Nei giorni scorsi è stato presentato il Rapporto OASI 2019 (Osservatorio sulle aziende e sul sistema sanitario italiano) a cura degli studiosi del Cergas SDA Bocconi, coordinati da Francesco Longo e Alberto Ricci. Ciò che si evidenzia all’interno del volume è che il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) conferma di avere messo in sicurezza i propri conti, anche se emergono alcune difficoltà nel tenere il passo con l’espansione del più ampio settore sanitario; è importante, quindi, che il Sistema stesso vada a ridefinire la propria missione. L’espansione e la diversificazione della sanità, infatti, si scontrano con la contrazione delle fonti di finanziamento: il tutto produce un tasso di copertura del Sistema Sanitario Nazionale sulla spesa sanitaria, già oggi al 74%, e che molto probabilmente è destinato a diminuire. Insomma, oggi la sanità pubblica italiana – che si distingue ancora in tutto il mondo per equità e universalità del servizio offerto – riesce ancora a camminare sulle proprie gambe: a dirlo sono i dati del 2018 con 119,1 miliardi di spesa e soli 149 milioni di disavanzo. Il tema vero è: in futuro, a fronte delle sfide rappresentate dall’invecchiamento della popolazione e dalla graduale contrazione della spesa pubblica, riuscirà a fare lo stesso?
Secondo Francesco Longo, Direttore di Oasi, ricercatore del Cergas Bocconi (di cui è stato Direttore dal 2006 al 2012) e Professore Associato del Dipartimento di Analisi delle Politiche e Management Pubblico presso l’Università Bocconi, proprio alla luce di questi ragionamenti è “cruciale chiarire la missione del SSN”. Le strade sono tre:
“Una focalizzazione sui soli servizi finanziati dal settore pubblico; una regia della filiera produttiva che preveda anche la regolazione del mercato a pagamento e il governo dell’integrazione tra i due ambiti; oppure un’interpretazione olistica, orientata alla tutela della salute, con l’ambizione di influenzare l’intero settore e gli stili di vita”.
Senza dimenticare il ruolo cruciale della sanità integrativa, che può supportare il pubblico e aiutarlo a mantenere le proprie caratteristiche distintive.
I numeri della sanità italiana
Qualche numero offre un quadro più completo della situazione. La spesa sanitaria pubblica pro-capite in Italia è pari a 1.900 euro, ovvero l’80% di quella inglese, il 66% di quella francese e il 55% di quella tedesca. Inoltre, secondo i ricercatori della Bocconi, alla luce di una delle più alte aspettative di vita al mondo (83 anni), accompagnata da uno dei più bassi indici di natalità (1,32 figli) e dalla previsione Istat di un rapporto di 1 a 2 tra pensionati e popolazione in età di lavoro entro il 2040, il Servizio Sanitario Nazionale non sembra essere in grado di tenere il passo con la crescita dei bisogni. Ciò lo si deduce anche guardando al passato. Tra il 2000 e il 2018 gli occupati nella sanità sono aumentati del 18% a 1,4 milioni (nello stesso periodo, i residenti sono cresciuti del 6% e l’occupazione in generale del 10%), ma a questo incremento ha contribuito prevalentemente il settore privato, anche se in tutto ciò la buona notizia è che nel 2018, per la prima volta dal 2009, è tornato a crescere (di 384 unità) il numero di medici del SSN. Anche in termini di spesa, tra il 2012 e il 2018, il privato ha superato il pubblico, con una crescita del 16% rispetto a un Servizio Sanitario Nazionale che riesce appena a coprire la crescita dell’inflazione. La componente principale della spesa privata, con 35,7 miliardi, rimane quella out of pocket delle famiglie, ancora troppo poco “intermediata” dalla sanità integrativa che nel 2018 ha coperto 4,2 miliardi (dato comunque in crescita del 31% dal 2012).
Le possibili soluzioni e il ruolo della sanità integrativa
Come uscire da questa situazione di futuro impasse per il Servizio Sanitario Nazionale? Come detto, gli esperti della Bocconi paventano tre possibili scenari, ma sottolineano anche il possibile ruolo del settore privato nell’intermediazione della spesa out of pocket. Al proposito, fanno notare che “il ruolo della compartecipazione potrebbe assumere particolare rilevanza nei Paesi in cui la spesa pubblica è sempre più soggetta a vincoli di budget e dove, come tendenza generalizzata, si è ridotta la copertura pubblica negli ultimi anni”.
In quest’ottica la compartecipazione “può evolvere concettualmente da semplice sostituto della spesa pubblica a contributo per un upgrade qualitativo dei servizi” e dunque “invece che rappresentare uno strumento iniquo che porta alla rinuncia alle cure, la compartecipazione potrebbe rappresentare uno dei primi driver della diffusione di nuovi servizi e tecnologie, liberando così risorse pubbliche per i servizi essenziali e prioritari”. Del resto, aggiungono gli esperti, il calo della ricchezza generata e delle risorse pubbliche a disposizione e il contemporaneo aumento dei bisogni di salute e assistenza, rischiano di imporre “scelte collettive inevitabilmente più conflittuali tra le generazioni e tra i diversi cluster sociali maggiormente coinvolti nelle dinamiche redistributive”.
È questa anche la posizione di Assidai, che da Fondo sanitario integrativo imperniato sui concetti di mutualità e solidarietà riconosce il ruolo cruciale, primario e insostituibile del Servizio Sanitario Nazionale come spina dorsale del sistema, e da sempre sostiene il ruolo complementare dei fondi rispetto alla sanità pubblica, in modo che quest’ultima possa continuare ancora per molto tempo a giocare il proprio ruolo cruciale per il Paese.