Prodotto Unico Fasi-Assidai, assistenza sanitaria completa per manager

Le aziende industriali oggi hanno una nuova grande opportunità: aderire al Prodotto Unico Fasi-Assidai, una copertura integrativa che garantisce ai dirigenti in servizio un’assistenza sanitaria completa. Infatti, attraverso il Prodotto Unico Fasi-Assidai essi potranno godere dell’incremento economico quasi totale delle prestazioni previste dal Nomenclatore Tariffario del Fasi stesso.

Ecco numeri e dettagli

Ma che cosa prevede nel dettaglio il Prodotto Unico Fasi-Assidai sulla copertura integrativa per i dirigenti in servizio iscritti in forma collettiva? Per quanto riguarda le prestazioni sanitarie erogate, è previsto un rimborso fino al 100% del richiesto per i ricoveri con o senza intervento chirurgico e interventi ambulatoriali, fino a un massimo di 1 milione di euro l’anno per nucleo familiare nel caso in cui le prestazioni siano effettuate utilizzando la rete di case di cura ed equipe mediche convenzionate con il network IWS.

Anche in caso di extra-ricovero è stabilito un rimborso fino al 100% del richiesto e fino ad un massimo di 25mila euro per nucleo familiare, sempre ovviamente in regime di convenzionamento diretto. Infine, per le cure odontoiatriche è previsto un rimborso fino al 90% dell’importo richiesto per le spese relative alle voci previste dalla Guida Odontoiatrica del Fasi in vigore e secondo i criteri liquidativi in essa riportati, fino ad un massimo di 12.500 euro l’anno per l’intero nucleo familiare.

È compreso, inoltre, all’interno del contributo di adesione al Prodotto Unico Fasi-Assidai, anche la copertura aggiuntiva in caso di non autosufficienza, una tutela fondamentale per avere una sicurezza a 360 gradi.

Vantaggi operativi del Prodotto Unico Fasi-Assidai

Network unico

Per gli aderenti alla proposta sanitaria, il network è unico e capillare su tutto il territorio nazionale. L’accesso alla rete di strutture sanitarie e professionisti convenzionati è semplice e senza alcun onere per l’iscritto.

Pratica di rimborso unica

Gli iscritti possono inviare una pratica di rimborso unica attraverso il portale online di IWS – Industria Welfare Salute, che, a sua volta, provvede a inoltrare le richieste ai due Fondi per quanto di loro competenza.

Nel nuovo CCNL dei manager c’è Assidai

A luglio 2019 Federmanager e Confindustria hanno firmato il rinnovo del Contratto Collettivo per i Dirigenti Industriali che ha migliorato tutti gli aspetti chiave del rapporto di lavoro con particolare focus sul welfare. Inoltre, per la prima volta, nel contratto stesso è comparso Assidai, in un’ottica di reciproca collaborazione con il Fasi che rafforza il ruolo di entrambi nel panorama della sanità integrativa e contribuisce a salvaguardare il patto intergenerazionale tra dirigenti in servizio e pensionati. L’intesa tra i due Enti, realizzata attraverso IWS – Industria Welfare Salute (società costituita da Federmanager, Confindustria e Fasi), fornisce molte funzionalità a vantaggio degli iscritti e ottimizza le risorse per continuare a investire su temi chiave come la prevenzione sanitaria e le coperture per la non autosufficienza – Long Term Care.

Per avere ulteriori dettagli sulla copertura integrativa per i dirigenti in servizio Prodotto Unico Fasi-Assidai è possibile contattare il Customer Care Assidai al numero +39 06 44070600 (attivo dal lunedì al venerdì dalle 8.00 alle 18.00).

Lavorare più di 55 ore a settimana è salutare?

Lavorare più di 55 ore a settimana aumenta il rischio di malattie cardiache ischemiche e ictus. A dirlo sono due fonti più che autorevoli, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) che hanno evidenziato questo problema in un’analisi pubblicata sulla rivista scientifica “Environment International” a maggio ed effettuata in base ai dati raccolti in 194 Paesi.

Un allarme che suona ancora più attuale in un momento in cui, causa il Covid e il lavoro a distanza, il tempo passato davanti al pc, al telefono o collegati in meeting virtuali si è allargato a dismisura.

“La pandemia ha significativamente cambiato il modo in cui molte persone lavorano – ha sottolineato il Direttore generale dell’OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus – Il telelavoro è diventato la norma in numerosi settori di attività, facendo spesso scomparire i confini tra casa e lavoro. Del resto, numerose aziende sono state costrette a ridurre o interrompere le loro attività per risparmiare e le persone che continuano a lavorare finiscono per avere un orario di lavoro prolungato”. Tuttavia, ha aggiunto, “nessun lavoro vale il rischio di ictus o di malattia cardiaca. I Governi, i datori di lavoro e i lavoratori devono collaborare per mettere a punto dei limiti che proteggano la salute dei lavoratori stessi”.

Oltre 55 ore di lavoro settimanali aumentano i rischi

Andiamo però nei dettagli dello studio pubblicato su “Environment International”. Innanzitutto i numeri: lavorare 55 ore o più a settimana – si legge nel report – aumenta il rischio di ictus del 35% e di morire d’infarto del 17% rispetto a chi si limita a 35-40 ore di lavoro a settimana. Dati alla mano, nel 2016 in tutto il mondo quasi 400mila persone, per l’esattezza 398mila, sono decedute per ictus e 347mila per una cardiopatia, in entrambi i casi dopo aver accumulato almeno 55 ore a settimana di lavoro. Non solo. Il fenomeno è in peggioramento se si pensa che tra il 2000 e il 2016 il numero di morti per malattie cardiache legate a orari di lavoro prolungati è aumentato del 42%, e quello di ictus del 19%. In generale, si osserva, la categoria di coloro che lavorano in modo eccessivo è in progressiva espansione: oggi riguarda il 9% della popolazione mondiale ma nei prossimi anni questo numero potrebbe lievitare ulteriormente.

Quali sono le categorie più a rischio? Sicuramente gli uomini (interessati dal 72% dei decessi) e – dal punto di vista geografico e demografico – le persone che vivono nell’area del Pacifico occidentale e nel Sud-Est asiatico e i lavoratori di mezza età o anziani. La maggior parte dei decessi registrati dai ricercatori riguardavano, infatti, persone tra i 60 e i 79 anni che avevano lavorato almeno 55 ore a settimana tra i 45 e i 74 anni.

“Lavorare 55 ore o più a settimana – ha concluso Maria Neira, Direttore del Dipartimento ambiente, cambiamento climatico e salute dell’Oms – rappresenta un grave pericolo per la salute. È arrivato il momento che tutti noi, governi, datori di lavoro e dipendenti apriamo gli occhi e ci rendiamo conto che orari di lavoro prolungati possono provocare morti premature”.

Parole che confermano l’estrema attualità di questo studio e anche uno dei temi affrontati più volte da Assidai: il work-life balance, ovvero il giusto equilibrio tra vita privata e lavoro. Un concetto, quest’ultimo, che è poi alla base anche del welfare aziendale, principio ispiratore di un nuovo tipo di rapporto tra dipendente e datore di lavoro, trend sempre più rilevante in Italia e su cui il nostro Fondo ha sempre lavorato attivamente.

Gli stili di vita e la prevenzione primaria

Quando detto finora conferma un’altra grande campagna portata avanti in questi anni da Assidai, quella per la prevenzione primaria, principale strumento a nostra disposizione contro le malattie croniche (patologie dell’apparato cardiocircolatorio e respiratorio, tumori, diabete) che sono i principali killer a livello mondiale.

Non è un caso che proprio l’OMS abbia messo a punto un piano di azione per ridurre su scala globale del 30% entro il 2030 l’incidenza di queste malattie, anche dette non trasmissibili. Nel 2018 il nostro Fondo aveva promosso la campagna di prevenzione proprio contro il rischio ictus , consentendo a tutti gli iscritti di effettuare gratuitamente l’esame ecocolordoppler dei tronchi sovraortici per rilevare eventuali stenosi carotidee. Era stato possibile prenotare l’esame in tutta Italia presso le strutture sanitarie  convenzionate aderenti all’iniziativa.

In generale un’alimentazione equilibrata, evitare il consumo di alcol o tabacco, svolgere un’attività fisica in modo regolare (o quanto meno evitare la sedentarietà) e adottare stili di vita corretti rappresentano il punto di partenza fondamentale – appunto la prevenzione primaria – per diminuire il più possibile l’insorgenza di malattie croniche. È evidente come il “troppo lavoro” (55 ore a settimana sono l’equivalente di 11 ore al giorno se si assumono cinque giorni lavorativi) – laddove esso non rappresenti, ovviamente, un’eccezione motivata da particolari esigenze o momenti di un’azienda – vada a incidere proprio sullo stile di vita di una persona, azzerando il tempo a disposizione per l’attività fisica oppure costringendolo a pasti improvvisati che, spesso, sono anche quelli meno equilibrati.

Un bollino di qualità per le aziende che promuovono la salute di genere in azienda

Un bollino di qualità per le aziende che si sono distinte nel garantire la tutela della salute delle proprie dipendenti o che hanno avviato un percorso virtuoso in tal senso. È questa l’ultima apprezzabile iniziativa della Fondazione Onda, Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere, che ha inventato il cosiddetto Bollino HCF (Health Friendly Company), un riconoscimento biennale – spiega lo stesso Osservatorio – alle realtà che hanno dimostrato di avere a cuore il benessere psichico e fisico delle donne, manifestando la volontà di affiancarle nel processo di informazione e sensibilizzazione in merito a salute della donna, prevenzione primaria e salute mentale.

Le donne al lavoro: il contesto e le conseguenze del Covid

Inquadrare il contesto e momento particolare in cui si inserisce l’iniziativa è certamente utile. Secondo l’Istat, infatti, su 10 posti di lavoro solo 4 sono occupati da donne e solo una donna su due è occupata in Italia, a conferma del fatto che l’ambiente di lavoro non favorisca il lavoro femminile.

I numeri dimostrano, inoltre, quanto la pandemia stia peggiorando la situazione: gran parte dei lavoratori che hanno perso il proprio impiego è composto da donne. Rispetto a dicembre 2019, infatti, ci sono 444 mila lavoratori in meno, 312 mila dei quali sono donne.

“L’emergenza Covid-19 ci ha portato a riflettere su quanto sia ancora più importante tutelare e promuovere la salute in tutti gli ambiti di vita, compreso quello lavorativo”, ha sottolineato al proposito Francesca Merzagora, Presidente della Fondazione Onda. “In questo contesto, – ha aggiunto – riteniamo che le aziende possano svolgere un ruolo molto attivo a livello di welfare fornendo alle proprie dipendenti tutti gli strumenti necessari per preservare e tutelare la propria salute in serenità e sicurezza”.

Da qui nasce il progetto HFC che “è da un lato un riconoscimento aziendale, dall’altro un modo per spronare le aziende a far sempre di più e meglio nell’ambito della salute di genere”, aggiunge. Del resto “l’attenzione alla salute dei dipendenti, non solo delle donne, e l’introduzione di nuove pratiche di welfare potrebbero favorire di riflesso anche l’occupazione femminile”.

In realtà, il discorso è più generale e si lega alle conseguenze della pandemia sotto questo particolare punto di vista. Essa, infatti, secondo Claudio Mencacci, Presidente della Società di NeuroPsicoFarmacologia che ha partecipato all’assegnazione dei bollini della Fondazione Onda,

“ha provocato un pesante impatto sulla salute mentale in particolare delle donne: ansia, depressione problemi legati al ritmo sonno-veglia sono peggiorati, anche e soprattutto nella popolazione che ha cambiato i propri ritmi lavorativi. Un recente studio su 6.700 italiani pubblicato su una rivista di Nature ha evidenziato come i lavoratori che hanno potuto uscire di casa e recarsi sul luogo di lavoro mantenendo così le loro abitudini, pur nella paura di infettarsi, sono stati i soggetti meno colpiti da sintomi depressive”. Ciò mentre lo smart working, pur se apprezzato dai lavoratori, ha provocato “alterazioni delle routine familiari e del work-life-balance, impattando negativamente sulla salute mentale: unitamente all’aumento di peso ha comportato un aumento nel consumo di psicofarmaci, in particolare di ansiolitici e ipnoinduttori in percentuali superiori al 12%”.

I criteri di assegnazione del Bollino Health Friendly Company

Ma come è stata decisa l’assegnazione del Bollino HFC? Essa è avvenuta sulla base di un questionario strutturato su specifici requisiti e validato da un apposito Advisory Board. Includeva domande relative all’impegno dell’azienda verso la tutela della salute dei propri dipendenti, tra cui attenzione al welfare aziendale, come retribuzione, orario flessibile, smart working, alle molestie sessuali di genere in ambito lavorativo, alle politiche a sostegno della maternità e della famiglia, alla promozione di campagne informative con l’obbiettivo di facilitare l’assunzione di stili di vita corretti. Da quanto è emerso, la salute mentale e l’attenzione per gli stili di vita sono gli ambiti in cui le aziende si sono dimostrate maggiormente sensibili. Sono, inoltre, molte le realtà che hanno potenziato i propri servizi per i dipendenti rispondendo alle esigenze emerse in epoca Covid-19 (servizi digitali, sportelli, ecc.).

Le realtà che hanno ottenuto il riconoscimento istituzionale Health Friendly Company 2021 sono state: Angelini Pharma, Azienda Ulss2 Marca Trevigiana, Banca Mediolanum, Cantabria Labs Difa Cooper, Daiichi Sankyo Italia, Danone, DHL Express Italy, Edwards Lifesciences Italia s.r.l., Esselunga S.p.A., EY S.p.A., GlaxoSmithKline e consociate, Gruppo Enav, Ipsen S.p.A., Janssen Italia, Leonardo Assicurazioni, Lundbeck Italia, Mediobanca – Banca Di Credito Finanziario, Merck, Novartis Farma, Roche S.p.A. – Roche Diagnostics S.p.A. – Roche Diabetes Care Italy S.p.A. e Teva Italia.

I valori di Assidai

L’attenzione al welfare aziendale, i valori del work-life balance, la solidarietà, la salute, la professionalità e la trasparenza sono tutti punti cardine dell’azione quotidiana di Assidai. E sono elementi che, come abbiamo visto, hanno mosso questa iniziativa della Fondazione Onda per premiare le aziende che tutelano le proprie dipendenti.

Perno di tutto ciò – come abbiamo più volte ricordato – è una filosofia di “personalizzazione” del rapporto di lavoro e di evoluzione delle relazioni industriali, non più basate soltanto sulla contrattazione collettiva, ma anche sulle relazioni personali. Senza dimenticare che sono sia l’impresa sia il dipendente (lavoratore o manager) a beneficiare di un rapporto fiduciario finalizzato a centrare obiettivi come i cosiddetti “work-life balance” (cioè l’equilibrio vita privata-lavoro) e “best place to work” (l’ambiente ideale per svolgere le proprie mansioni).

Un’approfondita ricerca svolta da Assidai, in collaborazione con Ipsos già nel 2015, aveva indagato a fondo queste tematiche, evidenziando come per i manager italiani fosse cruciale la protezione di una copertura sanitaria integrativa come elemento di tranquillità per la propria vita personale e professionale.

 

Nasce la Giornata della Prevenzione Cardiovascolare

Il 13 maggio 2021 si celebrerà la prima Giornata Italiana per la Prevenzione Cardiovascolare, promossa e organizzata dalla Società Italiana per la Prevenzione Cardiovascolare (SIPREC). L’iniziativa, incentrata sul tema della prevenzione cardiovascolare a 360 gradi, – spiega l’associazione – mira ad accrescere la consapevolezza dell’importanza e dell’incidenza delle malattie cardiovascolari nelle vite dei singoli e nell’intera comunità e soprattutto a sensibilizzare tutti gli stakeholders sul ruolo centrale degli interventi di prevenzione basati sia sugli stili di vita che con l’impiego dei farmaci. Non solo: la prevenzione delle malattie cardiovascolari rappresenta ancora oggi, anche alla luce delle gravi conseguenze determinate dalla pandemia Covid-19 soprattutto nei pazienti con patologie cardiovascolari, un obiettivo primario del nostro sistema sanitario e più in generale un’esigenza della nostra società.

I numeri della patologia

Le patologie cardiovascolari detengono un triste primato che deve indurre tutti noi a uno sforzo rilevante in fase di prevenzione primaria che, come noto, è il principale strumento in nostro possesso per evitare l’insorgenza delle malattie croniche. Quest’ultime, infatti, rappresentano ogni anno il 70% dei decessi a livello mondiale. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, inoltre, ha inoltre individuato quattro gruppi di malattie killer responsabili dell’80% dei decessi prematuri legati alle a questa categoria di patologie: spiccano appunto infarto e ictus (17,7 milioni di morti), seguiti da tumori (8,8 milioni), malattie respiratorie (3,9 milioni principalmente asma e bronco pneumopatia cronico ostruttiva) e diabete (1,6 milioni).

È proprio per migliorare questa situazione che – come detto – il 13 maggio 2021 è stata istituita da SIPREC la prima Giornata Italiana per la Prevenzione Cardiovascolare. L’obiettivo è uno sforzo collettivo: l’implementazione di strategie di prevenzione sia a livello di popolazione che individuali presuppone il contributo sinergico di tutte le componenti del sistema a partire dal coinvolgimento di differenti competenze specialistiche.

Per questo, la giornata di informazione promossa da SIPREC lascerà largo spazio alle tematiche più care alla prevenzione cardiovascolare. Dal cosiddetto lifestyle (preservare il benessere attraverso l’alimentazione e lo sport) ai fattori di rischio; dalla qualità della vita legata alla prevenzione delle malattie cardiovascolari alle possibili terapie farmacologiche. Senza dimenticare approfondimenti sui cosiddetti nemici del cuore (colesterolo, diabete, fumo, ipertensione, obesità, stress, età), sulla prevenzione secondaria (attraverso specifici screening), e sulle innovazioni della telemedicina.

L’importanza della prevenzione primaria

La prevenzione primaria, come più volte ricordato da Assidai, resta il punto chiave. Nel 2019 la Fondazione Italiana per il Cuore, in collaborazione con la Società Italiana di Scienza dell’Alimentazione, ha lanciato la campagna CUORIAMOCI, che prosegue tuttora e sul proprio sito ha messo a punto un test tanto divertente quanto utile per scoprire “se ti prendi cura del tuo cuore”. L’obiettivo, in sostanza, è informare e guidare le persone ad adottare uno stile di vita sano e corretto che preservi l’apparato cardiocircolatorio.

Parliamo di piccoli ma importanti gesti quotidiani come – innanzitutto – seguire una dieta equilibrata, ricca di cereali integrali e frutta e verdura, che contenga anche legumi, latte, yogurt, carne bianca e pesce, quest’ultimi da preferire rispetto alle carni rosse e conservate. In secondo luogo, sono fondamentali i comportamenti: a tavola scegliere cibi poco salati, evitare l’uso di bevande zuccherate e moderare il consumo di bevande alcoliche. L’uso di tabacco va evitato. Inoltre, fare un po’ di movimento quotidiano diventa fondamentale: una bella camminata prima o dopo il lavoro o la scelta dei gradini al posto dell’ascensore sono solo alcuni dei modi, anche semplici, con cui possiamo tenerci in esercizio giorno dopo giorno, specie per chi non ha il tempo (o la propensione) a svolgere un’attività fisica vera e propria, che darebbe ancora più benefici al nostro organismo.

Assidai e gli screening offerti agli iscritti

Anche Assidai ha sempre posto grande attenzione al tema della prevenzione, per esempio attraverso specifiche campagne offerte gratuitamente ai propri iscritti. Una di esse, “Healthy Manager”, nel 2018 prevedeva uno screening chiave per evitare l’ictus, una delle principali patologie da ricondurre al sistema cardiocircolatorio. In particolare, offriva la possibilità di sottoporsi all’esame ecocolordoppler dei tronchi sovraortici per rilevare eventuali stenosi carotidee. Esame giudicato in modo assolutamente positivo da tutti gli esperti dato che la medicina moderna è “anticipatoria” e pertanto la diagnosi precoce di stenosi carotidee asintomatiche, può portare a una riduzione non solo dell’ictus, ma anche dei costi sociali legati alle sue conseguenze cliniche invalidanti.

Welfare aziendale: i flexible benefit

Il welfare aziendale, ormai diffuso in più di un’azienda su due in Italia, ha un ruolo sempre più centrale nel nostro Paese, anche grazie agli incentivi del Governo che dal 2016 ne hanno permesso uno sviluppo rilevante. Esso è, infatti, il simbolo di un nuovo genere di relazioni e di rapporti tra il dipendente e il datore di lavoro: non più in contrapposizione ma “alleati” per lo sviluppo dell’impresa e per il cosiddetto work life balance del dipendente stesso.

Lo strumento su cui si impernia il welfare aziendale sono i flexible benefit, ovvero una serie di servizi o beni messi a disposizione dei dipendenti da parte della propria azienda. Caratteristica fondamentale: non rientrano in una retribuzione vera e propria, in quanto sono privi di carichi impositivi e contributivi, ma consistono in “benefici” dei quali i lavoratori possono godere.

Le differenze tra flexible benefit e fringe benefit

Per spiegare bene il concetto di flexible benefit è cruciale rappresentare in maniera adeguata la differenza con i fringe benefit.

Quest’ultimi, di cui ci siamo già occupati, sono compensi in natura che il datore di lavoro offre ai dipendenti e che – aspetto fondamentale da tenere in considerazione – vanno ad aumentare il valore della retribuzione. Qualche esempio? L’auto e il cellulare aziendali, i buoni carburante, i buoni spesa, immobili concessi in locazione o in uso. Tutti questi beni, come detto, sono conteggiati nel reddito lordo del lavoratore e tassati, a meno che il valore non rimanga sotto una certa soglia. Proprio questa soglia è stata raddoppiata l’anno scorso dal DL di agosto 2020 che nel dettaglio, modificando quanto previsto dall’articolo 51, comma 3 del TUIR, ha innalzato la soglia di esenzione fiscale per i fringe benefit da 258,23 euro a 516,46 euro. Tutto ciò, tuttavia, vale soltanto per il 2020.

Passiamo ora ai flexible benefit, perimetro in cui ricadono tutte le misure di welfare aziendale concesse dal datore di lavoro e che non rientrano nel contratto individuale ma derivano piuttosto da accordi aziendali, territoriali o di categoria. Tutti questi servizi o benefici di fatto aumentano la retribuzione del dipendente ma – diversamente dai fringe benefit – non partecipano alla formazione del reddito imponibile e dunque non sono oggetto di tassazione. Qualche esempio lo offre il secondo comma dell’articolo 51 del TUIR, che snocciola tutti i redditi erogati ai dipendenti che non concorrono a formare la base imponibile. Tra questi l’assistenza sanitaria integrativa (i contributi versati dal lavoratore o dal datore di lavoro non sono tassabili fino un massimo di 3.615,20 euro e possono essere destinati non solo al dipendente ma anche ai suoi familiari); prestazioni di trasporto collettivo come il servizio di navetta, fornito dal datore di lavoro o da terzi, o abbonamenti al trasporto pubblico acquistati dal datore di lavoro; compartecipazione del datore di lavoro a spese per educazione, ricreazione o istruzione dei figli dei dipendenti; servizi di assistenza familiare e prestazioni per il rischio di non autosufficienza; previdenza complementare.

I vantaggi dei flexible benefit

Alla luce di queste considerazioni i vantaggi dei flexible benefit sono evidenti e altro non sono che la declinazione della filosofia, sempre più vincente, del welfare aziendale. Vantaggi per l’azienda ma anche per i dipendenti. Quest’ultimi, infatti, possono contare su un maggiore potere d’acquisto visto che i beni e i servizi erogati – come abbiamo visto – sono sostanzialmente esenti dal punto di vista fiscale e consentono una migliore gestione del proprio work life balance. Il datore di lavoro, dal canto suo, ottiene sia un risparmio sui costi sia un miglioramento della produttività legato alla maggiore motivazione del personale. I benefici del welfare aziendale, e dunque dei flexible benefit, sono stati misurati da un position paper realizzato da Social Value Italia, Percorsi di secondo welfare, Avanzi e ALTIS – Università Cattolica, “La valutazione d’impatto sociale come elemento costitutivo dei piani di welfare aziendale”, che ha svolto un’indagine presso 56 aziende italiane. Il risultato, di cui ci siamo già occupati  è stato che, laddove vengono misurati, tra gli effetti positivie spiccano il senso di appartenenza (88%), impegno e dedizione (75%) e produttività (63%), seguiti poi dalla capacità di “attraction” (38%) e di “retention” (25%) e l’impatto su comunità e territori (25%). Un risultato, peraltro, coerente con altre ricerche condotte a livello internazionale.

Assidai e il welfare aziendale

Il flexible benefit più richiesto, come testimoniato da diverse indagini, è l’assistenza sanitaria integrativa su cui Assidai ritiene di avere una ricca offerta di Piani Sanitari riservati alle imprese e ai professionisti. Non solo, il nostro Fondo – ove richiesto – può valutare con i decision maker aziendali la realizzazione di Piani Sanitari ad hoc, personalizzati proprio sulla base delle caratteristiche richieste dalle aziende e dai lavoratori. Ciò perché Assidai è fermamente convinto che il benessere personale e un corretto bilanciamento tra vita lavorativa e vita privata fanno bene ai manager e ai dipendenti in generale, perché accrescono il benessere organizzativo generale all’interno di un’azienda e il livello di energia e motivazione dei singoli. E, di conseguenza, incrementano la produttività, l’operatività ordinaria e aiutano ad affrontare i cambiamenti organizzativi necessari per tenere il passo della competitività. Non solo, appoggiarsi a una soluzione complementare dal punto di vista sanitario permette di essere tutelati nel momento del bisogno e al tempo stesso di alleggerire, in ottica futura, le incombenze del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) che ha davanti a sé un futuro sempre più sfidante per la dinamica demografica del Paese.

Giornata Mondiale della Salute 2021

“Costruire un mondo più giusto e più sano dopo che il Covid ha aumentato le diseguaglianze mondiali nella sanità”. È questo il messaggio chiave lanciato dalla Giornata Mondiale della Salute che si è celebrata, come ogni anno, il 7 aprile: dal 1950, infatti, il World Health Day si festeggia in questa data per ricordare la fondazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), avvenuta appunto il 7 aprile 1948.

Quest’anno l’OMS non poteva non incentrare questa ricorrenza sulle conseguenze della pandemia che sta colpendo il pianeta. L’Agenzia delle Nazioni Unite specializzata per le questioni sanitarie ha infatti evidenziato come i contagi e i decessi per Covid sono stati più frequenti tra i gruppi caratterizzati da discriminazioni, povertà, esclusione sociale e condizioni di vita e di lavoro quotidiane avverse. Non solo: secondo l’OMS l’anno scorso solo la pandemia ha portato in condizioni di povertà estrema tra i 119 ei 124 milioni di persone in più, ampliando ulteriormente il “gender gap” nell’occupazione, con un aumento delle donne senza lavoro. “La pandemia ha prosperato tra le disuguaglianze e le lacune dei sistemi sanitari, per questo è cruciale che tutti i governi puntino sul rafforzamento della sanità”, ha sottolineato al proposito il Direttore Generale dell’OMS, Tedros Ghebreyesus, evidenziando la necessità che i servizi sanitari stessi acquisiscano sempre più caratteristiche di equità e universalità.

5 proposte dell’OMS per rilanciare la sanità mondiale

Al tempo stesso, ecco dunque profilarsi per il pianeta un’occasione unica: ricostruire dopo il Covid una sanità più equa che diminuisca, anziché aumentare, le diseguaglianze. Per cogliere questa occasione l’OMS ha identificato cinque direttive chiave che dovrebbero rappresentare le principali linee d’azione dei Governi mondiali. Vediamole nel dettaglio.

  1. Innanzitutto, serve investire sulla sanità di base, evitando al contempo tagli alla spesa pubblica, visto che almeno metà della popolazione mondiale non ha accesso ai servizi sanitari essenziali: una distorsione che porta oltre 800 milioni di persone a spendere almeno il 10% del reddito familiare in assistenza sanitaria e che trascina quasi 100 milioni di persone in povertà ogni anno. L’obiettivo minimo fissato dall’OMS? I Governi dovrebbero spendere un ulteriore 1% del prodotto interno lordo per l’assistenza sanitaria di base che – è dimostrato – produce maggiore equità ma anche efficienza.
  2. In secondo luogo, bisogna dare priorità alla salute e alla protezione sociale visto che in diversi Stati i contraccolpi socio-economici legati al Covid sono stati più gravi dell’impatto del virus a livello strettamente sanitario.
  3. In terzo luogo – non meno importante – bisogna garantire l’accesso equo ai vaccini anti Covid, a livello nazionale e internazionale. Insomma, serve che siano disponibili per tutti e in particolare per gli anziani e le persone con fragilità. Tenendo ben presente una cosa: nei prossimi mesi saranno altrettanto importanti materie prime come l’ossigeno medico e i dispositivi di protezione individuale, oltre ovviamente ai test diagnostici affidabili e ai medicinali.
  4. Quarto punto: agire sulle città, migliorando per esempio i sistemi di trasporto e le strutture idriche e igieniche. Secondo l’OMS, l’accesso a alloggi sani, posti in quartieri sicuri, con adeguate strutture educative e ricreative, è la chiave per raggiungere e garantire la salute per tutti. Una necessità ancora più stringente se si pensa a tre dati emblematici: nelle aree rurali vive l’80% della popolazione mondiale caratterizzata da condizioni di estrema povertà, l’80% di coloro che non dispongono di acqua potabile e il 70% di coloro che non hanno servizi igienici di base.
  5. Infine, serve un’azione incisiva sul trattamento dei dati, che devono essere tempestivi e di qualità: è l’unico modo per capire dove esistono le disuguaglianze e per affrontarle. Il monitoraggio della disuguaglianza sanitaria – conclude l’OMS – dovrebbe essere parte integrante di tutti i sistemi informativi sanitari nazionali.

L’Italia e le sfide del futuro nella sanità

Anche l’Italia ha festeggiato la Giornata Mondiale della Salute. Intervenendo all’undicesima edizione della cerimonia di consegna delle borse di ricerca Fondazione Umberto Veronesi, avvenuta proprio lo scorso 7 aprile, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha dichiarato:

“È fondamentale investire nel capitale umano costituito dalle giovani generazioni che, con il loro spirito innovativo e la loro apertura al confronto, rappresentano la nostra speranza nella lotta contro le più gravi patologie che affliggono il nostro tempo”.

Un messaggio chiaro, anche e soprattutto guardando a un futuro in cui il nostro Servizio Sanitario Nazionale (SSN), che si distingue in tutto il mondo per le caratteristiche di equità e universalità, sarà chiamato ad affrontare sfide rilevanti come l’invecchiamento della popolazione e la dinamica di restrizione della spesa pubblica. Sfide cruciali che potranno essere affrontate con maggiore solidità se la sanità pubblica sarà affiancata e sostenuta – sempre in ottica complementare e mai sostitutiva – da fondi sanitari integrativi come, per esempio, Assidai che tutela la salute dei propri iscritti da 30 anni secondo i principi della mutualità e della solidarietà.

giornata mondiale salute 2021

G20, la presidenza italiana per rilanciare la salute globale

Dal primo dicembre 2020 l’Italia detiene la presidenza del G20. Un ruolo cruciale – in un momento, peraltro, molto particolare e delicato per tutto il pianeta – visto che il Gruppo dei venti (denominato appunto G20) è il foro internazionale che riunisce le principali economie del mondo. Nato nel 1999 con lo scopo di studiare, rivedere e promuovere discussioni ad alto livello su questioni politiche relative alla promozione della stabilità finanziaria internazionale, dal 2008 esso prevede lo svolgimento di un Vertice finale, con la partecipazione dei Capi di Stato e di Governo. Il gruppo rappresenta più del 80% del Prodotto interno lordo mondiale, il 75% del commercio globale e il 60% della popolazione del pianeta. Ne fanno parte, infatti, 19 Paesi membri: Arabia Saudita, Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cina, Corea del Sud, Francia, Germania, India, Indonesia, Italia, Giappone, Messico, Regno Unito, Russia, Stati Uniti, Sud Africa, Turchia e l’Unione Europea. A questi si aggiunge la Spagna, che è un invitato permanente del G20.

L’Italia guida il dibattito sulla Salute

È evidente che nel 2021 la comunità internazionale, e dunque il G20, sarà chiamata a mostrare coraggio e ambizione per vincere le grandi sfide di oggi: dalla pandemia ai cambiamenti climatici, dal sostegno all’innovazione alla lotta contro povertà e disuguaglianze.

Per questo il programma della Presidenza italiana si articola intorno a tre valori chiave: People, Planet, Prosperity. Detto in altri termini, dobbiamo prenderci cura del pianeta e delle persone, assicurando una forte ripresa economica che sia al contempo inclusiva e sostenibile. La Presidenza italiana culminerà nel Vertice dei Leader G20, che si terrà a Roma il 30 e 31 ottobre, ma già il 21 maggio a Roma la Presidenza italiana e la Commissione europea ospiteranno insieme a Roma il G20 Global Health Summit che ha come obiettivo quello di affrontare nel modo più efficace possibili le principali sfide connesse all’emergenza sanitaria. Del resto – ad affermarlo sul proprio sito è proprio il Ministero italiano della Salute – la salute è essenziale per la crescita e lo sviluppo economico. E crisi sanitarie, come l’attuale pandemia da Covid-19, dimostrano quanto esse possano causare invece instabilità economica nei Paesi colpiti o di intere regioni del pianeta. Le minacce alla salute sono, quindi, direttamente collegate alla questione centrale del G20, che punta a garantire la stabilità economica e la prosperità. Non solo, come ha dichiarato recentemente il premier Mario Draghi “la salute va intesa come bene pubblico globale, che va regolato con principi trasparenti e regole condivise”.

A tal proposito, va sottolineato, la voce dell’Italia è più che mai autorevole nella misura in cui il nostro Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è unanimemente riconosciuto in tutto il mondo per le caratteristiche di equità e universalità di accesso alle cure che lo rendono quasi unico tra i principali Paesi occidentali. Caratteristiche, queste, che anche Assidai ha sempre sottolineato con forza: proprio per conservarle nel tempo, e se possibile per rafforzarle, la sanità pubblica ha bisogno di agire in modo complementare e non alternativo insieme alla sanità integrativa per affrontare le grandi sfide del presente e del futuro, cioè invecchiamento della popolazione e crescenti ristrettezze della spesa da parte del Governo centrale.

Sanità, i temi sul tavolo del G20

Che obiettivi si è posto il G20 in tema di sanità? Svariati. Un tema centrale è sicuramente quello delle pandemie, non solo per quanto riguarda il presente (cioè accelerare il più possibile sui vaccini) ma anche per prepararsi in modo più adeguato alle eventuali, prossime emergenze, prendendo spunto da quelle che sono state le mancanze evidenziate da un anno a questa parte.

C’è poi il nodo, forse ancora più rilevante, del rilancio e del rifinanziamento dei sistemi sanitari. Al proposito le stime dell’Organizzazione mondiale della sanità parlano chiaro: a livello globale potrebbero essere creati qualcosa come 30 milioni di nuovi posti di lavoro nel settore sanitario entro il 2030 ma il mondo soffrirà comunque la mancanza di quasi 10 milioni tra medici, infermieri e ostetriche. Su questo fronte il G20 ha rinnovato gli impegni già dichiarati nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite: assicurare un’assistenza sanitaria universale, l’accesso a servizi sanitari essenziali di qualità, e la disponibilità di farmaci e vaccini essenziali, sicuri ed economici per tutti.

Da non sottovalutare, infine, che il G20 della Presidente italiana affronterà anche i temi della sanità digitale e della lotta alla resistenza microbica agli antibiotici. I margini di sviluppo e di miglioramento sono rilevanti: secondo uno studio della società di consulenza globale Accenture l’intelligenza artificiale potrebbe permettere di soddisfare circa il 20% della domanda di cura attualmente inevasa. Per quanto riguarda invece la resistenza agli antibiotici, ai tassi di resistenza attuali l’Ocse ha calcolato che – tenendo conto dell’aumento della spesa sanitaria – il costo ammonterebbe a 2.900 miliardi di dollari entro il 2050.

Numeri rilevanti, insomma, che dimostrano come oggi più che mai il tema della salute debba essere considerato centrale in tutto il mondo. Con la Presidenza del G20 l’Italia ha la straordinaria opportunità di fare da guida in questo processo, in mesi che saranno particolarmente delicati per tutto il pianeta.

 

 

Welfare aziendale, impatti positivi su imprese e dipendenti

La misurazione dell’impatto del welfare aziendale in Italia è ancora da migliorare in maniera rilevante, ma laddove viene effettuata rivela importanti effetti positivi sul lavoratore e sull’impresa, confermando quanto già evidenziato da diversi studi effettuati a livello internazionale. Inoltre, il benefit più diffuso da oggi nelle imprese è quello della sanità integrativa. È quanto emerge da un position paper realizzato da Social Value Italia, Percorsi di secondo welfare, Avanzi e ALTIS – Università Cattolica, “La valutazione d’impatto sociale come elemento costitutivo dei piani di welfare aziendale”, che ha esaminato a fondo questo tema, svolgendo anche una survey presso 56 aziende italiane, un campione variegato per settore di attività e dimensioni.

Sanità integrativa al top tra i benefit in azienda

Partiamo dalle buone notizie. I ricercatori confermano come il welfare aziendale, dal 2016, grazie agli incentivi previsti dalle Leggi di Stabilità, abbia registrato uno sviluppo importante. Esso, infatti, per oltre la metà delle organizzazioni rispondenti, è interiorizzato attraverso un piano aziendale strutturato (64%) e una politica formalizzata ad hoc (59%).

Ma quali sono i benefit messi a disposizione dei lavoratori nelle aziende oggetto del paper? Spicca la sanità integrativa (33%), seguita da previdenza complementare (29%), servizi per l’infanzia, l’educazione e l’istruzione (25%), fringe benefit ed erogazioni in natura (25%), strumenti per la gestione della flessibilità oraria (per esempio smart working) anch’essi con il 25%, servizi di trasporto collettivo e abbonamenti al trasporto pubblico (24%), cultura e tempo libero, opere e servizi con finalità sociali (24%), assistenza di familiari anziani e/o non autosufficienti (18%), assicurazioni Long Term Care per il lavoratore (7%). Un risultato interessante che conferma come l’assistenza sanitaria integrativa, erogata da fondi come Assidai, sia in cima alle preferenze dei lavoratori e delle aziende come opzione per l’investimento in welfare aziendale, senza trascurare il tema della non autosufficienza, che acquisirà purtroppo sempre più peso nei prossimi anni e decenni.

I benefici del welfare per imprese e dipendenti

Passiamo ora alla misurazione dell’impatto sociale dei piani di welfare aziendale, ovvero il punto chiave dello studio, che sul tema – in base ai risultati ottenuti – ha una posizione piuttosto chiara: “la strada da percorrere è ancora molto lunga”.

Ecco i numeri: solo il 14% dei rispondenti, ossia i rappresentanti di 8 aziende, ha dichiarato di realizzare attività, prevalentemente annuali, per il monitoraggio delle azioni di welfare in termini di effetti generati. Le ragioni della mancata realizzazione di questo tipo di progetti di analisi e monitoraggio? “Non tanto la mancanza di interesse, ma principalmente la percezione da parte delle aziende di non disporre ancora di adeguate conoscenze degli strumenti (50%), soprattutto per la gestione interna del processo (50%) e, allo stesso tempo, anche una mancanza di risorse economiche per l’affidamento a un soggetto specializzato esterno (63%)”, si legge nel paper.

Per coloro (pochi) che invece realizzano la misurazione dell’impatto dei propri servizi, invece, si spiega, “sono ben chiari gli obiettivi di questa attività sia in ottica interna per la comunicazione con i beneficiari (75%) e la programmazione strategica (63%), sia in ottica esterna per la comunicazione con gli altri stakeholder e la rendicontazione (63%)”.

Ma laddove vengono misurati, quali sono gli effetti del welfare aziendale in termini di benefici attesi per i lavoratori e l’azienda? Spiccano il senso di appartenenza (88%), impegno e dedizione (75%) e produttività (63%), seguiti poi dalla capacità di “attraction” (38%) e di “retention” (25%) e l’impatto su comunità e territori (25%). Un risultato coerente con altre ricerche condotte a livello internazionale. Tra queste si cita quella realizzata da McKinsey, secondo la quale i piani di welfare realizzati dalle imprese riducono le assenze per maternità (-15%, ovvero 1,6 mesi, pari a un risparmio di 1.200 euro per dipendente), diminuiscono le assenze a causa dall’assistenza a familiari anziani o non autosufficienti (pari a 1.350 euro l’anno) e aumentano la disponibilità a fermarsi in ufficio oltre l’orario di lavoro (+5%).

Secondo la stessa indagine, inoltre, grazie al welfare aziendale l’engagement index di un lavoratore può aumentare del 30% nelle aziende che non hanno mai introdotto queste misure e del 15% nelle aziende che già le hanno ma potrebbero migliorarle tarando meglio il pacchetto di servizi offerti in base ai bisogni dei loro lavoratori. C’è poi – si aggiunge – il gruppo di lavoro MAUNIMIB realizzato tra gli altri dall’Università degli Studi Milano: secondo un’osservazione svolta su 8 grandi aziende, è stato stimato che il “ritorno” che i piani di welfare aziendale possono produrre è poco significativo sul piano puramente economico ma ha effetti molto più rilevanti su indicatori “intangibili”, come il clima organizzativo, il tasso di turnover e la reputazione dell’azienda.

Assidai e welfare aziendale: un binomio di successo

Quanto detto finora conferma da una parte lo sviluppo realizzato dal welfare aziendale negli ultimi anni ma dall’altra parte anche la necessità di non fermare un percorso che, come ricordato in un’intervista a Welfare 24 da Attilio Gugiatti, Professore del Cergas-Bocconi, dovrà proseguire in futuro con strategie nuove e senza puntare soltanto sugli incentivi statali. Assidai, dal canto suo, ha sempre sostenuto il welfare aziendale come nuova frontiera del rapporto tra azienda e dipendente/manager in nome della ricerca di un sempre maggior equilibro tra vita lavorativa e vita privata: un benefit che le imprese considerano sempre più come una leva di gestione e di crescita dell’individuo all’interno dei modelli di sviluppo aziendale.

Per questo Assidai rappresenta un benefit esclusivo e di valore: un importante strumento a disposizione di datori di lavoro e dei responsabili delle risorse umane e degli altri decision maker aziendali per ricompensare, attrarre e trattenere talenti e collaboratori, attraverso la progettazione di Piani Sanitari taylor made, nonché con l’offerta di campagne di prevenzione gratuite finalizzate al mantenimento di un buono stato di salute per gli iscritti.

Va ricordato, infine, che già nel 2015 Assidai in un’importante ricerca per testare la conoscenza dell’assistenza sanitaria integrativa in azienda, realizzata con Ipsos, aveva riscontrato che il 34% dei dirigenti interpellati dichiarava che come strumento di welfare offerto dall’azienda desiderava l’assistenza sanitaria integrativa.

Dal CREA le nuove Linee Guida per l’alimentazione

Dopo più di dieci anni dall’ultimo aggiornamento il Crea (principale Ente di ricerca italiano dedicato alle filiere agroalimentari con personalità giuridica di diritto pubblico, vigilato dal Ministero delle politiche agricole) ha pubblicato la revisione delle Linee Guida per una sana alimentazione. Un documento chiave, riportato anche dal sito del Ministero della Salute e rivolto a tutti i consumatori che raccoglie e aggiorna consigli e indicazioni alimentari, elaborate da un’apposita commissione scientifica. Le Linee Guida italiane si basano ovviamente sul modello alimentare mediterraneo e hanno tre obiettivi molto chiari: la prevenzione delle malattie cronico-degenerative (principale causa di decessi nei Paesi occidentali), la promozione di salute e longevità (già, peraltro, punto di forza del nostro Paese visto che solo la Spagna ci è davanti come durata della vita media), e la sostenibilità sociale e ambientale.

Il rapporto tra corretta alimentazione e salute

Prima di entrare nello specifico del rapporto redatto dal Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (CREA) è necessaria una premessa. Il rapporto tra nutrizione, corretta alimentazione e salute è molto stretto. Nella storia recente del nostro Paese, sul piano della salute, – si sottolinea nel documento – si è passati dalla sotto nutrizione di un terzo della popolazione negli anni Trenta al sovrappeso, che riguarda oggi quasi il 60% degli italiani, con il 21% di obesi, dati che preoccupano soprattutto in merito al crescente problema dell’obesità infantile.

Non solo. La diffusione progressiva del sovrappeso e dell’obesità nel mondo ha portato a coniare il termine globesity, una vera emergenza globale, che minaccia la salute della popolazione occidentale. In Europa, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) segnala che la frequenza dell’obesità è triplicata negli ultimi due decenni e ha ormai raggiunto proporzioni epidemiche. A peggiorare la situazione c’è, poi, la sedentarietà: sempre l’OMS stima, infatti, che circa il 41% degli europei non svolge alcun tipo di attività fisica nell’arco della settimana e ciò aumenta il rischio di malattie croniche. Secondo l’Atlante delle malattie cardiache e dell’ictus cerebrale, recentemente pubblicato dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità, l’alimentazione non corretta e la sedentarietà rappresentano i maggiori responsabili (preceduti solo dall’abitudine al fumo) dei 17 milioni di morti per malattie circolatorie, cardiache e cerebrali. Se non bastasse, dopo molti anni di analisi ed oltre 7.000 studi scientifici, l’American Institute of Cancer Research (AICR) e il World Cancer Research Fund (WRF), due autorevolissime società scientifiche statunitensi, hanno messo a punto un decalogo di raccomandazioni per la prevenzione del cancro a tavola, dove si sottolineano le regole della corretta alimentazione e la raccomandazione a svolgere quotidianamente 30 minuti di attività fisica.

Le Linee Guida italiane: 13 direttive chiave

In questo contesto si inseriscono le Linee Guida per una sana alimentazione (stese per la prima volta nel 1986 e successivamente aggiornate con cadenza periodica), che insieme con i Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia (LARN) per la popolazione italiana sono tra gli strumenti di orientamento delle politiche alimentari del Paese. I LARN – in particolare – sono le raccomandazioni nutrizionali, ossia fissano le quantità di nutrienti e di energia in grado di soddisfare i relativi bisogni, nonché le quantità che, qualora in eccesso, potrebbero comportare effetti negativi sulla salute. Le Linee Guida sono invece le raccomandazioni basate sugli alimenti e sulla dieta, ossia indicano con quali scelte alimentari, a seconda delle tradizioni e delle abitudini locali, si possono soddisfare i LARN.

Esse si propongono la tutela della salute in situazioni in cui fattori socio-economici e comportamentali determinino eccessi o carenze di assunzione alimentare con conseguenti effetti sulla salute dell’individuo. I due strumenti sono dunque due facce della stessa medaglia: le Linee Guida traducono in indicazioni alimentari pratiche gli obiettivi nutrizionali fissati nei LARN e la loro revisione periodica segue generalmente la revisione dei Larn. La caratteristica principale delle Linee Guida per una sana alimentazione è quella di “rappresentare il consenso di una commissione multidisciplinare, con messaggi rivolti alla popolazione generale in modo autorevole e libero da condizionamenti”, spiegano ancora gli esperti che ne hanno curato la redazione.

Vediamo allora nel dettaglio le Linee Guida, curate da un gruppo di esperti (oltre 100 componenti) molto più ampio rispetto al passato e composto da specialisti dei Ministeri coinvolti nelle tematiche delle Linee Guida stessa, da professori di nutrizione, da esponenti delle società scientifiche di ambito nutrizionale e medico, da associazioni di medici, dietisti, biologi e consumatori.

Spiegarle in modo schematico è la cosa più semplice. Esse si dividono in 13 direttive chiave, che a loro volta sono suddivise in quattro blocchi logici.

  1. Bilancio nutrienti ed energia dove le direttive chiave sono “controlla il peso e mantieniti sempre attivo” e “consigli speciali per persone speciali”.
  2. Più è meglio, che approfondisce il tema degli alimenti o dei gruppi il cui consumo deve essere incentivato. Direttive chiave: “più frutta e verdura”, “più cereali integrali e legumi”, “bevi acqua ogni giorno in abbondanza”.
  3. Meno è meglio, dove nel mirino finiscono invece nutrienti critici nella dieta attuale e il cui consumo dovrebbe essere ridotto. Direttive chiave: “sui grassi scegli quali e limita la quantità”, “meno bevande zuccherate e dolci”, “meglio poco sale ma iodato”, “bevande alcoliche, se sì il meno possibile”.
  4. Varietà, sicurezza e sostenibilità, ovvero come garantirsi un’alimentazione completa e salutare di tutti i nutrienti per le diverse età e condizioni della vita. Direttive chiave: “varia la tua alimentazione”, “attenzione a diete e integratori”, “la sicurezza dei tuoi cibi dipende da te” e “scegli alimenti sostenibili”, un filone quest’ultimo particolarmente d’attualità visto il trend globale verso percorsi sempre più orientati alla sostenibilità.

Infine, le Linee Guida 2018 contengono piani dietetici, anche ipocalorici, che includono alimenti provenienti da tutti i gruppi alimentari utilizzando come riferimento le “porzioni standard italiane”, la cui corretta conoscenza da parte del consumatore è di importanza fondamentale per una alimentazione equilibrata. Novità dell’ultima revisione è l’introduzione di raccomandazioni pratiche di profili di consumo anche per i bambini e gli adolescenti, per aiutare le famiglie ad organizzare un’alimentazione quotidiana, varia ed equilibrata anche per l’età evolutiva.

Assidai e la prevenzione primaria: un impegno di lungo periodo

Le Linee Guida del CREA fin qui illustrate sono coerenti con la prevenzione primaria delle malattie croniche, principale causa di decesso nei Paesi occidentali, di cui Assidai si fa da tempo promotore nei confronti dei propri iscritti e dei propri stakeholder. Adottare stili di vita sani, in cui una corretta alimentazione e un’attività fisica (o meglio ancora sportiva) regolare sono pilastri irrinunciabili, è il modo migliore per diminuire la probabilità di insorgenza di patologie cardiocircolatorie o di tumori, alleggerendo al tempo stesso il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) di costi rilevanti che ne mettono a rischio la sostenibilità nel lungo periodo. Un obiettivo, quest’ultimo, che dovrebbe avere ciascuno di noi e che Assidai ha tra i propri capisaldi in un’ottica di supporto e complementarietà a una sanità pubblica che resta tra le migliori al mondo per le caratteristiche di equità e universalità.

Emicrania problema globale: numeri e prevenzione

Rappresenta la terza malattia più diffusa al mondo e la prima causa di disabilità sotto i 50 anni. Spesso sottovalutata, l’emicrania – stando a queste statistiche fornite dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) – è uno dei disturbi più frequenti a livello globale: colpisce infatti il 14% della popolazione, soprattutto donne (all’incirca in un rapporto di tre a uno rispetto agli uomini). Dunque, soffrirebbe di mal di testa il 18% delle donne e l’8% degli uomini. Di emicrania, dei suoi costi e delle possibili cure, si è occupato approfonditamente un convegno organizzato dal gruppo Il Sole 24 Ore, tenutosi lo scorso 20 gennaio, dal titolo “Emicrania. Combattere il disagio e prospettive future”. All’appuntamento sono intervenuti, tra gli altri, esperti di rilievo della materia come Messoud Ashina, Presidente International Headache Society, Cinzia Aurilia, Neurologo IRCCS San Raffaele Pisana, Piero Barbanti, Presidente Associazione neurologica italiana per la ricerca sulle cefalee e Rosanna Tarricone, Professore del Dipartimento di Analisi delle Politiche e Management Pubblico Università Bocconi. Un evento importante che ha trattato approfonditamente il tema dell’emicrania offrendo interessanti spunti di riflessione e discussione.

I numeri dell’emicrania in Italia e il costo per il sistema Paese

Anche in Italia le cifre sono rilevanti. Di emicrania soffre o ha sofferto il 24% della popolazione e un terzo di questa – qualcosa come 3 milioni – ne viene colpito almeno una volta a settimana. Tutto ciò ha ovviamente anche un costo sociale, considerato che la maggior parte delle persone colpite dal mal di testa è nel pieno dell’età lavorativa. Secondo un calcolo effettuato dall’Università Bocconi di Milano, l’emicrania – per tutte quelle spese che non sono coperte dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN) – oggi costa al nostro Paese 20 miliardi di euro l’anno. Il che equivale a un costo medio annuo di 4.352 euro per paziente – tra perdita di produttività (36%), assistenza informale da parte di familiari (34%), prestazioni sanitarie (25%) e cure affidate a professionisti 2%) – e un calo del rendimento al lavoro di 380 euro a persona in un trimestre.

Sono questi numeri, secondo Rosanna Tarricone del dipartimento di Analisi delle politiche e management pubblico della Bocconi, intervenuta al convegno, a dirci che “l’emicrania è una malattia emblematica della necessità di definire politiche di welfare integrate, capaci di intercettare alla base i bisogni della popolazione per contrastare le disuguaglianze”.

Il ruolo cruciale della prevenzione dell’emicrania

Serve quindi un approccio a tutto tondo, che parte ovviamente anche dalla prevenzione, che da una parte consente di aiutare a diminuire la frequenza e l’intensità dell’emicrania e dall’altra agisce anche sull’azione dei farmaci, potenziandone l’efficacia. Una strategia efficace, al di là di alcuni farmaci innovativi che consentono di “prevenire” l’insorgenza dell’emicrania, è certamente quella di adottare stili di vita sani, che riducono le possibilità che i fattori scatenanti dell’emicrania si mettano in azione.

Qualche esempio? Adottare un’alimentazione sana ed equilibrata, evitando il consumo di alcol e bevande contenenti caffeina, oltre che ovviamente di tabacco. Bere molta acqua (almeno un litro e mezzo al giorno), privilegiando al contempo cibi ricchi di magnesio, selenio e zinco come uova, pesce e cereali integrali. Può aiutare una buona “dose” di attività fisica, praticando sport come corsa, nuoto e ginnastica che hanno effetti benefici sul sistema nervoso, allentando lo stress e la tensione muscolare. Infine, non bisogna dimenticare di dormire con regolarità e a lungo, almeno otto ore a notte, e ove possibile di praticare esercizi di rilassamento come lo yoga.

La stessa Anircef, Associazione Neurologica Italiana per la Ricerca sulle Cefalee, sottolinea come uno dei principali problemi del nostro secolo è il rapporto tra salute e un corretto stile di vita, che gioca un ruolo importante in molte malattie, tra le quali anche l’emicrania. Da recenti studi l’84% degli italiani non conduce uno stile di vita adeguato, a discapito della prevenzione. Inoltre, aggiunge, si è concordi che la frequenza, la durata e l’intensità di un’emicrania possono essere influenzati da una serie di fattori, come lo stress, la dieta, le fluttuazioni ormonali e il consumo di farmaci.

Non stupisce che molte di queste indicazioni ricalchino quelle più volte fornite da Assidai ai propri iscritti come vademecum della prevenzione primaria, lo strumento principale che abbiamo a nostra disposizione per diminuire la probabilità di insorgenza delle malattie croniche (patologie polmonari e cardiovascolari e cancro) che sono la principale causa di morte e di disabilità nel mondo. Il nostro Fondo, va ricordato, negli ultimi anni – a parte il 2020 per ovvi motivi legati alla pandemia da Covid-19 – ha realizzato importanti campagne di prevenzione offerte gratuitamente ai propri iscritti; ricordiamo, per esempio, le ultime iniziative contro l’ictus o il melanoma. Non solo per tutelare la salute degli iscritti stessi ma anche per supportare il Servizio Sanitario Nazionale nell’evitare patologie che rischiano di generare, nel tempo, un peso insostenibile per la sanità pubblica.