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long term care italia

Long Term Care, Assidai anticipa i trend del Paese

Pubblicato il 22 Gennaio 2021 Andrea Bertoni In Home page, News /  

Nel panorama dei fondi sanitari integrativi italiani Assidai ha sempre giocato d’anticipo, fin dal 2010, sul delicato tema delle coperture per la non autosufficienza (Long Term Care), cioè l’insieme dei servizi socio-sanitari forniti con continuità a persone che necessitano di assistenza permanente a causa di disabilità fisica o psichica.

Definizione di non autosufficienza

La definizione di non autosufficienza per Assidai varia in base all’età dell’assistito.

Fino a 65 anni la perdita di autosufficienza avviene quando l’assistito a causa di una malattia, di una lesione o della perdita delle forze si trovi in uno stato tale da aver bisogno, prevedibilmente per sempre, quotidianamente e in misura notevole, dell’assistenza di un’altra persona nel compiere almeno quattro delle seguenti sei attività elementari della vita quotidiana: lavarsi, vestirsi e/o svestirsi, mobilità, spostarsi, andare in bagno, bere e/o mangiare.

Dal 66esimo anno di età, la perdita di autosufficienza avviene quando l’assistito è incapace di compiere in modo totale, e presumibilmente permanente, almeno tre delle attività elementari della vita quotidiana (sopra citate) e necessita di assistenza continuativa da parte di una terza persona per lo svolgimento delle stesse.

Long Term Care, numeri e criticità in Italia

Questo tema  purtroppo per l’Italia e per i principali Paesi europei, è sempre più di attualità a causa del graduale invecchiamento della popolazione. A certificare il trend, per il nostro Paese, sono stati i risultati dell’ultimo Censimento dell’Istat: è un Italia che non cresce più e che invecchia – ha certificato l’Istituto nazionale di statistica – con ormai cinque nonni per ogni bambino.

Sul sistema Italia, come è facile intuire, le prospettive non sono rosee e le analisi a tal proposito non mancano. Nei prossimi dieci anni, si stima, 8 milioni di anziani avranno almeno una malattia cronica grave, cioè ipertensione, diabete, demenza, malattie cardiovascolari e respiratorie. E già nel 2030, secondo le previsioni di Italia Longeva, la cosiddetta “bomba dell’invecchiamento” potrebbe esplodere con 5 milioni di anziani potenzialmente disabili, innescando un circolo vizioso se non adeguatamente gestito: l’aumento della vita media causerà l’incremento di condizioni patologiche che richiederanno cure a lungo termine e determineranno un’impennata del numero di persone non autosufficienti, esposte al rischio di solitudine e di emarginazione sociale. Crescerà così inesorabilmente anche la spesa per la cura e l’assistenza a lungo termine degli anziani e quella previdenziale, mentre diminuirà la forza produttiva del Paese e non ci saranno abbastanza giovani per prendersi cura degli anziani.

A maggior ragione perché l’Italia – stando ai più recenti dati Eurostat – naviga nelle retrovie a livello europeo per le cure a lungo termine che in media assorbono 15 miliardi di euro l’anno, dei quali ben 3,5 miliardi pagati di tasca propria dalle famiglie. Il nostro Paese riserva alla Long Term Care il 10% della spesa sanitaria, fanalino di coda tra i big europei: Svezia e Olanda guidano la classifica con il 26,3% e il 24,8%, la Germania è al 16,3%, l’Austria sfiora il 15% e la Francia è al 12%.

Allo stesso tempo, nel nostro Paese, come rilevato da, i servizi di welfare pubblico più tradizionali (strutture residenziali, centri diurni e assistenza domiciliare) raggiungono solamente il 31,8% della popolazione bisognosa di prestazioni per la non autosufficienza: basti pensare che i posti letto in strutture residenziali per anziani sono 270.020 (fonte del Ministero della Salute), ovvero circa un posto ogni 100 anziani non autosufficienti.

Insomma, il quadro è chiaro. Siamo davanti a un mix esplosivo, caratterizzato da un rilevante trend di invecchiamento della popolazione e da un Servizio Sanitario Nazionale (SSN) che, per quanto equo e universale, non riesce a tenere il passo. Per questo, in un’ottica complementare e non sostitutiva alla sanità pubblica, Assidai si pone come un interlocutore credibile, nei confronti di manager, professionisti e aziende, per offrire Piani Sanitari taylor made, che prevedono anche una copertura LTC all’avanguardia in Italia.

Assidai all’avanguardia sulle coperture per la non autosufficienza

Proprio un anno fa, all’inizio del 2019, per la terza volta in cinque anni il nostro Fondo ha migliorato le tutele per gli iscritti under e over 65 anni con ulteriori vantaggi, come aumenti di rendite e massimali mensili. Ciò dopo la svolta impressa nel 2015 (quando la copertura era stata estesa anche al coniuge o al convivente more uxorio dell’iscritto) e quella del 2017 (tra l’altro furono introdotti un aumento della rendita per gli under 65 e prestazioni più ricche per gli over 65). Che cosa è cambiato nel dettaglio? Bisogna distinguere tra l’iscritto sotto i 65 anni di età o sopra questa soglia.

Nel primo caso, per le prestazioni in caso di non autosufficienza garantite a favore del caponucleo (iscritto) e del coniuge/convivente more uxorio o dei figli risultanti dallo stato di famiglia fino al 26° anno di età (siano essi legittimi, naturali, legittimati, adottivi e in affido preadottivo) la rendita vitalizia aumenta. Con tre distinguo: nel caso standard da 1.100 euro (13.200 euro annui) a 1.200 euro (14.400 euro annui); se il figlio è minorenne da 1.430 euro (17.160 euro annui) a 1.560 euro (18.720 euro annui); se il figlio è disabile da 2.200 euro (26.400 euro annui) a 2.400 euro (28.800 euro annui).

Diverso il discorso se l’iscritto ha più di 65 anni: in questo caso per il caponucleo iscritto e/o il relativo coniuge/convivente more uxorio, è stata prevista l’estensione dell’assistenza infermieristica domiciliare, che prevede un massimale di 1.000 euro mensili, per un ulteriore mese e quindi per un massimo di 300 giorni per anno assicurativo per assistito (in precedenza era di 270 giorni).

Il censimento Istat e le stime LIUC Business School

L’ultimo Censimento dell’Istat, diffuso nelle scorse settimane, certifica il graduale invecchiamento della popolazione italiana. Qualche numero? Quest’anno cadono i 70 anni dal primo censimento, effettuato nel 1970. Ebbene, all’epoca l’età media della popolazione era di 32 anni, a fine 2019 è salita a 45 anni. Una dinamica che si spiega meglio guardando a due indici sintetici: il numero di anziani per bambino e l’indice di vecchiaia. Il primo ha un trend costantemente in crescita tra il 1951 e il 2019, passa infatti da meno di 1 anziano per un bambino nel 1951 a 5 nel 2019 (3,8 nel 2011). Anche l’indice di vecchiaia (dato dal rapporto tra la popolazione di 65 anni e più e quella con meno di 15 anni) è notevolmente aumentato: dal 33,5% del 1951 a quasi il 180% del 2019 (148,7% nel 2001).

Dati eloquenti che vengono utilizzati come fonte, assieme ai numeri Ocse e Inps, dall’Osservatorio settoriale sulle Rsa della LIUC Business School per analisi specifiche sul tema. Da una di queste, diffusa di recente, è emerso che per rendere sostenibile l’invecchiamento della popolazione previsto nei prossimi 25 anni bisognerebbe aumentare di oltre il 40% il numero di posti letto nelle residenze per anziani e, contemporaneamente, far crescere del 70% la presenza di badanti per il lavoro domestico di cura. Questo nello scenario minimo, immaginando cioè di mantenere, da qui al 2045, la stessa offerta di posti letto in Rsa per mille abitanti anziani che abbiamo attualmente, vale a dire poco più di 18. Se invece volessimo passare a un’offerta perlomeno allineata alla media Ocse (43,8 posti letto per mille anziani) allora dovremmo affrontare uno sforzo ben più rilevante, passando dai 259mila posti attuali a oltre 610mila (+135%).

Tutti scenari impegnativi, che fanno ben intuire l’importanza di una “stampella” privata e complementare al sistema pubblico anche sul fronte delle coperture per la non autosufficienza. E proprio per questo Assidai continua a offrire con convinzione ed efficacia il proprio contributo.

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