Dopo otto anni decollano i nuovi Livelli essenziali di assistenza (LEA)

Al via i nuovi Lea, i Livelli essenziali di assistenza che rappresentano un architrave del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) Italiano. Dunque, dopo quasi otto anni, per la precisione dal prossimo 30 dicembre, scatteranno anche le nuove tariffe per visite, esami e protesi rimborsate a ospedali e strutture private e le cittadine e i cittadini potranno cominciare a beneficiare di nuove cure a carico della sanità pubblica e quindi gratuite o dietro il pagamento di un ticket. Il pacchetto di nuovi Lea – come riferito da un puntuale articolo del Sole 24 Ore – è contenuto nel Nomenclatore che rivede le tariffe dell’attività specialistica ambulatoriale e della protesica, aggiungendo appunto (e quindi tariffandole) le nuove prestazioni. 

Che cosa sono i Lea e perché sono importanti

Partiamo dalle definizioni. Che cosa sono i Lea? Trattasi delle prestazioni e dei servizi che il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) deve fornire a tutte le persone, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di partecipazione (il cosiddetto ticket), utilizzando le risorse pubbliche raccolte attraverso la fiscalità generale. È evidente come i Lea rappresentino dunque un caposaldo della nostra sanità, praticamente unica al mondo per equità e universalità. Del resto, a tal proposito, l’articolo 32 della Costituzione italiana parla chiaro: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Tutto ciò rappresenta un punto di forza per il nostro Paese ma, in ottica futura, anche un possibile elemento di debolezza vista la dinamica di invecchiamento della popolazione e l’aumento della spesa pubblica per la sanità. Per questo, secondo le persone esperte nel settore, diventa sempre più importante affrontare la questione centrale, quanto delicata, della relazione tra il Servizio Sanitario Nazionale e i Fondi Sanitari, così come la loro regolamentazione, al fine di mantenere gli attuali standard. Una posizione fermamente condivisa da Assidai – Fondo di Assistenza Sanitaria Integrativa Dirigenti Aziende Industriali – che, in quest’ottica, essendo costituito su valori fondamentale quali la mutualità e la solidarietà, offre, fin dal 1990, il proprio contributo al sistema Federmanager e al Paese ed è a completa disposizione delle Istituzioni per portare in evidenza il proprio modello di gestione e di governance. 

Il perimetro dei nuovi Lea 

Passiamo ora alla grande novità degli ultimi giorni. Il decreto Salute-Mef – che aggiorna le tariffe dopo un calvario di proroghe e slittamenti che si protraeva dal 2017 – è stato approvato nei giorni scorsi in conferenza Stato Regioni con una dote di 550 milioni (150 milioni in più di quella iniziale). Rispetto all’ultima versione, come evidenziato dal Ministero della Salute, vengono aggiornate 1.113 tariffe sulle 3.171 che compongono il nomenclatore, ovvero il 35% del totale. Sempre dal Ministero della Salute evidenziano che “l’entrata in vigore del decreto è essenziale perché assicura su tutto il territorio nazionale la piena erogazione dei nuovi Lea superando le disomogeneità assistenziali tra le persone che potranno finalmente usufruire in ogni area del Paese di prestazioni al passo con le innovazioni medico-scientifiche”. Le nuove cure – aggiunge Il Sole 24 Ore – spaziano su vari fronti: ci sono le prestazioni di procreazione medicalmente assistita oggi garantite solo in alcune Regioni grazie a fondi propri oppure a pagamento dal privato, c’è l’inserimento di oltre un centinaio di patologie nell’elenco delle malattie rare, la diagnosi e il monitoraggio gratuito della celiachia, nuovi screening neonatali, il riconoscimento dell’endometriosi come malattia invalidante, strumenti diagnostici innovativi, diversi ausili informatici e di comunicazione per disabili compresi gli arti artificiali, ma anche esami e viste per tenere sotto controllo disturbi alimentari come bulimia e anoressia che allarmano tante famiglie. Sul fronte dei tumori c’è l’ingresso dell’adroterapia, una radioterapia innovativa che si avvale degli ioni carbonio o dei protoni o tecniche d’avanguardia come la radioterapia stereotassica o quella con braccio robotico. 

Il via libera delle Regioni è arrivato condizionato ad alcune modifiche legate alla complicata vicenda delle tariffe che ha concentrato le forti critiche di molte categorie rappresentative dei privati accreditati erogatori di prestazioni per il Servizio Sanitario Nazionale e che lamentano tagli medi fino al 30% che potrebbero far fallire tanti laboratori. Motivo per il quale oltre il 30 dicembre le Regioni hanno ottenuto che sulle prestazioni prescritte entro il 29 dicembre possano restare in vigore le tariffe vecchie per un anno, prorogabile di ulteriori 6 mesi. C’è poi una novità ancora da chiarire: la possibilità per le Regioni in equilibrio economico di usare i fondi propri per aumentare le tariffe, oltre che per garantire altri Lea.  

L’asse pubblico-privato per migliorare la sanità 

Il nodo dei nuovi Lea e delle relative tariffe chiama inevitabilmente in causa un tema molto più ampio che riguarda la sostenibilità finanziaria, presente e soprattutto futura, del Servizio Sanitario Nazionale così come è oggi, cioè unico al mondo per le caratteristiche di equità e universalità. La dinamica di invecchiamento della popolazione e il relativo aumento della spesa pubblica per la sanità, secondo gli esperti, rendono questa missione sempre più difficile, chiamando in causa una collaborazione tra pubblico e privato. Non è un caso che il Patto per la Salute 2019-2021, oltre a registrare la volontà di Governo e Regioni sull’implementazione dei nuovi Lea, affrontava anche il tema dei fondi sanitari integrativi. Sul tema, sempre Governo e Regioni avevano deciso di “istituire un gruppo di lavoro con una rappresentanza paritetica delle Regioni rispetto a quella dei Ministeri, che, entro sei mesi dalla sottoscrizione del patto”, concludesse “una proposta di provvedimento volta all’ammodernamento e alla revisione della normativa sui fondi sanitari ai sensi dell’articolo 9 del Dlgs 502/1992, e sugli altri enti e fondi aventi finalità assistenziali”. Ciò al fine di “tutelare l’appropriatezza dell’offerta assistenziale in coerenza con la normativa nazionale, di favorire la trasparenza del settore, di potenziare il sistema di vigilanza, con l‘obiettivo di aumentare l’efficienza complessiva del settore a beneficio dell’intera della popolazione e garantire un’effettiva integrazione dei fondi con il Servizio Sanitario Nazionale”, procedendo al contempo ad “un’analisi degli oneri a carico della finanza pubblica”.  

Tutto ciò, sempre nell’ottica di una maggiore integrazione tra pubblico e privato, ha portato a iniziative come l’Anagrafe dei Fondi o come il recente “cruscotto delle prestazioni”, ovvero un’iniziativa che punta a raccogliere dati sulle fasce di popolazione effettivamente coperte dal sistema di sanità integrativa e sulle modalità e livelli di accesso al sistema, ponendo le basi per l’introduzione di un codice univoco di classificazione delle prestazioni tra primo e secondo pilastro, al fine di valorizzare il rapporto funzionale che è alla base del nostro sistema sussidiario di sanità. L’obiettivo, più in generale, è avviare un sempre maggiore dialogo tra il settore pubblico e il settore privato affinché possano interagire in modo da mettere a fuoco le effettive richieste di cura della popolazione e la loro evoluzione e creare una reale sinergia che possa affrontare e risolvere i bisogni del Paese guadagnando in efficienza, diminuendo i tempi di attesa, senza perdere la qualità dei servizi offerti.   

L’Intelligenza Artificiale per la lotta a Parkinson e Alzheimer

Un algoritmo per scoprire con buon anticipo malattie degenerative come il Parkinson o l’Alzheimer. Se è vero che l’intelligenza artificiale sta già cambiando e cambierà le nostre vite, la medicina potrebbe essere uno degli ambiti in cui porterà i benefici più rilevanti e più positivi per il genere umano, soprattutto in termini di prevenzione e diagnosi precoce. Grazie ad essa – ha sottolineato in un recente intervento sul “Messaggero” Giulio Maira, Professore di Neurochirurgia all’Humanitas di Milano e Presidente della Fondazione Athena Onlus di Roma – oggi possiamo delineare un approccio avanzato alla prevenzione e al trattamento delle malattie tenendo conto non solamente dei loro caratteri evidenti, ma anche di molto altro, come fattori sociali ed economici, stili di vita, ambiente, variabilità individuale dei geni, cartelle cliniche elettroniche, database pubblici di ricerche scientifiche, e di quanto le tecnologie di oggi ci permettono di avere, per esempio i dati provenienti da smartphone o dispositivi tecnici indossabili per il monitoraggio dello stato di salute.

L’Intelligenza artificiale e le malattie neurodegenerative

Secondo le persone esperte nel campo delle malattie neurodegenerative ci sono fattori scatenanti non ancora del tutto chiari e le cui alterazioni iniziano molti anni prima della loro evidenza clinica. Cosa potrà permettere l’individuazione precoce dei soggetti a rischio? Quali sono gli interventi tempestivi per prevenire o rallentare la comparsa dei primi segni clinici? Come avverrà tutto ciò nello specifico? Secondo il Professor Maira è proprio sfruttando l’intelligenza artificiale che si potranno realizzare i “gemelli digitali”, riproducendo al computer tutti gli aspetti della malattia presenti nelle persone malate e simulando virtualmente la probabilità di successo dei vari trattamenti disponibili, tenendo ovviamente conto anche degli effetti indesiderati.

La ricerca dell’Università della Pennsylvania

A tal proposito è da citare un lavoro realizzato dalle ricercatrici e dai ricercatori dell’Università della Pennsylvania che ha applicato un programma di intelligenza artificiale all’analisi di 5mila immagini di risonanza magnetica dell’encefalo, con lo scopo di individuare anche i minimi cambiamenti provocati al cervello dallo svilupparsi di malattie neurodegenerative. Lo studio ha così permesso di individuare cinque parametri di iniziale deterioramento cerebrale che l’occhio umano non sarebbe mai stato in grado di percepire e di collegarli a stili di vista particolari o ai segni iniziali di malattie come il Parkinson o l’Alzheimer. Insomma – conclude il Professor Maira – l’intelligenza artificiale sta diventando una sorta di lente d’ingrandimento che via via permetterà ai medici di vedere con maggior dettaglio e precisione ciò che sta accadendo all’interno del corpo umano, rivelando informazioni preziose che ai medici potrebbero sfuggire.

Intelligenza artificiale e Alzheimer

In Italia, quasi 1 milione di persone sono affette dall’Alzheimer, con un impatto enorme sulle e sui pazienti e sulle loro famiglie, e un costo sociale di decine di miliardi di euro all’anno. Oltre ai noti sintomi di perdita di memoria e declino cognitivo, l’Alzheimer influenza anche le capacità motorie, il sonno e l’umore, riducendo drammaticamente la qualità della vita. Per capire il potenziale dell’intelligenza artificiale nella lotta contro l’Alzheimer, dobbiamo però prima comprendere la natura della malattia, ha sottolineato il Dott. Michele Ventruscolo, noto fisico e chimico italiano nonché professore all’Università di Cambridge, in un intervento sul sito de Il Sole 24 Ore.

L’Alzheimer è causato dalla disfunzione di certe proteine, che perdono la loro forma funzionale e si aggregano in ammassi anomali chiamati placche amiloidi. Queste placche interferiscono con il funzionamento delle cellule nervose, portando al declino cognitivo. Una delle strategie per combattere l’Alzheimer è l’identificazione di composti che possono inibire il processo di aggregazione delle proteine.

Tuttavia, questo processo di scoperta è estremamente dispendioso in tempo e risorse, e la strada è stata segnata da molteplici fallimenti. Il machine learning – una branca dell’intelligenza artificiale – ha fatto notare l’esperto, sta intervenendo in questo contesto offrendo un cambiamento di paradigma. Questo approccio permette di sostituire test sperimentali estremamente lunghi e costosi con analisi computazionali rapide e accurate. Sono stati così identificati composti in grado di colpire regioni specifiche sulla superficie degli aggregati, responsabili della loro proliferazione. Questi composti risultano essere estremamente potenti e molto più economici da sviluppare rispetto ai precedenti. Questo significa anche che è possibile lavorare in parallelo su più programmi di scoperta di farmaci, velocizzando i processi di scoperta.

Un concerto contro Parkinson e Distonia

Un’iniziativa molto importante per sensibilizzare su queste malattie si è tenuta lo scorso 12 ottobre a Prato con un concerto di Giovanni Nesi per finanziare la ricerca contro il Parkinson e la Distonia. Nesi, pianista che si trova a vivere in prima persona la sfida contro la distonia focale (che limita il controllo della mano destra), ha tenuto un recital per sola mano sinistra e il ricavato è stato interamente destinato alla Fondazione Fresco Parkinson Institute Italia per un progetto di ricerca e assistenza per la malattia di Parkinson e le Distonie. Nonostante questa difficoltà, Nesi ha continuato a brillare nel panorama musicale mondiale, esibendosi e pubblicando dischi con la sola mano sinistra, diventando così una fonte di ispirazione per molti. Il concerto di Giovanni Nesi, con musiche di Bach, Scriabin, Schumann, Bellini e Puccini, non è stato così solo un’opportunità per assistere a un’esibizione di alto livello artistico, ma anche un’occasione per sostenere una causa di grande rilevanza. Il ricavato della serata è stato interamente devoluto alla Fondazione Fresco Parkinson Institute Italia Onlus e i fondi raccolti sono stati destinati alla creazione di un percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale specifico per le Distonie e al finanziamento del primo progetto di ricerca genetica clinica rivolto alle persone con malattia di Parkinson con esordio precoce e/o familiarità e Distonie focali presso il Nuovo Ospedale Santo Stefano di Prato.

Assidai rinnova l’iscrizione all’Anagrafe dei Fondi Sanitari per il 2024

Per il quattordicesimo anno consecutivo, Assidai ha ricevuto il riconoscimento ufficiale da parte del Ministero della Salute, una conferma del nostro impegno costante verso la trasparenza e la qualità dei servizi offerti alle persone iscritte e alle loro famiglie.

Confermata l’iscrizione di Assidai all’Anagrafe del Ministero della Salute

Anche per il 2024, Assidai ha, infatti, rinnovato la propria iscrizione all’Anagrafe dei Fondi Sanitari, una certificazione rilasciata dal Ministero della Salute che attesta la trasparenza e l’affidabilità del Fondo nel settore della sanità integrativa. La certificazione, ricevuta il 21 ottobre 2024 con numero di protocollo 0021835 – 21/10/2024 – DGPROGS – DGPROGS – UFF02 – P, rappresenta un importante traguardo per il Fondo, il proseguo di un lungo percorso basato su qualità e integrità.

Quattordici anni di trasparenza e standard di qualità

Assidai è tra i pochi fondi sanitari a confermare con una tale continuità la trasparenza della gestione economica e operativa, grazie anche all’aver intrapreso scelte innovative in termini di governance.

Infatti, oltre all’iscrizione all’Anagrafe del Fondi Sanitari, il Fondo evidenzia: la certificazione del Sistema di Gestione Qualità ISO 9001:2015, la certificazione UNI PdR 125:2022 Prassi di riferimento per la parità di genere, il Codice Etico e di Comportamento, la certificazione su base volontaria del proprio bilancio.

La permanenza di Assidai nell’Anagrafe è un attestato di professionalità e affidabilità verso le persone assistite cui garantisce un’assistenza socio-sanitaria eccellente senza discriminazioni di età, senza selezione del rischio e con il massimo impegno verso la salute e il benessere.

Come si ottiene l’iscrizione all’Anagrafe e perché è importante

L’Anagrafe dei Fondi Sanitari, istituita presso il Ministero della Salute con il DM del 31 marzo 2008 e regolamentata dal DM del 27 ottobre 2009, è un registro fondamentale per tutti i fondi sanitari integrativi del Servizio Sanitario Nazionale e per gli enti, casse e società di mutuo soccorso con finalità esclusivamente assistenziale. L’iscrizione all’Anagrafe, che deve essere richiesta o rinnovata ogni anno dal legale rappresentante tra il 1° gennaio e il 31 luglio, viene rilasciata dall’Ufficio della Direzione Generale della Programmazione Sanitaria (DGPROGS) tramite il sistema telematico SIAF (Sistema Informativo Anagrafe Fondi Sanitari).

Esistono due tipologie di iscrizione:

  • Tipologia A, riservata ai fondi integrativi del SSN che forniscono prestazioni sanitarie aggiuntive a quelle incluse nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA).
  • Tipologia B, per gli enti, casse e società di mutuo soccorso che erogano sia prestazioni extra-LEA sia prestazioni LEA, come previsto dai rispettivi regolamenti.

L’iscrizione annuale, riconosciuta tramite attestato, ha una validità di un anno e permette ai fondi sanitari e alle persone iscritte di accedere alle agevolazioni fiscali previste dalla normativa vigente. Senza questo attestato, i fondi iscritti non possono beneficiare di tali vantaggi, rendendo l’iscrizione fondamentale per mantenere standard elevati di trasparenza e offrire alle persone assistite, come Assidai, un servizio sicuro e vantaggioso.

Gli animali da compagnia possono allungare la vita delle persone che se ne prendono cura?

Animali come cane, gatto, cavallo possono allungare la vita delle persone che se ne prendono cura? Secondo numerosi studi la risposta è sì. Benefici a livello cardiocircolatorio, produzione degli ormoni della felicità e riduzione dello stress, possibile alleggerimento dell’eventuale depressione, miglioramento della socialità, stimolo all’attività fisica che contribuisce alla cosiddetta prevenzione primaria. Quest’ultima – promossa da Assidai costantemente nelle campagne di comunicazione e informazione rivolte alle persone assistite e a tutti gli stakeholder – è il principale strumento a disposizione per abbassare l’incidenza delle malattie croniche, principale causa di decesso a livello globale.

Avere un animale da compagnia abbassa i rischi cardiovascolari

L’ultima ricerca, in ordine di tempo, è quella della dottoressa Caroline Kramer, che ha effettuato una metanalisi (trattasi di una tecnica clinico-statistica quantitativa che permette di combinare i dati di più studi condotti su uno stesso argomento, generando un unico dato conclusivo per rispondere a uno specifico quesito clinico) sul seguente tema: “essere proprietario di un cane e ricadute sulla sopravvivenza”. La Dottoressa Kramer, endocrinologa presso il Mount Sinai Hospital di Ontario (Canada), mettendo insieme i risultati di una decina di studi ha evidenziato una riduzione del rischio di morte del 31% nei cardiopatici che avevano un cane in casa. A tal proposito, va detto che già in passato alcune ricerche avevano evidenziato una riduzione del rischio cardiovascolare, probabilmente attraverso un abbassamento dei valori della pressione, un miglioramento del profilo lipidico e della gestione dello stress.

Anche gli esperti dell’American Heart Association fanno notare che i benefici dell’avere un cane in casa sono riassumibili in una frase: “muoviti di più e stressati di meno”. Inoltre, un cane in casa potrebbe contribuire ad alleggerire la depressione, soprattutto di chi vive da solo: basta pensare a chi ha potuto affrontare i lockdown legati al Covid-19 insieme al proprio amico canino.

In generale l’interazione con un animale domestico – come riportato anche da un recente articolo del “Messaggero” – può infatti stimolare la produzione degli ormoni della felicità (ossitocina, serotonina e dopamina), che danno una sensazione di benessere e possono contribuire a ridurre l’ormone dello stress con conseguenze positive sui livelli di pressione arteriosa e colesterolo.

Altri benefici: attività fisica e riduzione dello stress

Senza dimenticare il tema cruciale dell’attività fisica. Sempre secondo i cardiologi americani, chi possiede un animale in media ne fa molta di più, per il semplice fatto che il cane deve uscire durante il giorno per passeggiare e quindi, di fatto, le padrone e i padroni sono “costretti” a evitare la sedentarietà. Non solo: così si contrasta anche l’obesità, soprattutto nelle bambine e nei bambini. Diversi studi scientifici hanno dimostrato che le piccole e i piccoli cresciuti con un cane hanno una minore possibilità di condurre una vita sedentaria e sono più inclini a fare sport e mangiare sano.

Va anche rilevato che circa due anni fa un’altra ricerca, svolta dalla Dottoressa Jennifer Applebaum dell’Università della Florida, aveva evidenziato che vivere con un cane per più di cinque anni si associava a un rallentamento del deterioramento cognitivo negli over 65. La sociologa americana aveva rimandato ad ulteriori studi il compito di chiarire se questo fosse il risultato di un mix di incremento dell’attività fisica e di tamponamento dello stress. Sullo stesso filone vi è stata un’ulteriore ricerca condotta dall’Università di Buffalo e guidata dalla Dottoressa Karen Walker che ha svelato che l’organismo ci coloro che posseggono un cane risponde diversamente allo stress, attivando in modo migliore le difese immunitarie e riducendo la produzione di cortisolo.

L’Istituto Superiore di Sanità (ISS): “Gli animali da compagnia aiutano a placare l’ansia e supportano i soggetti deboli”

Anche gli esperti del Centro di Riferimento per le Scienze Comportamentali e la Salute Mentale (Scic) dell’Istituto Superiore di Sanità, in occasione della giornata mondiale degli animali che si celebra il 4 ottobre, hanno sottolineato come proprio gli animali da compagnia, in particolare il cane e il cavallo, “aiutano a placare ansia e stress e contribuiscono a ridurre il rischio di malattie cardiovascolari e a facilitare i rapporti sociali”, poiché “con la loro presenza al nostro fianco, sono in molti casi dei catalizzatori di calma e benessere”. “Fanno ancora di più – proseguono gli esperti – nel caso di un supporto agli anziani che si trovano nelle case di cura e ai minori vittime di abuso o bullismo e di una presa in carico nei disturbi dello spettro autistico, nelle psicosi, anche agli esordi, e nei disturbi neuromotori (malattia di Parkinson), grazie a una sorta di ‘alleanza terapeutica’ che prende il nome di pet therapy o secondo una versione tecnica più moderna di Interventi Assistiti con gli Animali (IAA)”.

Medicina forestale? Fare prevenzione camminando nel bosco

Passeggiare nei boschi per curarsi con le piante? La nuova frontiera del benessere che sta conquistando sempre più anche il mondo occidentale è la medicina forestale, una full immersion nella natura per migliorare la salute psicofisica, anche e soprattutto nel corso delle giornate di grande caldo, quando “immergersi” in una foresta consente un po’ di refrigerio. In Italia c’è anche un’associazione nazionale, la A.I.Me.F (Associazione Italiana Medicina Forestale), che forma ufficialmente esperti facilitatori per quella che, secondo diversi esperti, può essere classificata come una medicina preventiva a tutti gli effetti.

Le origini e il riconoscimento Onu

Per i sostenitori della medicina forestale, il bosco può essere una vera e propria cura e le passeggiate tra gli alberi, calpestando per esempio le foglie cadute, attraversando sentieri pieni di specie vegetali, possono avere finalità terapeutiche. In particolare, quando camminiamo in questo specifico ecosistema entriamo in contatto con sostanze emesse dalle piante che inducono nelle persone – come sostenuto da diversi studi scientifici internazionali – benessere psicofisico ed emozionale, contribuendo a rafforzare il sistema immunitario. Basti pensare che in Giappone, il cosiddetto “bagno nella foresta” viene prescritto al pari dei farmaci con relativo dosaggio. Del resto, questa terapia nasce proprio nel Sol Levante, dove negli anni Ottanta il Governo ha finanziato progetti di ricerca per studiare la possibilità di migliorare il benessere collettivo attraverso un più forte contatto con gli ambienti naturali. Anche l’Onu nel 2020 ha riconosciuto la frequentazione di ambienti forestali come una “pratica di medicina preventiva” proprio per gli effetti ad ampio spettro che produce sulla salute mentale e fisica, riconoscendo questo come altro servizio ecosistemico offerto dal bosco, utile anche come attività per la ripresa sostenibile dalla pandemia da Covid-19. Spesso, va anche rilevato che, a livello internazionale, la terapia forestale viene confusa con altre pratiche, in particolare con il Forest Bathing che invece non necessita di un medico o psicologo. In ogni caso le potenzialità della medicina forestale sono enormi se si immaginano, nel nostro Paese e nel mondo, i possibili risparmi indotti sulla spesa sanitaria e assicurativa, oltre al contributo alla sicurezza e all’incremento della produttività.

Come e quando praticare la medicina forestale

Quale dovrebbe essere dunque il “dosaggio” per la medicina forestale in Occidente? Secondo Gigliola Sigismundi, Vice Presidente A.I.Me.F – intervistata dal “Messaggero” – occorrerebbero almeno due ore al giorno o un week end al mese in natura per beneficiare degli effetti terapeutici indotti dalle piante: le vacanze sono dunque un’ottima opportunità per rimettersi in forma stando a contatto con la natura, specialmente in vista dell’inverno, che richiede spesso uno sforzo del sistema immunitario. Per essere considerata terapeutica ogni singola passeggiata dovrebbe durare tre o quattro ore, affinché facciano effetto le proprietà curative della vegetazione. Durante le escursioni, infatti, non ci si limita a camminare ma, guidati da esperti, si fanno soste di respirazione consapevole ed esperienze multisettoriali come toccare il tronco degli alberi, ascoltare il canto degli uccelli o il suono del vento tra le fronde, annusare i fiori, camminare a piedi nudi sul terreno o in ruscelli. In sintesi, secondo l’esperta, l’importante è rallentare i ritmi dello stress cittadino e riconnettersi con la natura.

Riprendere, quindi, il contatto con la natura in modo consapevole – come suggerisce la medicina forestale – è un ulteriore tassello, che si inserisce tra tutte quelle buone pratiche da attivare per poter garantire un corretto percorso in termini di prevenzione, aspetto su cui Assidai, da sempre, si fa portavoce.

Sanità, dai Lea 2022 miglioramenti e 13 Regioni promosse

Tredici Regioni promosse, sei ancora in bilico e la bocciatura della Valle d’Aosta. Con l’Emilia Romagna prima in prevenzione (punteggio di 96,1 su 100), la Toscana al top nell’area distrettuale (cure territoriali) con 96,4 e la Provincia autonoma di Trento leader con 98,3 punti nelle performance degli ospedali. Ecco la classifica riportata dall’ultimo monitoraggio dei Livelli essenziali di assistenza (Lea), ovvero le cure che il Servizio Sanitario Nazionale è tenuto a garantire da Sud a Nord del Paese. Il report è relativo al 2022 ed è stato presentato nei giorni scorso a Roma al ministero della Salute (verrà poi trasmesso al Parlamento). Si tratta di una valutazione approfondita, da leggere con la massima attenzione, anche perché è stata redatta ed elaborata utilizzando i criteri del Nuovo sistema di garanzia, un’architettura di 88 indicatori: 16 per la prevenzione e la sanità pubblica, 33 per l’assistenza distrettuale e 24 per quella ospedaliera, 4 di contesto per la stima del bisogno sanitario, 1 di equità sociale e 10 per il monitoraggio e la valutazione di 6 percorsi diagnostico-terapeutici. Quest’anno, per la prima volta dopo l’istituzione nel 2019, il nuovo sistema esce dalla sperimentazione e fa scattare – per le Regioni promosse con punteggio superiore a 60 in ciascuna delle tre macroaree – cioè prevenzione, territorio (o distretto) e ospedale – l’accesso alla quota integrativa del Fondo sanitario nazionale.

Che cosa sono i Lea 

Prima di illustrare i risultati del monitoraggio è utile ricordare che cosa sono i Lea, cioè le prestazioni e i servizi che il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) deve fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di partecipazione (il cosiddetto ticket), utilizzando le risorse pubbliche raccolte attraverso la fiscalità generale. È evidente come essi rappresentino un caposaldo della nostra sanità, praticamente unica al mondo per equità e universalità. Del resto, a tal proposito, l’articolo 32 della nostra costituzione parla chiaro: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Tutto ciò rappresenta un punto di forza per il nostro Paese ma, in ottica futura, anche un possibile elemento di debolezza vista la dinamica di invecchiamento della popolazione e l’aumento della spesa pubblica per la sanità. Per questo, secondo gli esperti, diventa sempre più importante affrontare la questione centrale, quanto delicata, della relazione tra il Servizio Sanitario Nazionale e i Fondi Sanitari, così come la loro regolamentazione, al fine di mantenere gli attuali standard. Una posizione fermamente condivisa da Assidai – Fondo di Assistenza Sanitaria Integrativa Dirigenti Aziende Industriali – che, in quest’ottica, offre dal 1990 il proprio contributo al sistema Federmanager e al Paese ed è a completa disposizione delle Istituzioni per portare in evidenza il proprio modello di gestione e di governance. 

I risultati dei Lea del monitoraggio 2022 

Torniamo ora ai risultati 2022 che evidenziano un quadro di complessivo miglioramento: raggiungono dunque la sufficienza Piemonte, Lombardia, Veneto, Provincia Autonoma di Trento, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Puglia e Basilicata. Bocciata in tutte e tre le macroaree (prevenzione, territorio e ospedale) la Valle d’Aosta. Calabria, Sicilia e Sardegna sono sottosoglia nelle aree prevenzione e distretto. Bolzano, Abruzzo e Molise vanno sotto i 60 punti nell’ambito della prevenzione. il Report mostra inoltre un’Italia in bilico su vaccini, screening oncologici e stili di vita, nonché un Paese spaccato in due tra Nord e Sud su valori come la tempestività d’intervento del 118, a fronte di un arretramento su dati sentinella come gli interventi di frattura del femore entro le 48 ore e l’uso eccessivo di antibiotici, critico in particolare in Campania e Abruzzo. Tra le zone più “grigie”, sottolinea Il Sole 24 Ore, per la prevenzione spiccano le coperture vaccinali nei bambini (al di sotto dei valori ottimali nella maggior parte delle Regioni) e la copertura delle attività di controllo degli alimenti, critica in Campania e Valle d’Aosta e in peggioramento in diverse Regioni. “Critico” al Sud l’indicatore sintetico sugli stili di vita (in lieve peggioramento medio rispetto al 2021), ma restano stabili – e non è una buona notizia perché si attestano su coperture mediamente inferiori al 50% – i tassi di copertura per gli screening oncologici con dati decisamente critici al Meridione.

“Primi miglioramenti con uscita dal Covid” 

«Nel 2022 c’è un miglioramento ed è il segno della vera uscita dal Covid – dichiara il Direttore Generale della Programmazione sanitaria Americo Cicchetti – è il primo anno in cui il sistema è realmente vigente e cogente per le Regioni e vediamo un miglioramento rispetto ai precedenti due anni in cui l’Nsg (Nuovo sistema di garanzia) era sperimentale”. Secondo Cicchetti, “c’è stato un progressivo recupero e questo vale mediamente per tutte le Regioni. Per esempio, sulla parte ospedaliera non abbiamo realtà al di sotto della soglia. Prevenzione e territorio invece sono quelli che crescono meno: del resto sull’ospedale abbiamo individuato da tempo con il Decreto ministeriale 70 degli standard molto rigidi, che anche se criticati in definitiva hanno portato a una disciplina. Laddove invece degli standard mancano, come sui vaccini per gli adulti in cui ogni Regione fa da sé, le performance calano. Sul territorio, dove gli standard sono stati fatti nel 2022 con il Decreto ministeriale 77, c’è ancora da attendere”. 

Il Ministro Schillaci: “Presto un monitoraggio più evoluto” 

Questa forma di valutazione per i Lea evolverà ancora. A prometterlo è il Ministro della Salute, Orazio Schillaci. “Il Comitato Lea aggiornerà annualmente il pacchetto di indicatori “core” che costituiscono lo strumento di punta per la premialità del finanziamento integrativo del SSN legata alla verifica dell’assistenza erogata – ha spiegato Schillaci -. A partire dal 2024 il numero di indicatori core passerà da 22 a 25 per rendere il sistema sempre più efficace e puntuale nella valutazione”. Questo perché “il Nuovo sistema di garanzia rappresenta uno strumento per verificare la capacità delle Regioni di garantire il diritto alla tutela della salute dei cittadini e per indirizzare la programmazione sanitaria, per aumentare qualità ed efficacia del SSN”. “I dati ci dicono che c’è ancora molto da lavorare sugli screening oncologici, caratterizzati ancora da alta variabilità regionale, sugli stili di vita, sui tempi d’attesa per le prestazioni ambulatoriali e sugli alti tassi di ospedalizzazioni. – ha concluso il Ministro – Su questo fronte abbiamo messo in campo misure importanti, tra cui i provvedimenti per abbattere le liste d’attesa e potenziare le reti di assistenza territoriale e ospedaliera che stiamo portando avanti nell’ambito del PNRR. Stiamo affrontando sfide che erano in sospeso da anni e lo stiamo facendo attraverso un confronto ampio e aperto con tutti gli stakeholder”. 

Melanoma del cuoio capelluto, ecco il pericolo nascosto

Una macchietta nera o più spesso di colore rosso o rosa nascosta tra i capelli non va sottovalutata. Nonostante testa e collo rappresentino solo il 9% della superficie del corpo, arrivano a ospitare infatti tra il 20% e il 30% dei casi di melanoma, un tumore della pelle molto aggressivo. Se in chi ha pochi capelli c’è una chance in più di individuarlo all’esordio, quando il melanoma è sul cuoio capelluto la prognosi è più spesso nefasta, proprio perché più difficile da individuare.

A tal proposito le statistiche parlano chiaro. Il melanoma deriva dai melanociti, le cellule del pigmento della pelle, e può diffondersi rapidamente (metastatizzare) attraverso i linfonodi o il flusso sanguigno se non viene rilevato in una fase precoce. I melanomi del cuoio capelluto sono più letali di altri melanomi. Uno studio del 2014 – sottolinea The Skin Center Foundation – ha rilevato che questo tipo di melanomi hanno un’incidenza molto più elevata di diffusione al cervello (12,7% entro cinque anni dalla diagnosi) rispetto a quelli in altre parti della testa e del collo (6,7%) o del tronco o degli arti (4,7%).

Melanoma del cuoio capelluto: perché è il più pericoloso

Perché i melanomi del cuoio capelluto sono più letali? Uno dei motivi potrebbe benissimo essere – come detto – un ritardo nella diagnosi a causa della loro posizione, in un’area solitamente nascosta dai capelli, dove non è possibile vederli senza uno sforzo (ecco perché negli anni scorsi era stata lanciata una battaglia per coinvolgere i parrucchieri e invitarli a richiamare l’attenzione dei clienti nel caso di nei o macchie sospette). Del resto, la biologia del melanoma stesso o l’ambiente del cuoio capelluto possono svolgere un ruolo. Poi c’è un altro tema, da non sottovalutare: il cuoio capelluto è ben vascolarizzato con numerosi vasi sanguigni e il drenaggio linfatico è vario e complesso, motivo per cui i melanomi in questa sede sono più aggressivi e possono diffondersi più facilmente al cervello. Uno studio del 2015 ha mostrato che i melanomi sulla testa e sul collo hanno un tasso mitotico (tasso di crescita) più veloce rispetto ai melanomi in altre parti del corpo.

A tutto ciò vanno aggiunti dei dati statistici non certo irrilevanti: il melanoma del cuoio capelluto colpisce sei volte più frequentemente gli uomini rispetto alle donne ed è più comune tra gli anziani rispetto ai giovani. In media viene diagnosticato intorno ai 65 anni, ovvero circa un decennio più tardi rispetto ai pazienti con melanoma localizzato sul tronco o sugli arti.

Il melanoma, cos’è e come riconoscerlo

Più in generale che cosa è il melanoma? Sul tema abbiamo avuto l’onore di intervistare lo scorso anno uno dei più grandi esperti mondiali, il Prof. Paolo Ascierto, e in passato un luminare come il Prof. Nicola Mozzillo, sempre esponenti di spicco dell’Istituto Nazionale Tumori IRCCS Fondazione G. Pascale di Napoli, e sappiamo che tra tutti i tipi di tumori della pelle, è quello meno diffuso ma anche il più pericoloso perché può crescere velocemente e invadere anche i tessuti circostanti, ricorda anche la Fondazione Umberto Veronesi. Il melanoma è visibile a occhio nudo e ha origine da un neo-preesistente che cambia forma o colore oppure dalla comparsa di un nuovo neo sulla cute integra. Si tratta di una neoplasia sempre maligna. Non è infatti mai possibile definire un melanoma benigno, tutt’al più si può parlare di un neo-benigno che non presenta le caratteristiche di un melanoma.

I nei appaiono come macchie scure e non sono altro che agglomerati di melanociti, le cellule dello strato più superficiale della cute (l’epidermide) che producono e accumulano melanina, il pigmento responsabile della colorazione naturale della pelle, degli occhi e dei capelli con il compito di proteggerci dagli effetti dannosi dei raggi solari. Il melanoma può insorgere più raramente anche in altre aree corporee, come l’occhio, le mucose di bocca e genitali.

I suoi principali sintomi? Le formazioni precancerose del melanoma non danno sintomi, ma possono essere individuate con un attento controllo dei nei presenti sulla pelle. Un metodo utile, e facile da ricordare, per riconoscere un neo-sospetto è la sigla ABCD che ne elenca le caratteristiche: A come asimmetria della forma, B come bordi irregolari, C come colore variabile, D come dimensioni in aumento sia in larghezza che in spessore. In genere i nei congeniti, cioè sulla nostra pelle sin dalla nascita, sono tondeggianti, hanno un colore uniforme e non subiscono trasformazioni nel tempo.

Oltre al cambiamento di aspetto, possono essere segnali di melanoma anche sanguinamento, prurito o secchezza di un neo-preesistente. Un nuovo neo può insorgere in qualsiasi area del corpo, senza che ce ne accorgiamo: la diagnosi precoce di melanoma non è semplice, è bene quindi sottoporsi a controlli periodici dal dermatologo e attuare le corrette strategie di prevenzione. Nel giro dei prossimi anni potrebbe essere disponibile un vaccino che potrebbe effettivamente rappresentare uno strumento cruciale nella lotta contro il melanoma a livello mondiale.

Assidai e la prevenzione

Proprio la prevenzione è uno dei punti fermi della strategia e della filosofia di Assidai. Anche per questo, negli anni scorsi, il fondo aveva lanciato un’importante iniziativa sul tema, identificando giugno 2019 come il mese della prevenzione del melanoma. Le persone iscritte ad Assidai avevano così potuto usufruire – gratuitamente – del pacchetto Healthy Manager, che prevedeva una visita dermatologica e la mappatura dei nei, esami fondamentali in termini di prevenzione per evidenziare eventuali patologie o lesioni tumorali della pelle. Parliamo di esami non invasivi e che non provocano alcun dolore ma che possono fare la differenza per scoprire in anticipo qualsiasi cambiamento sulla nostra pelle, un organo spesso sottovalutato ma di importanza cruciale per il nostro benessere, da proteggere e preservare con molta attenzione, soprattutto d’estate.

Giornata Mondiale del Donatore di Sangue per donare la vita

La Giornata Mondiale del Donatore di Sangue si celebra in tutto il mondo il 14 giugno, giorno della nascita di Karl Landsteiner, scopritore dei gruppi sanguigni e co-scopritore del fattore Rh. Istituito nel 2005 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, questo appuntamento nasce per sensibilizzare sull’importanza che i donatori di sangue, volontari, periodici, non retribuiti, rivestono per coloro che necessitano di trasfusioni sicure. Una ricorrenza fondamentale per fare il punto sui dati della donazione di sangue in Italia e per ricordare che, con un piccolo gesto, possiamo salvare tanti pazienti in difficoltà. Parliamo di 1800 persone ogni giorno. Per l’occasione è tornata anche per il secondo anno consecutivo “Dona vita, dona sangue”, la campagna per la donazione di sangue e plasma, promossa dal Ministero della Salute, in collaborazione con il Centro Nazionale Sangue e le principali Associazioni e Federazioni di donatori italiane (AVIS, Croce Rossa Italiana, FIDAS, FRATRES e DonatoriNati). 

Nel 2023 in Italia aumentano i donatori

Le buone notizie, quest’anno, partono dai numeri. Nel 2023, secondo i dati elaborati dal Centro Nazionale Sangue, è infatti tornato a crescere il numero dei donatori giovani. Per la prima volta da almeno dieci anni, i donatori compresi nella fascia d’età tra i 18 e i 45 anni sono aumentati di circa 7mila unità rispetto all’anno precedente. Un risultato sicuramente positivo che tuttavia rientra in una tendenza ultradecennale all’invecchiamento della popolazione dei donatori: un trend confermato dal confronto con gli anni precedenti. Nel 2023 i donatori tra 18 e 45 anni hanno rappresentato infatti il 50,7% del totale contro il 55% del 2018 solo 5 anni prima, nel 2018, tale percentuale era del 55%. A livello generale il 2023 ha segnato una lieve crescita nel numero totale dei donatori di sangue, che sono aumentati di 20mila unità rispetto al 2022. Segno più anche per il numero delle donazioni (+36mila rispetto al 2022), aumento che ha permesso di superare la soglia dei 3 milioni di donazioni in un anno. Si conferma così l’importanza della generosità della popolazione italiana dei donatori che ha garantito anche quest’anno l’autosufficienza del paese in materia di globuli rossi e la possibilità di effettuare circa 2 milioni e 837mila trasfusioni ad una media di 1.748 pazienti al giorno.  

Il ministro Schillaci: “Un gesto semplice, un impatto fortissimo” 

“Rinnoviamo anche quest’anno la campagna ‘Dona vita, dona sangue’. Dopo gli ottimi risultati dello scorso anno – ha detto il Ministro della Salute, Orazio Schillaci – nel 2023 sono aumentate le donazioni anche tra i giovani, nessuna Regione ha registrato carenza di sangue durante l’estate ed è cresciuta anche la raccolta di plasma. Sono dati che dimostrano l’importanza e la buona riuscita di queste campagne. Donare il sangue è un gesto semplice ma con un impatto fortissimo e continuiamo a incoraggiare i giovani perché c’è bisogno di un ricambio generazionale dei donatori. In questi mesi abbiamo promosso la donazione del sangue nel corso di importanti eventi sportivi nazionali e internazionali, oggi ripartiamo con un nuovo spot e attività in tutta Italia per far crescere anche nel 2024 le donazioni di sangue e plasma”. 

Come donare: ecco la procedura 

Come donare il sangue? Per farlo – si legge sul sito del Ministero della Salute – si può andare in uno dei 278 servizi trasfusionali o nei punti di raccolta ospedalieri di tutta Italia o in una delle circa 1.300 unità di raccolta allestite da un’associazione di volontari (le principali sono AVIS, Croce Rossa, Fidas e Fratres). In alternativa è comunque possibile donare il sangue in una unità mobile, le cosiddette autoemoteche, accreditate e autorizzate dalle competenti autorità regionali. 

Anche se non tutti lo richiedono, è sempre utile contattare prima la struttura e prenotare una donazione. In questo modo si potranno evitare file e lunghe attese, facilitando anche il lavoro del personale impegnato nel percorso della donazione. L’aspirante donatore, munito di un documento di identità valido, arrivato al servizio trasfusionale o all’unità di raccolta, dovrà compilare un questionario che servirà al medico selezionatore per individuare eventuali motivi di sospensione temporanea o di esclusione dalla donazione. A seguito della compilazione del questionario ci sarà un colloquio conoscitivo con il medico e, se superato, all’aspirante donatore vengono prelevati dei campioni di sangue per effettuare dei test che servono a garantire che il sangue raccolto sia sicuro e adatto per una futura trasfusione. Sui campioni di sangue vengono effettuati i seguenti esami: test HIV, epatite B, epatite C e sifilide, emocromo completo, determinazione del gruppo sanguigno e del livello di emoglobina nel sangue.  

A seconda delle politiche adottate dalla struttura scelta, il donatore, superata la selezione, procederà con una donazione immediata oppure potrà tornare a casa e sarà convocato in un secondo momento dal servizio trasfusionale o dall’unità di raccolta (donazione differita). La procedura più comune è la donazione di sangue intero: la si può fare ogni tre mesi per i maschi e le donne non in età fertile, due volte l’anno per le donne in età fertile e la procedura dura 15 minuti. Una volta raccolta una sacca, pari a 450 ml, il sangue viene scomposto nelle sue tre componenti principali (globuli rossi, plasma, piastrine), che poi verranno utilizzate separatamente. 

I requisiti per donare il sangue 

Chi può donare il sangue e quali sono i requisiti richiesti? Anche in questo caso ci viene in soccorso il sito del Ministero della Salute. La donazione di sangue è aperta a tutti i cittadini italiani e stranieri che dispongano di un documento di identità valido (alcune strutture, a seconda dei sistemi informatici adottati, potrebbero richiedere anche una tessera sanitaria). 

I requisiti fisici richiesti sono: età compresa tra i 18 e i 65 anni (la donazione di sangue intero da parte di donatori periodici di età superiore ai 65 anni fino a 70 può essere consentita previa valutazione clinica dei principali fattori di rischio correlati all’età), peso corporeo minimo di 50 chilogrammi e buono stato di salute. 

Prima di poter donare il medico dovrà verificare che vi siano altre condizioni necessarie per la donazione. Ovvero pressione arteriosa sistolica inferiore o uguale a 180 mmHg e diastolica inferiore o uguale a 100 mmHg; frequenza cardiaca regolare, compresa tra 50 e 100 battiti al minuto; livelli di emoglobina uguali o superiori a 13,5 g/dL nell’uomo e uguali o superiori a 12,5 g/dL nella donna. 

Infine, in caso di malattie presenti o passate bisogna avvertire sempre il medico selezionatore e, in caso, se e quali farmaci si assumono regolarmente come terapia. A seconda delle patologie (presenti, passate o croniche) esistono infatti dei protocolli che prevedono la possibilità di donare, ma anche l’eventuale esclusione permanente o la sospensione temporanea dalla donazione. 

A chi si può donare il sangue?

Infine, a chi si può donare il sangue: la compatibilità dei gruppi sanguigni è fondamentale. Il sistema immunitario reagisce infatti alla presenza di sangue che non riconosce come proprio mediante la produzione di anticorpi che possono legarsi a particolari antigeni. Questa reazione può causare l’agglutinazione dei globuli rossi e la loro distruzione.  

Al proposito è utile ricordare sempre questo specchietto: 

Il gruppo A può ricevere sangue dal gruppo A e dal gruppo 0. 

Il gruppo B può ricevere sangue dal gruppo B e dal gruppo 0. 

Il gruppo AB può ricevere sangue dal gruppo A, dal gruppo B, dal gruppo AB e dal gruppo 0. 

Il gruppo 0 può ricevere solo dal gruppo 0. 

I pazienti con sangue Rh+ possono ricevere sangue Rh+ e Rh-. 

I pazienti con sangue Rh- possono ricevere solo sangue Rh-. 

Tumori maschili: allarme globale sul raddoppio dei casi del cancro alla prostata

Dati allarmanti quelli che emergono da un recente rapporto pubblicato su “The Lancet”, importante rivista scientifica inglese: entro il 2040 i casi annui di tumore alla prostata nel mondo raddoppieranno passando dagli attuali 1,4 milioni a 2,9 milioni e gli aumenti più importanti si registreranno nei Paesi meno sviluppati. Il rapporto sottolinea la necessità “di mettere a punto strategie per gestire questo fenomeno” e fornisce raccomandazioni per mitigare l’impatto della neoplasia.

I numeri dei tumori e i fattori di rischio

Il tumore alla prostata – ricorda “The Lancet” – è già una delle principali cause di morte e disabilità, rappresentando il 15% di tutti i tumori maschili. È la seconda causa di decessi per cancro negli uomini del Regno Unito e la forma più comune di tumore maschile in più della metà dei Paesi del mondo. L’invecchiamento della popolazione e l’aumento dell’aspettativa di vita porteranno inevitabilmente a un aumento del numero di uomini anziani nei prossimi anni. Inoltre, secondo la rivista britannica, poiché i principali fattori di rischio per il cancro alla prostata sono l’età pari o superiore ai 50 anni e una storia familiare della malattia, l’incremento del numero di malati salirà inevitabilmente con un trend che sarà molto difficile contrastare. In realtà – come sottolineato dagli esperti e periodicamente da Assidai, il Fondo di assistenza sanitaria integrativa di emanazione Federmanager, nel costante lavoro di informazione sui propri media verso tutti gli stakeholder – su tutte le cronicità, tumori compresi, gioca un ruolo rilevante la cosiddetta prevenzione primaria. Ovvero la riduzione al minimo dei fattori di rischio legati allo stile di vita. In quest’ottica una dieta ricca di grassi saturi, l’obesità, la mancanza di esercizio fisico, il fumo e l’alcol sono solo alcune delle caratteristiche e delle abitudini poco salubri, sempre più diffuse nel mondo occidentale, che possono favorire lo sviluppo e la crescita dei tumori.

Il test del PSA

Il numero di diagnosi di tumore della prostata è aumentato progressivamente da quando, negli anni Novanta, l’esame per la misurazione del PSA (Antigene Prostatico Specifico – test importante per valutare la presenza o meno di eventuali patologie alla prostata) è stato approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) americana. Sul suo reale valore ai fini della diagnosi di un tumore, però, – sottolinea l’Airc, Fondazione per la ricerca sul cancro – il dibattito è aperto in quanto spesso i valori sono alterati per la presenza di una iperplasia benigna o di una infezione. Per questa ragione negli ultimi anni si è osservata una riduzione dell’uso di tale test. In particolare, la misurazione sierica del PSA va valutata attentamente in base all’età del paziente, la familiarità, l’esposizione a eventuali fattori di rischio e la storia clinica. La PSA altro non è che una proteina sintetizzata dalle cellule della prostata, che – se presente in valori fuori dall’ordinario – indica una problematica alla prostata stessa.

Trend crescente anche in Italia

Anche in Italia il tumore della prostata sta mostrando un trend di forte crescita. I dati più aggiornati, cioè relativi al 2023, dicono che questo cancro ha colpito l’anno scorso 41.100 uomini. Si registra un incremento di nuovi casi l’anno nell’ultimo triennio del 14%. Erano infatti “solo” 36mila nel 2020. La buona notizia è che più del 60% dei pazienti riesce a sconfiggere definitivamente il carcinoma. Numeri importanti e che evidenziano come l’innovazione sia riuscita a garantire trattamenti efficaci per tutti i malati, anche quelli interessati dalle forme più gravi del tumore. Certo, molto dipende dallo stadio in cui viene identificata la malattia. E, in questo caso, va ricordata ancora una volta l’importanza – dopo una certa età – di sottoporsi a screening e visite specialistiche periodiche: senza eccedere ma rispettando la cadenza consigliata dagli esperti.

 Screening, le nuove raccomandazioni della Ue sui tumori

Sul proprio sito il Ministero della Salute ricorda che le nuove raccomandazioni del Consiglio Europeo sugli screening oncologici raccomandano per il carcinoma della prostata, che i Paesi membri adottino un approccio graduale avviando sperimentazioni e progetti pilota mirati a valutare la fattibilità dell’attuazione di programmi organizzati di screening attraverso l’analisi del PSA per gli uomini fino a 70 anni, in combinazione con un Imaging a Risonanza Magnetica (MRI) come test di follow-up, e a reindirizzare le attività di screening opportunistico. “Al momento, in Italia nel nostro Paese l’analisi del PSA è diffusamente utilizzata nell’ambito di un’offerta opportunistica, anche in fasce di età anziane, ma lo screening per il tumore della prostata non rientra tra quelli organizzati dal Sistema Sanitario Nazionale”, conclude il Ministero della Salute.

Assidai: ottenuta la certificazione per la parità di genere UNI PdR 125:2022

Un progetto impegnativo quello della certificazione della parità di genere UNI PdR 125:2022 Prassi di riferimento per la parità di genere, che ha coinvolto attivamente il Fondo per certificarsi per il seguente campo di applicazione “Misure per garantire la parità di genere nel contesto lavorativo per: Erogazione del servizio di rimborsi spese mediche ed assistenziali per dirigenti, quadri e consulenti”.

L’iniziativa, nata come progetto di tutto il Sistema Federmanager, ha visto oltre ad Assidai il coinvolgimento di Federmanager, Federmanager Academy, Manager Solutions e Praesidium: un traguardo collettivo che evidenzia l’impegno concreto nell’affrontare le sfide legate alla valorizzazione della diversità di genere, a partire dalla promozione di modelli di leadership inclusivi.

Ma che cosa rappresenta realmente questa certificazione per Assidai? Un riconoscimento ufficiale che attesta l’impegno del Fondo verso l’uguaglianza di genere e la promozione della diversità sul luogo di lavoro creando ambienti di lavoro inclusivi, equi e rispettosi, in cui donne e uomini possano beneficiare di pari opportunità di sviluppo e crescita professionale. Inoltre, non solo risponde a principi etici fondamentali ma offre anche vantaggi tangibili all’organizzazione stessa: la certificazione, infatti, favorisce un miglioramento reale della cultura organizzativa, contribuisce alla crescita dell’organizzazione e promuove soluzioni innovative che incrementano la produttività complessiva nel medio-lungo termine.

In termini di governance la certificazione UNI PdR 125:2022 rappresenta per Assidai un ulteriore tassello che si aggiunge alla certificazione del sistema di gestione ISO 9001:2015, alla certificazione volontaria del proprio bilancio e all’iscrizione all’Anagrafe dei fondi sanitari istituita dal Ministero della Salute. L’obiettivo cui tende il Fondo dotandosi di certificazioni – seppur non richieste – è quello di continuare ad apportare significative migliorie all’interno della propria realtà e con quest’ultima attestazione è previsto un piano strategico triennale di sviluppo che vedrà il Fondo impegnato nell’implementazione di ulteriori processi innovativi e in specifici corsi di formazione per le proprie risorse.

Va detto che è ancora più importante questo step – effettuato volontariamente da Assidai e per primo rispetto ad altri fondi sanitari – perché secondo l’ultimo Rapporto globale sulla disparità di genere 2023 del World Economic Forum (WEF), il ritmo del cambiamento in termini di gender gap è stagnante a causa delle crisi convergenti che rallentano i progressi. Il Rapporto, giunto alla diciassettesima edizione, analizza l’evoluzione delle disparità basate sul genere in quattro aree: a) partecipazione economica e opportunità, b) risultati scolastici, c) salute e sopravvivenza e d) emancipazione politica, e rileva che il divario complessivo tra i sessi si è ridotto solo dello 0,3% rispetto al Rapporto 2022 e la parità è progredita solo del 4,1% dalla prima edizione del rapporto nel 2006, con un rallentamento significativo del tasso di variazione complessivo.

Per colmare il divario complessivo tra i sessi occorreranno ben 131 anni ma, al ritmo attuale, ci vorranno 169 anni per la parità economica e 162 anni per quella politica.  Analizzando i 146 Paesi indicizzati, per il 14° anno consecutivo, l’Islanda si conferma il primo Paese al mondo per uguaglianza di genere e l’unico ad aver colmato oltre il 90% del divario di genere. Sebbene nessun Paese abbia ancora raggiunto la piena parità di genere, i primi nove classificati hanno colmato almeno l’80% del loro divario (Norvegia, Finlandia, Nuova Zelanda, Svezia, Germania, Nicaragua, Namibia, Lituania e Belgio). L’Italia invece scivola dal 63esimo al 79esimo posto e a pesare sul posizionamento del nostro Paese nella classifica vi è il netto peggioramento registrato in ambito di partecipazione e rappresentanza politica delle donne. Se, poi, si prende in considerazione lo spaccato della partecipazione e delle opportunità economiche che le donne hanno nel nostro Paese si ha un lieve miglioramento dal 110° posto al 104°. Certo un dato, comunque, sconfortante nonostante il miglioramento, perché ci collochiamo nella parte bassa della classifica. Resta pressoché invariata la collocazione dell’Italia nel ranking relativo all’accesso all’educazione (siamo passati dal 59° posto al 60°), mentre è in miglioramento (seppure sempre nella parte bassa della classifica) il posizionamento nel segmento salute e prospettive di vita (dal 108° al 95°).

«La Certificazione appena ottenuta è per noi un importante traguardo, che si inserisce nel solco dell’attenzione posta alle tematiche di parità di genere dal nostro Fondo di assistenza sanitaria, già all’interno del proprio processo di gestione certificato da molti anni” – ha dichiarato Armando Indennimeo, Presidente Assidai –  Le persone sono un asset unico all’interno delle organizzazioni, per questo ritengo fondamentale garantire un alto livello di benessere alle donne e agli uomini, che, ogni giorno, con dedizione e impegno, consentono ad Assidai di raggiungere la propria mission, così come è altrettanto importante il work-life-balance perché un buon equilibrio tra vita privata e vita lavorativa è un altro elemento centrale per la filosofia del Fondo».

Il lavoro propedeutico al processo di certificazione è stato realizzato dal Fondo con il supporto di Ambire Società Benefit e tutto il processo è stato certificato da GCerti Italy. I KPI qualitativi e quantitativi analizzati – relativamente alla fascia e al cluster in cui è stato inserito Assidai – sono: 1) Cultura e strategia 2) Governance 3) Processi HR 4) Opportunità di crescita e inclusione delle donne in azienda 5) Equità remunerativa per genere 6) Tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro.

I documenti analizzati e prodotti da Assidai per raggiungere questo importante obiettivo della Certificazione sono stati numerosi. Tra essi sono ricordiamo in primo luogo la Politica di parità di genere rivolta a tutto il personale dipendente e condivisa con tutti gli stakeholder per evidenziare l’impegno costante e crescente da parte del Fondo per garantire un ambiente di lavoro con pari opportunità di genere. In secondo luogo, la Politica anti-molestie e anti-discriminazioni sviluppata per sottolineare l’impegno del Fondo di Assistenza Sanitaria Integrativa nel sostenere un ambiente di lavoro privo di qualsiasi forma di molestia, violenza, discriminazione diretta e indiretta e per ribadire il divieto circa qualsiasi atto di cui sopra che leda la dignità umana e comprometta la fiducia, la motivazione, le prestazioni, il clima organizzativo e la reputazione di Assidai.

Per scaricare il documento di certificazione clicca qui

Assidai riceve la certificazione di parità di genere UNI PdR 125:2022

Da sinistra: Mario Cardoni, Direttore Generale Federmanager; Marilena Albanese, Responsabile Marketing e Comunicazione Assidai; Armando Indennimeo, Presidente Assidai; Marco Rossetti, Direttore Generale Assidai; Marina Cima, Presidente Manager Solutions; Alessandra Ceccarelli, Responsabile Organizzazione e Sviluppo Federmanager; Valter Quercioli, Vice Presidente Federmanager; Dina Galano, Responsabile Comunicazione Federmanager