Con il 5×1000 ripartiamo dai giovani per ripensare il futuro

La situazione che il nostro Paese, come ormai gran parte del mondo, sta affrontando in questo periodo e l’impatto senza precedenti che sta generando sulle nostre vite, impongono di guardare al futuro con uno sguardo diverso, per tentare di ridisegnare una realtà migliore di quella che abbiamo lasciato. Oggi ancora di più, per far ripartire l’Italia ci sarà bisogno di riscoprire la solidarietà, anticipando i bisogni sociali che andranno sempre più ad aumentare.

Vises, la onlus di Federmanager, da anni lavora per contribuire al benessere delle persone e della società civile, tutelando i diritti dei più deboli. Realizzando percorsi educativi innovativi per lo sviluppo delle competenze personali e professionali, offre orientamento e sostegno a donne e giovani, categorie che la crisi attuale sta colpendo duramente.

All’educazione dei giovani Vises ha dedicato negli anni gran parte della sua azione: con progetti come Un’impresa che fa scuola e Apprendere x Riprendere, realizzati grazie al costante sostegno di Assidai, Federmanager e di molti manager, che intendono offrire ai ragazzi gli strumenti utili per diventare cittadini attivi e consapevoli, in grado di entrare, con nuove e rafforzate competenze, in un modo del lavoro che necessariamente verrà stravolto da questa crisi.

L’emergenza in atto ha imposto la sospensione della scuola e un adeguamento dei supporti educativi, con il rischio di aumentare le disuguaglianze lasciando indietro molti giovani. Sarà quindi indispensabile supportare le famiglie e i ragazzi per garantire il diritto fondamentale all’istruzione e permettere ai giovani di continuare ad essere parte attiva della crescita economica e sociale del Paese.

Grazie al contributo e alla partecipazione dei manager, uomini e donne abituati a trasformare i problemi in opportunità, volontari che con professionalità e passione si impegnano in prima linea o sostengono l’Associazione con donazioni, Vises realizza nelle scuole percorsi per lo sviluppo delle competenze trasversali e per l’orientamento, aiutando i ragazzi ad affrontare le continue sfide e i cambiamenti della società.

Inserendo il codice fiscale 08002540584 nello spazio della dichiarazione dei redditi riservato al sostegno al volontariato è possibile partecipare in modo semplice e diretto alle iniziative di Vises per lo sviluppo e diffusione di una cultura manageriale responsabile e partecipe del benessere della società civile, attenta alla creazione di valore sostenibile e impegnata per lo sviluppo delle competenze e per l’educazione dei giovani. Per immaginare un nuovo futuro che parta proprio da loro si può ripartire anche solo da un piccolo gesto come mettere una firma!

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L’impatto sulla salute dei metalli presenti nei cibi

La contaminazione alimentare da metalli rappresenta sicuramente un tema da non sottovalutare e su cui, invece, riporre forte attenzione. L’arsenico, il cadmio, il piombo e il mercurio sono composti chimici che esistono in natura e che possono trovarsi nell’ambiente a varie concentrazioni, ad esempio nel terreno, nell’acqua e nell’atmosfera. Ma i metalli possono anche essere presenti nei cibi come residui, essendo già nell’ambiente a esito di attività umane come l’allevamento, l’industria e i gas di scarico di autoveicoli oppure a causa di una contaminazione avvenuta durante la lavorazione e la conservazione degli alimenti. Gli esseri umani possono dunque essere esposti a questi metalli tramite l’ambiente o per ingestione di cibi o acqua contaminati e il loro accumulo nell’organismo umano può causare, nel tempo, effetti dannosi.

Questi metalli sono oggetto di attenzione da parte di autorità internazionali come l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) che hanno valutato i rischi derivanti alla salute umana dalla loro assunzione attraverso la dieta. Anche l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha effettuato studi sull’esposizione alimentare per la popolazione italiana. I risultati?

Ad eccezione dei fumatori, la fonte numero uno di esposizione al cadmio – sottolinea l’Istituto Superiore di Sanità (che ha nel proprio sito un approfondimento sui metalli pesanti e i loro rischi) – è rappresentata dalla dieta. I principali alimenti responsabili sono: cereali, verdura e ortaggi, patate, crostacei e molluschi.

Il mercurio, invece, è legato soprattutto a determinate tipologie di pesce: al proposito l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare invita a ridurre il consumo, soprattutto in gravidanza e durante la prima infanzia, di grandi predatori come pesce spada, tonno e luccio e a sostituirlo con altri pesci, come il pesce azzurro o le orate, che contengono concentrazioni molto meno elevate di metilmercurio.

E se il riso è l’alimento che ha le più spiccate capacità di accumulare l’arsenico legate al particolare ambiente in cui avviene la coltivazione della pianta, per la contaminazione da nichel delle filiere alimentari vanno tenuti sotto controllo per prevenire possibili effetti cronici sulla salute – specialmente nei bambini – cereali, dolci, verdure e ortaggi, acqua e bevande alcoliche.

Contaminazione alimentare: il caso dell’alluminio

Va ricondotto a questo quadro, anche se rappresenta sicuramente un caso a parte, la possibile contaminazione alimentare da contatto con l’alluminio, che trova largo impiego nel settore alimentare. Con esso vengono infatti realizzati imballaggi e recipienti destinati a venire in contatto con gli alimenti come pentole, film per avvolgere, vaschette monouso o caffettiere. Per questo, il Ministero della Salute ha chiesto al Comitato nazionale per la sicurezza alimentare (Cnsa) di esprimere un parere circa la valutazione del rischio derivante dall’utilizzo di materiali a contatto alimentare costituiti da alluminio e sue leghe, soprattutto per categorie di popolazione particolarmente vulnerabili (bambini e anziani). Ne è uscita un’analisi molto interessante (qui il documento completo) che sottolinea come

“l’alluminio, onnipresente nella nostra vita quotidiana, è uno dei metalli con riconosciuta potenziale pericolosità̀ per la nostra salute, anche considerando la presenza diffusa in molti alimenti e in molti altri prodotti di consumo”.

Il Comitato nazionale per la sicurezza alimentare, va ricordato, è un organo autorevole, autonomo e composto da 13 esperti (e un presidente) di comprovata esperienza nominati dal Ministero della Salute: il suo ruolo è tecnico-consultivo in materia di valutazione del rischio. Il Comitato si articola in due sezioni: una per la sicurezza alimentare e un’altra, consultiva, delle associazioni dei consumatori e dei produttori sempre in materia di sicurezza alimentare. La Sezione per la sicurezza alimentare, nel dettaglio, svolge consulenza tecnico-scientifica alle amministrazioni che si occupano di gestione del rischio nelle materie correlate alla sicurezza alimentare, formulando pareri scientifici su richiesta delle amministrazioni centrali e regionali.

Ebbene secondo il Cnsa, l’alluminio può interferire con diversi processi biologici e pertanto indurre effetti tossici in organi e sistemi: il tessuto nervoso è il bersaglio più vulnerabile. Questo metallo ha una biodisponibilità orale molto bassa nei soggetti sani anche se, per contro, la dose assorbita ha una certa capacità di bioaccumulo, specie per bambini piccoli, anziani e nefropatici. Inoltre, si aggiunge, l’alluminio può aumentare la morte neuronale e lo stress ossidativo a livello cerebrale; per cui non va escluso un ruolo nell’aggravare o accelerare i sintomi e l’insorgenza di patologie neurodegenerative umane.
La via primaria di esposizione per la popolazione generale è quella alimentare. La sua concentrazione negli alimenti può derivare da un background naturale o da emissioni ambientali; vi è inoltre un utilizzo di additivi alimentari a base di alluminio, che però è stato drasticamente ridotto a partire dal 2011. Attualmente, il principale fattore direttamente prevenibile è la contaminazione del cibo per contatto, ad esempio, per fenomeni migrazionali da utensili per la cottura o imballaggi. Per quanto generalmente modesta, la migrazione diventa marcata quando i materiali a base di alluminio vengono in contatto con cibi acidi (acido citrico) o contenenti sale. Alcuni studi effettuati con alimenti avvolti in fogli di alluminio e sottoposti a differenti tipi di cottura (in forno e grigliati sulla carbonella) hanno dimostrato che l’elevata temperatura comporta l’aumento della concentrazione dell’alluminio nell’alimento. Inoltre – continuano gli esperti – i dati disponibili indicano che i cereali e prodotti a base di cereali, verdure, bevande e formule per lattanti sono i principali determinanti dell’esposizione alimentare all’alluminio. L’acqua potabile rappresenta una fonte di esposizione secondaria. Un’ulteriore esposizione può infine derivare da medicinali e prodotti di consumo (ad esempio per la cura personale) che contengono composti dell’alluminio.

Lo studio dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) su 48 cibi

Il quadro delle ricerche in materia è stato arricchito da un recente paper dell’Istituto Superiore di Sanità, intitolato “Studio dell’esposizione del consumatore all’alluminio derivante dal contatto alimentare” che ha effettuato prove di cessione di alluminio da pentolame, utensili, barattoli, vaschette e film monouso di alluminio in contatto con 48 tipologie di preparazioni alimentari cotte e/o conservate in condizioni realistiche. Combinando l’incremento di alluminio con il consumo alimentare è stata stimata l’esposizione della popolazione italiana riferendola a diverse fasce di età (bambini, adolescenti, adulti, anziani), somministrando un questionario conoscitivo sulla frequenza di uso di materiali e oggetti di alluminio a contatto con alimenti nelle famiglie italiane. La conclusione?

L’esposizione all’alluminio da articoli monouso contribuisce in modo modesto all’incremento di alluminio assumibile ceduto in alimenti, rispetto alla esposizione da pentolame e utensili, fra i quali però il consumo di brodi è una delle maggiori fonti di esposizione, specialmente, per le fasce di età̀ dei bambini. Sicuramente un elemento su cui riporre particolare attenzione.

Come evitare i rischi dell’alluminio: istruzioni per l’uso

Come evitare questa tipologia di contaminazione? Sono molto utili alcuni  semplici accorgimenti considerato che il rilascio di alluminio dai materiali a contatto – sottolinea il Ministero della Salute in una recente campagna per il corretto utilizzo dell’alluminio in cucina – è condizionato dalle modalità di uso e da altri fattori combinati, quali il tempo di conservazione, la temperatura e la composizione dell’alimento. C’è un altro elemento da tenere ben presente: nei soggetti sani il rischio tossicologico dell’alluminio è limitato per via dello scarso assorbimento e della rapida escrezione attraverso i reni. I gruppi di popolazione più vulnerabili alla tossicità orale di questo metallo – come detto – sono invece quelli con diminuita capacità escretoria renale: cioè anziani, bambini sotto i tre anni, donne in gravidanza e tutti quei soggetti con malattie renali.

In ogni caso, anche per la contaminazione da alluminio, la parola chiave è sempre la stessa: prevenzione. Un valore chiave anche per Assidai, che ogni anno offre gratuitamente ai propri iscritti campagne di prevenzione (nel 2019 contro il melanoma) finalizzate a ridurre l’incidenza delle malattie croniche o quanto meno a diagnosticarle in anticipo visto che, statisticamente, sono i principali killer a livello mondiale, soprattutto nei Paesi occidentali.

3 consigli dal Comitato nazionale per la sicurezza alimentare

Per concludere qualche indicazione più pratica: va ricordato innanzitutto che in Italia, con decreto ministeriale dell’aprile 2007, sono state previste specifiche disposizioni in materia di contaminazione da alluminio. In particolare i contenitori in questo metallo devono riportare in etichetta una o più delle seguenti istruzioni:

  • non idoneo al contatto con alimenti fortemente acidi o fortemente salati;
  • destinato al contatto con alimenti a temperature refrigerate;
  • destinato al contatto con alimenti a temperature non refrigerate per tempi non superiori alle 24 ore;
  • destinato al contatto per tempi superiori alle 24 ore a temperatura ambiente solo per i seguenti alimenti: prodotti di cacao e cioccolato, caffè, spezie ed erbe per tisane e infusi, zucchero, cereali e prodotti derivati, paste alimentari non fresche, prodotti di panetteria, legumi secchi e prodotti derivati, frutta secca, funghi secchi, ortaggi essiccati, prodotto della confetteria, prodotti da forno fini a condizione che la farcitura non sia a diretto contatto con l’alluminio.

Tutto ciò – è bene sottolineare – non si applica ai materiali e agli oggetti di alluminio ricoperto purché lo strato a diretto contatto con gli alimenti costituisca un effetto barriera.
Inoltre, il Comitato nazionale per la sicurezza alimentare fornisce altri tre consigli molto chiari:

  1. non graffiare i contenitori, ledendo così la patina protettiva dell’alluminio anodizzato;
  2. evitare il contatto diretto di alimenti acidi o salati con fogli di alluminio;
  3. non conservare alimenti in contenitori di alluminio dopo la cottura e per lunghi tempi.

Attività fisica: le linee guida per tutte le età

“Interagire con il proprio ambiente attraverso le varie forme di movimento, a tutte le età, contribuisce in modo significativo a preservare lo stato di salute inteso come stato di benessere fisico, psichico e sociale: esiste un legame diretto tra la quantità di attività fisica e la speranza di vita, ragione per cui le popolazioni fisicamente più attive tendono a essere più longeve di quelle inattive”.

È partendo da questo presupposto, sottolineato dal Ministero della Salute, che non più tardi di un anno fa un accordo Stato-Regioni ha sancito e approvato le linee di indirizzo sull’attività fisica per le differenti fasce d’età e con riferimento a situazioni fisiologiche e fisiopatologiche e a sottogruppi specifici di popolazione. Redatte da un Tavolo di lavoro istituito presso la Direzione generale della Prevenzione sanitaria del Ministero della Salute, le linee di indirizzo – in linea con l’obiettivo dell’OMS: ridurre del 15% la prevalenza globale dell’inattività fisica negli adulti e negli adolescenti entro il 2030 – sottolineano la rilevanza dell’attività fisica per la popolazione generale e la necessità che tutti pratichino attività fisica, soprattutto integrata nella vita quotidiana.

Attività fisica regina della prevenzione primaria

Del resto, è opinione condivisa dalla comunità medica e scientifica, come più volte sottolineato da Assidai nella propria comunicazione e nelle proprie iniziative, che l’attività fisica sia uno degli elementi fondamentali per la prevenzione primaria delle malattie croniche o non trasmissibili, che rappresentano il principale killer mondiale. Cancro, patologie dell’apparato cardiocircolatorio, diabete e malattie respiratorie – secondo l’OMS – in futuro richiederanno circa il 70-80% delle risorse sanitarie a livello mondiale. Ogni anno, inoltre, uccidono 41 milioni di persone, rappresentando il 71% di tutti i decessi a livello globale (in Europa si arriva all’86%) con 15 milioni di morti che, peraltro, si verificano tra i 30 e i 70 anni. Secondo altri dati, nella Regione europea dell’OMS l’inattività fisica è responsabile ogni anno di 1 milione di decessi (il 10% circa del totale) e di 8,3 milioni di anni persi al netto della disabilità. Si stima che siano imputabili all’inattività fisica il 5% delle affezioni coronariche, il 7% dei casi di diabete di tipo 2, il 9% dei tumori al seno e il 10% dei tumori del colon.

L’attività fisica in Italia e nel mondo

Il tema, dunque, è di estrema attualità. Vediamo prima il contesto globale: in tutto il mondo, un adulto su quattro e tre adolescenti su quattro (di età compresa tra 11 e 17 anni), non svolgono attività fisica secondo le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. In alcuni Paesi, i livelli di inattività possono arrivare fino al 70%, a causa del cambiamento dei modelli di trasporto, dell’aumento dell’uso della tecnologia e dell’urbanizzazione: ragazze, donne, anziani, gruppi svantaggiati, persone con disabilità e malattie croniche hanno minori opportunità di essere fisicamente attivi.

Il “Piano d’azione globale sull’attività fisica per gli anni 2018-2030” di recente approvato dall’OMS, pertanto, definisce quattro obiettivi strategici da realizzare attraverso 20 azioni politiche applicabili in tutti i Paesi, al fine ridurre del 15% la prevalenza globale dell’inattività fisica negli adulti e negli adolescenti entro il 2030.

L’aumento dei livelli di attività fisica è una questione di salute ed è fondamentale per il raggiungimento di altri tre obiettivi mondiali entro il 2025. Innanzitutto la riduzione del 25% della mortalità precoce dovuta a malattie cardiovascolari, tumori, diabete o malattie respiratorie croniche; in secondo luogo la riduzione del 25% della prevalenza dell’ipertensione; infine lo stop dell’aumento del diabete e dell’obesità.

Passiamo ora all’Italia, le cui strategie sono in linea con gli obiettivi dei Piani d’azione promossi dall’OMS, a cui l’Italia ha contribuito, e con le politiche dell’Unione Europea e tengono in considerazione tutti i determinanti che influenzano lo stile di vita. Anche nel nostro Paese le strategie nazionali e locali di promozione dell’attività fisica e motoria mirano a realizzare azioni efficaci di promozione della salute in un’ottica intersettoriale e di approccio integrato secondo i principi di “Guadagnare Salute: rendere facili le scelte salutari” (approvato per decreto nel 2007), un programma coordinato dal Ministero della Salute che mira a contrastare i quattro principali fattori di rischio di malattie croniche nel nostro paese: scorretta alimentazione, inattività fisica, consumo dannoso e rischioso di bevande alcoliche e tabagismo.

Un approccio funzionale anche alla realizzazione, da parte delle Regioni e Province Autonome, del Piano Nazionale della Prevenzione 2014-2018, prorogato al 2019. Del resto anche l’Italia ha ancora un lungo cammino da percorrere: solo il 18% dei bambini pratica sport per non più di un’ora a settimana mentre il 33,6% delle persone con età compresa tra 18 e 69 anni è classificato come sedentario, cioè non fa un lavoro pesante e non pratica attività fisica nel tempo libero. Tra gli over 65, invece, l’attività maggiormente praticata è camminare fuori casa, le attività domestiche rappresentano l’interesse principale e c’è troppo poco tempo dedicato ad allenare la forza muscolare.

Le linee guida del Ministero sull’attività fisica

Passiamo ora, nello specifico, alle linee d’indirizzo messe nero su bianco dal Ministero della Salute. I bambini e gli adolescenti di età compresa tra 5 e 17 anni, come sottolineato dall’OMS, dovrebbero praticare almeno 60 minuti di attività fisica quotidiana di intensità moderata-vigorosa e esercizi di rafforzamento dell’apparato muscoloscheletrico almeno tre volte a settimana. L’attività fisica nei bambini e negli adolescenti include il gioco, l’esercizio fisico strutturato e lo sport. Non solo: l’influenza dello stile di vita dei genitori (fin dalla fase pre-concezionale e poi nella gestazione) e del contesto ambientale nella primissima infanzia hanno un ruolo chiave nel determinare lo stato di salute negli anni a venire. Uno stile di vita attivo durante la gravidanza contribuisce al benessere del nascituro.

Per gli adulti le attuali raccomandazioni dell’OMS consigliano di svolgere nel corso della settimana un minimo di 150 minuti di attività fisica aerobica d’intensità moderata oppure un minimo di 75 minuti di attività vigorosa più esercizi di rafforzamento dei maggiori gruppi muscolari due o più volte a settimana. Ciò può essere realizzato, ad esempio, attraverso cinque sessioni di esercizio a settimana della durata minima di 30 minuti oppure svolgendo almeno 25 minuti di esercizio di intensità vigorosa per 3 volte a settimana. La raccomandazione può essere soddisfatta anche combinando le attività ad intensità moderata e vigorosa.

Infine gli anziani, per i quali – si sottolinea – “promuovere e facilitare la pratica regolare di attività fisica è particolarmente importante perché questo gruppo di popolazione è molto spesso il meno attivo”. Secondo l’OMS, al fine di migliorare la salute cardiorespiratoria e muscolare, ridurre il rischio di malattie croniche non trasmissibili, depressione e declino cognitivo, gli adulti over 65 anni dovrebbero svolgere almeno 150 minuti alla settimana di attività fisica aerobica di moderata intensità o almeno 75 minuti di attività fisica aerobica a intensità vigorosa ogni settimana o una combinazione equivalente di attività con intensità moderata e vigorosa. Si raccomanda, inoltre, di associare esercizi di rafforzamento dei maggiori gruppi muscolari due o più volte la settimana nonché attività per migliorare l’equilibrio e prevenire le cadute tre o più volte la settimana per coloro che hanno una ridotta mobilità.

Dieci consigli per restare in forma

Infine, il Ministero della Salute fornisce un breve ma interessante vademecum con 10 consigli per praticare attività fisica con costanza, anche con uno sforzo limitato. Eccoli:

  1. Poco è meglio di niente: anche con quantità minime di attività fisica (60 minuti a settimana), se sei una persona sedentaria puoi ottenere benefici per la salute.
  2. Muoviti di più e stai meno seduto: interrompi almeno ogni 30 minuti i periodi nei quali stai in posizione seduta o reclinata, facendo 2-3 minuti di attività, come brevi camminate o piegamenti sulle gambe.
  3. Mantieni uno stile di vita attivo: anche le attività usuali della vita quotidiana, camminare, salire le scale, fare giardinaggio, ridurre l’uso dell’automobile sono semplici azioni che fanno bene alla tua salute e favoriscono l’autonomia e l’indipendenza, soprattutto in età avanzata.
  4. Evita la sedentarietà: è un fattore di rischio, a prescindere da quanta attività fisica tu pratichi in generale.
  5. Fai movimento: se sei in sovrappeso o obeso, praticare attività fisica apporta numerosi benefici, ma è necessario che venga protratta nel tempo. Meglio esercizi in acqua, ginnastica a terra, pedalate in bicicletta.
  6. Attività fisica per la futura mamma: se sei una donna sedentaria che non ha mai praticato sport la gravidanza può essere uno stimolo per iniziare ad adottare uno stile di vita attivo con la consapevolezza dei benefici che arreca alla futura mamma e al nascituro.
  7. Quale attività in gravidanza: camminare è un ottimo mezzo per allenarsi senza sforzi eccessivi. Se non ci sono controindicazioni, puoi praticare anche ginnastica dolce, esercizi in acqua, yoga e pilates modificati e adattati alla tua condizione fisica.
  8. Attività fisica nei bambini e ragazzi con patologie croniche: evitare la sedentarietà e poter praticare attività fisica in sicurezza è fondamentale anche per loro.
  9. Attività fisica anche nei bambini e adolescenti con disabilità: sempre che il grado di disabilità lo consenta devono svolgere attività fisica secondo i livelli raccomandati per i coetanei, scegliendo con il pediatra il tipo di attività e la frequenza più adatta.
  10. Attività fisica, non solo nella disabilità fisica: è necessaria per le persone con disabilità fisica, disabilità neuro-sensoriale, disabilità intellettuale e malattia mentale, che devono evitare la sedentarietà e svolgere una regolare attività fisica, in base alle loro capacità e abilità.

Assidai e l’attività fisica: il Trofeo RunCorporate

Assidai è sempre stata in prima linea sull’attività fisica e l’ha sempre citata, assieme ad abitudini alimentari corrette, come uno dei fattori chiave per prevenire le malattie croniche. Ha riportato diversi e autorevoli studi a sostegno di questa tesi, tra cui uno realizzato dall’Istituto Superiore di Sanità in collaborazione con il Ministero della Salute e il Coni (Comitato Olimpico Nazionale Italiano) che evidenzia l’importanza di promuovere l’attività fisica a livello individuale e di comunità. Secondo la ricerca, infatti, proprio il fitness è “uno dei principali strumenti per la prevenzione delle malattie croniche non trasmissibili, per il mantenimento del benessere psicofisico e per il miglioramento della qualità della vita, in ambo i sessi e a tutte le età”. Non solo, attraverso un’analisi ad hoc si evidenzia anche come un comportamento “virtuoso” della popolazione farebbe risparmiare oltre 2,3 miliardi al Servizio Sanitario Nazionale (SSN) in termini di prestazioni specialistiche e diagnostiche ambulatoriali, trattamenti ospedalieri e terapie farmacologiche evitate.

Assidai, infine, ha partecipato con grande entusiasmo e partecipazione al Trofeo RunCorporate, tenutosi all’interno della Maratona di Roma del 7 aprile 2019. Una corsa non competitiva di 5 km che aveva anche come obiettivi generare un forte senso di appartenenza, sentirsi parte di una squadra aumentando la conoscenza tra gli individui, scaricare le tensioni accumulate sul luogo di lavoro e favorire il benessere fisico. I valori legati a questa iniziativa – cioè l’esercizio fisico come fattore di benessere e di prevenzione, il ruolo chiave del welfare aziendale come strumento per generare valore dentro e fuori l’impresa, e la solidarietà – rappresentano alcuni dei punti fermi del nostro Fondo e della sua filosofia d’azione sul mercato e nei confronti dei suoi iscritti.

Allergie, cause e possibile prevenzione

L’allergia è la più comune malattia immunitaria ed è caratterizzata da una reazione infiammatoria verso agenti innocui presenti nell’ambiente esterno. Parliamo di componenti nell’aria che respiriamo tutti i giorni (per esempio pollini, muffe, polveri dell’ambiente domestico o lavorativo), ma anche di elementi presenti nel cibo, nei farmaci o nel veleno derivante dalle punture di insetti.

Il tema, in queste settimane, è di particolare attualità: con la primavera – sottolinea l’Associazione mondiale per le malattie infettive e i disordini immunologici (WAidid) – sono circa 20 milioni le persone che in Italia soffrono di disturbi legati alle allergie stagionali, di cui circa 1,2 milioni sono bambini. Stiamo parlando, in particolare, delle allergie ai pollini. Con l’alternarsi delle stagioni e nei diversi periodi di fioritura delle piante, in particolare in primavera, si verifica infatti un evento naturale di fondamentale importanza per il regno vegetale: invisibili nubi di polline, seguendo le correnti aeree, si riversano nell’atmosfera diffondendosi in altezza e a distanza anche per diversi chilometri. I pollini, quindi, si depositano un po’ ovunque, anche sulle mucose della congiuntiva, del naso e dei bronchi delle persone che vivono nelle zone interessate. Queste persone, se sensibilizzate alle proteine allergeniche liberate dai pollini, reagiscono con i caratteristici sintomi clinici. In particolare si è anche osservato come i temporali che si verificano nel corso della stagione dei pollini possono provocare gravi attacchi di asma nelle persone affette da pollinosi.

Il Ministero della Salute, sul proprio sito, dedica un’ampia sezione alle allergie – alle cause, ai rimedi e alla possibile prevenzione – a testimonianza della significativa fetta di popolazione che è purtroppo interessata da queste patologie (circa una persona su quattro tra 18 e 44 anni).

Allergie, numeri e costi in Italia e in Europa

Le allergie respiratorie rappresentano oggi la forma più comune di allergie in Europa e nel mondo. Inoltre, la diffusione delle malattie allergiche sta aumentando in Europa e, anche a causa del cambiamento climatico, non è più limitata a stagioni o ambienti specifici. Secondo i più recenti studi, le malattie allergiche sono osservate nel 35% della popolazione generale, con livelli di prevalenza in aumento: per esempio quello dello delle riniti allergiche, cioè del sistema respiratorio (valutato in Europa tra il 10% e il 30%) o quello dell’asma (3-8%), anch’esso in crescita negli ultimi 20 anni nei Paesi a stile di vita “occidentale”; la diffusione della dermatite atopica è valutata intorno al 10-12%.

In generale le allergie possono essere transitorie o permanenti. Inoltre bisogna saper distinguere tra l’allergia, ovvero la reazione specifica prodotta dal sistema immunitario quando si è esposti ad una sostanza normalmente innocua, anche in minima quantità, e la sensibilità, cioè l’aumento esagerato dei normali effetti di una sostanza: per esempio, la caffeina contenuta in una tazza di caffè può arrivare a causare disturbi come palpitazioni e tremore. Cosa ancora diversa è l’intolleranza, quando una sostanza provoca sintomi spiacevoli, come ad esempio la dissenteria, ma non coinvolge il sistema immunitario; in genere, le persone con un’intolleranza ad alcuni alimenti possono mangiarne piccole quantità senza avere alcun problema

È evidente in ogni caso le patologie infiammatorie allergiche determinano un importante impatto sulla qualità della vita dei pazienti e, allo stesso tempo, rilevanti costi sanitari. Recenti studi epidemiologici condotti in Italia, e riportati dal Ministero della Salute, indicano che il 25% della popolazione compresa tra i 18 e 44 anni soffre di rinite allergica e il 5% di asma. Questo si traduce, secondo le stime dell’Istituto Superiore di Sanità, in quasi 30 miliardi di euro annui di costi, in Europa, a livello socio economico, ovvero oltre 10 miliardi di euro per i costi diretti (spese mediche ospedaliere, spese per diagnostica e terapia) e altri 19 miliardi di euro per i costi indiretti (perdita di giornate lavorative, costi per misure di prevenzione).

Le cause e la possibile prevenzione delle allergie

Ma quali sono le cause delle allergie e quale può essere, se esiste, una strategia di prevenzione? Da tempo è noto che esiste una predisposizione genetica a sviluppare allergie così come influiscono il sesso (gli uomini sono più colpiti delle donne) e l’età (i bambini più degli adulti).

Tuttavia, negli ultimi decenni, in particolare nel mondo occidentale, si è manifestato un numero impressionante di patologie allergiche che ha fatto risaltare anche il ruolo dei fattori ambientali rispetto a quelli genetici. Stiamo parlando di fumo passivo, cambiamenti climatici, inquinamento e stili di vita. Secondo gli esperti, per esempio, l’aumento delle temperature medie nei Paesi occidentali porta all’arrivo di nuove specie di insetti a cui il nostro corpo non è abituato in caso di puntura. Allo stesso tempo, d’estate, è aumentato il numero di fenomeni temporaleschi che, come noto, possono portare a fortissimi attacchi allergici mentre alte concentrazioni di ozono sono state associate con un aumento della frequenza di esacerbazioni asmatiche e un incremento di ricoveri ospedalieri e visite al pronto soccorso per patologie respiratorie. C’è poi un tema, non secondario, di stili di vita. Per esempio il fatto che il 90% del tempo viene speso in edifici chiusi, soprattutto al lavoro, con una componente di sedentarietà molto spiccata. Senza dimenticare il tema dell’attività fisica, che recenti studi indicano avere effetti positivi sui soggetti allergici, in particolare per coloro che sono sovrappeso, e del fumo (attivo e passivo), anch’esso ritenuto controproducente per soggetti già caratterizzati da patologie allergiche.

Stili di vita corretti e un’alimentazione equilibrata rappresentano due punti fermi della mission di Assidai, che ne ha sempre sottolineato l’importanza ai propri iscritti attraverso un’informazione puntuale e campagne di prevenzione, che negli ultimi anni hanno riguardato per esempio l’ictus e il melanoma, registrando tassi di adesione crescenti tra gli iscritti stessi. L’obiettivo, perseguendo la cosiddetta prevenzione primaria, è quello di evitare l’insorgere di malattie croniche (tumori, patologie dell’apparato cardiocircolatorio e di quello respiratorio), considerate i principali killer a livello mondiale.

Decalogo per difendersi dalle allergie primaverili

Per concludere, ecco un decalogo pubblicato di recente dall’Associazione mondiale per le malattie infettive e i disordini immunologici (WAidid) per difendersi dalle allergie:

  1. Limitare il tempo trascorso all’aperto nelle ore centrali della giornata quando è più alta la concentrazione di pollini.
  2. Evitare di aprire le finestre nelle ore più calde della giornata. Un buon ricambio d’aria degli ambienti è importante, ma è opportuno farlo al mattino presto o in tarda serata, quando la concentrazione di pollini è più bassa.
  3. Evitare di stare all’aperto dopo la pioggia. Questa, infatti, riduce in frammenti più piccoli i pollini che possono raggiungere più facilmente le vie respiratorie.
  4. Consultare il calendario dei pollini può aiutare a calibrare il tempo che si può trascorrere all’aria aperta (per esempio quello realizzato dalla Associazione Italiana di Aerobiologia con specifiche per le varie Regioni del nostro Paese).
  5. Viaggiare in auto tenendo i finestrini chiusi. Se possibile, utilizzare i filtri antiparticolato e sostituirli annualmente, preferibilmente alla fine dell’inverno.
  6. Fare la doccia e lavare i capelli quotidianamente. I pollini, infatti, si depositano su di essi capelli con il rischio respirarli anche durante la notte.
  7. Indossare una mascherina e occhiali da sole durante le passeggiate in bicicletta e all’aria aperta.
  8. Eliminare tappeti e, se possibile, lavare frequentemente le tende in cui si depositano particelle allergizzanti.
  9. Evitare i luoghi in cui è stata da poco falciata l’erba.
  10. Non assumere farmaci senza il consulto del medico. Evitare il fai-da-te e seguire scrupolosamente le indicazioni terapeutiche del medico.

Per maggiori informazioni sul bollettino pollinico fare riferimento al sito dell’Associazione Italiana di Aerobiologia.

Malattie cerebrovascolari: prevenzione fin da bambini

Le malattie cerebrovascolari sono la seconda causa di morte e la terza causa di disabilità a livello mondiale, oltre a essere responsabili di circa un decimo degli anni persi per morte prematura o disabilità e, di conseguenza, di un considerevole carico sociale per il paziente e per i familiari che lo assistono.

È partendo da questa e altre considerazioni che il Ministero della Salute ha messo a punto e pubblicato un approfondito protocollo finalizzato alla prevenzione delle malattie cerebrovascolari nel corso della vita. Del resto, si osserva nel documento, con l’invecchiamento della popolazione è possibile prevedere nel tempo un incremento sia dell’incidenza totale dell’ictus, che rappresenta la manifestazione clinica di gran lunga più̀ frequente, sia del carico sociale conseguente alla disabilità post ictus.

Ragionamenti che valgono a maggior ragione per l’Italia che, secondo le ultime proiezioni, al 2050 sarà il Paese più vecchio del mondo dopo il Giappone: cosa che metterà ulteriormente sotto pressione il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e le sue caratteristiche uniche al mondo di universalità ed equità. Per questo, a maggior ragione, anche sul fronte delle malattie cerebrovascolari la prevenzione diventa fondamentale.

I numeri e il trend di lungo periodo

Ma quali sono i principali numeri delle malattie cerebrovascolari e il loro trend di lungo periodo? Tra il 1970 e il 2008, nei Paesi ad alto reddito l’incidenza dell’ictus cerebrale si è ridotta di oltre il 40%, passando da 163 a 94 casi per 100.000 abitanti per anno mentre nei Paesi a reddito medio o basso l’incidenza è più̀ che raddoppiata, con un incremento da 52 a 117 casi per 100.000 abitanti per anno. Contemporaneamente, la mortalità̀ precoce per ictus è diminuita sia nei Paesi ad alto reddito sia in quelli a reddito medio o basso. Peraltro, sottolinea il Ministero della Salute, il calo di incidenza dell’ictus cerebrale nei Paesi ad alto reddito contrasta con il continuo aumento dell’età̀ media della popolazione: ciò anche grazie all’efficace controllo di alcuni fattori di rischio che ha contribuito a prevenire l’insorgenza di nuovi ictus cerebrali.

Anche in Italia, nelle ultime due decadi, l’incidenza dell’ictus cerebrale si è ridotta da 293 a 143 casi per 100.000 abitanti per anno, risultando lievemente più̀ alta nelle donne rispetto agli uomini e con un incremento dal 35,7% al 47,8% negli ultra80enni. La mortalità̀ è del 20-30% a 30 giorni dall’evento e del 40-50% a distanza di un anno.

Fattori di rischio e prevenzione dell’ictus

Quali sono invece i principali fattori di rischio e come si può prevenire l’ictus?

I primi vanno distinti tra non modificabili e modificabili. Nella prima categoria rientrano sicuramente i fattori genetici, il genere (le donne sono meno a rischio rispetto agli uomini), l’età e l’etnia. Nella seconda categoria, cioè tra i principali fattori modificabili, ci sono tabagismo, scarsa attività fisica, consumo eccessivo di alcol, scorretta alimentazione, depressione, aritmie cardiache, ipertensione arteriosa, diabete e peso eccessivo.

Il tema della prevenzione primaria, che è l’altra faccia della medaglia, è altrettanto cruciale. Il Ministero della Salute, al proposito, è fin troppo chiaro: rappresenta la strategia più importante per contrastare le malattie cardio-cerebrovascolari. Come nello specifico?

“È indispensabile intervenire lungo tutto il corso dell’esistenza per assicurare a ogni bambino un buon inizio, per prevenire comportamenti non salutari durante l’infanzia e l’adolescenza, per ridurre il rischio di insorgenza delle citate patologie nell’adulto, nonché́ per arrivare a un invecchiamento sano e attivo”.

Serve dunque l’adozione di stili di vita salutari: non fumare o cessare il consumo di prodotti del tabacco ed evitare l’esposizione al fumo passivo; ridurre al minimo il consumo di alcol (mai più di due unità alcoliche al giorno per gli uomini e una per le donne); un’alimentazione corretta, varia ed equilibrata che prediliga il consumo di verdura e frutta, cereali, pesce, acidi grassi insaturi e limiti gli acidi grassi saturi; ridurre il consumo eccessivo di sale (meno di cinque grammi al giorno per gli adulti); svolgere attività fisica regolare e adeguata (almeno 30 minuti di attività fisica moderata aerobica come camminata, corsa, bicicletta o nuoto per 5-7 volte alla settimana o, alternativamente, esercizio fisico intenso 2-3 volte alla settimana). Tutti comportamenti che portano anche a un controllo significativo sul peso, cosa cruciale soprattutto per i bambini e gli adolescenti che gettano le basi per abitudini di vita e struttura corporea su cui svilupperanno l’età adulta.

Assidai e la prevenzione dell’ictus

Per Assidai la prevenzione è un valore fondamentale, in tutti i campi, tanto che ogni anno offre gratuitamente ai propri iscritti un esame in questa direzione, riscontrando adesioni in costante crescita.  L’anno scorso è stata la volta del melanoma, due anni fa proprio dell’ictus. Nel 2018, infatti, con il pacchetto “Healthy Manager”, Assidai e Federmanager hanno messo a disposizione dei propri iscritti la possibilità di svolgere un esame ecocolordoppler dei tronchi sovraortici per rilevare eventuali stenosi carotidee. Si tratta, secondo gli esperti, di uno degli screening più avanzati che possono aiutare a giocare d’anticipo sull’ictus, individuando possibili situazioni a rischio. Il modo migliore per prevenire una patologia che presenta enormi costi dal punto di vista umano, sociale ed economico. In Italia e nel mondo.

Screening e supporto del SSN per i malati di celiachia

“In Italia, nel 2018, il numero di celiaci ha raggiunto i 214.239 soggetti con un incremento di 7.500 diagnosi rispetto allo scorso anno”.

A fornire questo dato è stato il Ministro della Salute, l’Onorevole Roberto Speranza, nell’introduzione alla Relazione annuale sulla celiachia curata dal suo dicastero e destinata al Parlamento.

La celiachia, va ricordato, è una malattia infiammatoria permanente dell’intestino scatenata dal consumo di alimenti contenenti glutine in soggetti geneticamente predisposti. Può essere definita una patologia multifattoriale poiché per il suo sviluppo sono necessari due fattori: uno ambientale, il glutine nella dieta, e uno genetico, la presenza di determinate molecole sulla membrana delle cellule del sistema immunitario. Solo il 3% delle persone, geneticamente predisposte, che consumano glutine sviluppa, prima o poi, la celiachia.

“Il Ministero della Salute, garante del diritto alla salute, nell’ambito delle sue attività di prevenzione, promozione e assistenza sanitaria – precisa lo stesso Speranza – è impegnato da anni sul tema della celiachia e sulle necessità dei celiaci e delle loro famiglie”. Inoltre, “l’impegno istituzionale prevede l’accompagnamento dei pazienti nel percorso diagnostico e di follow-up e il sostegno alla dieta post diagnosi nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza a prescindere dalle provenienze territoriali e dalle condizioni di reddito e personali dei cittadini”.

Dal Servizio Sanitario Nazionale un sostegno chiave per i celiachi

Le parole del Ministro della Salute sono una premessa doverosa perché, anche nella cura della celiachia, il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) dimostra le proprie caratteristiche di equità e universalità, praticamente uniche in tutto il mondo. Dal 2017, infatti, con la revisione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA)  la celiachia è stata inserita infatti tra le malattie croniche invalidanti. Che cosa significa? Semplice: è previsto il regime di esenzione per tutte le prestazioni sanitarie successive alla diagnosi e il supporto economico alla dieta per l’acquisto degli alimenti senza glutine specificamente formulati per i celiaci (per esempio pane, pasta, biscotti, pizza, cereali per la prima colazione e alimenti similari) che, in una dieta sana ed equilibrata, rappresentano il 35% del fabbisogno energetico totale giornaliero da carboidrati.

Il celiaco, infatti, una volta ottenuta la diagnosi deve seguire una dieta varia e bilanciata (ma rigorosamente senza glutine), il cui apporto energetico giornaliero da carboidrati come per tutti deve essere di circa il 55%, di cui però solo il 35% deve derivare da alimenti senza glutine mentre il restante 20% deve provenire da alimenti naturalmente privi di glutine. A supporto della dieta senza glutine il Servizio Sanitario Nazionale nel 2018, secondo i dati pervenuti e le stime fatte, ha speso circa 250 milioni di euro, con una media annua nazionale di circa 1.200 euro pro capite.

I numeri della celiachia in Italia

In base ai dati presenti nella relazione al Parlamento, la celiachia è una patologia prettamente femminile, visto che due terzi dei malati sono donne, e si concentra in alcune regioni. Quelle con il maggior numero di residenti celiaci sono Lombardia, Lazio, Campania ed Emilia Romagna, mentre quelle che ne hanno meno sono Valle d’Aosta e Molise. Se si analizza invece la percentuale di persone celiache rispetto alla popolazione, allora il primato spetta alla Sardegna, seguita da Toscana e Provincia Autonoma di Trento. Questa la fotografica del 2018. Qual è invece il trend? Secondo i dati pubblicati dal Ministero, negli ultimi sei anni sono state registrate 57.899 nuove diagnosi, con una media di circa 10mila all’anno. Inoltre si evince che la tendenza è in aumento in tutte le realtà regionali, anche se nel 2018 spiccano la Lombardia con + 1.891 seguita da Emilia Romagna con + 1.234 e Piemonte con + 1.233. Peraltro, a distanza di ormai tre anni dall’entrata in vigore del nuovo protocollo diagnostico (realizzato dopo otto anni, nel 2015, con un accordo Stato-Regioni) emerge un incremento delle diagnosi molto più moderato, probabilmente dovuto ad indirizzi scientifici più mirati e procedure che permettono di ridurre gli esami superflui, sviluppare ipotesi diagnostiche più tempestive e limitare gli errori. Infine, la celiachia è una patologia che può manifestarsi in ogni periodo della vita: sempre considerando il triennio 2016-2018, la fascia di età in cui si registrano più celiaci è quella compresa tra i 19 e i 40 anni.

inserire nostro riferimento articolo fatto [MA1]

 

Retinopatia diabetica, batterla con la prevenzione

La retinopatia diabetica è una grave complicanza del diabete: colpisce la retina e, in età lavorativa, è la prima causa d’ipovisione e cecità nei Paesi sviluppati. Si calcola che venga diagnosticata una retinopatia a circa un terzo dei diabetici.

Numeri importanti: l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), infatti, stima che i diabetici nel mondo siano 422 milioni e, per guardare all’Italia, secondo l’Istat in Italia il diabete stesso colpisce il 5,3% della popolazione, vale a dire oltre 3,2 milioni di persone, in particolare gli anziani, ossia il 16,5% tra le persone dai 65 anni in su.

Come combattere la retinopatia? La prevenzione è fondamentale se si pensa che – secondo gli studi più aggiornati – può ridurre in misura significativa le probabilità che questa malattia diventi molto impattante, portando il paziente alla cecità. La prevenzione, dunque, si conferma ancora una volta come elemento cruciale per salvaguardare la salute della popolazione e per limitare, in prospettiva, le spese del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), già messo a dura prova dalle dinamiche demografiche. Un concetto, quest’ultimo, che Assidai considera centrale nella propria mission tanto che viene perseguito ogni anno promuovendo per esempio campagne di prevenzione gratuite a disposizione dei propri iscritti (nel 2019 contro il rischio melanoma).

I numeri della retinopatia in Italia

Gli ultimi dati forniti dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) dicono che la retinopatia diabetica colpisce due diabetici su tre dopo 20 anni di malattia ed è, nel nostro Paese e nei Paesi industrializzati, la prima causa di cecità in età lavorativa. Se ne è parlato di recente al Senato della Repubblica, in occasione della presentazione della campagna informativa sulla retinopatia diabetica promossa dall’Agenzia internazionale per la prevenzione della cecità – IABP Italia onlus, in collaborazione con la Società italiana di medicina generale, l’Italian barometer diabetes observatory, Diabete Italia, l’Associazione parlamentare per la tutela e la promozione del diritto alla salute e il Censis.

Se generalmente il diabete di tipo 1 (il più grave) è diagnosticato dopo i 30 anni, indicativamente la prevalenza di retinopatia diabetica è del 20% dopo 5 anni di malattia, del 40-50% dopo 10 anni e di oltre 90% dopo 20 anni. Negli ultimi anni, tuttavia, c’è un nuovo trend – descritto dalla IAPB (l’Agenzia Internazionale per la Prevenzione della Cecità) – che dovrebbe indurre a riporre ulteriore attenzione nella prevenzione di questa malattia. Se infatti in passato erano colpiti soprattutto i Paesi più benestanti, oggi agli Stati a basso e medio reddito sono riconducibili il 75% dei diabetici. Con una differenza: molti di questi Paesi sono ancora poco attrezzati per diagnosticarla correttamente, per trattarla e per gestire le conseguenze varie e complesse di questa patologia. Ad oggi, in ogni caso, la zona del mondo dove si registra la maggiore prevalenza di diabetici è il Mediterraneo orientale (13,7% della popolazione maggiorenne), mentre complessivamente la regione europea si attesta al 7,3% (l’Africa è al 7,1%).

Anche l’OMS, al proposito, è molto chiaro. Sottolinea infatti che la retinopatia diabetica è un’importante causa di cecità e si verifica come risultato di un danno accumulato nel lungo periodo a carico dei piccoli vasi sanguigni della retina. Per questo, ha provocato in tutto il mondo l’1,9% della disabilità visiva (moderata o grave) e il 2,6% della cecità nel 2010.

Come combattere la retinopatia: prevenzione e screening

Come implementare una corretta prevenzione di questa malattia? Bisogna partire dal presupposto che i danni alla retina sono generalmente evitabili controllando bene il diabete. In particolare, è stato dimostrato che un attento controllo della pressione arteriosa in chi ha il diabete di tipo 2 riduce il rischio di malattia micro-vascolare del 37%, il tasso di progressione della retinopatia diabetica del 34% e il rischio di peggioramento dell’acuità visiva del 47%. Dunque, serve forte attenzione alla prevenzione primaria, il che significa controllare attentamente fattori di rischio quali la glicemia elevata e l’ipertensione arteriosa, e alla prevenzione secondaria, individuando tempestivamente la retinopatia diabetica e approntando i necessari trattamenti.

Detto in altre parole, se affrontata in tempo, con adeguati programmi di screening e di cura, la retinopatia diabetica è controllabile ed è possibile prevenire la cecità. Secondo gli specialisti, l’attenzione va aumentata quando il diabete è perdurante da più di vent’anni, quando le probabilità di malattia retinica aumentano esponenzialmente e due pazienti su tre rischiano la menomazione delle capacità visive con manifestazioni sia di ipovisione sia di totale perdita della vista nelle ipotesi peggiori.

Molto, nella prevenzione, dipende anche dai comportamenti personali: una dieta corretta, perlopiù vicina a quella mediterranea (che privilegia cioè frutta, verdura e pesce a zuccheri e grassi) e una attività fisica regolare sono la prima strategia da adottare. Senza dimenticare, per i diabetici, quanto sia fondamentale tenere sotto controllo i livelli di zuccheri nel sangue e sottoporsi a controlli oculistici periodici.

Assidai e la prevenzione

Per Assidai, come detto sopra, il valore della prevenzione è fondamentale. Il nostro Fondo la sostiene sia promuovendo campagne gratuite per i propri iscritti sia attraverso una informativa costante, che possa rappresentare un punto di riferimento per gli iscritti stessi. A tal proposito, visto che tra gli accorgimenti per prevenire la retinopatia diabetica c’è anche quello di evitare l’ipertensione arteriosa, è utile ricordare l’intervista rilasciata a Welfare 24 dal Dottor Bernhard Reimers, Responsabile dell’Unità Operativa Cardiologia clinica e interventistica dell’Humanitas Research Hospital di Milano, secondo il quale “per evitare l’insorgere di malattie cardiocircolatorie la regina della prevenzione è l’attività fisica aerobica”.

Un parere a dir poco autorevole, il suo: Reimers è considerato uno dei maggior esperti mondiali dell’angioplastica carotidea con più di 1.500 interventi eseguiti. Un consiglio pratico?

Una passeggiata di 20-30 minuti a passo veloce al giorno, lasciando a casa il cellulare per evitare stress e lasciare indietro tutti i pensieri e, a tavola, ovviamente dieta mediterranea.

Emergenza Coronavirus: come comunicare con Assidai

In questi giorni di emergenza Coronavirus, Assidai conferma la propria vicinanza a tutti gli iscritti con Piani Sanitari che tutelano le persone in ogni momento della loro vita.

Dopo la decisione del governo di estendere all’intero territorio nazionale fino al 13 aprile le misure straordinarie previste per contenere e gestire l’emergenza epidemiologica da COVID-19, il Fondo Assidai assicura la piena operatività di tutti i servizi erogati, senza soluzione di continuità.

Qualora vi fosse quindi la necessità di contattare il fondo, gli assistiti sono invitati a utilizzare il servizio “Comunica con Assidai”, presente all’interno dell’area riservata di questo sito, evitando, per quanto possibile, il canale telefonico.

Attraverso il servizio online il personale di Assidai potrà garantire le informazioni e le risposte necessarie anche da remoto, per ovviare alle restrizioni di accesso agli uffici.

Il Fondo di assistenza sanitaria integrativa Assidai, costituito da Federmanager, precisa che continuerà a rivolgersi agli oltre 120.000 assistiti nell’assoluto rispetto delle prescrizioni provenienti dalle istituzionali nazionali e locali.

Fondi per le terapie alternative rivolte ai più deboli

Quali sono le attività, da considerarsi anche forme di cura, che sono particolarmente raccomandate per alcune categorie di persone deboli o affette da specifiche patologie? Gli ultimi studi evidenziano come la pet therapy, intesa come interazione uomo-animale, la musicoterapia e la “horticultural therapy” risultano di grande aiuto e sostegno per molte persone.

Stiamo parlando, per esempio, di individui sottoposti a trattamenti terapeutici come anziani, affetti da malattie degenerative, da persone con disabilità o affette da autismo, ma anche di pazienti in recupero da stress post-traumatici, ictus e disordini alimentari. Non è un caso che, di recente, il Garante per la disabilità della Regione Puglia, Giuseppe Tulipani, abbia lanciato un avviso pubblico nei confronti di Enti no profit e del Terzo Settore da coinvolgere proprio in queste tre attività: per il primo esito, già messo a bando, erano disponibili 138mila euro e sono arrivate subito decine di richieste. L’obiettivo? Implementare azioni precise per nuovi progetti finalizzati alla sperimentazione per interventi socio-educativi e riabilitativi. L’ambito legislativo di riferimento è duplice: da una parte c’è quello tracciato dalla legge quadro 104/92 per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone con handicap; dall’altra parte c’è la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dall’Italia con la legge 3/2009.

Come funzionano pet therapy, musicoterapia e horticultural therapy

Il bando lanciato in Puglia è attinente nello specifico a tre ambiti.

Il primo è quello della pet therapy: cioè la promozione di esperienze significative nel percorso socio-educativo e terapeutico attraverso l’utilizzo di programmi educativi, ludico-ricreativi, di laboratorio, riabilitativi e di facilitazione sociale che utilizzano gli animali come parte integrata del programma stesso. Il termine pet-therapy, coniato nel 1964 dallo psichiatra infantile Boris M. Levinson, si riferisce all’impiego degli animali da compagnia per curare specifiche malattie. Numerose evidenze scientifiche dimostrano le potenzialità dell’impiego degli animali come strumento di cura in vari ambiti poiché rappresentano una sorta di “rompighiaccio” e stimolano la comunicazione e le relazioni sociali. Anche nel caso di persone affette da disturbi dello spettro autistico, che presentano difficoltà a comunicare e interagire con gli altri, l’introduzione di cani nelle sedute terapeutiche ha avuto effetti incoraggianti. In generale, un animale influisce positivamente sullo sviluppo della personalità dei bambini, aumentando l’autostima, la fiducia in se stessi e migliorando l’empatia e il senso di responsabilità. Scientificamente parlando, la sola presenza di un animale durante situazioni percepite come stressanti (per esempio, leggere ad alta voce in pubblico) riduce i livelli di ansia, la pressione sanguigna e il battito cardiaco. Al contrario, è stato dimostrato che il contatto fisico con un animale induce una riduzione, nel sangue, dei livelli degli ormoni responsabili della risposta allo stress (cortisolo) e causa un aumento delle quantità di ormoni e neurotrasmettitori in grado di determinare emozioni positive (endorfine e dopamina) e di ridurre l’ansia e lo stress.

Il secondo ambito è legato alla promozione delle attività che utilizzano la musica con un intento socio-educativo e terapeutico, sostenendo lo sviluppo neuro-psicomotorio e facilitando i rapporti interpersonali. La musica diventa così il canale comunicativo che permette al paziente di poter esprimere le proprie emozioni in maniera non verbale, instaurando un rapporto diverso con il terapista. Non è un caso che la musicoterapia si ritrova nelle più antiche società umane e si sia affermata agli inizi del XVIII secolo, quando il dottor Richard Brockiesby, musicista londinese, scrisse il primo trattato sull’argomento.

Infine, il terzo ambito del bando regionale è attinente alla valorizzazione di attività progettuali che favoriscano l’inclusione sociale, la relazione tra persone, la socializzazione ma anche l’inserimento lavorativo e la riabilitazione attraverso l’attività di orto e giardinaggio. La cosiddetta “horticultural therapy” è quell’insieme di attività di floricoltura e orticoltura, svolte con l’aiuto di un terapista specializzato, allo scopo di migliorare le condizioni di pazienti affetti da disabilità, malattie e traumi. Il suo segreto? Attraverso il contatto con la terra, lo specialista invita il paziente a rimettersi in gioco riconquistando la fiducia in se stesso: seminare, toccare la terra e coltivarla innesca infatti nel paziente senso di orgoglio e soddisfazione e al contempo stimola capacità cognitive e muscolari.

Solidarietà: un principio chiave anche per Assidai

Tra i pilastri dell’iniziativa c’è sicuramente la volontà di diffondere e promuovere una cultura dei diritti delle persone con disabilità nella prospettiva costituzionale della piena inclusione sociale, della qualità dell’assistenza e delle cure e del perseguimento possibile della vita indipendente. Sono tutti valori propri anche della mission di Assidai, che è diversa nei mezzi e nei destinatari ma, come ente non profit, ha tra i propri principi distintivi la mutualità e la solidarietà. Attorno ad essi si sviluppa tutta l’attività di Assidai, che ha come fulcro la salute e la tutela dei propri iscritti. Il Fondo di assistenza sanitaria integrativa è senza scopo di lucro e si prende cura di oltre 120.000 persone. Non ha limiti di età, di accesso e di permanenza; non opera la selezione del rischio, non può recedere dall’iscrizione e, quindi, tutela gli assistiti per tutta la durata della loro vita.

Welfare aziendale, il report del Ministero del Lavoro

Negli ultimi anni, in Italia, il welfare aziendale ha vissuto uno sviluppo importante. Grazie a diversi interventi legislativi da parte del Governo, quell’insieme di benefit e servizi forniti da un’azienda ai propri dipendenti (e talvolta anche ai loro familiari) come forma integrativa della normale retribuzione monetaria, è diventato ormai un punto fermo anche per il nostro Paese. Al riguardo, va precisato, ci sono diverse indagini che periodicamente scattano una fotografia dello stato dell’arte del settore, ma è ormai consolidato il fatto che il welfare aziendale sia diffuso in più di un’azienda su due.

Un punto di osservazione privilegiato del fenomeno, che ovviamente ha visto una fortissima accelerazione dal 2016 (quando il Governo, attraverso la Legge di Bilancio, ha inaugurato una serie di agevolazioni fiscali) è il report periodico del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sul deposito telematico dei contratti aziendali e territoriali che prevedono la detassazione dei premi o, in alternativa, l’erogazione di servizi di welfare aziendale. E anche questo documento conferma la significativa espansione del welfare stesso.

Il quadro normativo del welfare aziendale

Per inquadrare meglio la situazione è necessario fare il punto sull’attuale normativa. A seguito del Decreto Interministeriale del 25 marzo 2016, che disciplina l’erogazione dei premi di risultato, la partecipazione agli utili di impresa con tassazione agevolata e prevede misure di welfare aziendale, dal 29 aprile 2016 il deposito dei contratti aziendali e territoriali di secondo livello deve avvenire esclusivamente in modalità telematica, senza recarsi cioè presso gli Uffici Territoriali del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. L’obiettivo? Monitorare le prassi attuate dalle singole imprese o a livello locale, verificandone la conformità alle norme di legge. Il regolare deposito, infatti, sarà necessario per poter usufruire della detassazione poiché i contratti aziendali e territoriali rappresentano uno strumento fondamentale per favorire nelle aziende gli incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione.

Altro caposaldo della normativa introdotta dalle Leggi di Stabilità 2016 e 2017 è stato il regime di tassazione zero per i dipendenti che scelgono di convertire i premi di risultato del settore privato di ammontare variabile in benefit compresi nell’universo del welfare aziendale stesso (con il perimetro di quest’ultimo che è stato via via esteso con ulteriori interventi legislativi allargandolo per esempio all’educazione, all’istruzione e alla copertura per la non autosufficienza – Long Term Care). In alternativa, come già previsto, i benefit saranno soggetti a un’imposta sostitutiva dell’IRPEF e delle addizionali regionali e comunali pari al 10 per cento.

I numeri: la crescita del welfare aziendale

Detto ciò, i numeri forniti dal Ministero del Lavoro danno uno spaccato interessante del fenomeno e dimostrano la diffusione sempre più significativa del welfare aziendale. Allo scorso 14 gennaio, infatti, 10.272 dichiarazioni di conformità si riferivano a contratti tuttora attivi: di queste 7.653 erano attinenti a contratti aziendali e 2.619 a contratti territoriali. Oltre la metà, inoltre, per l’esattezza 5.843 prevedevano misure di welfare aziendale, 7.901 si proponevano di raggiungere obiettivi di produttività, 6.075 di redditività, 4.705 di qualità e 1.222 contemplavano un piano di partecipazione. Ancora più significativa, tuttavia, è la scomposizione tra coloro che hanno scelto di vedersi corrispondere un premio di produttività (che già in passato prevedeva una tassazione agevolata del 10%) e chi invece ha scelto il welfare aziendale a tassazione zero. Ebbene, complessivamente hanno scelto la prima strada 1.719.346 lavoratori contro 1.673.307 che hanno optato per la seconda, di fatto percorribile solo da qualche anno. Il valore annuo medio del premio è stato di 1.293 euro per la prima categoria e di 1.342 euro per la seconda.

In generale, prendendo invece come riferimento tutti i 10.272 contratti tuttora attivi, la distribuzione geografica era per l’80% al Nord, per il 14% al centro e per il 6% al Sud. Inoltre, il 53% di essi era relativo ai servizi, il 46% all’industria e solo l’1% all’agricoltura. Infine, per quanto riguarda la dimensione aziendale, il 55% delle imprese aveva meno di 50 dipendenti, il 32% oltre 100 e il 13% tra 50 e 99.

Assidai e il welfare aziendale: un binomio vincente

L’ultimo studio presentato dall’ISTAT evidenzia come all’interno delle aziende il benessere personale e un corretto bilanciamento tra vita lavorativa e vita privata rappresentano fattori positivi sia per i manager sia per i dipendenti in generale, perché accrescono il benessere organizzativo generale all’interno dell’azienda stessa e aumentano il livello di energia e motivazione dei singoli. E, di conseguenza, incrementano la produttività, aiutando anche ad affrontare i cambiamenti organizzativi necessari per tenere il passo della competitività. Dai dati emersi da numerose indagini di mercato sul tema del welfare aziendale, si evidenzia come l’assistenza sanitaria integrativa sia uno dei benefit maggiormente richiesti all’interno delle aziende.

In tale contesto, Assidai, Fondo di assistenza sanitaria integrativa, eroga i propri servizi in favore di manager, quadri e professionisti e delle loro famiglie mettendo loro a disposizione i migliori Piani Sanitari per le persone e utilizzando tecnologie avanzate per consentire l’accesso alla propria area riservata in assoluta sicurezza. Inoltre, il servizio di Customer Care Assidai è a completa disposizione degli iscritti dal lunedì al venerdì, dalle ore 8.00 alle ore 18.00, e risponde alle domande e richieste di supporto.

I Piani Sanitari Assidai riservati alle aziende sono diversi e i vantaggi sia per le aziende stesse che per i lavoratori sono numerosi. Inoltre, i decision maker delle aziende industriali possono valutare direttamente con Assidai la costruzione di Piani Sanitari ad hoc, personalizzabili proprio sulla base delle esigenze presentate al Fondo di assistenza sanitaria dalle aziende e dai lavoratori.

Conciliazione vita-lavoro e sgravi contributivi

Per il biennio 2017-2018, era stata avviata anche una sperimentazione per favorire la conciliazione dei tempi di vita e lavoro all’interno delle aziende: è lo sgravio contributivo previsto dall’articolo 25 del Decreto Legislativo n. 80/2015 e attuato secondo le modalità del Decreto Interministeriale del 12 settembre 2017.

L’agevolazione riguardava i contratti aziendali sottoscritti dal 1° gennaio 2017 al 31 agosto 2018 che promuovevano misure di conciliazione per i dipendenti, migliorative rispetto alle previsioni di legge o del CCNL di riferimento. In generale, le linee di intervento individuate dal Decreto erano tre: il sostegno alla genitorialità, la flessibilità organizzativa e l’erogazione di servizi di welfare aziendale a favore dei lavoratori.

I datori di lavoro che intendevano usufruire della decontribuzione dovevano inviare un’apposita istanza sul portale INPS e, preventivamente, effettuare il deposito telematico del contratto aziendale, anche qualora si trattasse del recepimento di un contratto territoriale di secondo livello.

Diamo anche in questo caso una breve scorsa ai numeri registrati. Allo scorso 14 gennaio erano state compilate 4.121 dichiarazioni di conformità, di cui 2.546 corrispondenti a depositi validi anche ai fini della detassazione e 1.575 solo a fini della decontribuzione. Inoltre, sono 1.706 le dichiarazioni che si riferiscono a contratti tuttora attivi.