Lo sport protegge corpo e mente nella giovane età

Secondo le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) tra i 3 e i 17 anni si dovrebbe praticare un’attività fisica di intensità moderata-vigorosa per almeno un’ora al giorno.

Le linee guida dell’OMS parlano chiaro: tra i 3 e i 17 anni si dovrebbe praticare un’attività fisica di intensità moderata-vigorosa per almeno un’ora al giorno.

Non è un caso che tutti i principali esperti indichino lo sport, insieme a una sana ed equilibrata alimentazione e a stili di vita corretti, come il grande pilastro della salute a breve e a lungo termine: tutti elementi cruciali per la prevenzione primaria e dunque per evitare l’insorgenza di malattie croniche.

I benefici in pre-adolescenza e adolescenza: da autostima a socialità

Lo sport per i più piccoli significa gioco libero, cioè allenare la coordinazione dei movimenti; per i più grandi rappresenta un’attività che avrà benefici non solo sulla salute fisica, ma anche mentale.

In particolare, in pre-adolescenza e adolescenza praticare uno sport, specie se di squadra, aumenta l’autostima e migliora la gestione dei rapporti con le coetanee e i coetanei. Allo stesso tempo, può avere impatti positivi sulla qualità del sonno, oltre a tenere lontane cattive abitudini come fumo e alcol; inoltre limita l’utilizzo di smartphone e apparecchi elettronici, impegnando ragazzi e ragazze in un’attività che li porta a relazionarsi con il mondo reale, ponendo anche sfide funzionali a quanto dovranno affrontare un giorno in ambito sociale e lavorativo.

Praticare sport in giovane età può proteggere da dipendenze e isolamento ma, perché abbia un impatto significativo, deve essere iniziato già nell’infanzia, cioè quando si adottano abitudini destinate poi a radicarsi in ciascuno di noi.

In tutto ciò, la situazione in Italia non è confortante, visto che il nostro Paese – sempre secondo l’OMS – è tra i primi per obesità infantile (17%) e sovrappeso nei bambini fra i 7 e i 9 anni (39%).

Tra quest’ultimo il 70% trascorre almeno due ore al giorno davanti a uno schermo, a scapito di un’attività motoria.

Dimagrire protegge il cuore più di una terapia

Al recente Congresso europeo di cardiologia di Madrid sono emerse forti evidenze sul legame tra il peso corporeo e le patologie cardiocircolatorie.

In particolare, dal 1999 al 2020 le morti cardiovascolari legate all’obesità sono aumentate, a livello mondiale, del 250% a causa del rischio ipertensione raddoppiato.

Uno studio dello Uk Bmc Public Health, che ha elaborato i dati del Clinical Practice Research Datalink inglese, ha preso in esame oltre 264mila pazienti da 18 anni in su che non presentavano, all’inizio dell’analisi, alcun problema cardiocircolatorio ma che avevano un indice di massa corporea che li classificava come affetti da sovrappeso o obesità. In 10 anni, il rischio di mortalità legato a cardiopatia ischemica e quello di scompenso cardiaco è aumentato tra il 44% e il 51% rispetto a soggetti di pari età ma con peso normale.

La situazione in Italia: un’emergenza che parte dall’infanzia

Un trend che fa riflettere, alla luce di altri numeri che riguardano il nostro Paese, dove le persone adulte in sovrappeso sono 25 milioni, di cui 4 sono obese.

Tra i bambini e le bambine italiane il 19% è in sovrappeso e il 9,8% è obeso o gravemente obeso. Infine, la fascia di età tra 20 e 24 anni, sempre in Italia, conta oltre il 20% di persone in eccesso di peso.

È evidente come, alla luce di queste statistiche, il rischio di un aumento prospettico delle patologie cardiocircolatorie sia significativo e, dunque, l’Italia debba investire maggiormente in prevenzione primaria, adottando stili di vita corretti e regimi alimentari equilibrati.

Scuola, come gestire lo stop ai cellulari: i consigli dell’ISS

Dall’Istituto Superiore di Sanità cinque regole per non farsi trovare impreparati e governare al meglio l’attaccamento al telefono che può portare a un suo utilizzo problematico.

Inizia il nuovo anno scolastico con una novità importante per i ragazzi e le ragazze delle scuole secondarie di secondo grado, regolata da una circolare del Ministero dell’Istruzione e del Merito: il divieto di utilizzo di smartphone durante lo svolgimento dell’attività didattica e più in generale in orario scolastico.

Dal Centro nazionale Dipendenze e Doping dell’Istituto Superiore di Sanità arrivano così alcuni consigli per non farsi trovare impreparati e gestire al meglio un attaccamento al telefono che, in alcuni casi, può comportare un vero e proprio utilizzo problematico dello stesso.

“L’uso problematico dello smartphone colpisce a livello mondiale oltre il 25% degli adolescenti, con effetti negativi su sonno, concentrazione e relazioni – sottolinea Adele Minutillo, del Centro nazionale Dipendenze e Doping dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) – con piccoli passi si può affrontare il problema. L’obiettivo non è eliminare l’uso dello smartphone, ma imparare a gestirlo con consapevolezza”.

Vademecum ISS: 5 consigli utili per le famiglie

Per questo, l’ISS ha messo a punto un vademecum con cinque consigli per favorire un uso consapevole dello smartphone che aiuta a non perdere momenti importanti.

Innanzitutto, serve imparare a conoscere i segnali di allarme, come il bisogno continuo di controllare il telefono o l’incapacità di disconnettersi.

In secondo luogo, è fondamentale iniziare il cosiddetto digital detox, ad esempio, stabilendo una “zona smartphone free” a casa condivisa con la famiglia, come la camera da letto o il tavolo da pranzo, per favorire momenti di qualità e disconnettersi gradualmente. Si inizia a piccoli passi, 30 minuti di pausa digitale al giorno, usando il tempo per altre attività piacevoli.

Terzo consiglio: dormire bene e per un numero sufficiente di ore favorisce l’apprendimento, la memorizzazione a lungo termine e la gestione delle emozioni. Per questo è meglio che tutta la famiglia (genitori compresi) tenga i dispositivi elettronici fuori dalla camera da letto o spenti almeno un’ora o due prima di andare a letto.

Le notifiche continue riducono la concentrazione e spingono a controllare lo smartphone anche quando non è necessario. Pertanto, è importante disattivarle nei momenti importanti: durante lo studio, lo sport, i pasti o quando si è con amici e famiglia, il telefono va messo in modalità silenziosa.

Infine, bisogna impostare dei limiti di tempo, stabilendo un limite massimo giornaliero per l’uso dei social e delle app di intrattenimento.

Sperimentazioni cliniche, Italia quarta in Europa

The European House Ambrosetti sottolinea: resta il divario Nord-Sud e aumenta la concorrenza di altri Paesi come la Spagna e la Francia

“Il ruolo della ricerca e dell’innovazione è cruciale per rispondere alle sfide di salute e alla sostenibilità del sistema. In Italia, abbiamo un ecosistema competitivo nelle Life Sciences, con medici e ricercatori qualificati e strutture di eccellenza. L’impegno politico e istituzionale è evidente, come dimostra la recente ricostituzione del tavolo tecnico sulla ricerca clinica. Tuttavia, assistiamo a una progressiva perdita di competitività dell’Europa in questo settore e dell’Italia stessa rispetto ad altri Stati Membri, come la Spagna, che grazie a solide infrastrutture e un quadro normativo efficace sta diventando sempre più attrattiva”.

È quanto affermano, in un intervento su 24Ore Salute (il portale della sanità del gruppo Sole 24Ore), Daniela Bianco e Giovanni Brusaporco, rispettivamente Responsabile Healthcare ed Healthcare Consultant di The European House Ambrosetti.

Sintetizzando: nelle sperimentazioni cliniche l’Italia mantiene un ruolo di rilievo in Europa, dove si posiziona al quarto posto, ma ci sono due punti su cui prestare attenzione: il persistente divario Nord-Sud che affligge il nostro Paese e l’aumentata concorrenza di altri Stati come Spagna e Francia.

I dati: focus sulla ricerca oncologica

Per quanto riguarda l’Italia, una prima analisi sui dati consolidati al maggio scorso, condotta dal think tank Meridiano Sanità di The European House – Ambrosetti, ha esaminato i trial clinici in oncologia, l’area di ricerca più attiva a livello globale.

I numeri mostrano che almeno un centro italiano partecipa al 30,3% dei 7.623 trial attivi o autorizzati nell’UE, collocando l’Italia al quarto posto dopo Spagna (39,1%), Francia (38,3%) e Germania (30,5%).

Dei 2.311 trial con partecipazione italiana, 1.050 (45,5%) riguardano l’oncologia. Coerentemente con altri report, quasi tutte le sperimentazioni oncologiche sono multicentriche (98%), coinvolgendo strutture di almeno due Regioni (86%) o estere (83%), confermando l’importanza della collaborazione.

Il divario Nord-Sud e la frammentazione delle strutture

L’attività, tuttavia, è concentrata in alcune aree: la Lombardia partecipa all’84% degli studi, seguita da Emilia Romagna (56%) e Lazio (53%).

Inoltre, l’analisi delle 131 strutture italiane coinvolte in trial oncologici evidenzia una forte frammentazione: solo 18 (14%) partecipano a più di 100 studi. Di queste, 11 si trovano nel Nord Italia e solo una nel Mezzogiorno.

Questo divario Nord-Sud – proseguono i due esperti di Ambrosetti – è un problema noto, legato a infrastrutture, investimenti in ricerca, attrattività per i professionisti e organizzazione delle reti.

Per quanto riguarda la distribuzione per patologia, il 79% degli studi (830 su 1.050) si concentra sui tumori solidi, in particolare polmone (177 studi), mammella (101) e colon-retto (64). I tumori del sangue (leucemie, linfomi, mielomi) rappresentano il restante 21% (220 su 1.050).

In linea con i dati AIFA, la maggior parte dei trial oncologici in Italia è promossa da soggetti for-profit, costituiti principalmente da aziende farmaceutiche (75,3% del totale, 791 su 1.050).

I restanti 259 (24,7%) fanno capo a soggetti no-profit, come strutture sanitarie pubbliche (54,1%), associazioni di pazienti (23,2%) e università (9,3%). I primi 20 promotori (16 for-profit e quattro no-profit) sponsorizzano complessivamente il 50% delle sperimentazioni.

L’Irccs Istituto Nazionale Tumori Pascale di Napoli, con 18 studi, è il promotore no-profit più attivo del Sud. Infine, conclude lo studio, l’analisi delle fasi sperimentali rivela che un trial su due (50,5%) si trova in Fase III. I trial di Fase I e II coprono il 47,9% del campione, mentre quelli di Fase IV sono poco più dell’1 per cento.

Cuore, l’importanza della prevenzione primaria per ridurre mortalità e cronicità

Il Prof. Pompilio (Monzino): “Fin dall’infanzia alimentazione equilibrata e attività fisica”

“Nel campo delle malattie cardiovascolari oggi abbiamo un doppio tema: mortalità e cronicità.

A lanciare l’allarme è il Professor Giulio Pompilio, cardiochirurgo e Direttore scientifico dell’IRCCS Centro Cardiologico Monzino di Milano, secondo il quale la prevenzione primaria – ovvero stili di vita salutari fin dall’infanzia, a partire da “un’alimentazione equilibrata e un’attività fisica regolare” – rappresenta oggi lo strumento “più importante” a nostra disposizione per ridurre l’incidenza delle patologie cardiovascolari, anche in un’ottica di tutela della sostenibilità nel medio e lungo periodo della sanità pubblica italiana.

world heart day

Professor Pompilio, dal 22 al 29 settembre, Giornata Mondiale del Cuore, Milano ha accolto l’ottava edizione della Heart Week promossa dal Centro Cardiologico Monzino IRCCS. Qual è il significato della vostra iniziativa in termini di prevenzione e quanto è importante sensibilizzare le persone su questo tema?

Innanzitutto ho il piacere di constatare che ogni anno e ogni edizione questa manifestazione è sempre più partecipata, lo vediamo anche dall’evento Monzino Run, dove invitiamo a correre tutte le famiglie, compresi i bambini. Questo crescente interesse è un fatto importante perché abbiamo la percezione di essere davanti a un paradosso: negli ultimi decenni la mortalità per patologie cardiovascolari è diminuita significativamente, ma ciò non toglie che resti la prima causa di morte in Italia alla quale è legato oltre il 30% dei decessi totali. In questa categoria di patologie la fanno da padrone le malattie ischemiche del cuore e cerebrovascolari, direttamente riconducibili ai fattori di rischio per lo sviluppo dell’aterosclerosi, che sono modificabili e legati agli stili di vita. A ciò si aggiunge il tema delle cronicità, sempre nel settore cardiovascolare, che riguardano non solo l’insufficienza cardiaca ma anche molte aritmie: entrambe sono un grosso driver di ospedalizzazioni.

La Heart Week è nata per promuovere la prevenzione e ha sempre mantenuto questo focus, perché?

È un tema su cui siamo stati precursori al Monzino e oggi, alla luce della situazione che ho descritto, ci crediamo ancora di più. Del resto, i problemi emergono in modo molto evidente, come evidenziato anche dal Ministro della Salute, Orazio Schillaci, che sottolinea l’importanza della prevenzione cardiovascolare, definendola chiave per ridurre l’incidenza e l’impatto delle malattie cardiache. Credo che la prevenzione sia il fattore forse più importante.

Secondo voi la protezione dalle malattie cardiovascolari deve iniziare agendo sugli stili di vita fin dall’infanzia. Perché?

Tra i bambini in età scolare il 19% è sovrappeso e il 10% è obeso; in tutto quasi un 30% di bambini con problemi di peso. È un dato preoccupante, che non crea subito nocumento ai piccoli, ma li predispone alle cronicità, introducendo fattori di rischio che pagheranno in età adulta. Per questo vanno corretti da subito, per un motivo culturale innanzitutto. Senza contare che i bambini in età scolare passano in media due ore al giorno davanti a uno schermo, al di là di quanto necessario per esigenze scolastiche. Per questo chiediamo alle famiglie di portare anche i bambini alla Monzino Run.

Quali sono i principali fattori di prevenzione primaria per evitare l’insorgere di patologie cardiocircolatorie?

La cosa più importante è lo stile di vita e in particolare il tema più urgente è l’esercizio fisico, oltre ovviamente alla dieta mediterranea e all’astensione da alcol e fumo. Insistiamo molto sulla lotta alla sedentarietà, perché l’attività fisica è l’unica medicina che si prende con piacere e agisce a tanti livelli, contro l’ipertensione, la glicemia, il peso eccessivo e il colesterolo. A volte demandiamo ai farmaci ciò che potremmo ottenere da soli, appunto praticando sport e seguendo una dieta sana.

Quali sono gli esami di screening consigliati e da quale età?

Noi diciamo sempre una cosa molto importante: non c’è uno screening uguale per tutti ma va tarato in base al profilo di rischio di ciascuno. C’è chi ha un rischio elevato e quindi ha bisogno di uno screening di un certo tipo, altri hanno un rischio basso e quindi bastano controlli meno invasivi. Non crediamo nei check-up uguali per tutti.

Quali sono le metodologie d’intervento per la correzione delle aritmie e fibrillazioni atriali e che ruolo giocano in questo contesto le tecniche di “ablazione cardiaca”? Queste patologie sono sempre più diffuse soprattutto tra manager, perché? Che ruolo gioca lo stress?

Il Monzino è il centro di riferimento in Italia per la cardiologia e abbiamo registrato una vera e propria epidemia di fibrillazione atriale, con un aumento della prevalenza e incidenza. Non ci sono evidenze scientifiche che i fattori psicosociali, come per esempio lo stress, sia un fattore causale di aritmia, come lo sono obesità e ipertensione, tuttavia è una variabile a cui diamo sempre più peso come correlata. Anche per questo ai pazienti, tra cui anche figure manageriali, oltre all’eventuale intervento di ablazione, oggi molto praticato, consigliamo farmaci e stili di vita adeguati, che prevedono anche una corretta gestione dello stress.

Quali sono le nuove frontiere per le cure delle patologie cardiache? E, in particolare, che ruolo possono giocare le staminali?

Veniamo da tante speranze non suffragate da un background scientifico sufficiente, che hanno ingenerato dei corto circuiti a livello medico e da una successiva disillusione profonda. Oggi le terapie mediche avanzate, come quella genica, sono sempre più in fase di sperimentazione, non con la pretesa di essere il Sacro Graal, ma per agire su problematiche molto specifiche, per esempio cardiopatie con varianti geniche note che possono essere corrette. Credo che in futuro, nel medio termine, ci sarà un’espansione del ruolo di queste terapie che già oggi si sono affacciate alla pratica clinica in cardiologia, per esempio nel trattamento delle dislipidemie.

Giulio Pompilio, cardiochirurgo, Direttore scientifico dell’IRCCS Centro Cardiologico Monzino di Milano e Professore ordinario di Cardiochirurgia all’Università degli Studi di Milano è a capo di uno dei laboratori di Medicina rigenerativa scientificamente più produttivi d’Europa, pioniere nella terapia genica per le malattie delle arterie periferiche e per la terapia cellulare e rigenerativa per la cura dell’infarto esteso e della cardiomiopatia ischemica refrattaria.

Autore di oltre 250 pubblicazioni, cofondatore di una startup biotecnologica di terapie avanzate in cardiologia è Presidente del gruppo di lavoro CARE (Cardiovascular Regenerative and Reparative Medicine) della Società Europea di Cardiologia.

La parola al Presidente

Prevenzione, ricerca e benessere dei giovani: i temi in primo piano di Welfare 24

La prevenzione come elemento chiave, anche e soprattutto per diminuire l’insorgenza di patologie cardiocircolatorie.

A dirlo – in occasione della Giornata Mondiale del Cuore – è il Direttore scientifico dell’IRCCS Centro Cardiologico Monzino di Milano, Professor Giulio Pompilio.

Una posizione pienamente condivisa da Assidai, che ha sempre individuato nell’alimentazione e nell’attività fisica regolare i principali strumenti a disposizione per contrastare le cronicità.

E anche dal recente Congresso europeo di cardiologia di Madrid arrivano conferme dell’importanza del controllo del peso per limitare le patologie cardiocircolatorie.

Su Welfare 24 ci occupiamo anche di altri temi interessanti.

A partire dalle sperimentazioni cliniche, in cui l’Italia è ancora quarta in Europa ma rischia di perdere terreno rispetto ad altri Paesi del Vecchio Continente.

Infine, due argomenti che riguardano bambine, bambini e adolescenti: la gestione degli smartphone, con i consigli dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) a fronte dello stop all’uso nelle scuole, e la necessità di far svolgere loro attività fisica per proteggere corpo e mente.

Un linguaggio inclusivo contro discriminazioni e stereotipi di genere

Il piano strategico triennale sulla certificazione per la parità di genere UNI PdR 125:2022 conseguita a marzo 2024 e rinnovata con successo quest’anno, prevedeva tra l’altro un lavoro di adeguamento del linguaggio secondo una modalità inclusiva. Assidai, quindi, ha contribuito insieme a tutte le organizzazioni del sistema Federmanager, che hanno conseguito la stessa certificazione, a realizzare apposite linee guida al fine di utilizzare un linguaggio inclusivo, internamente ed esternamente, nei vari processi di comunicazione. Non solo, Assidai ha fatto un ulteriore passo definendo specifiche linee guida proprie relative al linguaggio tecnico da usare nella comunicazione verso le persone iscritte e le potenziali tali. Statuto, Regolamento, Piani Sanitari, Manuali delle Procedure Operative sono stati modificati secondo un linguaggio inclusivo.

L’obiettivo? Scongiurare qualsiasi discriminazione e stereotipo di genere, utilizzando in ogni forma di comunicazione un linguaggio femminile, maschile e neutro che evita formulazioni che possano essere interpretate di parte, discriminatorie o degradanti, perché basate sull’errato e implicito presupposto che donne e uomini siano destinati a funzioni sociali e lavorative diverse laddove discriminazione indica l’assenza di pari opportunità e trattamento, operata in seguito a un giudizio o a una classificazione. Per stereotipo, invece, si intende un insieme rigido di credenze condivise e trasmesse socialmente sui comportamenti, il ruolo, le occupazioni, i tratti, l’apparenza fisica di una persona, in relazione alla sua appartenenza di genere. L’affermazione di un’effettiva parità di genere, del resto, passa anche da noi, dal nostro impegno quotidiano e dal linguaggio con cui comunichiamo. Ne è nata così anche una campagna di comunicazione di sistema “La parità passa da noi”, che ha visto il coinvolgimento di colleghe e colleghi con ruoli e competenze differenti.

Dal Ministero della Salute la Campagna 2025 “Proteggiamoci dal caldo”

L’Europa è la regione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che si sta scaldando più velocemente. E la mortalità da calore è in aumento, soprattutto tra le persone più fragili.

Anche quest’anno, per invitare le persone a proteggersi dal caldo il Ministero della Salute ha lanciato la campagna “Proteggiamoci dal caldo”. Dal 26 maggio, inoltre, è di nuovo attivo il Sistema nazionale di previsione e prevenzione degli effetti del caldo sulla salute ed è stata riattivata la pubblicazione dei bollettini per l’estate 2025.  I bollettini sono consultabili sul sito Ondate di calore del Ministero della Salute ed elaborati dal Dipartimento di Epidemiologia SSR Regione Lazio, con previsioni a 24, 48 e 72 ore.

L’obiettivo è prevenire i danni causati dalle elevate temperature e proteggere soprattutto i più fragili, le persone che fanno attività all’aperto e anche gli animali domestici: attraverso un’adeguata informazione, la popolazione può adottare le giuste precauzioni. La campagna fornisce così consigli utili per proteggersi dal caldo: comportamenti e misure per limitare l’esposizione alle alte temperature, facilitare il raffreddamento del corpo ed evitare la disidratazione.

Punture, vipere e altitudine: i rischi della montagna

L’abbigliamento è fondamentale: meglio indossare pantaloni lunghi, scarpe chiuse, camicia a maniche lunghe e un cappellino. Vestirsi a strati è sempre buona regola anche in estate, perché evita problemi legati agli insetti

Punture di insetti, morsi di vipera, attacchi di cuore, colpi di calore, mal di altitudine, cadute, disidratazione. Sono tanti e sempre più frequenti i pericoli quando si va in vacanza in montagna. L’abbigliamento è il punto di partenza: meglio indossare pantaloni lunghi, scarpe chiuse, camicia a maniche lunghe e un cappellino. Vestirsi a strati è sempre buona regola anche in estate, poiché aiuta a prevenire le punture di insetti come api, vespe o calabroni che possono essere pericolose, in particolare per bambine e bambini.

Il rischio peggiore è quello del morso di una vipera. Quindi è fondamentale non mettere le mani dentro ambienti e anfratti in cui questi serpenti velenosi possono nascondersi, come pietre e fogliame. Se si viene morsi la prima regola è non agitarsi, perché così si fa muovere il veleno verso le zone centrali del corpo. Per esempio, se si viene colpiti a una mano bisogna disinfettarla e fare un bendaggio non stretto che va dal gomito alla mano per ritardare il flusso del veleno e, ovviamente, chiamare subito i soccorsi.

Grande attenzione poi all’altitudine, in particolare per i cardiopatici, mentre le vette elevate sono vietate alle bimbe e ai bimbi sotto i tre anni d’età.