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maratona roma 2019 assidai

La squadra di Assidai alla Maratona di Roma 2019

Pubblicato il 12 Aprile 2019 master In Home page, News /  

Generare un forte senso di appartenenza, sentirsi parte di una squadra aumentando la conoscenza tra gli individui, scaricare le tensioni accumulate sul luogo di lavoro e favorire il benessere fisico. Sono questi i quattro principali obiettivi che si è posto il Trofeo RunCorporate, tenutosi all’interno della Maratona di Roma lo scorso 7 aprile e al quale ha partecipato, con grande entusiasmo e partecipazione, anche Assidai. Del resto, i valori legati a questa iniziativa – cioè l’esercizio fisico come fattore di benessere e di prevenzione, il ruolo chiave del welfare aziendale come strumento per generare valore dentro e fuori l’impresa, e la solidarietà – rappresentano alcuni dei punti fermi del nostro Fondo e della sua filosofia d’azione sul mercato e nei confronti dei suoi iscritti.

Il trofeo RunCorporate 2019 e la solidarietà

Come funzionava l’iniziativa RunCorporate? In modo molto semplice: in un’ottica di team building e di rafforzamento aziendale proponeva, all’interno della Maratona di Roma, lo sviluppo di un Trofeo a sè stante su un tracciato di 5 km esclusivamente dedicato alle aziende. Aspetto cruciale è che partecipando alla gara, le imprese e i dipendenti hanno contribuito fattivamente alla raccolta fondi attraverso tutte le Onlus inserite nel Charity Program di Roma Marathon. Ogni pettorale acquistato sono stati devoluti 3 euro e ogni azienda ha potuto scegliere personalmente e liberamente la Onlus, tra quelle previste dal programma, a cui devolvere la somma derivante dai pettorali acquistati. Due i premi previsti: uno per l’azienda con il maggior numero di dipendenti iscritti e l’altro per quella con più donne partecipanti al Trofeo.

Non si è trattato dunque di una gara con una spiccata accezione competitiva, ma piuttosto di un’occasione finalizzata a costruire, attraverso la conoscenza delle dinamiche del running, una più solida coscienza di sè e dei propri obiettivi, oltre che dei colleghi con cui si lavora fianco al fianco tutti i giorni. Il tutto in un’ottica di work-life balance, cioè una cultura di conciliazione tra lavoro e vita privata finalizzata ad accrescere i livelli di soddisfazione delle persone con impatti significativi anche sulla produttività aziendale. È la filosofia che muove tutte le iniziative di welfare aziendale, strumento che si sta diffondendo sempre più in Italia grazie anche gli incentivi del Governo e la cui validità è sostenuta da Assidai.

La corsa medico-paziente che ha commosso tutti

Peraltro, quest’anno, la Maratona di Roma è stata anche teatro di una bellissima storia – raccontata dai quotidiani – che ha visto protagonisti un cardiochirurgo, Luca Di Marco di 44 anni, e il suo paziente, Massimiliano Ponzo, di 46 anni, che il 22 febbraio 2018 (ormai più di un anno fa) era in condizioni critiche prima di ricevere un nuovo cuore da un ragazzo parlemitano di 33 anni, mancato quel giorno e del quale la famiglia aveva deciso di donare gli organi. Ebbene, domenica scorsa, Massimiliano e Luca si sono ritrovati uno sottobraccio all’altro a tagliare il traguardo della stracittadina nell’ambito della Maratona di Roma. Il tutto è avvenuto grazie a un’iniziativa – su un percorso ridotto di 5 km dai Fori Imperiali al Circo Massimo – lanciata dalla fondazione “Cuore Domani” con l’obiettivo di raccogliere fondi per la ricerca sulle malattie cardiovascolari. Per Di Marco, “è stata una gioia immensa vedere che, ad un anno dal trapianto, un tuo paziente può correre e va anche più forte di te”. “Marco è ormai il mio angelo custode: non solo per quello che ha fatto in sala operatoria ma per come mi è stato accanto prima e dopo il trapianto, sempre a farmi coraggio e darmi speranza”, ha sottolineato invece Massimiliano.

Il suo è stato un calvario lungo e doloroso: un uomo di sport al quale, a 38 anni, è stata diagnosticata una cardiomiopatia dilatativa. “Due anni dopo muore mia madre della stessa malattia. A quel punto facciamo un’indagine genetica e scopriamo che tutti i parenti per parte di madre sono morti per la stessa patologia tra i 40 e i 55 anni. La mia vita era segnata. Da quel momento è stata una discesa agli inferi fatta di ricoveri e arresti cardiaci”, ha raccontato lui. L’unica speranza: il trapianto atteso per anni. Fino a febbraio dello scorso anno, quando il cerchio si è chiuso e per Massimiliano è iniziata una nuova vita.

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