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microplastiche sangue

Allarme microplastiche nel sangue

Pubblicato il 22 Aprile 2022 Assidai In Home page, News /  

Minuscoli frammenti di plastica dispersi nell’ambiente che possono finire nel sangue ed entrare in circolazione nel corpo umano. Quella che prima era soltanto un’ipotesi di laboratorio è stata dimostrata recentemente da una ricerca condotta nei Paesi Bassi e coordinata dalla Vrije Universiteit di Amsterdam. I risultati, pubblicati sulla rivista “Environment International”, sono stati ottenuti dal gruppo di lavoro guidato dal Professor ed ecotossicologo Dick Vethaak e in cui figurano anche, tra gli altri, Heather Leslie e la chimica Marja Lamoree, nell’ambito del progetto Immunoplast.

Una scoperta che, per quanto gli effetti sulla salute umana siano ancora sconosciuti, merita certamente approfondimenti, in particolare sul possibile passaggio dei frammenti di plastica dal sangue agli organi. Insomma, un tema di grande interesse, al quale Assidai ha deciso di dedicare un approfondimento ad hoc, sempre nell’ottica di fornire ai lettori e agli iscritti al Fondo di assistenza sanitaria integrativa una panoramica completa sul mondo della salute e sulle possibili forme di prevenzione delle principali patologie croniche e non.

I risultati della ricerca

La ricerca dell’Università di Amsterdam è stata svolta grazie all’analisi del sangue donato da 22 persone anonime, nel quale sono state cercate le tracce di cinque polimeri, ossia le molecole che sono i mattoncini di cui è costituita la plastica, e per ciascuno di essi sono stati misurati i livelli presenti nel sangue. È risultato che in tre quarti dei 22 campioni esaminati erano presenti tracce di plastiche e che il materiale più abbondante era il Pet (polietilene tereftalato) di cui sono fatte le bottiglie: è stata misurata una quantità di 1,6 microgrammi per millilitro di sangue, pari a un cucchiaino da tè di plastica in mille litri di acqua (una quantità pari a dieci grandi vasche da bagno). È risultato molto frequente anche il polistirene utilizzato negli imballaggi, seguito dal polimetilmetacrilato, noto anche come plexiglas. In media, sono stati misurati 1,6 microgrammi di plastica per ogni millilitro di sangue, con la concentrazione più alta di poco superiore a 7 microgrammi.

Le possibili conseguenze sulla salute

Qual è il passo successivo? Adesso, secondo i ricercatori, resta da capire se e con quale facilità le particelle di plastica possono passare dal flusso sanguigno agli organi. “Si tratta dei primi dati di questo tipo e ora – ha sottolineato Marja Lamoree – l’obiettivo è raccoglierne altri per capire quanto le microplastiche siano presenti nel corpo umano e quanto possano essere pericolose. Grazie ai nuovi dati sarà possibile stabilire se l’esposizione alle microplastiche costituisca una minaccia per la salute pubblica”.

In questo campo, va ricordato, gli studi sono purtroppo ancora agli albori. I ricercatori che si occupano di animali hanno messo in relazione l’esposizione a micro e nanoplastiche a infertilità, infiammazione e cancro, ma gli effetti sugli uomini sono ancora sconosciuti. In uno studio parallelo, di cui è coautore sempre il Professor Vethaak, è stato valutato il rischio di cancro relativo all’ingestione di microplastiche: “Ricerche più dettagliate su come le micro e nanoplastiche influenzano le strutture e i processi del corpo umano e se e come possono trasformare le cellule e indurre la cancerogenesi, sono sempre più urgenti, soprattutto alla luce dell’aumento esponenziale della produzione di plastica. Il problema diventa ogni giorno più grave”, ha aggiunto al proposito Vethaak. È ragionevole essere preoccupati – ha concluso il professore olandese – le particelle ci sono e vengono trasportate in tutto il nostro corpo”.

Microplastiche anche nei polmoni

È stato dimostrato, peraltro, che le microplastiche si depositano in profondità, anche nei polmoni delle persone. A farlo è stato una ricerca pubblicata online da “Science of the Total Environment” e realizzata da un team di ricercatori e medici del Regno Unito. Lo studio, basato sull’esame del tessuto polmonare prelevato da 13 pazienti sottoposti a intervento chirurgico, ha rilevato particelle di plastica fino a dimensioni di 0,003 mm, confermando la loro presenza in 11 casi. Utilizzando la spettroscopia, è inoltre stato possibile identificare anche il tipo di plastica e le microplastiche più comuni che sono risultate essere quelle derivate dal polipropilene, utilizzato prevalentemente negli imballaggi e nei tubi, e dal Pet, impiegato soprattutto per le bottiglie.

Un problema globale

Per concludere va ricordato che la diffusione della plastica in acqua, aria e suolo è un problema globale. Anche quando non sono più visibili a occhio umano, i minuscoli frammenti di plastica pervadono l’ambiente e possono essere ingeriti da animali e uomini. Per definizione, per microplastica si intendono frammenti più piccoli di cinque millimetri di diametro. Le nanoplastiche sono invece ancora più piccole (con un diametro inferiore a 0.001 millimetri). Il loro accumulo nell’ambiente – la produzione attuale è stimata in oltre 300 milioni di tonnellate l’anno – è considerato una catastrofe per tutti gli ecosistemi, a partire dagli oceani.

Certo, la presenza dimostrata di microplastiche all’interno del corpo umano, nel sangue e nei polmoni, apre scenari non immaginabili fino a poco tempo fa, anche e soprattutto per le conseguenze a livello di cronicità che potrebbero avere sulla salute.

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