In sostanza, l’Anagrafe dei Fondi Sanitari Integrativi svolge un ruolo di censimento e di controllo sull’operato dei vari soggetti coinvolti. In Italia sono tenute all’iscrizione nell’albo due tipologie di fondi sanitari che garantiscono l’erogazione di prestazioni integrative al Servizio Sanitario Nazionale. Si tratta dei “Fondi sanitari integrativi del Servizio Sanitario Nazionale (SSN)”, che erogano solo ed esclusivamente prestazioni non comprese nei livelli essenziali di assistenza, e degli “Enti, Casse e Società di Mutuo Soccorso aventi esclusivamente fini assistenziali” che sono sia integrativi del SSN, sia sostitutivi.

Dai dati più recenti dell’Anagrafe sui fondi sanitari, distinti per tipologia, che tra l’altro sono stati forniti ad Assidai direttamente dal Ministero della Salute, emerge la netta prevalenza di quelli anche sostitutivi al SSN (297 nel 2016, con più di 9 milioni di iscritti), rispetto a quelli puramente integrativi al SSN (8 nel 2016, con più di 9 mila iscritti). La prima categoria, a cui appartiene Assidai, nel 2016 vedeva un ammontare totale delle prestazioni vincolate a quota 694 milioni di euro (dai 682 milioni dell’anno prima), a fronte di risorse impegnate per tutte le prestazioni garantite agli iscritti pari a 2,242 miliardi. In netta crescita anche il totale degli iscritti, arrivati a 9,145 milioni dai 7,49 milioni dell’anno prima. 

I tasselli del “mosaico” della trasparenza di Assidai

L’iscrizione all’Anagrafe dei Fondi Sanitari è uno dei tasselli che formano il mosaico della trasparenza di Assidai. Tasselli che sono rappresentati anche dal Codice Etico e di Comportamento, che evidenzia l’insieme dei valori di cui il Fondo si fa portatore (salute, tutela dei propri iscritti, assistenza, qualità e affidabilità, mutualità, solidarietà, welfare, integrità e trasparenza, professionalità, efficienza dei servizi erogati, condivisione) e le linee guida che devono ispirare l’operato di coloro che agiscono per conto di Assidai e a cui devono attenersi nel perseguimento degli scopi istituzionali.

Senza dimenticare che, ogni anno, pur non essendo obbligato alla certificazione legale, Assidai sottopone volontariamente il proprio bilancio alla revisione contabile d’esercizio, effettuata da una delle principali società di revisione a livello mondiale per fornire ogni garanzia di correttezza e trasparenza a tutti gli stakeholder e alle migliaia di famiglie assistite.

Infine, Assidai si è dotato di un Sistema di Gestione certificato in base alle norme UNI EN ISO 9001:2015 per quanto concerne “l’erogazione del servizio di rimborsi spese mediche ed assistenziali per dirigenti, quadri e consulenti”. L’obiettivo? Fornire ai propri iscritti i migliori servizi e Piani Sanitari, cercando di individuare con i propri partner le soluzioni più vantaggiose. Senza dimenticare che proprio la Certificazione UNI EN ISO 9001:2015 (ISO 9001:2015), richiede al Fondo di assistenza sanitaria integrativa un miglioramento continuo dell’efficienza e dell’efficacia dei processi interni e dei servizi agli iscritti, attuato anche mediante un piano di formazione e crescita professionale del personale.

Salute allo specchio: progetto per il supporto psicologico ai malati oncologici

La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, che non coincide con la semplice assenza di malattia o di infermità. In questa definizione, formulata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 1948, c’è tutto lo spirito del Progetto “Salute allo Specchio”, lanciato dall’Ospedale San Raffaele di Milano nel 2013 con un obiettivo molto chiaro: supportare psicologicamente le pazienti ammalate di cancro in corso di trattamento, per aiutarle ad affrontare e gestire gli effetti collaterali delle terapie che, a loro volta, impattano sull’aspetto fisico.

Purtroppo, come noto, la malattia e i suoi trattamenti si associano ancora oggi ad importanti conseguenze che determinano violenti cambiamenti nell’immagine corporea. Alcuni di essi, come la perdita dei capelli, colpiscono la donna nella dimensione intima della femminilità, rendendo la persona facilmente riconoscibile come “malata”. “Umanizzare” le cure, invece, significa riportare la persona al centro, avere rispetto per le preoccupazioni e per i valori dei pazienti e considerare empaticamente il loro benessere fisico ed emotivo. Oltre che, soprattutto, aiutare i malati a combattere la malattia con maggiore spirito ed efficacia.

Assidai, tra i propri capisaldi, ha da sempre la cura e la tutela dei propri iscritti con Piani Sanitari dedicati alle persone e alle aziende ponendosi come obiettivo quello di offrirgli i migliori servizi e le migliori cure disponibili anche utilizzando un ampio network di strutture convenzionate su tutto il territorio nazionale.

Supporto psicologico in tre tappe

Il Progetto “Salute allo Specchio” si pone come fine l’insegnamento di tecniche e strategie per gestire, dal punto di vista estetico, gli effetti collaterali dei trattamenti (chemioterapici, chirurgici, radioterapici) e per favorire un migliore adattamento alla malattia e alle cure. Come? Promuovendo lo sviluppo di risorse personali e sociali e riducendo eventuali stati ansiosi e depressivi che possono insorgere a seguito della diagnosi e dell’inizio delle terapie.

Nel dettaglio, il percorso prevede che, dopo un primo colloquio psicologico individuale, avvengano degli incontri di gruppo, composti da circa 10-12 donne, a cadenza settimanale. Il primo è dedicato alla cura del volto, e prevede l’insegnamento di tecniche di trucco e di uso delle parrucche e dei foulard. Durante il secondo incontro un’estetista formata in estetica oncologica insegna alle pazienti come prendersi cura del proprio corpo e della propria pelle durante le terapie. È, inoltre, presente una consulente d’immagine che aiuta le donne a valorizzare il proprio aspetto, in particolare attraverso l’uso dei colori. L’ultimo incontro, infine, è dedicato a una discussione di gruppo, condotta da psicologi, sull’esperienza di Salute allo Specchio. In questo contesto, la presenza costante di un’equipe di psicologi e medici garantisce la possibilità di accogliere e gestire tempestivamente eventuali difficoltà che possono emergere nella situazione di gruppo.

Effetti positivi fisici e psicologici degli incontri di supporto

Che risultati e quali evidenze empiriche ha evidenziato il progetto? Un team di psicologi e medici ha analizzato 88 pazienti del San Raffaele per valutare se la partecipazione a “Salute allo Specchio” avesse avuto un impatto su variabili psicologiche come ansia, depressione o percezione della propria immagine corporea. L’esito finale? Decisamente confortante: è stato registrato un significativo miglioramento delle variabili psicologiche misurate. Inoltre lo studio ha dimostrato come prendersi cura del proprio aspetto abbia avuto effetti positivi reali sui malati di cancro. È chiaro che un risultato di questo genere autorizza a considerare e promuovere progetti simili a “Salute allo Specchio”, come parte integrante del percorso di cura insieme alle terapie convenzionali. Perché il supporto e il rispetto del malato sono fondamentali per garantirgli un decorso dignitoso e soprattutto efficace.

Numeri del cancro: in Italia si sopravvive di più

Più tumori ma anche più guarigioni. È questo, in estrema sintesi, il messaggio lanciato dall’ottava edizione della ricerca “I numeri del cancro 2018”, frutto della collaborazione tra l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), dell’Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM), di Fondazione AIOM e di PASSI (Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia). Un voluminoso studio che evidenzia come complessivamente quest’anno nel nostro Paese sono stimati 373.300 nuovi casi di tumore (194.800 uomini e 178.500 donne), con un leggero aumento, in termini assoluti, di 4.300 diagnosi rispetto al 2017. Allo stesso tempo, tuttavia, quasi 3,4 milioni di persone vivono dopo la scoperta della malattia (3.368.569, contro i 2.244.000 nel 2006), ovvero sia il 6% dell’intera popolazione: un dato in costante e deciso aumento. Ancora, dallo studio emerge con forza l’importanza di screening periodici e l’adozione di stili di vita sani rispettivamente per diagnosticare un tumore nella fase iniziale e per abbassare i rischi dell’insorgere di questa patologia.

Quanto si sopravvive al cancro?

La sopravvivenza a cinque anni è uno dei principali risultati da valutare in campo oncologico, poiché permette di valutare l’efficacia del sistema sanitario nei confronti della patologia tumorale ed è condizionata da due aspetti: la fase nella quale viene diagnosticata la malattia e l’efficacia delle terapie intraprese.

Complessivamente le donne hanno una sopravvivenza a 5 anni del 63%, migliore rispetto a quella degli uomini (54%), in gran parte determinata dal tumore della mammella, la neoplasia più frequente nelle donne, caratterizzata da una buona prognosi. Le persone che si sono ammalate nel 2005-2009 hanno avuto una sopravvivenza migliore, rispetto a chi si è ammalato nel quinquennio precedente sia negli uomini (54% contro il 51%) sia nelle donne (63% contro il 60%).

Negli uomini le sopravvivenze migliori si registrano per i tumori del testicolo, della prostata e della tiroide; nelle donne per i tumori della tiroide, della mammella e per il melanoma. Il dato peggiore, invece, riguarda per entrambi i sessi il tumore del pancreas (inferiore al 10%). C’è poi il tema del divario territoriale tra Nord e Sud, anche se lo studio evidenzia come la forbice si stia mano a mano riducendo: nelle prime tre posizioni si collocano Emilia-Romagna, Toscana (56% uomini e 65% donne in entrambe le Regioni) e Veneto (55% e 64%); in coda invece il Sud, con Sicilia (52% uomini e 60% donne), Sardegna (49% e 60%) e Campania (50% e 59%).

I tumori più frequenti in Italia

Quali sono i tumori più frequenti? Nel 2018, secondo lo studio, si è registrato un sorpasso con quello della mammella stiamo a 52.800 nuovi casi (erano 51.000 nel 2017), davanti al colon-retto (51.300, erano 53.000 nel 2017) e al polmone (41.500, erano 41.800 nel 2017). L’altra faccia della medaglia è quella della mortalità: stando ai dati ISTAT in media ogni giorno oltre 485 persone muoiono a causa di una neoplasia. In tutto parliamo di 178.232 decessi attribuibili a tumore (99.050 uomini e 79.182 donne), tra i circa 600mila totali l’anno. I tumori sono la seconda causa di morte (29% di tutti i decessi), dopo le malattie cardio-circolatorie (37%).

Il tumore che miete più vittime ogni anno è quello al polmone (33.836), seguito da colon-retto (18.935), mammella (12.381), pancreas (11.463) e fegato (9.675). Può indurre all’ottimismo, invece, un ulteriore dato: almeno il 27% (909.514 persone) di chi si è ammalato di cancro può ritenersi guarito, ossia con un’attesa di vita paragonabile a quella delle persone non affette da tumore. Assidai con i suoi Piani Sanitari Individuali e Piani Sanitari Aziendali tutela i propri iscritti, offrendo loro la possibilità di accedere a tutte le cure necessarie, anche presso le strutture convenzionate.

Il ruolo della prevenzione primaria nella cura del cancro

Infine, il tema della prevenzione primaria e dei fattori di rischio. Le cause note delle alterazioni del DNA nella genesi del cancro, secondo la ricerca, sono di vari ordini: si ipotizzano cause di tipo ambientale, genetiche, infettive, legate agli stili di vita e fattori casuali. In base a una ricerca condotta negli Stati Uniti, il fumo di tabacco da solo è responsabile del 33% delle neoplasie e un altro 33% è legato ai cosiddetti stili di vita (dieta, sovrappeso, abuso di alcool e inattività fisica). I fattori occupazionali sono responsabili del 5% delle neoplasie, mentre le infezioni sono causa dell’8% circa, le radiazioni ionizzanti e l’esposizione ai raggi ultravioletti del 2% e l’inquinamento ambientale contribuisce per un altro 2%. L’ereditarietà ha un’incidenza molto bassa nella genesi tumorale: meno del 2% della popolazione è portatrice di mutazioni con sindromi ereditarie di rischio neoplastico. Un altro studio condotto nel Regno Unito conferma il fumo e l’inattività fisica (associata a stili alimentari scorretti) rispettivamente con il 19% e il 25%. L’ennesima conferma che, per battere il cancro, così come le principali malattie non trasmissibili, bisogna sempre giocare d’anticipo.