A Natale regala l’assistenza sanitaria Assidai

A Natale vuoi fare un regalo davvero speciale ai tuoi figli? Regala loro Assidai!

Natale è il momento dell’anno in cui ci dedichiamo a doni importanti, o piccoli pensieri, per i nostri cari e gli amici. Possono essere regali più comuni come vestiti, accessori e prodotti di bellezza o più originali oppure ancora tecnologici ed estremamente innovativi.

Se però volete fare un dono davvero speciale, sicuramente poco inflazionato e che verrà apprezzato molto per gli enormi benefici che offre, allora dovete scegliere il Piano Sanitario Familiari di Assidai, il Fondo di Assistenza Sanitaria Integrativa Dirigenti Aziende Industriali che si prende cura di manager, quadri e professionisti in tutto l’arco della loro vita.

Questo Piano Sanitario amplia l’assistenza sanitaria dedicata ai figli degli iscritti: consente infatti di continuare a garantire loro l’assistenza sanitaria ai figli fino a 65 anni, sia nel caso i figli non rientrino più nel nucleo familiare perché hanno compiuto 26 anni, sia nel caso abbiano perso l’assistenza sanitaria del fondo primario.

C’è un altro aspetto molto importante da valutare: il Piano Sanitario Familiari è dedicato sia ai figli single che ai figli sposati o conviventi. In caso di convivenza o matrimonio dei figli e, a condizione che ciò sia comunicato ad Assidai entro i successivi 90 giorni, è possibile estendere l’assistenza sanitaria anche al loro nucleo familiare.

Inoltre, lo stesso Piano Sanitario potrà essere scelto per garantire l’assistenza sanitaria integrativa all’ex coniuge o convivente.

Vantaggi dei Piani Sanitari Assidai

Tutti gli iscritti hanno confermato un alto gradimento del Piano Sanitario Familiari e l’idea di regalarlo ai propri figli è stata molto apprezzata soprattutto in un contesto di welfare sociale sempre più in evoluzione. Per questo, Assidai è da sempre vicino ai propri iscritti, anticipandone i bisogni e attuando opportune strategie al fine di migliorare costantemente i servizi offerti ed essere un punto di riferimento per dirigenti, quadri e professionisti sia in servizio che in pensione.

Spesso i figli a 26 anni non hanno ancora trovato un lavoro stabile e stanno iniziando le prime esperienze lavorative con contratti il più delle volte temporanei. Per questo non potrebbero mai garantirsi a livello personale un’assistenza sanitaria integrativa rispetto a quella offerta dal Servizio Sanitario Nazionale. In questo contesto il supporto da parte dei genitori può fare davvero la differenza e con un contributo minimo possono continuare a tutelare, a livello sanitario, i propri figli.

È molto importante sottolineare poi che gli iscritti ad Assidai hanno l’opportunità di usufruire di un’ampia rete di convenzionamenti diretti, che consente loro di avvalersi di strutture e medici convenzionati di alto profilo, senza dover anticipare il costo delle prestazioni. Inoltre, l’inclusione in tutti i Piani Sanitari della copertura per la non autosufficienza – Long Term Care – senza sostenere alcun contributo aggiuntivo, offre ulteriori importanti garanzie a tutti gli iscritti ad Assidai, anche a coloro che hanno aderito al Piano Sanitario Familiari da soli o con tutto il nucleo familiare.

A Natale, quindi, potrai scegliere il Piano Sanitario Familiari di Assidai, per fare un dono davvero speciale ai tuoi figli e alla loro famiglia, garantendo loro benessere e serenità.

Possono i valori distintivi di un Fondo sanitario come Assidai fare la differenza sul mercato?

L’unicità di un fondo sanitario non contrattuale che rende felici manager e imprese offrendo loro uno dei benefit maggiormente richiesti in termini di welfare: l’assistenza sanitaria integrativa.

Intervento Assidai a cura del Presidente, Armando Indennimeo, e del Direttore Generale, Marco Rossetti.

Assidai, in Italia, è uno dei player di mercato in termini di assistenza sanitaria integrativa non contrattuale.

Ciò che rende unico il Fondo nel contesto del welfare sono i valori distintivi, primi tra tutti la mutualità e la solidarietà, che consentono di assistere i manager e le loro famiglie senza limiti di età fino a quando lo desiderano, anche in pensione, insieme all’eccellenza dei servizi offerti: tailor made, innovativi e competitivi, che concernono prestazioni medico-sanitarie, prestazioni socio-sanitarie, assistenza (invalidità e/o morte per malattia e/o infortunio).

Essere iscritti ad Assidai significa anche avere a disposizione una serie di prestazioni per la non autosufficienza. Va detto che nel panorama dei fondi sanitari integrativi italiani Assidai è stato pioniere sul delicato tema delle coperture per la non autosufficienza ovverosia l’insieme dei servizi socio-sanitari forniti con continuità a persone che necessitano di assistenza permanente a causa di disabilità fisica o psichica.

Questo tema sia per l’Italia che per i principali Paesi europei è sempre più di attualità a causa del graduale invecchiamento della popolazione; e a certificare il trend, per il nostro Paese, sono stati i risultati dell’ultimo Censimento dell’Istat: è un Italia che non cresce più e che invecchia con ormai cinque nonni per ogni bambino.

Nell’ambito dei Piani Sanitari pensati per i manager in servizio segnaliamo come il Prodotto Unico Fasi-Assidai, nato a seguito dell’ultimo rinnovo CCNL Dirigenti Industria, possa definirsi innovativo e performante perché garantisce un’assistenza sanitaria completa, che integra le prestazioni previste dal nomenclatore tariffario Fasi in modo pressoché totale, con notevoli vantaggi operativi: invio di un’unica richiesta di rimborso e network di strutture sanitarie convenzionate uniche per gli iscritti ai due Fondi sanitari.

Scegliendo Assidai si ha, quindi, la possibilità di aderire a un Fondo sanitario e non a una soluzione assicurativa tout court, beneficiando così di tutti i vantaggi che ne conseguono e di una solidità – anche in termini di expertise e know how – perché il Fondo è stato creato dai manager per rispondere alle esigenze dei manager (essendo Federmanager stakeholder unico del Fondo).

Ed è fondamentale nel processo di promozione dei servizi offerti il ruolo del broker esclusivo di Assidai: Praesidium S.p.A. specializzato nello studio, nella progettazione e nella gestione di programmi di welfare aziendali e individuali, dedicati a dirigenti, quadri, professional e alle loro famiglie per rispondere a tutte le esigenze dei manager sia in servizio che in pensione.

Peraltro, secondo le ultime e accreditate ricerche svolte sul campo, l’assistenza sanitaria per sé e per i propri cari rappresenti la voce più diffusa nel “portafoglio” di welfare offerto dalle aziende e richiesto dai dipendenti, insieme con la previdenza e l’istruzione.

L’attenzione verso la salute, ma anche la necessità che i fondi integrativi giochino un ruolo sempre più rilevante nel supporto al Servizio Sanitario Nazionale (SSN), sono testimoniati dai livelli molto alti della spesa sanitaria “out of pocket” in Italia.

La stessa, infatti, ammonta ormai a 38 miliardi di euro, ma solo poco più del 10% viene “intermediato” da fondi o polizze, mentre 34 miliardi vanno a pesare direttamente sulle famiglie, che utilizzano i propri risparmi. Diverse ricerche dimostrano che la parte out of pocket è concentrata in visite, accertamenti diagnostici e medicinali: tutti fronti su cui il Sistema sanitario, alle prese con il graduale invecchiamento della popolazione (che pesa sul sostegno alla non autosufficienza e sulla cura delle cronicità), finisce inevitabilmente in difficoltà.

Dal nostro osservatorio privilegiato (120.000 assistiti, oltre 2.000 aziende iscritte) notiamo un forte incremento della domanda di prestazioni sanitarie post Covid e l’aspetto più preoccupante è che tale spesa sanitaria sia cresciuta trasversalmente in tutte le regioni, anche in quelle storicamente considerate più virtuose nell’offerta sanitaria pubblica.

Il fenomeno merita attenzione non solo per l’equilibrio dei nostri bilanci tecnici, prerogativa essenziale per continuare a offrire servizi all’altezza degli iscritti (ove possibile migliorandoli), ma soprattutto perché conferma la sensazione di un SSN che rischia, in un futuro prossimo, di essere costretto ad arretrare progressivamente. A tal proposito, siamo convinti che la sanità pubblica sia un pilastro fondamentale del nostro sistema al quale tutti devono contribuire per il buon funzionamento e proprio per questo motivo riteniamo che i Fondi Sanitari Integrativi debbano essere di supporto al SSN per garantirne la sostenibilità di lungo periodo considerate le sue caratteristiche di equità e universalità, uniche al mondo.

È opportuno, allo stesso tempo, fare sistema per trovare il giusto connubio tra sanità pubblica e privata e un confronto attivo con le istituzioni per contribuire attivamente al processo evolutivo di tutta la normativa.

Una possibile soluzione a questo nodo è il welfare aziendale, un argomento di sempre maggiore attualità perché vi è la crescente consapevolezza che esso generi un circolo virtuoso tra i dipendenti e le imprese. Soprattutto nell’attuale fase economica il welfare rappresenta un importante strumento per difendere il reddito dei lavoratori dall’ondata inflazionistica, agevolando allo stesso tempo le imprese per controllare il livello del costo del lavoro. Insomma, un chiaro esempio di strategia win-win-win. Gli effetti che ne conseguono sono positivi in termini di produttività, clima aziendale e maggior engagement, consentendo alle aziende di attrarre e trattenere i talenti: in definitiva il welfare è un vero e proprio volano di crescita anche in scia a una serie di incentivi governativi, che tuttavia negli ultimi anni non hanno più mostrato evoluzioni.

Nell’ultima legge di Bilancio, l’unica novità, in termini di welfare, è stata la riduzione, dal 10% al 5%, dell’aliquota dell’imposta sostitutiva sui premi di produttività erogati nell’anno 2023 fino all’importo di 3mila euro. Nello stesso tempo, la soglia esentasse dei cosiddetti fringe benefit è “tornata” agli originali 258,23 euro dopo che, negli ultimi due anni, era stata prima raddoppiata temporaneamente a 516,43 euro e infine portata, anche in questo caso pro tempore, a 600 euro.

Non è cambiato nulla, invece, sul fronte del welfare aziendale vero e proprio, come peraltro accaduto anche nei quattro anni precedenti. Va ricordato, invece, che in passato si era intervenuti più volte per favorire lo sviluppo di un fenomeno sempre più diffuso tra le imprese e che ha permesso di inquadrare le relazioni tra datore di lavoro e dipendente in un’ottica sempre più proficua, favorendo il cosiddetto “work life balance”, cioè l’equilibrio tra lavoro e vita privata. In particolare, la Legge di Bilancio 2017, come quella del 2016, aveva lavorato su due punti, che oggi restano i capisaldi della legislazione sul welfare aziendale in Italia. Innanzitutto, aveva allargato il perimetro che non concorre al calcolo dell’Irpef, includendo servizi come l’educazione, l’istruzione e ulteriori benefit, sempre erogati dal datore di lavoro, per poter fruire di assistenza destinata a familiari anziani o non autosufficienti.

In secondo luogo, aveva espanso, fino a 80.000 euro, l’area della tassazione zero per i dipendenti che scelgono di convertire i premi di risultato del settore privato di ammontare variabile in benefit compresi nell’universo del welfare aziendale. In alternativa, per i benefit era stata fissata un’imposta sostitutiva dell’Irpef e delle addizionali regionali e comunali pari al 10 per cento.

Articolo pubblicato su Economy Settembre 2023

Fringe benefit, le regole per il nuovo limite a 3mila euro per incentivare il potere d’acquisto e ridurre il cuneo fiscale

Il Decreto Lavoro, approvato in estate e convertito successivamente in Legge, ha introdotto una novità importante: per incentivare il potere d’acquisto e ridurre il cuneo fiscale, infatti, ha aumentato solo per il 2023 il limite di esenzione per i fringe benefit da 258,23 a 3.000 euro.

Una variazione rilevante, che tuttavia – è bene precisare – vale soltanto per i lavoratori dipendenti che hanno figli a carico. Per quanto si tratti di una misura una tantum, e comunque ristretta soltanto a una parte della popolazione lavorativa, va comunque sottolineato che il provvedimento contribuisce alla crescita e al consolidamento del welfare aziendale, ormai un elemento sempre più centrale, in Italia e nelle aziende tricolori, per vivere e rafforzare il rapporto tra datore di lavoro e dipendente su nuove basi, imperniate sulla condivisione, sulla collaborazione e sul cosiddetto work life balance, ovvero l’equilibrio tra vita lavorativa e privata.

Il nuovo quadro normativo: chi e come può usufruirne

Che cosa stabilisce il nuovo quadro normativo?

La Legge 85/2023 conferma, da un lato, per l’anno in corso la tassazione a doppio binario per i benefit; dall’altro, aumenta le risorse finanziarie messe a disposizione per consentire l’agevolazione anche sotto l’aspetto contributivo.

In altre parole, per i lavoratori con figli a carico la soglia di esenzione fiscale e contributiva dei benefit è aumentata a 3mila euro, mentre per i restanti rimane in vigore il limite di 258,23 euro. Invariato invece il principio secondo cui, qualora il valore dei beni o dei servizi forniti risulti complessivamente superiore al limite di 3mila euro o di 258,23 euro, l’intero importo dovrà essere assoggettato a imposte e contributi.

Chi potrà usufruire del nuovo limite dei 3mila euro?

I lavoratori dipendenti con figli, compresi quelli riconosciuti nati fuori del matrimonio, con figli adottivi o affidati, che si trovano nelle condizioni previste dall’articolo 12 del Tuir. Secondo tale disposizione, sono fiscalmente a carico i figli che abbiano un reddito non superiore a 4mila euro, ovvero a 2.840,51 euro nel caso abbiano età superiore a 24 anni. La norma di favore, per quanto rivolta ai lavoratori con “figli”, deve ritenersi applicabile anche a quelli con un solo figlio a carico.

Con un caveat: qualora l’unico figlio a carico dovesse perdere tale condizione, in quanto in possesso di un reddito superiore a quello sopra indicato, si avrebbero due conseguenze: l’inapplicabilità della soglia di esenzione potenziata a 3mila euro, con eventuale recupero di tasse e contributi sui benefit esclusi fino a quel momento dalla base imponibile e il relativo aumento del costo del lavoro a carico del datore di lavoro. Per poter usufruire del beneficio, il lavoratore dovrà dichiarare al datore di lavoro di avervi diritto, indicando il codice fiscale dei figli.

La norma, inoltre, non richiede che il figlio sia a carico dell’interessato al 100%, motivo per il quale si dovrebbe ritenere che il beneficio possa essere fruito interamente anche in presenza di una detrazione ripartita con l’altro genitore, innalzando di fatto il vantaggio complessivo per la famiglia a 6mila euro.

Beni e servizi oggetto della nuova legge

Che cosa rientra tra i compensi e i servizi oggetto della nuova legge?

Per fringe benefit si intendono i compensi in natura e i servizi concessi dai datori ai dipendenti. Per esempio: i buoni spesa, le ricariche telefoniche, il premio per la polizza extraprofessionale. Insomma, voci addizionali alla retribuzione corrisposta da un’impresa ai propri dipendenti: un compenso “in natura”, che figura comunque in busta paga.

Lato azienda si tratta di somme interamente deducibili, che riducono quindi l’imponibile fiscale dell’impresa. Dal punto di vista del dipendente sono somme non soggette a contribuzione né a prelievo fiscale, ovviamente con i tetti previsti dalla legge.

Nel limite di esenzione sono da considerare, seppure secondo un valore convenzionalmente identificato dalla normativa tributaria, altri beni concessi ai dipendenti come: l’auto a uso promiscuo, i prestiti agevolati e l’alloggio.

Altro aspetto cruciale: come nel 2022, per i soli lavoratori con figli a carico, la capienza dei 3mila euro può essere raggiunta anche con somme erogate o rimborsate dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale.

Le utenze rimborsabili in esenzione fiscale devono essere riferite a un immobile a uso abitativo posseduto o detenuto, sulla base di un titolo idoneo, dal dipendente, dal coniuge o dai suoi familiari, a prescindere che gli stessi abbiano o meno stabilito la residenza o il domicilio. Inoltre, è fondamentale che le somme rimborsate siano state effettivamente sostenute dai predetti soggetti.

Fringe benefit e welfare aziendale: un utile riassunto

Per concludere, è bene ricordare, con un utile quadro riassuntivo, le norme emanate negli ultimi anni sull’argomento e di cui Assidai si è già occupato per evidenziare, anno dopo anno, l’evoluzione in termini legislativi.

Fino al 2020 per i fringe benefit era prevista una soglia di esenzione fiscale (il valore di beni e servizi che non concorre al reddito imponibile né ai contributi) di 258,23 euro, mentre con il Decreto Agosto dell’estate 2020, approntato per supportare il Paese nell’emergenza Covid, il limite fu raddoppiato a 516,46 euro.

Nel 2021 il Governo ha in sostanza confermato il robusto aumento della quota esentasse. Infine, l’anno scorso, il decreto Aiuti-Bis ha modificato il limite di detassazione fiscale e contributivo dei fringe benefit a favore dei lavoratori dipendenti, innalzando la soglia a 600 euro, con la specifica che rientrano nell’agevolazione anche le somme erogate o rimborsate dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale.

Tutti provvedimenti che – come evidenziato in precedenza – hanno rappresentato un ulteriore passo in avanti nell’espansione di un settore, quello del welfare aziendale, che negli ultimi anni è cresciuto molto, anche perché ha dimostrato la propria forza e le proprie potenzialità in termini di soddisfazione del dipendente e di produttività dello stesso, a tutto vantaggio anche dell’azienda.

A questo proposito, va ricordato che dal 2016 il Governo ha progressivamente introdotto una serie di incentivi, soprattutto di carattere fiscale, per favorire la diffusione del welfare aziendale con risultati ormai decisamente rilevanti se si pensa che ormai più di un’azienda su due lo prevede per i propri dipendenti.

Una legge per lo screening di diabete infantile e celiachia

Svolta per l’Italia che è diventato il primo Paese al mondo ad avere una legge per lo screening sistematico del diabete di tipo 1 e della celiachia nella popolazione pediatrica.

Le Camere, a settembre, hanno dato il via libera al disegno di legge che ha definito un passaggio storico; il testo è così diventato immediatamente legge ed è stato fissato l’avvio del programma pluriennale di screening su base nazionale a decorrere dall’anno 2024. Per l’attuazione del programma è stata autorizzata la spesa di 3,85 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024 e 2025 e di 2,85 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2026.

Il provvedimento, inoltre, prevede e dispone sul diabete di tipo 1 e sulla celiachia, lo svolgimento di campagne periodiche di informazione e di sensibilizzazione a opera del Ministero della Salute.

La legge nel dettaglio: i quattro articoli

ll testo della legge si compone di quattro articoli.

Il primo definisce l’avvio di un programma pluriennale di screening su base nazionale nella popolazione pediatrica, da avviare a decorrere dall’anno 2024 per l’individuazione degli anticorpi del diabete di tipo 1 e della celiachia, e ha tre obiettivi: prevenire l’insorgenza di chetoacidosi in soggetti affetti da diabete di tipo 1; rallentare la progressione della malattia mediante l’impiego delle terapie disponibili; ottenere diagnosi precoci della celiachia.

Il secondo articolo prevede inoltre l’istituzione di un Osservatorio nazionale sul diabete tipo 1, presso il Ministero della Salute, composto da dieci membri, nominati con decreto da parte del Dicastero stesso.

L’articolo 3 riguarda invece le campagne periodiche di informazione e di sensibilizzazione sociale sul tema, sempre ad opera del Ministero della Salute, che deve promuovere tali iniziative con specifico riferimento all’importanza della diagnosi precoce in età pediatrica e per la conoscenza del programma di screening sopra indicato. Infine, il quarto articolo della legge detta le disposizioni finanziarie e le dotazioni dell’iniziativa.

Diabete infantile e celiachia: ecco i rischi

Per quanto riguarda il diabete infantile, a partire dall’anno prossimo la legge consentirà di prevenire, nei bambini da 1 a 17 anni, l’insorgenza dei sintomi più pericolosi del diabete di tipo 1 come la chetoacidosi, che può essere letale.

Inoltre, consentirà di avere maggiori informazioni per comprendere meglio le cause della malattia. Cosa che ovviamente amplia le possibilità di introdurre strategie farmacologiche adeguate per rallentarla e possibilmente fermarla.

Insomma, sarà un significativo strumento di tutela della salute a protezione dei bambini diabetici. Vale la pena ricordare, infatti, che, ogni anno in Italia, circa la metà dei 1400 bambini diagnosticati con diabete di tipo 1, arriva in ospedale in chetoacidosi, rischiando il coma, danni permanenti e anche la morte.

La legge permetterà anche di diagnosticare precocemente la celiachia, patologia cronica autoimmune scatenata, in soggetti geneticamente predisposti, dall’ingestione di glutine.

Lo screening per questa patologia è di importanza rilevante: in Italia, dei circa 600.000 soggetti colpiti, quasi 400.000 non sanno di essere celiaci. Un ritardo diagnostico per questa patologia causa un’infiammazione dei villi intestinali a livello dell’intestino tenue e, impedendo l’assorbimento dei nutrienti, possono verificarsi perdita di peso, diarrea e gonfiore.

FAQs

Come si capisce se un bambino ha il diabete?

La diagnosi precoce di diabete nei bambini è fondamentale.

Ecco quali sono i principali sintomi, in presenza dei quali è necessario rivolgersi tempestivamente al medico:

  • aumento della quantità di urine e della frequenza delle minzioni,
  • fame eccessiva con aumento dell’assunzione di cibo,
  • sete eccessiva con aumento dell’assunzione di liquidi,
  • dolori addominali non riconducibili ad altre malattie0,
  • dimagrimento nonostante un aumentato assunzione di cibo.
  • Tra i sintomi più gravi ci sono stato confusionale e coma.

Come riconoscere se un bambino è celiaco?

Le modalità con cui si manifesta la celiachia nei bambini sono due.

La prima è rappresentata da manifestazioni gastrointestinali che comportano:

  • scarsa crescita,
  • addome disteso,
  • diarrea,
  • vomito.

I sintomi possono essere diversamente combinati tra loro, con bambini che presentano parabole di crescite discendenti in termini di aspetto nutrizionale e peso.

La seconda è una celiachia atipica con manifestazioni assenti o riconducibili ad altri organi diversi dall’intestino, con bambini che presentano:

  • scarsa crescita,
  • anemia da ferro o acido folico non giustificata e non responsiva alla terapia con ferro.

Cosa non deve mangiare un bambino celiaco?

  • Pasta, pane, pizza in qualsiasi modo preparate a base di farina di grano,
  • Biscotti di grano, merendine e tutto quello che è preparato con farina di grano,
  • Carni, pesci e altri prodotti impanati con farina di grano,
  • Tutti quegli alimenti che riportino sull’etichetta “può contenere tracce di glutine”,
  • Alimenti cucinati nelle stesse pentole o stoviglie o supporti che hanno trattato alimenti con glutine (es. non cuocere il riso nella stessa pentola e nella stessa acqua della pasta),
  • Salse come maionese e simili, industriali, perché contengono sempre tracce di glutine.

Malattie rare, il Piano Nazionale parte con una dote di 50 milioni

Decolla il Piano nazionale delle malattie rare (PNMR) 2023-2026 con una dote iniziale di 50 milioni: metà quest’anno e metà nel 2024 finanzieranno un progetto atteso da tempo che “punta a superare le sperequazioni e le diseguaglianze nella cura e nell’assistenza, tra le Regioni ma anche all’interno delle Regioni stesse“, ha dichiarato di recente il sottosegretario alla Salute, con delega alle malattie rare, Marcello Gemmato.

Quest’ultimo ha sottolineato come “sono afflitte da queste patologie 2 milioni di persone uniformemente distribuite sul territorio, che però vedono in alcune aree l’arrivo veloce a una terapia e altre dove invece non c’è questa possibilità“.

Sicuramente, per il sottosegretario, i fondi stanziati non bastano, nel senso che non c’è limite a quanto si debba stanziare in questo settore, ma si lavorerà a “nuovi modelli organizzativi che possano andare incontro ai cittadini, cercando di ridurre le diseguaglianze e fare in modo che la diagnosi precoce avvenga per un numero sempre maggiore di persone”.

La Giornata delle Malattie Rare e il nodo sensibilizzazione

Sul tema delle malattie rare un nodo cruciale è evidentemente rappresentato dalla sensibilizzazione.

Anche per questo, ogni anno, si celebra la Giornata delle Malattie Rare: si è partiti nel 2008, con la scelta del 29 febbraio come “un giorno raro per i malati rari”! E così, anche nel 2023, l’ultimo giorno di febbraio è stata un’occasione per promuovere in tutto il mondo l’inclusione delle persone con una malattia rara e la loro partecipazione piena, equa e significativa alla società.

Assidai se ne è già occupata nei mesi scorsi con un approfondimento sulla giornata mondiale delle malattie rare.

Va ricordato che una malattia si definisce rara quando la sua prevalenza, intesa come il numero di casi presenti su una data popolazione, non supera la soglia dello 0,05%, ossia 1 caso su 2.000 persone.

Si stima che i malati rari in Italia siano oltre 2 milioni e di questi 1 su 5 è un bambino. Le malattie rare ad oggi conosciute sono tra le 7.000 e le 8.000 e sono generalmente gravi, spesso croniche, talvolta progressive, non sempre facilmente diagnosticabili.

Circa il 30% dei malati rari, infatti, non ha una diagnosi e rischia di convivere con una malattia che resterà per sempre senza nome.

La svolta sul Piano nazionale: ecco la dotazione finanziaria

Alla luce di questa situazione, assume ancora più importanza la svolta sulla dotazione finanziaria del PNMR 2023-2026, cioè del principale strumento di pianificazione centrale che rappresenta la cornice comune degli obiettivi istituzionali da implementare nel prossimo triennio, in linea con le iniziative dell’Unione Europea.

Il testo definisce gli obiettivi di programmazione nell’ambito della diagnosi, prevenzione primaria, trattamenti farmacologici e non, percorsi assistenziali, ricerca, formazione e informazione delle malattie rare, e fornisce indicazioni per l’attuazione e implementazione dei Livelli Essenziali di Assistenza e per il monitoraggio attraverso i Registri. Un Piano strutturato in capitoli verticali che includono azioni specifiche e capitoli orizzontali che prevedono azioni che contribuiscono trasversalmente a integrare tutti gli ambiti principali.

Approvato il 24 maggio in Conferenza Stato-Regioni – colmando così un vuoto di sette anni e definendo un perimetro di interventi precisi per dare risposte concrete alle persone con malattia rare e alle loro famiglie – vede dunque ora uno stanziamento di 25 milioni di euro, a valere sul Fondo sanitario nazionale, per ciascuno degli anni 2023 e 2024.
Non solo: con l’accordo in Conferenza Stato Regioni viene approvato insieme al PNMR anche il riordino della Rete Nazionale delle Malattie Rare, sempre in attuazione del Testo Unico, che disciplina i compiti e le funzioni dei Centri Regionali di Coordinamento, dei Centri di Riferimento e dei Centri di Eccellenza che partecipano allo sviluppo delle Reti di Riferimento Europee.

Un portale dedicato alle malattie rare

Va anche ricordato che di recente, il Governo ha lanciato un portale tutto dedicato alle malattie rare, nel rispetto dei principi della nostra Costituzione che difende l’universalità e l’equità del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e il diritto alla salute, che va tutelato sempre, ancora di più quando si è più deboli. Valori che Assidai sostiene e ribadisce con forza nell’attività divulgativa nei confronti dei propri iscritti e dei propri stakeholder.

Il sito www.malattierare.gov.it è, in particolare, frutto di un accordo di collaborazione tra il Ministero della Salute e il Centro Nazionale Malattie Rare (CNMR) dell’Istituto Superiore di Sanità, con il sostegno del Ministero dell’Economia e delle Finanze e con il supporto tecnico del Poligrafico e Zecca dello Stato.

Esso offre una raccolta di tutti i punti di riferimento sul territorio per i malati rari, dai centri di cura ai punti di informazione regionali, alle associazioni, con l’intenzione di diffondere l’informazione online su questo tema in modo integrato con le attività del Telefono verde gestito dal CNMR, e in accordo con gli obiettivi del Piano nazionale per le malattie rare e con il Dpcm sui Livelli essenziali di assistenza, i cosiddetti Lea.

Fulcro dell’intero progetto è la banca dati che ha digitalizzato il prezioso patrimonio informativo del Centro Nazionale Malattie Rare. Le informazioni sono infatti presentate in un sito di semplice consultazione dove trovare numeri e indirizzi utili, mentre una newsletter periodica consente un aggiornamento costante sui diversi aspetti che coinvolgono queste patologie.

Per ciascuna di esse insieme con il codice di esenzione sono offerte le informazioni su centri di diagnosi e cura, associazioni di volontariato e di pazienti con malattie rare, domande e risposte più frequenti e notizie varie. Inoltre, sempre la banca dati contiene anche informazioni su malattie rare non esenti. Insomma, un registro autorevole, indipendente e certificato diventato ormai un punto di riferimento a livello sanitario per l’Italia.

Dall’Italia un disegno di legge contro la carne sintetica

L’Italia impone lo stop al cibo sintetico, con particolare attenzione alla carne sintetica e a quella cosiddetta “coltivata“.

Con il disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri del 28 marzo, infatti, si è deciso che:

«è vietato agli operatori del settore agroalimentare e a quelli del settore dei mangimi impiegare nella preparazione degli alimenti, bevande e mangimi, vendere, detenere per vendere, importare, produrre per esportare, somministrare oppure distribuire per il consumo alimentare alimenti o mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o da tessuti derivanti da animali vertebrati”.»

Una netta presa di posizione, che prevede anche un quadro sanzionatorio rilevante (multe comprese tra 10mila e 60mila euro, ma che possono arrivare anche a coprire il 10% del fatturato dell’operatore che ha violato il divieto, se superiore a 60mila euro), su un tema quanto meno controverso, visto che alcuni considerano proprio la carne sintetica come un mezzo per abbattere le emissioni di gas serra e fornire al pianeta alimenti proteici a basso costo e ridotto impatto ambientale.

La mossa del Governo

La decisione del Governo era stata anticipata nei giorni scorsi dal Ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, che presentando il provvedimento con cui è stata autorizzata in Italia (a precise condizioni) la messa in vendita delle farine di insetti aveva chiarito come sarebbero state “completamente diverse le regole sul cibo sintetico”.

Infatti, aveva aggiunto il politico, mentre le farine di insetti sono sì prodotti che non fanno parte della nostra cultura alimentare ma restano comunque naturali, gli alimenti iperprocessati non lo sono, né si possono escludere possibili effetti negativi sulla salute umana.

Per questo, mentre per le farine di insetti è bastato fissare regole commerciali (con precise indicazioni in etichetta, scaffali distinti nella grande distribuzione), per il cibo sintetico anche in base a un principio di precauzione l’idea di fondo è quella del divieto di produzione e commercializzazione. Divieto che però – aspetto cruciale – non si potrà estendere anche ai cibi sintetici prodotti in altri Stati che, in virtù del provvedimento appena emesso, dovranno trovare autonomi canali di distribuzione nel nostro paese.

La storia della carne sintetica

Un pochino di storia. Il primo hamburger 2.0 – ricorda un articolo del Sole 24 Ore.com – è stato prodotto dieci anni fa, nel 2013, nel laboratorio di Mark Post, cardiologo e professore di fisiologia vascolare all’Università di Maastricht, con uno sforzo finanziario non da poco: 250mila euro per 150 grammi di macinato. Un prezzo simbolico che include i costi di tutta la ricerca alla base dell’hamburger sintetico, nato da una coltura di cellule staminali bovine, a partire da un frammento estratto con una biopsia indolore dai muscoli del collo di una mucca.

Il Dott. Post stimò allora che in pochi anni i surrogati sintetici sarebbero diventati competitivi come le polpette vendute al supermercato, grazie alle economie di scala. Dopo un decennio, infatti, lo stesso hamburger può stare sul mercato a 4 dollari e gli analisti di Barclays stimano che il giro d’affari della carne sintetica sia destinato a raggiungere i 450 miliardi di dollari nel 2040, ossia il 20% del mercato globale della carne.

Il sistema appena illustrato, portato su scala industriale, sarà in grado di produrre da una sola cellula 10 mila chili di carne. In pratica quelle cellule per diventare hamburger impiegano poche settimane, mentre attraverso la crescita naturale di un bovino occorre un anno e mezzo.

A livello di Paesi, fra i più avanzati in questo ambito spiccano Singapore, città-Stato che importa il 90% del cibo, e Israele. In Italia la realtà pioniera è Bruno Cell: una startup nata nel Centro di Biologia Integrata di Trento, progetto dell’Università insieme alla Provincia Autonoma.

I vantaggi della carne sintetica

Quali sarebbero i vantaggi della carne sintetica? Innanzitutto, di carattere ambientale.

Gli allevamenti sono responsabili del 14,5% dei gas serra, e quelli intensivi sono la causa principale anche della deforestazione. E poi c’è il tema del dispendio idrico, sempre più d’attualità alla luce del recente crollo delle precipitazioni. Per un chilogrammo di carne bovina – sostengono gli esperti – servono in media 11.500 litri d’acqua, mentre per la stessa quantità di carne “coltivata” bastano tra 367 e 521 litri, mentre il consumo di suolo si riduce del 99%. Poi, come evidenziato da un articolo della giornalista Milena Gabbanelli su Corriere.it, ci sono ragioni sanitarie: l’allevamento intensivo è fonte di epidemie (mucca pazza, influenza suina, aviaria), mentre l’uso massiccio di antibiotici a scopo preventivo contribuisce a provocare l’antibiotico-resistenza negli esseri umani.

Infine, le ragioni etiche: ogni anno sono allevati 60 miliardi di animali, la maggior parte prima di finire al macello vive in condizioni di tortura per ottenere massima produttività. Il tutto può essere riassunto con una frase pronunciata da Winston Churchill nel lontano 1931: “Tra cinquant’anni la smetteremo con l’assurdità di allevare un pollo intero per mangiarne solo il petto o le ali. Faremo crescere queste parti separatamente, con l’aiuto di mezzi adatti”.

Sicurezza alimentare

Altra domanda cruciale: dal punto di vista della sicurezza alimentare, il consumo di carne coltivata rappresenta un rischio per la salute umana?

La risposta è negativa secondo un articolo di approfondimento della Fondazione Umberto Veronesi. In Unione Europea la carne coltivata è considerata un “novel food” e quindi deve sottostare a stretti controlli e normative che regolamentano l’introduzione di questi alimenti sul nostro mercato, si spiega, come avviene anche per i prodotti che contengono insetti.

In Italia risulta già obbligatorio per legge riportare gli ingredienti e la provenienza degli alimenti in etichetta; pertanto, la carne coltivata potrà essere consumata da tutti coloro che liberamente e in modo informato decidono di acquistarla.

«Qualora l’Autorità Europea sulla Sicurezza Alimentare (EFSA) dovesse approvare la sicurezza della carne coltivata, questa potrà entrare nel mercato europeo e potrà essere acquistata – aggiunge la Fondazione Veronesi – Il disegno di legge emanato dall’attuale governo dovrà pertanto sottostare alla decisione dell’Unione Europea, mettendo la popolazione italiana nella condizione di poter acquistare questa carne coltivata purché non abbia provenienza italiana.

Mettendo da parte questo concetto, uno degli aspetti che mette in dubbio la sicurezza di questo prodotto è la modalità con cui è realizzato. Ancora una volta ci si trova davanti a un tema molto polarizzante: naturale verso “sintetico” (anche se in realtà questo termine non è corretto perché la carne coltivata è prodotta in laboratorio a partire da cellule animali)”.»

Una cosa è certa: al di là della provenienza della carne, l’elemento fondamentale alla base della nostra dieta deve essere la varietà, con una forte predilezione per frutta e verdura. Come spesso ricordato da Assidai, Fondo di assistenza sanitaria integrativa di emanazione Federmanager, nelle proprie informative agli iscritti e nell’attività di divulgazione quotidiana sui mezzi di comunicazione, un’alimentazione equilibrata – insieme con l’adozione di stili di vita sani – rappresenta uno dei pilastri della cosiddetta prevenzione primaria, principale strumento a nostra disposizione per evitare l’insorgere delle malattie croniche.

La posizione di Coldiretti

Infine, sul tema della carne sintetica, va registrata anche la posizione di Coldiretti, che ha promosso il disegno di legge del Governo, poiché risponde – ha commentato il Presidente Ettore Prandini – alle richieste di mezzo milione di italiani che hanno firmato la petizione che abbiamo promosso per salvare il Made in Italy a tavola dall’attacco delle multinazionali.

Secondo Coldiretti si tratta di una

«pericolosa deriva che mette a rischio il futuro della cultura alimentare nazionale, delle campagne e dei pascoli e dell’intera filiera del cibo Made in Italy e la stessa democrazia economica”. […] Le bugie sul cibo in provetta confermano che c’è una precisa strategia delle multinazionali che, con abili operazioni di marketing, puntano a modificare stili alimentari naturali fondati sulla qualità e la tradizione.

La verità è che non si tratta di carne ma di un prodotto sintetico e ingegnerizzato, che non salva l’ambiente perché consuma più acqua ed energia di molti allevamenti tradizionali, non aiuta la salute perché non c’è garanzia che i prodotti chimici usati siano sicuri per il consumo alimentare e, inoltre, non è accessibile a tutti poiché è nelle mani di grandi multinazionali»,

ha concluso Prandini.

Un 2022 record per donazioni e trapianti di organi

Nel 2022 per la prima volta le donazioni di organi in Italia hanno superato quota 1.800 in un anno, con un significativo incremento anche dei trapianti: 3.887, il secondo miglior risultato di sempre. Inoltre, c’è stato un trend in crescita evidente delle donazioni di organi e di trapianti, già segnalato nel 2021, con un recupero totale ai livelli pre Covid, cosa che colloca l’Italia ai primi posti in Europa.

Ecco il quadro in deciso progresso che emerge dal recente report sull’attività di donazione e trapianti relativi al 2022 elaborato dal Centro Nazionale Trapianti (Cnt) e presentato di recente dal Ministro della Salute, Orazio Schillaci, insieme al Direttore del Cnt, Massimo Cardillo, e al Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Silvio Brusaferro.

Il Ministro Schillaci ha commentato i dati in modo positivo, ricordando tuttavia come ci siano ancora molti pazienti in attesa di un trapianto. Inoltre, ha sottolineato l’importanza di continuare a investire sulla promozione della cultura della donazione, annunciando che “quest’anno la Giornata Nazionale per la Donazione di Organi e Tessuti si terrà domenica 16 aprile”. In tale occasione il Ministero della Salute farà partire la nuova campagna annuale, che rappresenta uno dei principali momenti di informazione e sensibilizzazione per i cittadini.

Una ricorrenza importante, come molte altre in ambito socio-sanitario, che rappresentano un utile momento di riflessione per tutti i cittadini; su questi temi Assidai è molto attento essendo un Fondo di assistenza sanitaria integrativa che informa i manager, quadri e consulenti iscritti insieme alle loro famiglie e promuove la cultura della salute verso i propri iscritti e stakeholder, perché il benessere degli iscritti e delle loro famiglie è prioritario per un Fondo di natura non profit, come il nostro, i cui valori sono la solidarietà e la mutualità.

Donazioni: Italia terza in Europa

Guardando al report del Centro Nazionale Trapianti nel dettaglio, emerge come le donazioni di organi solidi sono state complessivamente 1.830 (+3,7% sul 2021), 1.461 da donatori deceduti e 369 da viventi. Un risultato frutto in particolare di un nuovo aumento delle donazioni potenziali segnalate in rianimazione (2.662, +4,1%), che fanno un nuovo passo verso i livelli pre-Covid (la pandemia, d’altra parte, aveva avuto il suo impatto più forte proprio sulle terapie intensive), sottolinea il rapporto.

Per questo motivo il tasso nazionale di donazione per milione di popolazione risulta il più alto di sempre (24,7) e pone ancora una volta l’Italia ai vertici europei dietro alla Spagna e insieme alla Francia. La regione con il tasso di donazione più elevato si conferma la Toscana (49,3 donatori per milione) ma va segnalato l’aumento rilevante del tasso in Emilia-Romagna (46, +8,8 sul 2021) e il buon risultato del Veneto (36,3, +6,2). Ancora indietro nel complesso il Centro-Sud, con qualche lieve segnale di crescita in Lazio, Campania e Calabria.

Dati record anche sui trapianti

Diretta conseguenza dell’incremento delle donazioni è stato l’aumento dei trapianti: il numero complessivo ha raggiunto 3.887, quasi 100 in più rispetto al 2021 (+2,5%) e secondo miglior risultato di sempre, con tassi regionali in crescita quasi ovunque: la Lombardia si conferma la regione nella quale si realizzano più interventi seguita da Veneto (che è la prima in rapporto alla popolazione), Piemonte, Emilia-Romagna e Lazio.

Guardando al dettaglio dei singoli organi sono stabili i trapianti di rene (2.038, 4 in meno che nel 2021 a causa di una lieve contrazione delle donazioni da vivente) e quelli di cuore (254 pari a +0,8%). Si registra un aumento molto significativo di quelli di fegato (1.474 pari a +5,6%), mai così tanti, e di quelli di polmone (138, +17,9%), la specialità più penalizzata negli anni della pandemia; in calo i trapianti di pancreas, che scendono da 54 a 38. Da ricordare nel 2022 la realizzazione del secondo trapianto italiano di utero a Catania (il terzo è stato effettuato il 12 gennaio scorso) e la nascita di una bambina grazie al primo trapianto, quello del 2020. È stato effettuato anche un trapianto multiviscerale intestino-fegato-pancreas: complessivamente i trapianti combinati sono stati 56.
Numeri importanti anche per l’attività di donazione di tessuti, molto penalizzata durante la pandemia, ma che per il secondo anno di fila cresce considerevolmente: i prelievi nel 2022 sono stati 11.031 (+10,4%), con aumenti importanti per le cornee e il tessuto muscolo-scheletrico. Inoltre, è stato un 2022 da record per l’attività riguardante midollo osseo e cellule staminali emopoietiche: sono state 329 le donazioni effettive realizzate (+9,7%) e 961 i trapianti (+3,1%), miglior risultato di sempre in entrambi i casi.

Il nodo delle dichiarazioni di volontà

Sullo sfondo resta il tema delle dichiarazioni di volontà alla donazione depositate nel Sistema informativo trapianti al 31 dicembre 2022, fermo restando il fatto che si tratta di una scelta assolutamente personale.

Le dichiarazioni hanno superato quota 14 milioni e mezzo: 72% i consensi e 28% le opposizioni. Quelle registrate nel solo 2022 nei Comuni italiani attraverso il sistema CIE (carta d’identità elettronica) sono state 2,7 milioni, con una percentuale di no del 31,8% (+0,7% rispetto al 2021). In generale si è espresso (positivamente o negativamente) il 55,5% dei cittadini che hanno fatto richiesta del documento, mentre gli altri hanno deciso di non registrare alcuna indicazione.

“Le opposizioni registrate in vita restano alte, specialmente nelle regioni del Sud dove sfiorano o in qualche caso superano il 40%: un dato che conferma la necessità di sensibilizzare soprattutto due fasce d’età: i 18-30enni (tra i quali la percentuale di opposizione è più alta rispetto ai 30-40enni, e questo è particolarmente valido per i neo-maggiorenni) e gli over 60, tra i quali è frequente la convinzione che la donazione sia impossibile per ragioni anagrafiche: il recente trapianto di fegato realizzato in Toscana grazie alla donazione di una donna di quasi 101 anni (la più longeva di sempre a livello mondiale) dimostra che l’età non è ostacolo alla donazione”, conclude il report del Centro Nazionale Trapianti.

Cancro al colon-retto, svolta chirurgica con un nuovo protocollo

Una diversa e nuova filosofia di gestione del paziente nel periodo precedente a un’operazione per cancro al colon-retto e, al tempo stesso, un approccio multidisciplinare, in cui è necessario coordinare le diverse figure professionali che ruotano intorno al paziente stesso: chirurgo, anestesista, fisioterapista, nutrizionista e, non ultimo, infermiere.

In questi processi si sintetizza il protocollo Eras, Enhanced Recovery After Surgery, ovvero “miglior recupero post intervento chirurgico”. Il tutto con l’obiettivo di ridurre lo stress operatorio e migliorare la risposta dell’organismo all’operazione. In chirurgia colorettale – nel cui ambito è stata eseguita un’ampia ricerca sul tema – dopo alcune difficoltà iniziali, l’applicazione del protocollo Eras si è fortemente affermata ed è diventato di uso frequente, per cui anche la percentuale di aderenza è aumentata nel corso degli anni.

In altre parole, si tratta di un percorso integrato, che permette di ottenere decorsi migliori e un più rapido recupero nei pazienti sottoposti a interventi chirurgici per neoplasie del colon retto, che rappresentano il 10% di tutti i tumori diagnosticati nel mondo e colpiscono principalmente gli uomini tra i 50 e i 70 anni.

La svolta del protocollo Eras

Il protocollo Eras è stato adottato da diversi ospedali italiani, tra cui il Versilia di Lido di Camaiore. In una recente intervista al quotidiano “La Nazione”, il Direttore della struttura di Chirurgia generale, Dott. Marco Arganini ha ricostruito caratteristiche e benefici di questo percorso pre-operatorio, che ha acquisito maggior valore soprattutto negli ultimi anni, durante i quali – spiega – si è assistito a un forte incremento della patologia nella popolazione anziana ultrasettantenne, con localizzazione prevalente a carico del colon destro.

L’elevata incidenza delle neoplasie colon rettali in età avanzata espone peraltro i pazienti, spesso soggetti fragili, a decorsi post-operatori complicati sia per evenienze specifiche dell’intervento che generiche (polmoniti, infezioni urinarie). Ecco perché, per migliorare il risultato dell’intervento chirurgico in termini non solo di complicanze, ma anche di cura della malattia, negli ultimi anni è stato messo a punto un percorso finalizzato a condurre il paziente all’intervento nelle migliori condizioni generali possibili, consentendo anche una rapida ripresa e una precoce dimissione. “Il protocollo su cui è basato il percorso Eras – fa notare il Dott. Marco Arganini – è strutturato per ottenere la riduzione dello stress e il mantenimento delle fisiologiche funzioni nel post-operatorio, accelerando così il recupero”.

Inoltre, i professionisti coinvolti nella cura del paziente – l’anestesista, il chirurgo, il geriatra, il medico riabilitatore, il nutrizionista, l’infermiere di reparto e di sala operatoria – lavorano in sinergia e valutano collegialmente il paziente, con l’obiettivo di migliorarne la performance al momento dell’intervento.

I punti chiave del percorso

Ma che cosa prevede esattamente il protocollo Eras? La fase iniziale del percorso è volta a fornire al paziente, ovviamente preoccupato da quanto lo aspetta, tutte le informazioni sulle fasi dell’intervento. In un incontro con tutto il gruppo di professionisti coinvolti nella cura, il paziente e i parenti si confrontano con il chirurgo, con l’anestesista e soprattutto con il personale infermieristico, ovvero con tutte le figure professionali che hanno un ruolo di rilievo nel percorso chirurgico.

L’attenta valutazione preoperatoria multidisciplinare è particolarmente utile per ottenere un miglioramento delle condizioni generali del paziente che, come un atleta, deve affrontare la gara nelle migliori condizioni possibili. Per esempio, la sospensione del fumo e del consumo di alcol sono utili nel ridurre le complicanze respiratorie e le infezioni post-operatorie, così come l’attività fisica e gli esercizi indicati dal medico riabilitatore, focalizzati sulle fragilità del paziente stesso, giocano un ruolo decisivo nel riportarlo rapidamente, nel post-operatorio, alle sue normali condizioni.

Attenzione anche all’eventuale contemporanea presenza di anemia e malnutrizione e alla correzione di questi parametri con un’adeguata integrazione nutrizionale e infusione di ferro: la correzione di questi parametri è cardine fondamentale del percorso. L’assunzione di carboidrati e liquidi per bocca fino a poche ore prima dell’intervento, differentemente dal digiuno protratto in uso nella chirurgia tradizionale, gioca poi un ruolo specifico nel ridurre gli effetti del trauma chirurgico sul metabolismo.

Altro aspetto cruciale, sottolineato dal Dott. Marco Arganini: “Il percorso Eras oltre a determinare la riduzione delle giornate di degenza, consente attraverso l’ottimizzazione dell’utilizzo delle risorse professionali in associazione con la chirurgia mininvasiva, la realizzazione di una terapia di precisione che tiene conto delle differenze individuali del paziente in termini di stile di vita e ambiente, conciliandosi con la imprescindibile sostenibilità economica del sistema sanitario”.

Sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale e prevenzione primaria

Proprio la sostenibilità del Sistema sanitario italiano, praticamente unico al mondo per le sue caratteristiche di equità e universalità, è uno dei temi più cari ad Assidai, così come il concetto che la sanità privata può rappresentare soltanto un supporto, e mai un’alternativa a quella pubblica.

Tra i fattori che contribuiscono alla sostenibilità del SSN c’è anche la prevenzione primaria, altra pietra miliare della mission di Assidai, oltre che nostro principale strumento a disposizione per la riduzione dell’incidenza delle malattie croniche, tra le quali c’è anche il tumore al colon retto.

L’adozione di stili di vita corretti, un’alimentazione equilibrata e varia, lo stop all’utilizzo di vino e tabacco e un’attività fisica frequente rappresentano infatti i principali comportamenti che possiamo attuare per limitare patologie cardiocircolatorie, diabete e cancro, responsabili della maggior parte dei decessi a livello mondiale.

Il Ministro della Salute Schillaci: stili di vita cruciali

Il valore della prevenzione primaria è stato evidenziato di recente anche dal Ministro della Salute, On. Orazio Schillaci, che ha firmato la prefazione della nuova edizione de “I numeri del cancro 2022”, studio prezioso per porre l’attenzione su un ambito prioritario nelle politiche sanitarie del nostro Paese. Nato dalla collaborazione tra AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica), AIRTUM (Associazione Italiana Registri Tumori), Fondazione AIOM, ONS (Osservatorio Nazionale Screening), PASSI (Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia), PASSI d’Argento e SIAPEC-IAP (Società Italiana di Anatomia Patologica e di Citologia Diagnostica), il volume – ha sottolineato il ministro – costituisce un supporto di grande valore per il Servizio Sanitario Nazionale, per il Ministero della Salute e, indubbiamente, per i pazienti oncologici, ai quali, mai come adesso, è necessario offrire le pratiche migliori di prevenzione, cura e assistenza.

Come emerge dallo studio, “a seguito di decenni caratterizzati da notevoli progressi, la pandemia di Covid-19 ha determinato una battuta d’arresto nella lotta al cancro, causando in Italia, nel complesso, un forte rallentamento delle attività diagnostiche in campo oncologico, con conseguente incremento delle forme avanzate della malattia. Questi ritardi sicuramente influiranno sull’incidenza futura delle patologie neoplastiche”. In numeri, la stima del numero di nuovi casi di tumore nel 2022 parla di un numero complessivo di nuove diagnosi pari a 390.700 (205.000 negli uomini e 185.700 nelle donne). Erano 376.600 (194.700 negli uomini e 181.900 nelle donne) nel 2020. Una dinamica, dunque, purtroppo ascendente che potrebbe però essere legata anche all’invecchiamento della popolazione.

In ogni caso, conclude il Ministro nella propria prefazione, “per quanto riguarda i fattori di rischio comportamentali, i dati raccolti durante il biennio 2020-2021 segnano un momento di accelerazione per lo più in senso peggiorativo. Si tratta di un dato che non può non destare preoccupazione se si considera che il 40% dei casi e il 50% delle morti oncologiche possono essere evitati intervenendo su fattori di rischio prevenibili, soprattutto sugli stili di vita”.

Dunque, “alla luce di questo scenario, è quanto mai urgente puntare sul tempestivo ripristino dei programmi di screening e di tutte quelle iniziative essenziali per fronteggiare una delle sfide principali per la salute globale”.

Sostanze chimiche, rischi per la salute e per l’apparato riproduttivo

Le sostanze perfluoroalchiliche, i cosiddetti Pfas, possono interferire con la fertilità influenzando la produzione di ormoni e, in sostanza, alterando il sistema riproduttivo attraverso svariati meccanismi, alcuni dei quali insospettabili. Ad affermarlo è un recente studio pubblicato su Cell, autorevole rivista inglese di biologia, e realizzato da un pool di ricercatori del consorzio GeneraLife, gruppo europeo di cliniche specializzate in medicina della riproduzione, in collaborazione con il laboratorio di Biologia dello sviluppo dell’Università di Pavia.

Ma di che materiali stiamo parlando esattamente? In questo caso, per una spiegazione, ci viene in soccorso il sito del Ministero della Salute: Pfos (acido perfluoroottansulfonico) e Pfoa (acido perfluoroottanoico) appartengono alla famiglia delle sostanze organiche perfluoroalchiliche (Pfas), si spiega.

Entrambi sono composti chimici, prodotti dall’uomo e pertanto non presenti naturalmente nell’ambiente, stabili, contenenti lunghe catene di carbonio, per questo impermeabili all’acqua e ai grassi. Grazie alle loro caratteristiche essi vengono utilizzati in prodotti industriali e di consumo per aumentare la resistenza alle alte temperature, ai grassi e all’acqua, di tessuti (in particolare i cosiddetti “prodotti tecnici” utilizzati per fare sport), tappeti ed abbigliamento, rivestimenti di carta ad uso alimentare, di pentole antiaderenti, nonché in schiume antincendio.

Il problema? “Pfoa e Pfos sono composti persistenti, ossia permangono per periodi prolungati nell’ambiente in seguito al rilascio e pertanto alcune ditte hanno previsto l’interruzione della produzione e la sostituzione di Pfoa e Pfos, cambiando i processi di produzione, riducendo il rilascio e il livello di questi composti nei loro prodotti”, sottolinea il Ministero della Salute.

Gli effetti sulla salute: diverse interpretazioni

Detto ciò, a livello medico Pfoa e Pfos sono ritenuti fattori di rischio per un’ampia gamma di patologie, anche se la questione è ancora oggi oggetto di approfonditi studi. Sicuramente, come detto, agiscono come interferenti endocrini, in grado cioè di alterare la sintesi di ormoni, compromettendo la crescita e riducendo la fertilità. Inoltre, i Pfas sono sospettati di interferire nella comunicazione intercellulare, aumentando così il rischio di sviluppare tumori.

Tra le malattie la cui causa potrebbe essere attribuita all’esposizione prolungata a queste sostanze, vi sono tumori ai reni e ai testicoli, ma anche disfunzionalità della tiroide, ipertensione in gravidanza e colite ulcerosa. Inoltre, alcuni studi suggeriscono un incremento delle patologie fetali e gestazionali nelle aree più esposte alla contaminazione.

Sull’argomento, il Ministero della Salute fa notare che gli studi sull’uomo hanno fornito risultati non coerenti sulle possibili relazioni tra i livelli di Pfoa e Pfos nel sangue e gli effetti avversi sulla salute e la loro interpretazione è resa ancora più difficile dalla presenza di fattori confondenti presenti nella popolazione generale (ad esempio, gli stili di vita). Tuttavia, “gli studi disponibili suggeriscono che un maggiore livello ematico di Pfoa e Pfos possa essere associato ad un aumento di livelli di colesterolo nel sangue, di acido urico e ad un aumentato rischio di pressione alta. Il principale organo bersaglio sembra essere il fegato anche in studi effettuati sugli animali”.

Pur essendo disponibili numerosi studi su diverse specie animali, l’estrapolazione di tali dati dall’uomo è particolarmente difficile per le significative differenze nel destino di tali sostanze all’interno dell’organismo e nel modo in cui queste provocano tossicità. Sebbene alcune ricerche abbiano suggerito una possibile correlazione con tumori testicolari e renali, a causa di incongruenze osservate, non è stato possibile concludere in modo definitivo circa il legame tra l’esposizione a Pfoa e Pfos e il cancro nell’uomo, continua il Ministero della Salute.

Gli effetti riscontrati sono stati interpretati con cautela in quanto non costantemente evidenziati, sia su lavoratori che sulla popolazione generale rispettivamente esposti a livelli elevati o più bassi di questi composti, non considerando altri potenziali fattori di rischio, quali il fumo. Diversamente, gli studi sugli animali hanno evidenziato un aumento di alcuni tipi di tumori a carico del fegato, testicolo, e tiroide.

Le conseguenze sull’apparato riproduttivo

Riguardo i Pfas, va ricordata un’altra analisi svolta due anni fa dall’Università di Padova, pubblicata sul Journal of Endocrinological Investigation, condotta su 120 ventenni nati e residenti nelle zone esposte all’inquinamento da Pfas, dimostrando una significativa alterazione del numero e della motilità degli spermatozoi. I risultati sono stati recentemente confermati da una ricerca danese, eseguita su giovani esposti a queste sostanze durante la gravidanza. Gli esperti, in questo caso, hanno raccolto campioni di sangue da oltre mille donne nel primo trimestre di gravidanza e hanno controllato le caratteristiche dello sperma di oltre 800 figli di quelle donne a 18 anni di distanza, dimostrando una relazione lineare tra le concentrazioni di Pfas delle madri e la scarsa motilità e la bassa conta degli spermatozoi.

Al proposito, il nuovo studio condotto dall’Università di Padova riporta che il Pfoa è presente anche nel liquido seminale dei giovani esposti, a concentrazioni di circa il 30% di quelle plasmatiche e dimostra la specifica interazione tra queste sostanze chimiche e i fosfolipidi di membrana, principali costituenti della membrana stessa. Cosa determina tutto ciò? Modifica la fluidità della membrana e interferisce con recettori e canali presenti sulla stessa, la cui attivazione è fondamentale per lo sviluppo del processo di fertilizzazione.

Assidai e la prevenzione primaria: il valore dell’informazione

Per quanto si tratti di concetti certamente complessi e per quanto le conclusioni degli studi empirici svolti sugli effetti dei Pfas non siano ancora completamente coerenti, quello di cui ci siamo occupati è un argomento di forte attualità e riguarda la nostra vita di tutti i giorni, visto che questi composti chimici possono essere presenti nelle pentole antiaderenti o nei tessuti tecnici.

Per questo, essere a conoscenza dei potenziali rischi di alcuni prodotti può essere considerato parte integrante del concetto di prevenzione primaria: Assidai – che si era già occupato di questi temi – la considera centrale per difendersi dalle cronicità, ovvero malattie cardiocircolatorie, tumori e diabete in primis. Laddove, ovviamente, per prevenzione primaria si intendono anche e soprattutto una serie di comportamenti da adottare nella vita di tutti i giorni per “trattare bene” il nostro corpo. Dunque, un’alimentazione equilibrata con le giuste dosi di frutta e verdura, lo stop a qualsiasi uso di tabacco, consumo moderato di alcol e praticare attività fisica, anche modesta, almeno due o tre volte a settimana.

I segreti dell’alimentazione dei centenari

Qual è il segreto per arrivare a 100 anni in buona salute? Diversi ricercatori, accademici ed esperti di alimentazione si sono esercitati su questo tema. Uno degli ultimi studi, in ordine temporale, è stato realizzato dall’Università di Teramo che ha esaminato un’area dell’Abruzzo che comprende 151 comuni delle zone interne e a ridosso dei Parchi: lì risiedono 503 centenari e 18.000 nonagenari (cioè oltre i 90 anni), attestati dall’Istat. Insomma, un’area non troppo grande su cui effettuare le proprie indagini con cura e che ha rivelato due fattori cruciali per la longevità, comuni peraltro ad altre ricerche effettuate in altre zone del mondo. Ovvero, “un’attività fisica costante e una dieta sana con grande consumo di prodotti vegetali quali verdura, frutta, legumi, cereali e, invece, l’assenza quasi totale di dolci”, ha sottolineato il professor Mauro Serafini, ordinario di Alimentazione e Nutrizione umana all’Università di Teramo.

Il caso dell’Abruzzo non è l’unico: negli ultimi anni sono saliti agli onori delle cronache, tra gli altri, i centenari della Sardegna (in particolare in provincia di Nuoro) e quelli dell’isola di Okinawa, in Giappone. E anche in questi casi emerge con forza il valore dell’alimentazione e delle buone abitudini nel determinare una vita lunga e in buona salute, evitando – attraverso la cosiddetta prevenzione primaria – l’insorgere di malattie croniche. Un concetto che Assidai, attraverso una costante attività di divulgazione e informazione verso i manager iscritti e tutti gli altri stakeholder, sostiene in modo convinto con due obiettivi: tutelare la salute ed evitare che i drammi legati alle patologie croniche, oltre alle gravi conseguenze dal punto di vista personale e familiare.

La dieta dei centenari abruzzesi e lo “stress infiammatorio”

Dunque, quali sono le abitudini alimentari dei centenari d’Abruzzo? Secondo gli studiosi gioca un ruolo centrale lo “sdijuno”, o “stappa digiuno”: sarebbe una prima colazione salata di circa 300 calorie, consumata alle 6:30 del mattino. Per pranzo, alle 12:30, pasto abbondante con polenta, carne, legumi, pasta fatta in casa. La cena, sempre seguendo la tradizione locale, è alle 18:30, a base di verdure, minestra, uova, formaggi. “Con questi ritmi si favorisce un basso stress infiammatorio notturno in concordanza con i ritmi circadiani (cioè di 24 ore) che, infatti, rallentano il metabolismo nelle ore serali. – ha sottolineato al proposito il Professor Serafini – Pur essendo, il nostro, uno studio osservazionale analizza l’importanza della crononutrizione legata all’orario dei pasti per una maggiore longevità: dalla cena al pranzo ci sono circa 17,5 ore della cosiddetta “restrizione calorica”, una finestra interrotta soltanto dalla prima colazione. Questo dà alle persone la capacità di non stressare né il sistema immunitario né il metabolismo, preparandoli per un pasto abbondante come il pranzo”. In sostanza, ha continuato, “si tratta di una possibile spiegazione della loro longevità, senza dimenticare che a determinarla intervengono numerosi altri fattori”, tra cui ovviamente anche la genetica.

Un concetto chiave è quello di “stress infiammatorio” – sottolinea al proposito la Fondazione Veronesi – che viene sempre più nominato in medicina, ma non è molto noto ai non addetti ai lavori: si tratta di una risposta immunitaria al cibo, una sorta di meccanismo di difesa dal cibo stesso, che si innalza dopo un pasto e scende dopo 7-8 ore. “Se il mangiare è continuo e non sano – osserva al proposito il professor Serafini – il livello dello stress non torna più giù. Ed è un danno”.

I casi della Sardegna e della giapponese Okinawa

Anche in Sardegna, nel Sud dell’isola e vicino Nuoro, ci sono zone con una vita media molto elevata. I segreti? Poco stress, niente fumo, attività fisica dettata dalle abitudini giornaliere (o dal lavoro nei campi) e alimentazione come fattore fondamentale. I centenari consumano prevalentemente prodotti naturali senza conservanti e additivi e bevono acqua pura durante tutto il giorno. La dieta è ricca di fibre e con modeste quantità di carboidrati e poca carne: legumi, cereali integrali, verdura e frutta fresca sono tra gli elementi più importanti, poi ci sono i formaggi mentre viene consumato poco pesce. Nell’isola giapponese di Okinawa, invece, la dieta si basa su un basso apporto calorico: la regola è alzarsi da tavola quando si è sazi all’80%. E poi ci sono gli alimenti cardine della dieta che si fonda soprattutto su cibo di origine vegetale: patate dolci come fonte primaria di carboidrati, tanti vegetali e legumi (soprattutto soia), consumo moderato di pesce e solo occasionale di carne magra e formaggi. Pochissimi grassi e alcol bandito. È utile ricordare che all’ingresso del villaggio di Ogimi, situato nel nord rurale della principale isola di Okinawa, c’è una piccola lastra in pietra che riporta alcune frasi in giapponese. La traduzione: “A 80 anni, sei un giovane. A 90, se i tuoi antenati ti invitano in cielo, chiedi loro di aspettare fino a che non arrivi a 100, poi puoi prendere in considerazione la cosa”. Secondo gli ultimi censimenti, 15 dei 3.000 abitanti del villaggio di Ogimi sono centenari e 171 sono ultranovantenni. Certo, conta anche la componente genetica, ma è indubbio che un’alimentazione equilibrata e senza eccessi giochi un ruolo fondamentale.