“Prevenzione, screening e farmaci per battere le malattie reumatologiche”

Intervista al Professor Andrea Doria, Presidente della Società Italiana di Reumatologia 

Prevenzione primaria, diagnosi precoce e farmaci. Le malattie reumatologiche hanno un forte impatto sulla popolazione italiana e globale, ma gli strumenti a nostra disposizione per combatterle non mancano. Ne è convinto Andrea Doria, Professore di Reumatologia presso il Dipartimento di Medicina della Scuola di Medicina dell’Università di Padova, nonché Presidente della Società Italiana di Reumatologia (SIR). 

Professor Doria, che cosa sono le malattie reumatologiche? Come possiamo definirle e che impatto hanno sulla popolazione italiana e sui costi del Servizio Sanitario Nazionale? 

Le malattie reumatologiche comprendono oltre 200 condizioni morbose che colpiscono articolazioni, ossa, muscoli, tendini, ma anche organi interni. Alcune sono malattie degenerative, come l’artrosi; altre infiammatorie e autoimmuni, come l’artrite reumatoide o il lupus. In Italia ne soffrono oltre 6 milioni di persone. Hanno un impatto notevole sul Servizio Sanitario Nazionale, sia per i costi diretti (farmaci, visite, ricoveri) sia per quelli indiretti, legati a invalidità, assenze dal lavoro e pensionamenti anticipati. 

Quali sono le malattie reumatologiche più diffuse e quali le più pericolose per la salute? 

Tra le più diffuse ci sono l’artrosi, la fibromialgia, l’artrite reumatoide, le spondiloartriti e la gotta. Le più pericolose sono le malattie autoimmuni sistemiche, come il lupus eritematoso sistemico e la sclerosi sistemica, che possono coinvolgere organi vitali (cuore, reni, polmoni) e mettere a rischio la vita se non riconosciute e trattate tempestivamente.  

È vero che negli ultimi anni colpiscono con maggiore frequenza la popolazione più giovane (tra 18 e 45 anni) e che in generale sono le donne le più colpite? 

Sì, è una tendenza confermata anche in Italia. Molte malattie reumatologiche esordiscono proprio tra i 18 e i 45 anni, una fase cruciale per la vita personale e lavorativa. Inoltre, la maggior parte colpisce prevalentemente le donne: per esempio, nel lupus eritematoso sistemico il rapporto donne/uomini è di circa 9 a 1. Fattori ormonali e genetici sembrano giocare un ruolo importante in questa maggiore suscettibilità femminile. 

Che ruolo gioca la prevenzione primaria sulle malattie reumatologiche? 

La prevenzione primaria è fondamentale. Anche se non tutte le malattie reumatologiche sono prevenibili, alcuni fattori di rischio – come il fumo, la sedentarietà, l’obesità, il sovraccarico di articolazioni e tendini – possono essere modificati. Uno stile di vita sano riduce il rischio di sviluppare infiammazione cronica e favorisce una risposta più efficace ai trattamenti. 

Quali sono invece le possibili contromisure a livello di screening? 

In Italia c’è ancora margine di miglioramento. Lo screening reumatologico, soprattutto per i soggetti a rischio o con sintomi precoci, può anticipare la diagnosi e migliorare l’efficacia delle terapie. Identificare l’artrite precoce o una connettivite iniziale consente di agire prima che si sviluppino danni irreversibili alle articolazioni o agli organi interni. 

A livello di farmaci, che strumenti abbiamo in mano per una guarigione completa da queste patologie? 

Oggi disponiamo di farmaci estremamente efficaci, come i biologici e i nuovi inibitori delle JAK chinasi, che hanno completamente rivoluzionato il trattamento delle malattie infiammatorie autoimmuni. Non possiamo ancora parlare di “guarigione”, ma possiamo raggiungere la remissione clinica, cioè l’assenza di sintomi e di progressione. Questo consente ai pazienti di condurre una vita normale e attiva, soprattutto se la terapia è iniziata precocemente. 

Lei è anche Presidente della Società Italiana di Reumatologia (SIR). Quai sono la mission e gli obiettivi che intendete raggiungere? 

Come SIR puntiamo a tre obiettivi principali: migliorare la diagnosi precoce e la presa in carico dei pazienti; promuovere la formazione continua dei reumatologi; sensibilizzare le istituzioni sull’importanza di garantire un accesso equo e tempestivo alle cure. La nostra missione è far riconoscere la reumatologia come una priorità della sanità pubblica, alla pari di altre specialità. 

Proprio la SIR, nei mesi scorsi, ha presentato il documento per la prevenzione attiva. Di che cosa si tratta? 

Si tratta di un progetto che delinea delle strategie concrete per la prevenzione delle malattie reumatologiche in Italia. Il programma include la promozione di stili di vita sani, campagne di informazione, percorsi di screening e iniziative per il riconoscimento precoce dei sintomi. Il documento è frutto della collaborazione tra esperti, istituzioni e associazioni di pazienti e rappresenta un passo decisivo verso una sanità più orientata alla prevenzione.

 

Andrea Doria

Professore di Reumatologia presso il Dipartimento di Medicina della Scuola di Medicina dell’Università di Padova e Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Reumatologia presso l’azienda Ospedale-Università di Padova. L’Unità che dirige è un centro di riferimento per la diagnosi e la gestione di pazienti affetti da malattie reumatologiche. Durante la sua direzione, l’Unità di Reumatologia di Padova ha ottenuto il riconoscimento di “EULAR Center of Excellence in Rheumatology 2022-2027”. È stato presidente designato della Società Italiana di Reumatologia (SIR) nel biennio 2022 al 2024 e, a partire da novembre 2024, ricopre la carica di presidente della stessa società.

In Italia il 40% delle persone adulte ha problematiche di peso

È quanto sottolineato dall’Istituto superiore di Sanità in occasione della Giornata Mondiale dell’Obesità: se non si cambiano stili di vita il rischio è di sviluppare cronicità

Nel nostro Paese quattro persone adulte su 10 sono in eccesso ponderale: tre in sovrappeso (con un indice di massa corporea compreso fra 25 e 29,9) e una obesa (indice superiore a 30). È quanto emerge dai dati riferiti dal sistema di sorveglianza Passi per il biennio 2022-2023 relativi a peso e altezza di persone tra 18 e 69 anni in Italia e riportati dall’Istituto Superiore di Sanità in occasione del World Obesity Day, la Giornata Mondiale dell’Obesità che ricorre il 4 marzo. Istituito nel 2015 dalla World Obesity Federation l’evento coinvolge organizzazioni, associazioni e persone con l’obiettivo di invertire la crisi globale dell’obesità sensibilizzando cittadini e istituzioni incoraggiando la prevenzione di una condizione cronica complessa che richiede interventi su più livelli, anche quando, negli stadi iniziali, non si associ a complicanze.   

Il focus dell’edizione 2025 della giornata dedicata al contrasto dell’obesità è stato sui sistemi, sanitari e governativi, sugli ambienti di vita e di lavoro, sui media, che, con un approccio sistemico e collaborativo, possono affrontare la sfida globale contro l’obesità e il sovrappeso. Molte persone che sono in sovrappeso, se non intervengono con cambiamenti nello stile di vita, – sottolinea l’Iss – possono progredire verso l’obesità che si associa a un aumento del rischio di sviluppare malattie croniche – come patologie cardiovascolari, diabete di tipo 2, alcuni tipi di cancro, problemi articolari – che riducono la durata della vita e ne peggiorano la qualità. 

L’eccesso ponderale, in Italia, è più frequente fra gli uomini rispetto alle donne (52% contro 34%); fra le persone con difficoltà economiche (52% contro 39%) e fra le persone con un basso livello di istruzione (63% fra chi ha la licenza elementare contro il 32% fra i laureati). Infine, sempre l’eccesso ponderale aumenta con l’età, ma diventa una condizione meno frequente superati i 75 anni, come mostrano i dati di Passi d’Argento (sulle persone ultra65enni) perché l’indice di massa corporea è soggetto a variazioni correlate a fattori biologici e patologici, per cui dopo questa età aumenta progressivamente la quota di persone che perdono peso indipendentemente dalla loro volontà. Così se l’eccesso ponderale riguarda il 27% dei 18-34enni sale progressivamente al 53% dopo i 50 anni e raggiunge il 58% fra i 65-74enni, per ridursi progressivamente dopo i 75 anni fino al 46% fra le persone over 85enni. 

Sanità e monitoraggio dei Lea: promosse le cure in ospedale

Ma per il Ministero della Salute bisogna lavorare sul fronte della prevenzione

Bene le cure in ospedale, ancora difficoltà per due aree cruciali come la prevenzione e l’assistenza sul territorio. È questo, in sintesi, il quadro della sanità pubblica italiana in base agli ultimi risultati, relativi al 2023, elaborati dal Ministero della Salute – attraverso il Nuovo sistema di garanzia – che monitora qualità e quantità dei Lea, i Livelli essenziali di assistenza e cioè le prestazioni che il Servizio Sanitario Nazionale è chiamato a erogare in modo gratuito e omogeneo da nord a sud del Paese.  

Detto in altre parole, le persone ricoverate ricevono interventi sempre più appropriati e tempestivi dall’ictus ai tumori ma su temi cruciali per la salute come vaccinazioni, screening oncologici, stili di vita così come sull’uso di antibiotici, assistenza a domicilio, cure palliative, assistenza alle persone non autosufficienti o i tempi di arrivo di un’ambulanza dalla chiamata, c’è ancora strada da fare.  

Insomma, il Servizio Sanitario Nazionale mantiene le proprie caratteristiche uniche al mondo di universalità, ma – come più volte sottolineato – deve affrontare sfide sempre più probanti in termini di invecchiamento della popolazione, con relativo aumento delle cronicità e di ristrettezze di bilancio: dinamiche che da una parte evidenziano la necessità di una prevenzione primaria sempre più attenta da parte delle cittadine e dei cittadini e dall’altra parte inducono a una riflessione sul ruolo della sanità integrativa, come elemento di sostegno all’imprescindibile pilastro pubblico. 

Il report: ancora strada da fare nell’assistenza sul territorio  

Altro elemento che emerge dall’analisi del Ministero della Salute è la differenziazione, a livello di performance sanitarie, tra le varie Regioni. La classifica vede infatti primeggiare Veneto, Toscana, Trento ed Emilia Romagna mentre in coda navigano Calabria, Valle d’Aosta, Sicilia e Abruzzo. In particolare, l’esame dei 24 indicatori “core”, cioè determinanti ai fini del punteggio assegnato a ogni Regione per ciascuna area – appunto ospedale, prevenzione e distretto – fotografa tra 2019 e 2023 un trend di miglioramento soltanto per gli ospedali la cui performance pesa per il 50% sull’intera assistenza. Dall’altra parte, si registra il peggioramento continuo per l’area della Sanità territoriale (distretto) e per le attività di prevenzione.  

Complessivamente sono 13 le Regioni che raggiungono la sufficienza con un punteggio superiore a 60 in una scala da zero a cento in ciascuna delle tre macro aree: Piemonte, Lombardia, Provincia Autonoma di Trento, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Campania, Puglia e Sardegna. Tra queste spiccano le performance delle “top” che riescono quindi non solo a erogare i Lea alle persone ma anche ad attrarre un flusso di pazienti con la valigia che si traduce in un saldo di mobilità sanitaria calcolato in circa 5 miliardi. Dall’altra parte, ben otto sono le Regioni “sotto-soglia” in almeno una o due aree: Valle d’Aosta su ospedale (unica Regione ad avere un’insufficienza per le cure in corsia) e distretto, mentre Abruzzo, Calabria e Sicilia sono insufficienti su prevenzione e distretto. 

Morbillo, casi in aumento anche per l’Italia

Focolai in Usa e record di contagi negli ultimi 25 anni in Europa. La Società Italiana di Pediatria:  “L’unico strumento sicuro di prevenzione, anche delle complicanze, è il vaccino” 

Il morbillo torna a rialzare la testa a livello globale. In Usa sono stati registrati infatti focolai e due decessi, in Europa il record di casi (nel 2024) da 25 anni a questa parte, in Italia si sono verificati 1000 contagi (tra febbraio 2024 e gennaio 2025). Numeri che preoccupano le persone esperte, se a questo si aggiunge un leggero calo delle coperture delle vaccinazioni raccomandate nei primi anni di età, certificato dai dati 2023 del Ministero della Salute.

Per questo, anche le pediatre e i pediatri della Società italiana di pediatria (Sip) nelle scorse settimane sono scesi in campo per smentire alcune delle fake news circolate e per fare il punto della situazione. Il punto di partenza: L’unico strumento sicuro ed efficace per prevenire il morbillo e le sue complicazioni è la vaccinazione. Le evidenze scientifiche sono chiare: è una malattia grave e altamente contagiosa. Teorie come quella che una corretta alimentazione o lassunzione di vitamina A possano sostituire il vaccino sono scientificamente infondate”.

I dati parlano chiaro. Secondo il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, tra febbraio 2024 e gennaio 2025 sono stati registrati 32.265 casi di morbillo nei Paesi dellUnione europea. LItalia è tra le nazioni più colpite, con 1.097 contagi, seconda solo alla Romania (27.568). L86% dei casi riguarda bambine e bambini non vaccinati. I dati diffusi dallIstituto Superiore di Sanità registrano (dal primo gennaio 2025 al 28 febbraio 2025) 127 casi di morbillo in Italia, oltre il 90% ha riguardato bambine e bambini non vaccinati, il 7% coloro che hanno effettuato una sola dose di vaccino.

“Cancro al seno, la diagnosi precoce è fondamentale”

Per le donne la parola chiave è serenità: se diagnosticato in tempo il tumore è risolvibile 

di Chiara Pistolese, Professoressa associata di Radiodiagnostica all’Università di Roma Tor Vergata e Responsabile U.O.S Senologia interventistica al Policlinico Tor Vergata 

La parola chiave è “serenità” e vorrei far arrivare un messaggio di speranza a tutte le donne focalizzandomi su uno degli aspetti più importanti per affrontare il cancro al seno: la prevenzione. La diagnosi precoce, infatti, è la vera prevenzione di questa neoplasia: negli ultimi anni sono proprio le diagnosi tempestive che hanno consentito di ridurre significativamente il tasso di mortalità. Per questo il focus è “serenità”, perché il carcinoma alla mammella è risolvibile, se diagnosticato in tempo. Le donne non devono avere timore, ogni caso e ogni storia sono diversi: se è presente qualcosa che non va è meglio scoprirlo subito, perché solo così non diventa un problema. Talvolta, infatti, si può agire anche in regime ambulatoriale per risolvere la situazione.    

Mi occupo di diagnostica e interventistica senologica da tanti anni e lo faccio con grande passione. Come donna so cosa significa sottoporsi a una mammografia e a un’ecografia: serve grande sensibilità perché questi tipi di controlli fanno paura alla maggior parte delle donne. È importante rivolgersi a centri altamente qualificati dove operano figure professionali specializzate e dedicate alla senologia con l’ausilio di apparecchiature e tecnologie di ultima generazione, fondamentali nell’individuare e interpretare piccole modificazioni appena si manifestano. La costante presenza di medici assicura il corretto e completo svolgimento degli esami arrivando quando necessario a una diagnosi nel minor tempo possibile al fine di garantire l’approccio terapeutico più adeguato. Parliamo, infatti, di un tumore subdolo, che non dà sintomi nella maggior parte dei casi. Da un controllo annuale potrebbe arrivare una risposta inaspettata ma, ad oggi, sappiamo che questo è l’unico modo per diagnosticare le lesioni quando sono ancora molto piccole, quando abbiamo, dunque, i mezzi terapeutici per aggredirle e guarire. 

Secondo le ultime statistiche AIRC, nel 2024 in Italia, escludendo i carcinomi della cute non melanomi, i tumori in assoluto più frequenti sarebbero quelli della mammella (53.686 casi circa) e rappresentano una delle cause di morte più frequenti. Sappiamo bene che per prevenire qualsiasi tipo di cancro, adottare stili di vita corretti svolge un ruolo cruciale. Tuttavia, per il tumore al seno il valore dello screening, inteso come esecuzione di controlli strumentali periodici, è fondamentale e determinante per sconfiggere questa neoplasia. 

Numerosi fattori influenzano la sopravvivenza per tumore della mammella: lo stadio della lesione al momento della diagnosi, il grado istologico del tumore, lo stato dei recettori ormonali e altri parametri biologici. I progressi scientifici, intesi sia in termini di avanzamento delle terapie oncologiche sia di nuove metodiche di imaging che consentono diagnosi tempestive e accurate, hanno significativamente incrementato la sopravvivenza nelle donne affette da questa patologia. Dai dati riportati in letteratura, la sopravvivenza a cinque anni per donne con diagnosi di carcinoma mammario diagnosticato al I° stadio – ovvero quando vengono riscontrati agli esami diagnostici lesioni con dimensioni inferiori ai 2 cm, senza interessamento linfonodale né secondario a distanza – arriva quasi al 100%, ma si riduce al 26% per le pazienti che hanno ricevuto la diagnosi al IV° stadio, quando il tumore si è già diffuso ad altri organi (ossa, fegato, polmoni). 

Per quanto riguarda le tipologie di controlli mi preme sottolineare come essi vadano iniziati dai 40 anni; tra le indagini convenzionali, la mammografia va sempre associata a un’ecografia. I due esami, infatti, sono complementari e devono essere effettuati contestualmente, non a mesi di distanza: solo così possono dare una visione globale della situazione. Gli esami poi vanno ripetuti con cadenza annuale o secondo le indicazioni che i medici daranno alla paziente. La mia testimonianza come esperta è tesa a far comprendere alle donne che non bisogna avere timore e che sottoporsi a controlli periodici è l’unico strumento a propria disposizione per vincere questa patologia.  

 

Chiara Pistolese  

Medico chirurgo specialista in Diagnostica per immagini, è Responsabile U.O.S Senologia interventistica al Policlinico Tor Vergata e Professoressa associata di Radiodiagnostica all’Università di Roma Tor Vergata. è, inoltre, Direttrice del Master universitario II livello “Tecniche avanzate di interventistica senologica” e del Master universitario I livello “Ruolo del tecnico di radiologia in diagnostica e interventistica senologica” ed esercita attività privata di diagnostica e interventistica senologica presso la Clinica Ars Biomedica a Roma. 

Nasce l’Ecosistema Dati Sanitari: svolta per l’Italia

È stato istituito con decreto del Ministero della Salute e sarà operativo entro il 2026. Potrà raccogliere i dati in maniera centralizzata e migliorare la qualità del Servizio Sanitario Nazionale

Un sistema digitale innovativo e sicuro per la raccolta e l’analisi dei dati sanitari che offrirà servizi evoluti e innovativi soprattutto per pazienti e professionisti sanitari. E, soprattutto, permetterà di migliorare prevenzione, diagnosi, cura, riabilitazione e profilassi internazionale e di rendere più vicine alle esigenze dei pazienti le attività di ricerca, programmazione e governo della salute pubblica da parte delle Istituzioni.   

L’Ecosistema Dati Sanitari (EDS) è stato istituito con il Decreto 31 dicembre 2024 del Ministro della Salute, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze e con il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega all’innovazione tecnologica e i suoi servizi saranno pienamente operativi entro il 2026. Con la pubblicazione del Decreto in Gazzetta Ufficiale del 5 marzo 2025, l’EDS potrà prendere forma grazie alla collaborazione del Ministero della Salute con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Dipartimento per la trasformazione digitale e il supporto dell’Agenzia per i servizi sanitari regionali.   

L’Ecosistema potrebbe rappresentare una svolta perché interagisce con altri strumenti di sanità digitale quali il Fascicolo Sanitario Elettronico, il Sistema Tessera Sanitaria e l’Anagrafe Nazionale Assistititi (quando quest’ultima diverrà operativa), per raccogliere dati in maniera centralizzata e migliorare la qualità dell’assistenza sanitaria. 

Ciò innanzitutto a vantaggio di cittadine e cittadini: l’EDS prevede appositi servizi di consultazione dei propri dati di sintesi, consentendo di visualizzare le informazioni relative al proprio quadro clinico, filtrare le informazioni su base temporale o su uno o più ambiti clinici e di accedere rapidamente a informazioni importanti per la propria salute. Al tempo stesso lo stesso EDS consente di visualizzare l’andamento dei propri dati, relativi a parametri clinici e vitali e valori basati su dati relativi a eventi clinici, indicando il relativo valore soglia e il suo eventuale superamento o valore di interesse. Questo potrà essere molto importante soprattutto per le persone malate croniche. 

Servizi aggiuntivi previsti anche per medici e personale sanitario, che – previo consenso della persona assistita – potranno consultare i dati di sintesi e visualizzare le informazioni relative al suo quadro clinico; filtrare le informazioni su base temporale o su uno o più ambiti clinici e accedere rapidamente a informazioni importanti; consultare dati provenienti da eventi di ricovero e accessi di pronto soccorso. L’EDS inoltre mette anche a disposizione dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta un apposito servizio di supporto alla compilazione del “profilo sanitario sintetico” della persona assistita insieme al “dossier farmaceutico” per monitorare aderenza alla terapia del paziente ed efficacia delle prescrizioni. 

Va infine ricordato che i dati dell’EDS sono blindati, il sistema rispetta gli standard di sicurezza previsti dal regolamento generale sulla protezione dei dati personali GDPR (UE n. 2016/679) utilizzando rigide misure di sicurezza per la protezione dei dati, conformi alla normativa in materia di cybersicurezza. 

Inquinamento, i legami con le malattie cardiovascolari

Li evidenzia uno studio elaborato dall’Alleanza italiana per le malattie cardio-cerebro-vascolari, anche se l’Italia per il momento non è tra i Paesi più a rischio 

L’inquinamento dell’aria costituisce un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari molto importante, ma che finora non è stato sufficientemente preso in considerazione sia nelle principali linee guida internazionali sulla prevenzione cardiovascolare, sia nei programmi sviluppati al fine di ridurre le malattie cardiovascolari e le loro pesanti conseguenze sulla salute pubblica e sui servizi sanitari. è questo, in estrema sintesi, il messaggio dello studio “Inquinamento dell’aria e malattie cardiovascolari”, elaborato dall’Alleanza italiana per le malattie cardio-cerebrovascolari, patto volontario sottoscritto tra Ministero della Salute, Società scientifiche, Associazioni dei pazienti e altri Enti operanti nel settore per la prevenzione e il contrasto delle patologie cardio e cerebrovascolari.

Il documento ha analizzato gli aspetti principali delle relazioni tra inquinamento dell’aria e malattie cardio-vascolari alla luce delle più recenti acquisizioni sui principali meccanismi che collegano l’inquinamento stesso al danno cardio-vascolare, fornendo al contempo suggerimenti per mitigare il rischio cardio-vascolare e ridurre i correlati eventi patologici nonché informazioni per accrescere la consapevolezza delle cittadine e dei cittadini, delle operatrici e degli operatori sanitari e dei decisori politici sulla tematica. 

Sebbene il nostro Paese non figuri tra quelli con i maggiori livelli di eventi cardiovascolari legati all’inquinamento dell’aria, è necessario affrontare il problema. Infatti, un’indagine del Global Burden of Diseases ha stimato a livello globale circa 9 milioni di morti attribuibili agli effetti della air pollution, di cui circa il 60% riconducibili a cause di morte cardiovascolare (circa 32% cardiopatia ischemica e 28% ictus), anche in considerazione delle stime crescenti di inquinamento riportate soprattutto in alcune aree geografiche e alle modifiche climatiche che possono rappresentare un fattore determinante dell’accumulo di sostanze inquinanti nell’ambiente. In altre parole, l’inquinamento dell’aria va oltre la semplice questione sanitaria ed è un problema complesso che richiede una risposta multifattoriale.  

La comprensione dei suoi impatti socioeconomici è essenziale per sviluppare politiche efficaci di mitigazione e adattamento, promuovere uno sviluppo sostenibile e proteggere la salute e il benessere delle generazioni presenti e future. 

Nel 2023 il 90% dei parti nel pubblico, il 30% con il cesareo

Sono i numeri che emergono dal Rapporto sull’evento nascita in Italia, realizzato dall’Ufficio di Statistica del Ministero della Salute e relativo al 2023 

 

Il 90,1% dei parti è avvenuto negli Istituti di cura pubblici ed equiparati, circa il 20,1% delle madri sono di cittadinanza non italiana, l’età media delle mamme è di 33,2 anni per le italiane mentre scende a 31,2 anni per le cittadine straniere; il ricorso al taglio cesareo si attesta al 30,3%.  Sono i principali numeri che emergono dal Rapporto sull’evento nascita in Italia, realizzato dall’Ufficio di Statistica del Ministero della Salute e relativo al 2023. 

La rilevazione costituisce a livello nazionale la più ricca fonte di informazioni sanitarie, epidemiologiche e socio-demografiche relative all’evento nascita e rappresenta uno strumento essenziale per la programmazione sanitaria nazionale e regionale, con un livello di copertura pressoché totale. Dai dati emerge anche che, tra le donne che hanno partorito nel 2023, il 42,4% ha una scolarità medio-alta, il 22% medio bassa ed il 35,6% ha conseguito la laurea; tra le straniere prevale invece una scolarità medio bassa (41,2%). 

L’analisi della condizione professionale evidenzia invece che il 60,1% delle madri ha un’occupazione lavorativa, il 23,7% sono casalinghe e il 14,2% sono disoccupate o in cerca di prima occupazione. La condizione professionale delle straniere che hanno partorito nel 2023 è per il 50,1% quella di casalinga a fronte del 67,9% delle donne italiane che hanno invece un’occupazione lavorativa. Infine nel 92,9% delle gravidanze il numero di visite ostetriche effettuate è superiore a quattro mentre nel 76,7% delle gravidanze si effettuano più di tre ecografie. 

Epilessia, oltre 500mila casi in Italia. Come curare e superare la malattia

Celebrata la giornata internazionale per una patologia che causa anche discriminazione sociale 

Oltre 50 milioni di casi nel mondo, 6 milioni in Europa e più di 500mila in Italia. Sono questi i principali numeri dell’epilessia, una delle malattie neurologiche più diffuse che, nei Paesi industrializzati, coinvolge circa 1 persona su 100. Anche per questo, lo scorso 10 febbraio, è stata celebrata la Giornata Internazionale per l’epilessia, il cui obiettivo è, tra gli altri, sensibilizzare l’opinione pubblica su questa patologia: una sua più corretta conoscenza, infatti, è il modo migliore per abbattere i pregiudizi e le discriminazioni che purtroppo persistono in vari ambiti.  

Epilessia, origine e sintomi 

Ma che cosa è l’epilessia esattamente? Si tratta di un disturbo del sistema nervoso centrale caratterizzato da scariche abnormi da parte delle cellule cerebrali che inducono alterazioni di co 

scienza e vigilanza fino alle convulsioni con perdita di coscienza. Questa patologia, riconosciuta nel 1956 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come “malattia sociale”, può insorgere in forme diverse: per questo sarebbe più corretto parlare di epilessie. Può presentarsi a qualsiasi età, anche se statisticamente è più probabile che i primi segnali inizino a manifestarsi durante l’infanzia, l’adolescenza o negli individui di età superiore a 75 anni.  

I sintomi tipici sono le cosiddette crisi epilettiche, fenomeni clinici molto eterogenei che si presentano in modo improvviso e transitorio e sono caratterizzati da manifestazioni molto variegate: motorie, sensoriali, mentali, durante le quali il soggetto colpito può avere o meno un’alterazione della consapevolezza. Rappresentano quindi un rischio per l’integrità fisica della persona oltre a compromettere il normale svolgimento delle attività quotidiane. 

Le possibili cure 

Qui entrano in gioco le terapie. Il primo approccio alla cura dell’epilessia è di tipo farmacologico, basato quindi sull’utilizzo di farmaci specifici (anticrisi) che ad oggi hanno raggiunto buoni risultati con un 70% delle pazienti e dei pazienti che risponde positivamente alla terapia. Esiste poi una percentuale di persone farmacoresistenti: per loro vengono prese in considerazione altre modalità di cura come il trattamento chirurgico (chirurgia dell’epilessia) – utilizzato tipicamente nell’epilessia temporale – che può portare alla guarigione in più del 90% dei casi. Non tutti, però, possono essere operati. Occorre infatti definire la zona di origine delle crisi e, una volta individuata, valutare la possibilità di procedere con la chirurgia. Talvolta l’area dove ha origine la crisi costituisce un’area importante e insostituibile del cervello e questo non consente di procedere all’asportazione chirurgica di quel gruppo di neuroni che dà origine all’epilessia. 

L’aspetto sociale: il nodo adolescenti 

Sensibilizzare i cittadini rispetto all’epilessia è fondamentale perché la malattia presenta un aspetto sociale molto rilevante: spesso si associa a una sindrome ansioso-depressiva dovuta all’incertezza di non sapere quando, ad esempio, si potrà verificare una crisi. Non solo. Le crisi epilettiche sono sì pericolose per il loro potenziale impatto fisico, come cadute e lesioni, ma intaccano anche le capacità cognitive, la memoria e le funzioni psicologiche. Spesso le persone epilettiche si nascondono, per paura delle conseguenze della loro patologia, anche nel mondo del lavoro. Per chi si ammala, fra i momenti più delicati c’è il passaggio dalle cure pediatriche a quelle dell’adulto. L’epilessia ha, del resto, un impatto spesso molto difficile nella realtà quotidiana e sulla vita emotiva e sociale delle persone più giovani: è difficile conciliare le esigenze delle adolescenti e degli adolescenti e la loro voglia di indipendenza con una malattia così complessa. Non stupisce così che, in Italia, su circa 50 mila teenager che soffrono di questa malattia quasi il 20% abbia sviluppato sintomi depressivi. 

Un disegno di legge per l’epilessia 

In occasione della Giornata internazionale per l’epilessia, l’Associazione italiana contro 

l’epilessia (Aice) ha lanciato un appello ai Ministri della Salute e della Disabilità – Orazio Schillaci e Alessandra Locatelli – e al sottosegretario all’Economia Federico Freni affinché venga consegnata subito la relazione tecnica richiesta a giugno dal Senato per poter procedere alla approvazione del Disegno di Legge 898, promosso da Aice, per la piena cittadinanza delle persone con epilessia. L’obiettivo, è “far uscire tante persone da una condizione di clandestinità, avendo queste pieni diritti, come tutti, a partire dal lavoro”. L’indice di disoccupazione tra le persone con epilessia, secondo le stime Aice, supera, infatti, il 60%. Con il ddl si prevedono, tra l’altro, una certificazione che dichiara guarite dall’epilessia anche le persone adulte dopo un certo numero di anni senza crisi in assenza di terapia e una modifica dei requisiti per il riconoscimento dell’idoneità alla guida riducendo da dieci a cinque anni il tempo necessario in cui non si devono manifestare crisi. 

Come soccorrere una persona durante una crisi 

Come agire quando ci si trova a soccorrere una persona colpita da crisi epilettica? Innanzitutto, bisogna restare calmi. In secondo luogo, gli esperti consigliano di posizionare sotto al capo del paziente qualcosa di morbido per evitare che si faccia male o che si procuri, nel peggiore dei casi, un trauma cranico. Se le condizioni lo consentono è sempre bene girare la persona sul fianco per far defluire meglio i liquidi dalla bocca ed evitare che la lingua vada all’indietro. È altrettanto importante non inserire oggetti nella bocca poiché, se si verifica una crisi, il paziente tende a stringerla e – una sua forzatura – potrebbe essere pericolosa, sia per l’articolazione mandibolare del paziente stesso, sia per le persone che intervengono. La cosa fondamentale, però, è non costringere, fermare o bloccare una persona, ma vigilare su di essa affinché non si faccia male e offrire il proprio aiuto quando la crisi finisce. Nel caso in cui la crisi durasse più di cinque minuti è importante chiamare subito un’ambulanza. 

Le varie forme della patologia: generalizzata e focale 

L’epilessia è molto varia nelle pazienti e nei pazienti e la prima distinzione da fare è quella tra forme generalizzate e forme focali. Le forme generalizzate coinvolgono fin dall’inizio entrambi gli emisferi cerebrali e sono caratterizzate da quelle che chiamiamo crisi di assenza, tipiche soprattutto dell’età infantile. Esistono poi crisi epilettiche generalizzate, più intense, chiamate tonico-cloniche in cui la persona perde conoscenza improvvisamente e può cadere anche a terra con successive scosse in tutto il corpo. Alla crisi di solito segue un periodo di confusione particolarmente lungo. 

Le crisi focali, invece, sono più comuni nell’età adulta e iniziano in una zona circoscritta del cervello e in alcuni casi si propagano ad altre aree cerebrali. Possono essere sintomatiche o non sintomatiche. Nella maggior parte dei casi le crisi si verificano all’improvviso, ma in altri vengono preavvertite dal soggetto sottoforma di sensazioni particolari. Di solito le persone colpite perdono consapevolezza, ma spesso non si verifica un completo blocco motorio e psichico e il corpo continua a muoversi con automatismi. Questo fenomeno può terminare con una fase post-critica breve oppure può complicarsi evolvendo in una crisi tonico-clonica bilaterale simile alla forma di epilessia generalizzata. 

“Sicurezza e parità di genere, un bene per l’azienda”

L’esperta Poma: Fanno evolvere la mentalità e spingono verso una cultura del cambiamento” 

Le norme sulla sicurezza sono un bene per tutto il personale, devono aiutare le risorse e le aziende a evolvere la propria mentalità, rappresentando un perno che spinge verso una cultura del cambiamento innovativo e propositivo”. Ne è convinta Antonella Poma, che da oltre 20 anni è Responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSSP) per molte aziende e che dal 2010 segue anche Assidai e altre realtà del Sistema Federmanager. 

In cosa consiste il suo ruolo e perché la sua è una figura di primaria importanza nelle realtà lavorative? 

È principalmente un ruolo di consulenza a supporto dell’azienda a garanzia di luoghi di lavoro conformi al D.Lgs. 81/08, ma nel tempo ho compreso che questa figura deve essere qualcosa di più. Per questo le mie competenze, inizialmente solo di tipo tecnico e ingegneristico, si sono evolute nella formazione e conoscenza di tematiche quali le neuroscienze, la gestione dei comportamenti e il coaching. Dietro a un infortunio o a una malattia professionale, c’è una persona con i suoi pensieri, le sue emozioni, le sue azioni. Le norme sulla sicurezza non devono essere perseguite da lavoratrici e lavoratori solo per rispettare le leggi, ma perché se ne comprende il valore sociale.  

Recentemente, Lei, ha erogato un importante corso di formazione al personale Assidai sul tema della violenza e delle molestie. Perché un corso di questo tipo?

Il corso nasce da una richiesta di Assidai che in modo volontario e innovativo lo scorso anno ha ottenuto la certificazione UNI PdR 125:2022 Prassi di riferimento per la parità di genere per il seguente campo di applicazione Misure per garantire la parità di genere nel contesto lavorativo per: erogazione del servizio di rimborsi spese mediche e assistenziali per dirigenti, quadri e consulenti”. In tale contesto è stata approvata e pubblicata da parte del Fondo la politica anti-molestie e anti-discriminazioni per sottolineare l’impegno nel sostenere un ambiente di lavoro privo di qualsiasi forma di molestia, violenza, discriminazione diretta e indiretta e per ribadire il divieto circa qualsiasi atto di cui sopra che leda la dignità umana e comprometta la fiducia, la motivazione, le prestazioni, il clima organizzativo e la reputazione del Fondo di assistenza sanitaria. Come RSPP è stato fondamentale effettuare una specifica formazione in merito, strutturata in due moduli: uno per lo Sviluppo Prevenzionistico per l’eliminazione delle Violenze e Molestie nei luoghi di Lavoro” e l’altro su Organizzazione e Percezione del Rischio nella Gestione degli eventi avversi”.  

Quali sono stati gli aspetti centrali del corso effettuato? Come dovrebbero essere gestiti eventuali conflitti o situazioni di discriminazione che possono sorgere sul luogo di lavoro? 

Abbiamo affrontato diversi temi, tutti molto utili. Dalla parità di genere ai vantaggi di lavorare in questo specifico ambiente per arrivare alla conciliazione vita-lavoro. Un punto specifico è stato rappresentato dalla individuazione di ogni forma di abuso fisico, verbale e digitale alla luce della sicurezza nei luoghi di lavoro. Abbiamo anche esaminato la predisposizione di un piano per la prevenzione e la gestione delle molestie, l’individuazione dei fattori di rischio presenti nell’organizzazione, le possibili attività preventive e il codice di condotta. Ovviamente ci siamo occupati della gestione degli eventi avversi, tematiche molto complesse da affrontare con delicatezza ma anche con fermezza.  

A che punto sono le organizzazioni nel reale processo di inclusività? Qual è il feedback ricevuto dal management e dallo staff di Assidai sul tema della parità di genere? 

Le organizzazioni stanno facendo progressi nel percorso verso l’inclusività, ma è fondamentale che il processo sia affrontato in modo partecipativo. Un approccio efficace prevede la creazione di gruppi di lavoro, focus group e sessioni di group coaching, in cui il feedback delle persone diventi il motore per costruire una cultura condivisa del cambiamento. Il riscontro ricevuto da Assidai su questi temi evidenzia una forte volontà di intraprendere un cambiamento significativo, capace di superare vecchi schemi culturali e gettare le basi per un ambiente realmente inclusivo.  

 Quali miglioramenti possono essere introdotti per favorire l’inclusione? 

Il miglioramento passa per l’adozione di nuovi approcci e metodologie che favoriscano una cultura aziendale inclusiva. Il metodo COACH_ING che ho sperimentato prevede quattro step: 1. si focalizza la visione del cambiamento che si vuole raggiungere e le risorse necessarie; 2. si individuano in modalità partecipata le soluzioni possibili; 3. si definiscono le azioni funzionali allo scopo; 4. si definiscono le procedure da implementare.