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attilio giugiatti

“Serve un welfare aziendale territoriale”

Pubblicato il 14 Aprile 2021 Andrea Bertoni In Welfare24 /  

Secondo Attilio Gugiatti (Cergas-Bocconi) gli incentivi degli ultimi anni hanno permesso lo sviluppo del settore, ma ora bisogna puntare sulla collaborazione con enti locali, Fondazioni e fondi sanitari

“Le passate Leggi di Bilancio hanno permesso un forte sviluppo del welfare aziendale in Italia, ma ora serve un salto di qualità: bisogna puntare su un welfare aziendale territoriale, che miri alla collaborazione con gli enti locali, le Fondazioni e i fondi sanitari integrativi”. Attilio Gugiatti, Ricercatore presso il Cergas, Centro di Ricerche dell’Università Bocconi sulla Gestione dell’Assistenza Sanitaria e Sociale ha un’idea molto chiara sul percorso che dovrebbe seguire un filone ormai sempre più centrale nel rapporto azienda-dipendente. Non solo. Mette in evidenza due ambiti d’azione su cui fondi sanitari come Assidai sono sempre stati in prima linea e su cui si dovrebbero concentrare ulteriori sforzi: cronicità e Long Term Care, “potenziando il canale delle cure a domicilio”.

Professor Gugiatti, partiamo dall’attualità. Quest’anno, a livello di welfare, nella Legge di Bilancio non sono state intro- dotte novità, cosa peraltro che – a parte qualche incentivo una tantum – accade già da qualche anno. Secondo lei così si rischia di frenare lo sviluppo del welfare aziendale in Italia?

Dopo gli incentivi introdotti dal 2016 in poi, gli ultimi anni, compreso il 2020, sono stati di consolidamento. Ciò non deve farci dimenticare, tuttavia, altri due recenti interventi chiave, collegati al welfare aziendale. Innanzitutto, la riforma del terzo settore, interlocutore fondamentale per il welfare stesso, a cui è stato dato un nuovo assetto dal punto di vista normativo. In secondo luogo, il lavoro agile, istituzionalizzato nel 2017, che di fatto ha anticipato le necessità emerse nella pandemia, quando si è dimostrato uno strumento di benessere aziendale. è chiaro, inoltre, che l’ultima Legge di Bilancio, dato il contesto generale, si è concentrata soprattutto sulla creazione di istituti che prima non c’erano, a partire dall’assegno unico per le famiglie: uno strumento universalistico molto importante.

Un altro aspetto chiave, forse sottovalutato, è il rinnovo dei contratti collettivi nazionali che recepiscono quanto previsto dalle Leggi di Bilancio sul welfare aziendale.

Assolutamente sì. è un passaggio imprescindibile visto che la bilateralità, in questo senso, è necessaria perché determina – in virtù del quadro normativo nazionale – i canali di trasferimento del welfare aziendale ai dipendenti. Prendiamo il recente rinnovo del CCNL dei metalmeccanici, che raggruppa oltre 1,5 milioni di lavoratori, dove c’è stata la conferma di flexible benefit e di risorse per il fondo sanitario di categoria. Poi c’è il secondo livello (cioè la contrattazione aziendale e territoriale) dove c’è spazio per dirottare risorse sul welfare. Ci sono altri contratti di categoria in scadenza che devono essere rimpolpati. 

Cosa ha comportato la diffusione di forme diversificate di welfare durante la pandemia? Che tipo di supporto hanno fornito attraverso le imprese?

Già detto dello smart working, abbiamo visto le aziende impegnate in risposte di vario tipo: informativo, cioè con la prevenzione, di sostegno economico, ma anche con azioni più legate alla responsabilità sociale dell’impresa, con donazioni, raccolte fondi o interventi fortemente orientati al territorio. è proprio da qui, a mio parere, che bisogna partire per compiere un ulteriore salto di qualità passando da forme di welfare aziendale in senso stretto a un welfare legato al territorio, coinvolgendo soggetti come Fondazioni bancarie, enti pubblici e locali e fondi sanitari integrativi. 

Ci spieghi meglio come potrebbe essere realizzato questo modello.

Progettando una rete di servizi e forme innovative sul territorio, potenziando la domiciliarità, a partire dalla telemedicina e dal monitoraggio dei pazienti, e i servizi. Questo processo tornerebbe particolarmente utile anche nell’ottica della gestione delle prestazioni per la non autosufficienza, ambito dove i fondi sanitari integrativi hanno giustamente insistito molto in questi anni, e della cronicità, visto che in Italia abbiamo 23 milioni di malati cronici. 

Non servono dunque, secondo lei, ulteriori incentivi fiscali?

L’incentivo fiscale lo abbiamo già usato ed è stato molto utile; è la cosa più semplice da fare ma ha effetti distorsivi notevoli per categoria e dal punto di vista territoriale. Credo che, invece, serva puntare sul welfare aziendale territoriale, che permetterebbe anche di ridurre il divario con altri Paesi europei, ad esempio la Francia, dove la mutualità è un concetto chiave. Inoltre, ritengo che in questa fase, sia il caso di sfoltire i benefit, concentrandosi su pochi, importanti ambiti come quello sanitario, cosa che in prospettiva favorirà anche un risparmio di risorse da parte dello Stato. Creiamo un grande fondo a disposizione degli enti locali, che si facciamo promotori sul territorio di iniziative di welfare aziendale e per farlo, non dimentichiamolo, potremmo anche attingere alle risorse del Recovery Fund, una grande opportunità che non possiamo perdere.

 

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